Corte di Cassazione, Sez. 1, Ordinanza n. 12973 del 2018, dep. il 24/05/2018

[…]

FATTI DI CAUSA

1. — […] s.p.a. (di seguito […]) proponeva opposizione allo stato passivo del fallimento […]. Deduceva di essere mandataria dell’a.t.i. costituita con la fallita per la fase esecutiva dei lavori di completamento di una tratta stradale e che, a norma dell’art. 96 d.p.r. n. 554/1999, era stata costituita una società consortile, denominata […], partecipata dalle due società in ragione dell’80°/0 (la mandataria) e del 20% (la mandante poi fallita). Rilevava che […] aveva posto in atto reiterati e gravissimi inadempimenti, consistenti nel rallentamento nell’esecuzione dell’opera, nella sospensione dei lavori e, da ultimo, nell’abbandono del cantiere da parte della società; inoltre, secondo l’opponente, la fallita si era resa responsabile del ritardato ed omesso pagamento degli oneri consortili, necessario per il pagamento dei fornitori e dei subappaltatori: in conseguenza, essa mandataria si era vista costretta ad eseguire delle anticipazioni e a trattenere in compensazione quanto corrisposto dalla stazione appaltante a titolo di s.a.l. e spettante, pro quota, alla mandante. Rilevava, inoltre, che in ragione di dette condotte la fallita era stata esclusa dall’a.t.i. e che la quota di partecipazione della medesima […] era stata quindi assunta da essa mandataria. Assumeva l’opponente che l’appalto era risultato in perdita e che, in ragione delle inadempienze della mandante e del proprio subentro della quota di partecipazione dell’esclusa, essa aveva risentito un danno per € 1.542.473,70. Rilevava, inoltre, di vantare un credito per il pagamento, da parte sua, del compenso dovuto a favore di una società terza che aveva intimato un precetto basato su ingiunzione, il quale trovava ragione nell’inadempimento della fallita; infine deduceva che […] era debitrice, nei suoi confronti, per gli importi maturati a titolo di oneri consortili portati da due fatture e per la penale applicata per la ritardata esecuzione delle opere: crediti che la società consortile […] aveva ceduto ad essa opponente.
L’opposizione era respinta con decreto del Tribunale di Perugia del 7 settembre 2012. 2. — Ricorre per cassazione la società […] con una impugnazione articolata in sei motivi. Il fallimento, intimato, non ha svolto difese nella presente sede.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. — Il primo motivo denuncia omesso esame di un documento rilevante, omessa, insufficiente ed illogica motivazione in ordine a un fatto rilevante, contraddittoria motivazione, violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 11 (recte: 111) Cost., violazione del principio del contraddittorio e dell’art. 115 c.p.c.. E’ dedotto: che il Tribunale aveva fondato la propria motivazione su di un dato (la compensazione attuata su somme asseritamente anticipate da […] a titolo di ribaltamento dei costi) che denotava l’omesso esame dei documenti di causa; che la motivazione del provvedimento era contraddittoria, in quanto era stato dapprima affermato che […] avevano indebitamente compensato le somme anticipate a titolo di ribaltamento dei costi con i proventi del contratto di appalto e poi asserito che la fatturazione di […] non comprovava la spettanza delle somme oggetto della cessione; che il Tribunale aveva rilevato l’illegittimità della compensazione in assenza di alcuna deduzione in tal senso da parte della curatela; che il fallimento non aveva sollevato alcuna specifica contestazione con riguardo ai diritti di credito di cui l’opponente si era detta creditrice in forza dell’intercorsa cessione.
Il motivo non ha fondamento.
