Corte di Cassazione, Sez. 1, Ordinanza n. 15581 del 2018, dep. il 14/06/2018

[…]

FATTI DI CAUSA

I. Con il decreto impugnato, il Tribunale di Bolzano ha rigettato
l’opposizione proposta ai sensi dell’art. 98 legge fall. dal sig. […], per l’integrale ammissione al passivo del fallimento della
società […]. – presso cui aveva prestato servizio come
dirigente dal 1 gennaio 1997 – di tutti i crediti insinuati a titolo di
retribuzione per i mesi di ottobre e novembre 2011 (essendo rimasto
a disposizione dell’azienda dal 20/10/2011, data della sentenza di
fallimento, sino al recesso del curatore del 24-30/11/2011),
tredicesima e quattordicesima mensilità, indennità di ferie non
godute, indennità sostituiva del preavviso, differenze per t.f.r. ed
indennità supplementare per licenziamento ingiustificato.
II. Il giudice a quo ha: i) affermato l’irrilevanza della tardiva
produzione del CCNL ritenuto applicabile (in quanto consultabile
d’ufficio dagli archivi on-line); ii) respinto l’istanza di esibizione ex
art. 210 cod. proc. civ. sia del libro matricola (in quanto diretta in via
meramente esplorativa alla identificazione dei testi), sia delle buste
paga e copie delle richieste di godimento dei permessi (in quanto già
in possesso del ricorrente); iii) rigettato la richiesta delle retribuzioni
di novembre-dicembre 2011 e dei ratei di tredicesima e
quattordicesima mensilità, stante la sospensione del rapporto di
lavoro alla data del fallimento (20/10/2011), ai sensi dell’art. 72
legge fall.; iv) respinto la domanda relativa alla indennità sostitutiva
delle ferie non godute, in quanto basata su istanze istruttorie del
tutto generiche ed inidonee a provare la ricorrenza di circostanze
eccezionali ed obiettive ostative alla loro fruizione (Cass. n.
11786/05); vi) respinto la richiesta di integrazione dell’indennità
sostitutiva di preavviso con i contributi Inps ed i contributi dovuti ai
Fondi dirigenti, in quanto dovuti direttamente dal datore di lavoro
agli enti suddetti, anche in sede fallimentare; vii) respinto
l’integrazione dell’indennità sostitutiva di preavviso con altre voci
(ulteriori rispetto a retribuzione mensile base e “fringe benefit” già
incluse dal g.d.), in quanto non chiaramente allegate e provate,
comunque ritenendo non rientranti nella relativa base di calcolo
ferie, festività soppresse e permessi non goduti, anche alla luce
dell’art. 36 CCNL, stante l’efficacia obbligatoria del preavviso (Cass.
n. 2126/09 e n. 22443/10); viii) escluso le maggiori rivendicazioni a
titolo di t.f.r. anche in ragione del rigetto delle pretese retributive
afferenti i mesi di ottobre-novembre 2011; xi) escluso che il
licenziamento fosse ingiustificato in quanto fondato su «motivo
pretestuoso, arbitrario o del tutto assente», non potendo il curatore
far altro che cessare l’attività.
III. Il […] ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque
motivi, cui la curatela intimata ha resistito con controricorso
corredato da memoria difensiva.
IV. Il Sostituto procuratore generale ha concluso per il rigetto di
tutti i motivi, alcuni dei quali ritenuti anche inammissibili.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso – rubricato «Decorrenza del preavviso
– Violazione e falsa applicazione di norme di legge e del C.C.N.L. dei
dirigenti di azienda – Omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione» – censura il mancato riconoscimento degli importi
invocati a titolo di retribuzione per i mesi di ottobre e novembre 2011
(oltre ai ratei di tredicesima e quattordicesima mensilità, ferie,
permessi ex festività, trattamento di fine rapporto), in quanto il
fallimento non comporterebbe l’automatica sospensione dei rapporti
di lavoro, dovendosi quantomeno riconoscere la mensilità di ottobre
ai sensi dell’art. 35 del CCNL dirigenti.
