Corte di Cassazione, Sez. 1, Sentenza n. 10069 del 1993

[…]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Nel 1981 l’Azienda Telefonica […] convenne innanzi al Tribunale di Venezia l’Amministrazione […], esponendo di aver ottenuto, a suo tempo, la concessione per collocare un proprio cavo sotterraneo lungo una strada provinciale e di aver dovuto, successivamente, eseguirne lo spostamento in seguito a lavori di allargamento della strada disposti dall’ente proprietario; chiese, pertanto, che questo venisse condannato a rimborsarle le spese sostenute, in applicazione dell’art. 197 R.D. 14 settembre 1931 n.1175 o, comunque, dell’art. 183 R.D. 27 febbraio 1936 n. 645.
Il Tribunale accolse la domanda.
Su appello dell’Amministrazione, la Corte d’appello di Venezia, con sentenza 26 ottobre – 22 novembre 1988, osservò che non si era costituita alcuna servitù nei confronti dell’Azienda telefonica, mancando un atto autoritativo d’imposizione o il consenso del proprietario e non potendo trarsi dall’atto di concessione gli elementi per ritenere che era stato costituito un diritto reale a favore del concessionario: che, quindi, non poteva applicarsi l’art. 183 R.D. n. 645 del 1936, che pone a carico del proprietario del fondo il rimborso delle spese sostenute per il trasferimento della servitù, per insussistenza del presupposto della costituzione di una servitù: che, invece, doveva applicarsi la disciplina di cui all’art. 197 del R.D. n. 1175 del 1931, il quale, in tema di occupazione del sottosuolo stradale, prevede che diritti ed obblighi siano regolati mediante concessione;
che dall’esame della concessione si traeva la conclusione che nessun diritto spettava all’Azienda circa il rimborso delle spese sostenute;
che neppure poteva applicarsi l’ultimo comma del citato art. 197, il quale pone a carico dell’ente territoriale le spese per lo spostamento, in altra sede, delle condutture e dei cavi sotterranei, giacché, nella specie, tale spostamento era stato disposto dall’Azienda stessa e non dalla […], la quale, con missiva in data 21 ottobre 1970, si era limitata a comunicare al Ministero l’inizio dei lavori di allargamento della strada, senza assumere nessuna posizione circa la necessità di trasferimento delle linee interrate.
Contro tale sentenza, l’Azienda Telefonica […] ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi. Resiste la […] con controricorso, chiedendo il rigetto dell’impugnazione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

In via pregiudiziale, va dichiarata l’inammissibilità del controricorso, in quanto dagli atti processuali non risulta che il Presidente dell’Amministrazione […] sia stato, dall’organo deliberante, autorizzato a stare in giudizio, ne’ l’autorizzazione è stata prodotta prima che iniziasse la relazione della causa in Cassazione.
Con il primo motivo di ricorso, l’Azienda Telefonica […] contesta la tesi esposta in sentenza circa la mancata costituzione di una servitù, sostenendo che, nella specie, la creazione del diritto reale si doveva desumere dall’art. 181 R.D. 645-1936, il quale configura la sistemazione dei cavi nel sottosuolo come costituzione di una servitù consensuale o coattiva a favore dell’esercente il servizio telefonico. Osserva che, nella specie, il contenuto della concessione era consistito appunto nell’imposizione della servitù.
Con il secondo motivo lamenta che, attraverso l’esclusione della servitù, il giudice del merito abbia escluso anche l’applicazione dell’art. 45 della L. 25 giugno 1865 n. 2359 (richiamato nell’art.183 del R.D. n. 645 del 1936), il quale prevede il rimborso delle spese per l’esecuzione delle opere di trasferimento delle servitù, nel caso di innovazioni sul fondo effettuate dal proprietario.
Con il terzo motivo, si duole che il giudice d’appello abbia erroneamente e immotivatamente ravvisato nella missiva del 21 ottobre 1970 inviata dalla […] all’Azienda Telefonica, una semplice segnalazione di esecuzione dei lavori e non anche l’invito ad adeguare la posizione dei cavi alla nuova sistemazione e quindi il presupposto che rendeva necessario il loro trasferimento.