Con riferimento all’inadempimento contestato alla fallita, il Tribunale ha in sintesi osservato che l’odierna ricorrente aveva indebitamente compensato le somme asseritamente anticipate per conto di […] a titolo di «ribaltamento costi» con i proventi del contratto di appalto derivanti dal pagamento dei s.a.I.: ciò in quanto la società […] incassava somme da riversare alla società consortile, alla quale gli importi riscossi erano dovuti per essere destinati alla gestione di tutti i rapporti di cantiere; in conseguenza — ha spiegato il giudice dell’opposizione — nessuna compensazione legale avrebbe potuto attuarsi e […], per effetto delle trattenute operate dalla società mandataria, non aveva potuto contare sulla necessaria liquidità per far fronte ai pagamenti verso fornitori, dipendenti ed enti contributivi. Non risultava dunque provata, secondo il Tribunale, l’imputabilità dell’inadempimento della fallita: inadempimento che aveva portato al rallentamento dei lavori, ai licenziamenti dei dipendenti e alla cessazione dei lavori.
Il dato dell’attuata compensazione, o meglio del trattenimento, da parte della ricorrente, di somme spettanti alla fallita quale compenso per l’attività prestata (remunerata in base ai s.a.I.) sfugge al sindacato di legittimità.
Il fatto che la compensazione non avrebbe riguardato somme anticipate per conto di […] a titolo di ribaltamento dei costi, come dedotto dalla società istante, pare in realtà smentito dallo stesso ricorso (pag. 9), ove si precisa che tra le somme poste in compensazione rientrerebbe l’importo di € 145.454,94 di cui la società […] era creditrice, a seguito della cessione, «a titolo di ribaltamento dei costi consortili».
Non è chiarito, del resto, quale sia la diversa esposizione debitoria della fallita che, ad avviso della ricorrente, giustifichi la mancata corresponsione dei ratei dei s.a.I.: per certo non il debito di € 105.997,92 (concernente il pagamento operato dall’odierna istante nell’interesse della debitrice poi fallita: pagg. 7 s. del ricorso), giacché l’importo in questione è stato fatto valere dall’odierna istante con l’opposizione allo stato passivo (pag. 2 del decreto).
E’ da negare, poi, una contraddittorietà tra l’affermazione con cui è stato dato atto della compensazione e il successivo rilievo, sempre contenuto nel decreto impugnato, per cui la fatturazione di […] (relativa alla cessione del credito, siccome comprensivo dell’anticipazione per il ribaltamento dei costi) non avrebbe comprovato la spettanza delle somme, ma solo l’intervenuta cessione. Per un verso, infatti, il decreto impugnato, come si è visto, non consente di affermare che esista coincidenza tra i due importi; per altro verso, la ratio decidendi della pronuncia sulla compensazione è incentrata sulla inammissibilità di essa: il Tribunale non ha quindi inteso prendere precisa posizione circa l’effettiva consistenza del controcredito (relativo alle anticipazioni) che è stato opposto al credito per il compenso dell’opera: tanto è vero che, riferendosi al primo, ha chiarito che esso aveva ad oggetto «somme asseritamente anticipate».
Non è fondata la censura basata sul rilievo ufficioso, da parte del Tribunale, dell’insussistenza delle condizioni per la compensazione. Infatti, il principio di non contestazione non comporta affatto l’automatica ammissione del credito allo stato passivo solo perché non sia stato contestato dal curatore (o dai creditori eventualmente presenti in sede di verifica), competendo al giudice delegato (e al tribunale fallimentare) il potere di sollevare, in via ufficiosa, ogni sorta di eccezioni in tema di verificazione dei fatti e delle prove (Cass. 8 agosto 2017, n. 19734; Cass. 6 agosto 2015, n. 16554): l’accertamento sull’esistenza del titolo vantato nei confronti del fallimento, e dedotto in giudizio, deve essere dunque compiuto dal giudice ex officio in ogni stato e grado del processo, nell’ambito proprio di ognuna delle sue fasi, in base alla risultanze rite et recte acquisite nei limiti in cui tale rilievo non sia impedito o precluso in dipendenza di apposite regole processuali (Cass. 6 novembre 2013, n. 24972; in senso conforme: Cass. 19 settembre 2013, n. 21482).