2. Con il secondo mezzo – rubricato «Ferie maturate e non godute
– Violazione e falsa applicazione di norme di legge e del C.C.N.L. dei
dirigenti di azienda – Omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione» – il ricorrente si duole della violazione dell’art. 13 CCNL
e dell’art. 2109 cod. civ., nonché della mancata ammissione dei
capitoli di prova «finalizzati a dimostrare come il […] non fosse
affatto autonomo nell’assegnarsi il periodo feriale».
3. Il terzo motivo – rubricato «Indennità sostitutiva del preavviso –
Violazione e falsa applicazione di norme di legge e del C.C.N.L. dei
dirigenti di azienda – Omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione» – censura la mancata inclusione di «alcuni (consistenti)
importi» nella indennità sostituiva del preavviso, che dovrebbe invece
«includere tutte le somme che il datore di lavoro avrebbe corrisposto
in costanza di rapporto», e quindi la retribuzione globale di fatto.
4. Il quarto motivo – rubricato «Trattamento di fine rapporto –
Violazione e falsa applicazione di norme di legge e del C.C.N.L. dei
dirigenti di azienda – Omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione» – censura come inveritiera l’affermazione per cui non
sarebbero stati indicati dettagliatamente i criteri di calcolo della
maggiorazione richiesta a titolo di t.f.r. ed indebito l’acritico
recepimento dei conteggi della curatela.
5. Con l’ultimo motivo – rubricato «Indennità supplementare per
licenziamento ingiustificato – Violazione e falsa applicazione di norme
di legge e del CCNL dei dirigenti di azienda – Omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione» – si deduce infine che il tribunale non
avrebbe «minimamente argomentato in merito alla necessaria
correlazione tra libertà imprenditoriale, che nei confronti dei dirigenti
è fortemente ridotta, rispetto all’ineliminabile dovere di correttezza e
buona fede».
6. Le censure vanno respinte perché inammissibili o infondate.
7. In primo luogo tutti i motivi presentano un profilo di
inammissibilità correlato agli artt. 366 n. 6) e 369, comma 2, n. 4),
cod. proc. civ., nella parte in cui vi si fa riferimento a disposizioni –
spesso nemmeno indicate – di un non meglio specificato CCNL
(verosimilmente coincidente con quello preso in esame dal giudice a
quo) che non risulta allegato, alla luce dell’orientamento di questa
Corte in base al quale «l’art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 4, nella
parte in cui onera il ricorrente (principale od incidentale), a pena di
improcedibilità del ricorso, di depositare i contratti od accordi
collettivi di diritto privato sui quali il ricorso si fonda, va interpretato
nel senso che (…) il deposito suddetto deve avere ad oggetto non
solo l’estratto recante le singole disposizioni collettive invocate nel
ricorso, ma l’integrale testo del contratto od accordo collettivo di
livello nazionale contenente tali disposizioni, rispondendo tale
adempimento alla funzione nomofilattica assegnata alla Corte di
cassazione nell’esercizio del sindacato di legittimità
sull’interpretazione della contrattazione collettiva di livello nazionale»
(Cass. Sez U n. 20075/10), poiché «la mancanza del testo integrale
del contratto collettivo non consente di escludere che in altre parti
dello stesso vi siano disposizioni indirettamente rilevanti per
l’interpretazione esaustiva della questione che interessa» (Cass. n.
4350/15, n. 15495/09), non risultando a tal fine sufficiente nemmeno
il richiamo o «l’allegazione dell’intero fascicolo di parte del giudizio di
merito in cui sia stato effettuato il deposito di detti atti o siano state
allegate per estratto le norme dei contratti collettivi», dal momento
che «in tal caso, ove pure la S.C. rilevasse la presenza dei contratti e
accordi collettivi nei fascicoli del giudizio di merito, in ogni caso non
potrebbe procedere al loro esame, non essendo stati ritualmente
depositati secondo la norma richiamata» (Cass. nn. 11614/10 e
4373/10).
8. Analogamente tutti i motivi, laddove prospettano anomalie
motivazionali – peraltro congiuntamente a violazioni di legge – non
rispettano il paradigma di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc.
civ., nel testo novellato dal d.l. n. 83 del 2012, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012 (applicabile ratione
temporis) che esclude la sindacabilità della correttezza logica della
motivazione sotto il profilo della sua insufficienza o contraddittorietà,
potendo ora denunciarsi in cassazione solo l’omesso esame di un
fatto storico (principale o secondario, purché risultante dal testo della
sentenza o dagli atti processuali) che abbia costituito oggetto di
discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo, mentre l’omessa
motivazione (se risultante dal testo della sentenza, senza necessità di
confronto con le risultanze processuali) viene parametrata ad un
“minimo costituzionale”, esaurendosi nella «mancanza assoluta di
motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione
apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili»
e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile»
(cfr. Cass. Sez. U, n. 8053 e n. 9032 del 2014; cfr. Cass. n. 7472 del
2017); ferma restando, in ogni caso, l’impossibilità di censurare in
sede di legittimità la valutazione delle risultanze processuali e la
ricostruzione, attraverso di esse, della fattispecie concreta,
trattandosi di compito pacificamente riservato al giudice di merito.
9. Passando all’esame del vizio di violazione di legge denunziato
con il primo motivo, la sua infondatezza deriva dalla conformità della
decisione di primo grado al principio per cui «in caso di fallimento del
datore di lavoro, ove vi sia cessazione dell’attività aziendale, il
rapporto di lavoro entra in una fase di sospensione, in quanto il diritto
alla retribuzione – salvo il caso di licenziamento dichiarato illegittimo –
non sorge in ragione dell’esistenza e del protrarsi del rapporto ma
presuppone, per la natura sinallagmatica del contratto, la
corrispettività delle prestazioni. Ne consegue che per effetto della
dichiarazione di fallimento e fino alla data della dichiarazione del
curatore ex art. 72, comma secondo, legge fall., non essendovi un
obbligo retributivo per l’assenza di prestazione lavorativa non è
configurabile un credito contributivo previdenziale, a nulla rilevando
l’eventuale ammissione al passivo fallimentare dei crediti retributivi,
per l’assenza di efficacia riflessa di tale provvedimento sul rapporto
tra la curatela e l’Inps che ha un diverso oggetto» (Cass. Sez.L,
Sentenza n. 7473 del 14/05/2012; conf. Cass. n. 522 del 2018).
9.1. Deve quindi ribadirsi che, ai sensi del combinato disposto degli
artt. 2119, comma 2, cod. civ. (che in tema di effetti del fallimento
sui rapporti di lavoro pendenti alla data della relativa dichiarazione
stabilisce che esso «non costituisce giusta causa di risoluzione del
contratto») e 72 legge fall. (nella formulazione introdotta dal d.lgs. n.
5 del 2006, applicabile alla fattispecie ratione temporis), fino al
compimento della scelta del curatore circa il subentro o meno nei
rapporti pendenti, questi restano sospesi, salva la possibilità per la
controparte di superare lo stato di incertezza così ingenerato facendo
assegnare dal giudice delegato un apposito termine, decorso il quale,
in mancanza di determinazioni del curatore, il contratto si intende
sciolto (art. 72, comma 2, legge fall.).
9.2. Avuto riguardo alla fattispecie concreta, resta dunque
insindacabile nel merito l’esercizio della legittima facoltà – attribuita
dalla legge al curatore – di verificare la possibilità e la convenienza
della prosecuzione del rapporto di lavoro per la conservazione della
potenzialità produttiva dell’azienda, anche in vista di una strategia
liquidatoria; né può assumere alcun rilievo contrario il fatto che il
ricorrente – il quale pacificamente non ha svolto prestazioni
lavorative nel periodo interessato – sia rimasto “a disposizione
dell’azienda”, non risultando che tale disponibilità sia stata richiesta
dalla curatela.