Quantunque la motivazione della sentenza impugnata richieda una correzione in diritto, il ricorso deve essere rigettato, giacché il dispositivo della sentenza risulta conforme al diritto (art. 184, 11 co.. cod. proc. civ.).
Va premesso che l’art. 197 del T.U. n. 1175 del 1931 (T.U. finanza locale), il quale concerne e disciplina, tra l’altro, l’onere delle spese di trasferimento, da parte del Comune e della Provincia, degli impianti cavi e condutture installati nel sottosuolo stradale, ha natura di norma generale per certi aspetti e speciale per altri. La specialità caratterizza la norma sotto il profilo che essa regola soltanto le ipotesi di occupazione di sottosuolo stradale di proprietà della Provincia e del Comune (tal che la sua disciplina è inapplicabile, ad es. all’ipotesi di occupazione di sottosuolo stradale di proprietà dello Stato o gestito dall’A.N.A.S.); la natura di norma generale deriva, invece, alla stessa disposizione dal fatto che essa riguarda ogni tipo di installazione di cavi ed impianti nel sottosuolo stradale di proprietà comunale o provinciale, quale che ne siano gli utenti e lo scopo dell’occupazione. Pur prescindendo dalle implicazioni derivanti da questa particolare natura della norma, deve rilevarsi che – per il caso che il trasferimento dei cavi e degli impianti precedentemente installati nel sottosuolo venga disposto ai fini della loro immissione in cunicoli in muratura sotto i marciapiedi – essa pone a carico degli utenti (e non, quindi, del proprietario della strada) le spese per il loro trasferimento.
Così come ogni altra vicenda relativa ai servizi di telecomunicazione, tutte quelle inerenti alla particolare ipotesi di utilizzazione del sottosuolo stradale (privato o pubblico) mediante l’installazione di cavi ed impianti telefonici, sono, invece, regolate dal codice postale (all’epoca dei fatti, artt. 180-189 R.D. n. 645 del 1936; oggi, artt. 231 – 239 D.P.R. 29 marzo 1973 n. 156), il quale, quindi, in relazione anche al caso specifico di trasferimento di cavi ed impianti, già installati nel sottosuolo comunale o provinciale, in conseguenza di lavori di allargamento della sede stradale, si pone come norma speciale rispetto alla normativa generale del 1931 sul tema.
Invero, dagli artt. 181 – 186 del codice postale del 1936, si desumono questi principi in particolare: a) che, per il passaggio di cavi ed impianti telefonici nel sottosuolo di strade statali, occorrono osservarsi le regole di cui al cod. della strada approvato con R.D. 8 dicembre 1933 n. 1740 (art. 181, III co.); b) che, in ogni altro caso, è comunque necessario il consenso del proprietario (art. 181, IV co., I parte); d) che, trattandosi, specificamente, di suoli stradali di proprietà del Comune o della Provincia, l’occupazione può essere autorizzata a mezzo di concessione amministrativa (ex art. 186); d) che, però, è sempre possibile l’imposizione di che servitù a carico del suolo, ancorché questo sia di proprietà comunale o provinciale (art. 181, IV co., II parte).
Parte della dottrina ritiene che il consenso del proprietario possa anche essere tacito, tal che l’uso del suolo altrui sia legittimato, ad esempio, da fatti concludenti, quale, in particolare, la fruizione della linea telefonica da parte del proprietario del suolo. Ebbene, l’utilizzazione della proprietà aliena, almeno quando consista nell’interramento di cavi, condotte o impianti, comporta certamente la creazione di una situazione – di diritto o di fatto – corrispondente alla costituzione di un diritto reale di godimento su cosa altrui. Pertanto, quand’anche si volesse aderire alla tesi secondo la quale l’occupazione del suolo altrui possa essere legittimata dal mero consenso del proprietario, questa tesi – contrastata, peraltro, dal principio in forza del quale la forma scritta e necessaria per la costituzione dei diritti reali di godimento su cosa altrui (Cass. 14 ottobre 1988 n. 5557) e in particolare di quello necessario all’esercizio del servizio telefonico (Cass. 10 aprile 1965 n. 631) – non riuscirebbe certo a vincere anche l’obiezione che, salvo i casi espressamente previsti, un consenso tacito non è produttivo di effetti quando l’atto di cui si tratta, provenendo dalla P.A., richiede la forma scritta ad substantiam. E ciò senza tacere di quanto disposto dagli artt. 6 e segg. del codice della strada approvato con R.D. n. 1740 del 1933 (all’epoca dei fatti ancora in vigore, malgrado l’approvazione del codice stradale del 1959, per l’espresso disposto dell’art. 145 D.P.R. n. 393 del 1959), secondo i quali l’utilizzazione del sottosuolo di strade comunali e provinciali può essere autorizzata solo con un formale provvedimento amministrativo di concessione (come si desume indirettamente anche dall’art. 186 del codice postale). Si può concludere, allora, che, oltre al caso dell’imposizione della servitù con decreto prefettizio, l’utilizzazione del sottosuolo stradale di proprietà comunale o provinciale può legittimamente svolgersi solo se l’utente ne è stato legittimato con apposita concessione dall’ente territoriale minore e che la mera tacita adesione del proprietario può essere sufficiente a legittimare l’uso del sottosuolo da parte di coloro che intendono installarvi impianti telefonici, al più nel caso che il proprietario del suolo sia un privato.
Nella sentenza impugnata è stato affermato che, nella specie, la traslazione degli impianti telefonici non era regolata dal codice postale, perché a carico della strada di proprietà dell’ente territoriale non risultava gravava una servitù costituita con atto consensuale o autoritativo d’imposizione, ma l’esercente aveva tratto il titolo di utilizzazione del sottosuolo stradale da un atto amministrativo di concessione; sicché alla fattispecie potevano eventualmente essere applicate solo le regole del T.U. sulla finanza locale (art. 197), che conferisce al proprietario della strada la facoltà di trasferire a proprie spese le condutture, i cavi e gli impianti che vi insistono. Questa tesi non appare corretta, in quanto la normativa speciale del codice postale disciplina ogni ipotesi di legittima utilizzazione del sottosuolo stradale da parte di strutture destinate alle telecomunicazioni, tutte comportando, come si è rilevato, la costituzione di un diritto reale di godimento (un diritto di servitù) a carico del suolo stradale. Pertanto, deve affermarsi che anche l’atto amministrativo di concessione (il cui oggetto, in astratto, può essere tra i più diversi), quando consiste nell’attribuzione, a favore del concessionario, del diritto di usare il sottosuolo di una strada pubblica, si traduce in atto costitutivo di una servitù a carico della strada di proprietà dell’ente concedente. E ciò anche se la concessione amministrativa non abbia enunciato espressamente la volontà di costituire tale diritto, potendo questa costituzione desumersi dalle stesse condizioni stabilite nell’atto amministrativo (cfr., per le servitù in generale, Cass. 29 gennaio 1982 n. 577; Cass. 7 maggio 1987 n. 4238). Sicché, in conclusione, sotto il profilo della costituzione della servitù, non è dato distinguere tra l’utilizzazione del sottosuolo che consegua ad un atto amministrativo di concessione d’uso e quella che derivi da un esplicito atto costitutivo di servitù (consensuale o coattiva).
La conclusione suddetta, tuttavia, non comporta che la […] sia tenuta a rimborsare all’Azienda ricorrente le spese da questa sostenute – in conseguenza della modifica della strada […] – per procedere al trasferimento degli impianti precedentemente interattivi. È pur vero, infatti, che, per il caso di esecuzione di opere innovative sul suolo gravato dalla servitù telefonica, il secondo comma dell’art. 183 del codice postale, pur esonerando il proprietario del pagamento di qualsiasi indennità in favore dell’utente, lascia salva in ogni caso l’applicazione dell’art. 45 della legge 25 giugno 1865 n. 2359 (cfr. Cass. 7 luglio 1978 n. 3383). Questa norma (prevalentemente interpretata appunto nel senso che, nel caso di innovazioni sul suolo gravato da servitù telefonica, il proprietario del fondo servente è tenuto, in favore dell’esercente, a rimborsargli le spese necessarie per la traslazione della linea o degli impianti) non deve essere intesa anche nel senso che ponga, a carico del proprietario del fondo servente, sempre ed in ogni caso un obbligo di rimborso delle spese di traslazione della servitù. L’art. 13 del R.D. 19 luglio 1941 n. 1198 (regolamento di esecuzione del codice postale del 1936) stabilisce, infatti, che le spese non sono a carico del proprietario del fondo servente e vanno ripartite proporzionalmente tra gli utenti degli impianti – tutte le volte che la servitù non sia stata imposta con decreto prefettizio e gli accordi intervenuti col proprietario del fondo contemplino che, in caso di spostamento degli impianti richiesto dal proprietario (ma, per il precedente articolo 11, l’obbligo di trasferimento è conseguenza ineludibilmente collegata alla decisione del proprietario di dar corso alla esecuzione di lavori di modifica della sede stradale), le spese facciano carico all’esercente. Tale disposizione regolamentare dimostra, quindi, che il 11 cc, dell’art. 183 del codice postale (circa l’onere delle spese di trasferimento delle strutture telefoniche, si riferisce alle sole ipotesi in cui la servitù sia stata imposta con decreto prefettizio e che la convenzione costitutiva della servitù stessa o l’atto amministrativo di concessione non abbiano diversamente regolato i rapporti tra le parti (specificamente, tra l’esercente del servizio telefonico ed il proprietari, privato o pubblico, della strada).
Il che ha una sua logica, invero, nel caso d’imposizione coattiva della servitù, il decreto prefettizio deve necessariamente prevedere anche la corresponsione di un’indennità a favore del proprietario del fondo servente, a bilanciamento del sacrificio coattivamente impostogli. Il che può giustificare l’imposizione, a carico di quest’ultimo, di quelle spese di trasferimento della servitù stessa, che il proprietario abbia rese necessarie procedendo all’esecuzione delle opere di variazione della strada. La mancata previsione di un’indennità (ossia di un qualsiasi vantaggio economico diretto) a favore del proprietario del fondo servente può, invece, spiegare la ragione per cui il legislatore abbia evitato di porre, in linea assoluta e di principio, a carico dello stesso, le spese sostenute dall’esercente in conseguenza di lavori eseguiti dal proprietario: i quali, peraltro, nel caso di proprietà pubblica, sono eseguiti nell’interesse della collettività.
Quando la servitù non sia stata costituita con decreto prefettizio, occorre, quindi, di volta in volta stabilire se il diverso titolo della servitù abbia espressamente disciplinato l’ipotesi di traslazione delle linee e degli impianti in conseguenza delle opere stradali eseguite dal proprietario della strada. Si tratta, in questo caso, di un’indagine di fatto che è devoluta al giudice del merito. Nella specie, come risulta dalla sentenza impugnata, la Corte d’appello di Venezia ha esaminato l’atto di concessione della […] in data […] n. […] (che ovviamente andava coniugato con la precedente richiesta inoltrata dell’esercente del servizio telefonico) ed ha rilevato che esso, nel prevedere, all’art. 13, la facoltà di revocare la concessione stessa, modificarle o imporre altre condizioni (in conformità, nel resto, alle prescrizioni di cui all’art. 8 del R.D. 8 dicembre 1933 n. 1740, sulla tutela delle strade e sulla
circolazione), espressamente aveva escluso che il concessionario, in conseguenza dell’esercizio di queste facoltà del concedente, potesse accampare diritti ad indennizzi o compensi di sorta”. Quindi, collegando al contenuto dell’atto predetto anche le prescrizioni del Regolamento per la concessione di opere lungo le strade […], il giudice del merito è pervenuto alla conclusione che, in base a tali atti, all’ente proprietario non faceva carico nessune onere pecuniario nei confronti del concessionario, in conseguenza dell’esecuzione di opere di variazione della sede stradale. Da cui anche l’irrilevanza della censura di cui al terzo motivo di ricorso, relativa all’interpretazione della missiva spedita dalla […] all’Azienda ricorrente in data 21 ottobre 1970. Ed, in relazione a questa interpretazione dell’atto costitutivo della servitù, nessun motivo d’impugnazione è stato articolato dal ricorrente.
Alla luce di queste osservazioni, il ricorso deve essere, quindi, rigettato. Nessuna pronuncia va emessa in merito al regolamento delle spese […]