E’ da escludere, infine, che la mancata sollecitazione del contraddittorio sul punto abbia avuto effetti invalidanti per il giudizio: l’omessa segnalazione alle parti, ad opera del giudice, di una questione rilevabile d’ufficio, sulla quale si fondi la decisione, comporta la nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa solo quando la parte che se ne dolga prospetti in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere qualora il contraddittorio sulla predetta eccezione fosse stato tempestivamente attivato (Cass. 30 aprile 2011, n. 9591; Cass. 23 aprile 2010, n. 9702).
2. — Col secondo motivo è lamentata l’omessa, insufficiente ed illogica motivazione «in tema di accertamento dell’inadempimento colposo», nonché la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. Il vizio motivazionale è prospettato con riferimento all’affermazione del Tribunale secondo cui […] aveva interrotto i lavori, omesso il pagamento dei propri operai e abbandonato il cantiere a causa dell’inadempimento della ricorrente. Viene spiegato che il Tribunale non avrebbe potuto imputare all’istante lo stato di 6 illiquidità che era alla base dei lamentati inadempimenti.
La censura involge apprezzamenti di fatto e, come tale, è inammissibile.
E’ infatti inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., qualora esso intenda far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, prospetti un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione citata (Cass. 26 marzo 2010, n. 7394; Cass. 11 aprile 2008, n. 9470).
Con riferimento, poi, alla dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. la ricorrente non spiega in cosa si sia precisamente concretato il vizio lamentato.
3. — Il terzo mezzo è rubricato come violazione e falsa applicazione dell’art. 34 (recte: 37), comma 19, d.lgs. n. 163/2006, omessa e insufficiente motivazione quanto all’applicazione dell’art. 24 dello statuto consortile, violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 1225 c.c.. Il decreto è censurato nella parte in cui ha affermato che l’art. 37, comma 19 cit., «non obbligava, per il caso di esclusione dell’associato, il subentro, previsto solo per altri casi tassativi», oltre che laddove ha ritenuto che l’accrescimento della quota di partecipazione si sarebbe attuato a norma dell’art. 23 dello statuto consortile. Il motivo contiene, poi, specifiche censure che investono il diniego del risarcimento in ragione della ritenuta natura indiretta del pregiudizio patrimoniale lamentato (art. 1223 c.c.) e in ragione, altresì, della asserita non prevedibilità di esso (art. 1225 c.c.).
Il motivo è inammissibile perché inerisce a una ratio decidendi aggiuntiva rispetto a quella che è incentrata sulla non imputabilità dell’inadempimento della società fallita. Infatti, il Tribunale, dopo aver dato conto di tale non imputabilità ha osservato che, «in ogni caso», l’art. 37 comma 19, d.lgs. n. 163/2006 non imponeva, per il caso di esclusione dell’associato, il subentro degli altri, onde l’accollo pro quota della gestione in perdita del contratto era conseguenza non immediata e diretta dell’inadempimento e, comunque, evenienza non prevedibile al tempo in cui era sorta l’obbligazione.
Trova applicazione, allora, il principio per cui qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, il mancato accoglimento delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa. Il motivo, dunque, risulta inammissibile per difetto di interesse (per tutte: Cass. 18 aprile 2017, n. 9752; Cass. 14 febbraio 2012, n. 2108).
4. — Il quarto mezzo oppone l’insufficiente motivazione per l’omesso esame di un documento rilevante, la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 11 (recte: 111) Cost., la violazione del principio del contraddittorio e la contraddittorietà della motivazione. E’ lamentato: l’omesso esame dell’art. 7 dello statuto della società consortile, che non prevedeva alcuna modalità concordata di formazione del titolo, la mancata deduzione e prova, da parte del fallimento, quanto a fatti che escludessero il credito, il quale era stato contestato in modo generico, l’illogicità della motivazione nei termini espressi nell’articolazione del primo motivo.
