Corte di Cass., Sez. 3, Sentenza n. 37050 del 2019, dep. il 04/09/2019

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RITENUTO IN FATTO

  1. Con sentenza del 17 ottobre 2017 la Corte di Appello di Napoli riformava
    parzialmente la sentenza del 2/12/2014 del tribunale di Torre Annunziata,
    dichiarando non doversi procedere per estinzione conseguente alla sopravvenuta prescrizione del reato di cui al capo d) della rubrica e relativo alla
    contravvenzione, così riqualificata, di cui all’art. 181 comma 1 Dlgs 42/04;
    confermava altresì nel resto la sentenza.
  2. Contro la predetta sentenza ha proposto ricorso, mediante il proprio
    difensore, […], proponendo due motivi di impugnazione, che si
    riportano in forma riassuntiva ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
  3. Con il primo motivo ha dedotto la violazione o erronea applicazione
    dell’art. 36 D.P.R. 380/01 nonché il vizio di manifesta illogicità della motivazione:
    la corte avrebbe erroneamente ritenuto che con il permesso di costruire in
    sanatoria n. …, rilasciato in relazione alle opere abusive realizzate dal
    ricorrente, non si sarebbe accertata la sussistenza del requisito della cd. “doppia
    conformità” per mancanza di un tale riferimento nel corpo del provvedimento,
    laddove invece, tale verifica risulta realizzata come evincibile dal contenuto
    riferimento al “piano regolatore generale”: la data di approvazione di tale piano,
    …., precede quella di realizzazione delle opere e di sanatoria, cosicchè la pubblica amministrazione che ha adottato l’atto non ha ritenuto la necessità di diffondersi particolarmente nella esplicitazione della sussistenza del requisito, siccome desumibile proprio dal richiamo al predetto piano e dalla successione cronologica delle opere e della procedura di sanatoria, intervenute tutte nell’arco di vigenza del predette strumento urbanistico.
  4. Con il secondo motivo ha rappresentato l’omessa pronunzia della revoca
    dell’ordine di ripristino, conseguente all’intervenuto rilascio del provvedimento di
    accertamento di conformità paesaggistica, deducendo come l’evidenza
    dell’omissione renda inutile il dilungarsi ulteriormente sul tema.

CONSIDERATO IN DIRITTO

  1. Si premette che l’art. 36 del D.P.R. n. 380 del 2001 si riferisce
    esplicitamente ad interventi già ultimati e stabilisce come la doppia conformità
    debba sussistere sia al momento della realizzazione dell’opera, sia al momento
    della presentazione della domanda di sanatoria. Inoltre, il rilascio del
    provvedimento consegue ad un’attività vincolata della P.A., consistente
    nell’applicazione alla fattispecie concreta di previsioni legislative ed urbanistiche
    a formulazione compiuta e non elastica, che non lasciano all’Amministrazione
    medesima spazi per valutazioni di ordine discrezionale (Sez. 3, Sentenza n.
    47402 del 21/10/2014 Rv. 260973 – 01 Chisci Sez. 3 n. 3895, 26 settembre 2013; Sez. 3 n. 23726, 8 giugno 2009 non massimata; n. 41567, 12 novembre
    2007; n. 48499, 18 dicembre 2003; n. 740, 13 gennaio 2003; n. 42927, 19
    dicembre 2002).
    1.1. L’esplicazione della predetta attività amministrativa, in cui si sostanzia
    la funzione “tipica” dell’atto di sanatoria, si manifesta non semplicemente
    mediante il nomen iuris adottato, bensì anche attraverso la relativa motivazione,
    che costituisce misura e limite del potere esercitato.
    1.2. Pertanto, costituendo la verifica della “doppia conformità” il fulcro di
    tale potere in ordine all’atto adottato ex art. 36 DPR 380/01, consegue che del
    relativo accertamento deve darsi conto in motivazione come dimostrazione della
    avvenuta effettuazione della funzione affidata al pubblico funzionario e quale
    strumento di controllo del corretto esercizio della medesima.
    1.3. Discende che la verifica affidata al giudice penale, diretta a stabilire la
    sussistenza o meno del requisito della “doppia conformità”, passa per il previo
    accertamento di una motivazione che dia conto dell’avvenuto, positivo esercizio
    della funzione di sanatoria dell’atto adottato ex art. 36 DPR 380/01, incentrata
    sulla verifica di conformità delle opere abusive agli strumenti urbanistici vigenti
    al momento della loro realizzazione e della presentazione della richiesta di
    sanatoria. Cosicché, l’eventuale esito negativo della verifica, sul piano
    motivazionale dell’atto scrutinato, dell’avvenuto espletamento di tale attività,
    portando all’esclusione del controllo “tipico” dell’atto di sanatoria ex art. 36 cit.,
    consente al giudice penale già di escludere qualsivoglia estinzione sopravvenuta
    del reato edilizio. Di converso invece, in caso di verifica positiva del profilo
    motivazionale dell’atto di sanatoria nei termini anzidetti, non può escludersi che
    il giudice penale approfondisca ulteriormente, ove ritenuto opportuno, il tema
    della sussistenza del requisito della “doppia conformità” attraverso una verifica
    “in concreto” dell’avvenuto rispetto degli strumenti urbanistici nel predetto
    intervallo temporale, in grado in tal modo di confermare o meno la correttezza
    del giudizio di doppia conformità sostenuto in motivazione.
    Nel caso in esame i giudici di merito, effettuando la verifica loro demandata
    a fronte della prospettata sanatoria ex art. 36 DPR 380/01 del reato edilizio
    contestato, hanno correttamente escluso tale fattispecie evidenziando l’assenza
    della necessaria verifica da parte del pubblico funzionario competente del
    requisito della “doppia conformità”, in assenza della esplicitazione della
    medesima nell’atto a tal fine prodotto e tantomeno «nella relazione istruttoria
    che avrebbe dovuto essere eseguita dal responsabile del procedimento
    amministrativo». Si tratta di una motivazione giuridicamente corretta, tanto più
    a fronte del vizio di violazione di legge come dedotto dal ricorrente, il quale,
    senza prospettare la violazione di canoni interpretativi (laddove il richiamato
    criterio di interpretazione letterale non appare in contrasto con la ricostruzione
    della corte, che ha appunto evidenziato la mancanza di ogni accenno al requisito
    della doppia conformità) ha proposto una personale quanto non condivisibile
    interpretazione dell’atto di “sanatoria” in discussione, fondata sulla tesi, ben poco
    condivisibile come pure alquanto genericamente quanto assertivamente
    supportata, per cui il mero richiamo al piano regolatore e la circostanza della sua
    vigenza sia all’epoca degli abusi che al momento della domanda di sanatoria
    attesterebbe di per sé l’avvenuta verifica del requisito della cd. “doppia
    conformità”. L’assenza del vizio di violazione di legge determina,
    conseguentemente, anche l’insussistenza dell’ulteriore vizio, pure dedotto, di
    manifesta illogicità. Infatti in tema di vizi di motivazione della sentenza
    impugnata con riferimento ad argomentazioni giuridiche delle parti, se il giudice
    ha errato nel non condividerle, si configura una violazione di legge, mentre, se
    fondatamente le ha disattese, non ricorre alcuna illegittimità della pronuncia,
    anche alla luce della possibilità, per la Corte di cessazione, di correggere la
    motivazione del provvedimento ex art. 619 cod. proc. pen. (cfr. Sez. 1, n. 49237
    del 22/09/2016 (dep. 26/10/2017 ) Rv. 271451 – 01 Emmanuele).
  2. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto
    che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile […]