Corte di Cassazione, Sez. 1, Ordinanza n. 19305 del 2018 dep. il 19/07/2018

[…]

RITENUTO CHE:
I germani […] e […], in proprio e quali soci della SNC […] in Liquidazione (già […] SAS ) propongono ricorso per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata, fondato su cinque motivi e corredato da memoria ex art.378 cod. proc. civ.
[…] replica con controricorso corroborato da memoria.
La controversia concerne la liquidazione delle quote societarie pervenute a […] – non socia – a seguito del decesso della madre […], avvenuto il 03/12/2003, e del recesso del padre […] (notificato agli altri soci il 17/09/2004) seguito a breve dal decesso, avvenuto il […] 2004, entrambi già soci della indicata SAS. Sia in primo che secondo grado la […] è risultata vittoriosa.
CONSIDERATO CHE:
1.1. Con il primo motivo i ricorrenti lamentano l’omesso pronuncia ex art.112 cod. proc. civ. su un motivo di appello, segnatamente in merito all’eccezione con la quale gli stessi, sia inprimo che in secondo grado, avevano dichiarato di voler profittare ex art.1304 cod. civ. di una precedente transazione conclusa da […], avente ad oggetto la quota personale di partecipazione alla società, chiedendo che i valori societari indicati in detta transazione venissero tenuti come dati di riferimento.
1.2. Il motivo è infondato.
1.3. Invero, come si evince dal ricorso, l’eccezione in discussione ha costituito un mero riferimento argomentativo ad una transazione intervenuta in merito ad un altro rapporto creditorio, posto che era riferita ad una transazione avente ad oggetto la liquidazione della quota personale di […], mentre il presente giudizio ha ad oggetto la liquidazione delle quote pervenuta alla stessa in altra epoca in via ereditaria paterna e materna, di guisa che la fattispecie non rientra nell’ambito di applicazione dell’art.1304 cod. civ. che disciplina la possibile estensione degli effetti della transazione conclusa con il creditore ad altri debitori solidali.
1.4. Ad ogni modo il motivo di appello è da ritenersi implicitamente rigettato, in quanto la decisione è incompatibile con l’accoglimento della pretesa dei debitori.
2.1. Con il secondo motivo (violazione art. 100 cod. proc. civ. , artt. 2284, 1362, 1363 e 1273 cod. civ. ) i ricorrenti sostengono che la Corte di appello erroneamente ha ritenuto che nell’atto […] del 15/10/2004 – con il quale i ricorrenti avevano modificato i patti sociali e dichiarato non voler proseguire la società con la sorella subentrata quale erede nelle quote dei genitori- concretasse un accollo esterno dei soci autorizzandola a soddisfarsi nei confronti di tutti e tre i soggetti convenuti (soci e società): secondo i ricorrenti tale accollo, realizzato mediante un negozio unilaterale, aveva efficacia interna ai rapporti con la società, era funzionale a liberare la società dall’obbligazione e ad evitare di procedere ad una riduzione del capitale sociale ed, infine, era espressamente condizionato alla liberazione della società per cui, essendosi opposta a ciò la […], l’accollo era venuto meno.
Criticano la statuizione della Corte di appello che ha ritenuto che l’accollo era esterno e che una volta intervenuta l’accettazione della […], lo stesso era divenuto irrevocabile.
Affermano di avere eccepito con la memoria in data 04/06/2007, appena appreso della volontà della […] di non liberare la società, la propria carenza di legittimazione passiva poiché l’accollo era interno e non poteva assumere efficacia esterna in mancanza della volontà di liberare la società.
Escludono che alla loro difesa processuale possa essere attribuito valore confessorio.
2.2. Il motivo è inammissibile.
2.3. Appare preliminarmente ricordare che i ricorrenti nell’atto […], dopo avere manifestato la volontà di non proseguire l’attività sociale con gli eredi di […] ai quali sarebbe spettata unicamente la liquidazione della quota, avevano stabilito «([…] e […]) danno altresì atto che poiché la liquidazione delle dette partecipazioni sociali, a determinarsi in conformità alle disposizioni di legge, verrà da loro effettuata utilizzando danaro proprio – ed assumendo quindi espressamente tale obbligazione – non si rende necessario procedere a una riduzione del capitale sociale, che pertanto immutato nella misura (….) risulta assunto dai soci in parti uguali (…)».
2.4. Orbene, in proposito, va rimarcato che la Corte di appello ha affermato che l’accollo non poteva essere considerato interno per il solo fatto che fosse stato assunto con negozio unilaterale al quale non aveva partecipato la creditrice e ricostruisce l’accollo come un contratto a favore di terzo, destinato a divenire irrevocabile una volta intervenuta, come nel caso, l’accettazione del creditore, precisando altresì «Infatti è pacifico in atti che, ai sensi dell’art.1273 cod. civ. , la liberazione del debitore originario non costituisce condizione espressa della stipulazione e che non vi è stata liberazione del debitore, si che correttamente il Tribunale ha ritenuto che, dell’obbligazione rispondono, in solido, accollante ed accollato, in forza delle norme in materia societaria di cui agli artt. 2289, 2293 e 2315 cod. civ.» così interpretando l’accordo e non limitandosi ad attribuire valore confessorio alla condotta processuale dei ricorrenti.
2.5. Ciò posto, ricordando che in tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo nell’ipotesi di violazione dei canoni legali d’interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e seguenti c.c., con la conseguenza che il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai richiamati canoni legali (Cass. n. 27136 del 15/11/2017), si deve osservare che i ricorrenti, pur avendo indicato la violazione di norme attinente ai criteri legali di interpretazione del contratto, si sono limitati a prospettare inammissibilmente una interpretazione difforme da quelle ritenuta preferibile dalla Corte di appello, senza rappresentare elementi idonei a far ritenere erronea la valutazione ermeneutica operata dal giudice del merito (Cass. n. 15471 del 22/06/2017).
L’interpretazione proposta, infatti, si sovrapporre ingiustificatamente a quella formulata dalla Corte di appello, laddove insiste sulla natura di accollo condizionato espressamente alla liberazione della società poiché si pone in contrasto con quanto accertato in fatto dalla Corte territoriale circa la natura non condizionata dell’accollo, senza tuttavia formulare una specifica censura sul piano motivazionale.
3.1. Con il terzo motivo (violazione artt. 194 e 195 cod. proc. civ. e artt. 2697 e 2426 nn.1 e 9 cod. civ.) i ricorrenti criticano i criteri scientifici adoperati per la valutazione del patrimonio della società obbligata al fine di pervenire alla liquidazione della quota.
3.2. Con il quarto motivo lamentano la contraddittorietà della motivazione circa la quantificazione del valore della quota con riguardo alla premessa della CTU che attestava un disavviamento della società.
3.3. Il terzo e quarto motivo possono essere trattati congiuntamente e vanno respinti in quanto, sostanzialmente, sollecitano un inammissibile riesame dell’accertamento in fatto del valore della quota, in termini non conformi al novellato art.360, primo comma, n.5, cod. proc. civ.
3.4. Va peraltro osservato che correttamente la Corte di appello ha ritenuto non assolto dai ricorrenti l’onere probatorio posto a loro carico in merito alla dedotta obsolescenza dei beni e/o al loro deprezzamento, atteso che l’iscrizione in bilancio era avvenuta con un diverso e più alto valore (fol. 25 della sent.)
Invero l’onere di provare il valore della quota del socio defunto di una società di persone, ai fini della liquidazione della stessa in favore degli eredi, incombe ai soci superstiti e non agli eredi del socio, in quanto solo i soci rimasti in società, e non certo gli eredi del defunto, sono in grado, con la produzione di scritture contabili della società, di dimostrare quale era la situazione patrimoniale nel giorno in cui si è verificata la morte del socio e quali sono gli utili e le perdite inerenti alle operazioni in corso in quel momento. In caso di mancato o parziale assolvimento di tale onere – come avvenuto nel caso di specie – il giudice del merito può disporre consulenza tecnica d’ufficio la quale esprima, anche sul fondamento dei documenti prodotti, una valutazione per la liquidazione della quota ed apprezzarne liberamente il parere senza necessità, quando ne faccia proprie le conclusioni, di una particolareggiata motivazione o di un’analitica confutazione delle eventuali diverse conclusioni formulate dai consulenti di parte (Cass. n. 5809 del 19/04/2001).
4.1. Con il quinto motivo (violazione artt. 1207, 1208, 1209, 1216 e 1220 cod. civ.) i ricorrenti lamentano che erroneamente i giudici del merito abbiano ritenuto non conforme all’art.1208 cod. civ. l’offerta reale per la somma che loro stessi ritenevano di dover corrispondere alla sorella, inferiore a quella indicata dal CTU ma sufficiente ad evitare la mora debendi.
4.2. Il motivo è inammissibile perché non coglie la ratio decidendi e presuppone un fatto diverso da quello accertato dalla Corte di appello e posto a base della decisione: secondo la Corte di appello l’offerta era stata formulata a saldo, mentre la […] intendeva accettarla quale acconto e i ricorrenti – a questa condizione – non gliela avevano messa a disposizione per l’effettivo incasso. Ne consegue che la statuizione sul punto è immune da censure.
5. In conclusione il ricorso va rigettato […]