10. E’ insussistente anche il vizio di violazione di legge denunziato
con il secondo mezzo, in relazione all’art. 2109 cod. civ., poiché la
decisione impugnata ha aderito all’orientamento di questa Corte
(Cass. Sez. L, Sentenza n. 11786 del 07/06/2005) che ha poi trovato
anche recente conferma, nel senso che «il divieto di monetizzazione
delle ferie di cui all’art. 7, comma 2, della Dir. 93/104/CE – poi
confluita nella Dir. 2003/88/CE – e ripreso dall’art. 10, comma 2, del
d.lgs. n. 66 del 2003, è finalizzato a garantirne il godimento effettivo
che sarebbe vanificato qualora se ne consentisse la sostituzione con
un’indennità, la cui erogazione non può essere ritenuta equivalente
rispetto alla necessaria tutela della sicurezza e della salute. Da ciò
discende che l’eccezione al principio – prevista nella seconda parte
delle predette disposizioni, concernente la inapplicabilità del predetto
divieto in caso di risoluzione del rapporto di lavoro – opera nei soli
limiti delle ferie non godute relative al periodo ancora pendente al
momento della risoluzione in questione, e non consente la
monetizzazione di quelle riferibili agli anni antecedenti. Ciò, peraltro,
non esclude che il lavoratore, sia in corso di rapporto che al momento
della sua risoluzione, possa invocare la tutela civilistica e far valere
l’inadempimento del datore di lavoro che abbia violato le norme
inderogabili sopra richiamate, a condizione però che il mancato
godimento delle ferie sia derivato da causa imputabile al datore di
lavoro (Nella specie, il dirigente, per la posizione apicale ricoperta
nell’azienda, pur avendo il potere di attribuirsi le ferie in piena
autonomia, senza condizionamento alcuno da parte del titolare
dell’impresa, non lo ha esercitato, così escludendo la configurabilità di
un inadempimento colpevole del datore, né ha dimostrato la
ricorrenza di condizioni imprevedibili ed eccezionali che ne hanno
impedito il godimento)» (Cass. Sez. L , Sentenza n. 23697 del
10/10/2017).
10.1. Peraltro, nel caso di specie il Tribunale ha rigettato la
domanda anche per non avere l’opponente indicato «in cosa le
“necessità aziendali assolutamente eccezionali ed obiettive” ostative
alla fruizione delle ferie sarebbero consistite» e per avere egli stesso
dedotto «che per sua libera scelta non voleva fruire delle ferie
restanti (asseritamente 139 giorni) prima della cessazione del
rapporto lavorativo, a riprova che, in realtà, era libero a determinare
le ferie secondo il suo piacimento», sottolineando altresì il mancato
assolvimento dell’onere «di allegazione e di prova anche per quanto
riguarda i periodi nei quali le ferie non godute sarebbero maturate,
non emergendo tale dato neanche dagli allegati al suo ricorso». Di
fronte ad un simile apparato motivazionale, la doglianza finisce quindi
per allegare una erronea ricognizione della fattispecie concreta, come
però non è consentito in questa sede, trattandosi di tipica valutazione
di competenza del giudice di merito (cfr. ex plurimis, Cass. nn.
24155/17, 22707/17, 13238/17, 26110/15, 27197/11, 6288/11,
17477/07); risulta poi del tutto inammissibile la doglianza relativa
alla mancata ammissione di prove testimoniali che non risultano
nemmeno indicate o trascritte in ricorso.
11. Il terzo motivo è inammissibile sia per la sua diffusa genericità,
che lo rende a stento comprensibile – anche nel riepilogo finale della
«somma richiesta in Euro 124.270,05 rispetto alla somma ammessa
in Euro 108.502,98», divergente sia dal provvedimento impugnato
(«l’opponente lamenta di aver insinuato a titolo di indennità di
mancato preavviso, corrispondente a 12 mensilità, l’importo pari ad C
97.609,61, ma di essere stato ammesso per soli C 76.945,59») che
da quanto riportato in controricorso (v. quadro riepilogativo a pag. 2)
– sia perché volto a censurare solo una rado decidendi additiva,
senza colpire quella principale in base alla quale «il contribuente non
ha esposto le singole voci che andrebbero inserite a tale titolo nel
calcolo dell’indennità richiesta e pertanto non ha spiegato le
fondamenta della propria pretesa, onere che spettava esclusivamente
a lui, ai sensi dell’art. 99 I. fallimentare».
12. Inammissibili per assoluta genericità sono anche il quarto ed il
quinto motivo, i quali prospettano un’insufficienza motivazionale
riferita a valutazioni di mero fatto, se non addirittura (il quarto) errori
di natura revocatoria […]