Il motivo va disatteso.
Esso investe le affermazioni del Tribunale secondo cui la fatturazione della […] non comprovava la spettanza delle somme ivi indicate e secondo cui, inoltre, a fronte delle contestazioni della curatela, era onere del cessionario provare l’esistenza e l’ammontare del credito: ciò, secondo il giudice dell’opposizione, valeva sia per gli oneri consortili, per i quali era prevista una modalità concordata di formazione del titolo, sia per la penale.
La prima delle doglianze della ricorrente, oltre che carente della necessaria specificità, giacché è invocato l’art. 7 dello statuto (norma riferita al versamento dei contributi consortili), senza che ne sia trascritto il contenuto, risulta preordinata a un inammissibile riesame del fatto, giacché si risolve nella contestazione del significato che il Tribunale conferisce alla nominata disposizione. Né, sul punto, è stata ritualmente impugnata l’interpretazione che il giudice del merito ha dato della nominata clausola statutaria: in tema di ermeneutica negoziale, il ricorrente per cassazione deve infatti fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti ed è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (Cass. 15 novembre 2017, n. 27136; Cass. 9 ottobre 2012, n. 17168; Cass. 31 maggio 2010, n. 13242; Cass. 9 agosto 2004, n. 15381).
Nemmeno le altre censure del quarto motivo colgono nel segno e per esse deve richiamarsi quanto rilevato trattando del primo motivo.
5. — Col quinto motivo sono dedotte la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. e l’omessa e insufficiente motivazione per omesso esame di un documento rilevante. Le censure investono la questione circa il pagamento effettuato dalla ricorrente nei confronti di una società che aveva ottenuto un decreto ingiuntivo nei confronti della fallita e sono incentrate sul rilievo per cui tale pagamento non era stato contestato da parte della curatela, che si era limitata a dedurre l’insussistenza dei presupposti per la compensazione. La ricorrente lamenta, inoltre, che il Tribunale non avesse preso in considerazione che per una parte della somma precettata risultava documentata da quietanza su fattura.
Il motivo è inammissibile.
La censura riferita alla mancata contestazione replica quelle formulate nel primo e nel quarto motivo e ne segue le sorti.
Per quanto attiene alla quietanza, di essa non è precisata la localizzazione all’interno dei fascicoli di causa ex art. 366, n. 6 c.p.c., di talché la censura è inammissibile (Cass. 24 ottobre 2014, n. 22607).
Per mera completezza si osserva che non potrebbe comunque sostenersi che nella fattispecie venga in questione un documento non esaminato (e il cui mancato esame sia tale da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito), giacché il Tribunale ha preso in considerazione proprio le fatture, dando atto che esse non erano quietanzate; oltretutto, con tale rilievo il Tribunale ben può aver fatto riferimento a documenti comunque privi di sottoscrizione e, nella fattispecie, la ricorrente non ha precisato se il documento da essa indicato, recante la quietanza, sia stato sottoscritto.
6. — Il sesto motivo lamenta omessa motivazione e violazione del d.m. n. 140/2002. Viene dedotto che applicando il principio di soccombenza le spese non avrebbero potuto essere riversate, per l’intero, sulla ricorrente; viene altresì rilevato che il Tribunale aveva liquidato le spese della fase decisoria, in cui le parti non avevano svolto attività difensiva.
Il motivo non ha fondamento.
La soccombenza reciproca dei contendenti (derivante dal fatto che il Tribunale, oltre a rigettare l’opposizione, ha dichiarato inammissibile una domanda della curatela) non rende illegittima la statuizione di condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. Come è noto, poiché il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, esula dai limiti commessi all’accertamento di legittimità e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso di altri giusti motivi (Cass. 31 marzo 2017, n. 8421; Cass. 19 giugno 2013, n. 15317; Cass. 18 ottobre 2005, n. 20145; Cass. 28 agosto 2004, n. 17220).

7. — Il ricorso è dunque respinto.