Corte di Cassazione, Sez. 1, Sentenza n. 10131 del 2005, dep. il 14.05.2005

[…]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Con atto di citazione notificato il 16.2.1982 la signora […], legale rappresentante della figlia minore […] nata a […] il […], esperì davanti al tribunale di Lecce l’azione, previamente dichiarata ammissibile ai sensi dell’articolo 274 c.c., per la dichiarazione giudiziale di paternità naturale del signor […] nei confronti della suddetta minorenne.
1.1.- Il tribunale – dopo avere istruito la causa anche mediante consulenza bio-genetica, che aveva indicato una paternità probabile al 99,96 per cento – con sentenza in data 25.5.1988, considerate le modifiche legislative intervenute medio tempore (articolo 68, legge 4 maggio 1983, n. 184), declinò la propria competenza a favore del tribunale per i minorenni; che poi accolse la domanda con sentenza pubblicata il 4.12.1993, essendosi il […] mostrato renitente a sottoporsi nuovamente ad indagini bio-genetiche ed all’interrogatorio formale deferitogli dalla controparte, pur non negando di avere intrattenuto rapporti con lei.
2.- Contro tale sentenza propose appello il […], con atto notificato il 12.3.1994, assumendo che il proprio comportamento, apparentemente omissivo, era giustificato dal fatto di non avere ottenuto il permesso di allontanarsi dal posto di lavoro, in […].
2.1.- istituitosi il contraddittorio tra le parti, fu disposta nuova consulenza da parte del giudice; all’udienza fissata per il giuramento del consulente tecnico d’ufficio – nominato in sostituzione di altro che non aveva condotto a termine l’incarico – nessuna delle parti comparve e la causa fu rinviata ai sensi dell’articolo 309 c.p.c.; all’udienza così fissata comparve l’unico procuratore costituito per l’appellante, il quale dichiarò di non essere più iscritto all’albo degli avvocati ed ottenne il rinvio della causa ad altra udienza, per dar modo al suo assistito di costituirsi con altro difensore.
2.2.- Alla nuova udienza, in data 22.4.1999, nessuno essendosi costituito per l’appellante, il giudice dichiarò il processo interrotto.
2.3.- Con atto depositato il 19.11.2001, […] agì per la riassunzione del processo, assumendo di non avere avuto tempestiva conoscenza, legale o di fatto, dell’interruzione.
Il ricorso, col pedissequo decreto di fissazione della nuova udienza, fu notificato a […] la quale, al termine della nuova fase processuale – premesso che il […] aveva ricevuto, in data 1.5.2000, notifica in forma esecutiva della sentenza di primo grado, da cui era desumibile il passaggio in giudicato di questa – concluse chiedendo che, previa dichiarazione d’inammissibilità ed improcedibilità della domanda di riassunzione, il giudizio d’appello fosse dichiarato estinto.
2.4.- Con sentenza depositata il 14.6.2003, la corte d’appello di Lecce – sezione per i minorenni, giudicando definitivamente nel giudizio d’appello promosso dal […] con atto notificato il 12.3.1994, interrotto e riassunto come sopra detto, dichiarò improseguibile la causa per la dichiarazione giudiziale di paternità introdotta dalla […] davanti al tribunale per i minorenni e compensò interamente fra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.
2.5.- Ritenne, infatti, la corte territoriale, per quanto ancora interessa:
2.5.1.- che, determinandosi gli effetti dell’estinzione del processo non in modo automatico, ma solo a seguito di apposita dichiarazione da parte del giudice, simile provvedimento giudiziale non era mai stato emanato nel caso concreto;
2.5.2.- che, d’altronde, l’estinzione del giudizio non poteva essere dichiarata, perché l’appellata […] non l’aveva eccepita prima di ogni altra sua difesa, come prescrive l’articolo 307, ult. co., c.p.c; che ella infatti non aveva proposto tale eccezione ne’ all’udienza 14.2.2002, fissata per la prosecuzione del giudizio riassunto, ne’ a quella successiva dell’11.4.2002, cui la causa era stata rinviata dall’istruttore;
2.5.3.- che comunque, essendo stata dichiarata l’interruzione del processo per effetto della cancellazione dall’albo degli avvocati dell’unico difensore dell’appellante […], l’avvenuta riassunzione doveva considerarsi tempestiva, giacché il termine semestrale fissato dall’articolo 305 c.p.c. decorre non dalla data dell’evento, bensì dal giorno in cui la parte ne aveva avuto conoscenza legalmente valida, ossia dal momento della dichiarazione, notificazione o certificazione del fatto (cancellazione dall’albo);
non essendo sufficiente una conoscenza acquisita aliunde;
2.5.4.- che la […], pur avendone l’onere, non aveva dimostrato, al fine di accreditare l’asserita tardività dell’atto di riassunzione, che il […] aveva avuto conoscenza in forma legale dell’evento interruttivo oltre sei mesi prima del ricorso per riassunzione;
2.5.5.- che tuttavia il processo doveva essere dichiarato improseguibile, ai sensi dell’articolo 273, 2 co., c.c., per mancanza di consenso espresso da parte della figlia, ormai ultrasedicenne ed anzi maggiorenne, alla prosecuzione dell’azione, e quindi per difetto di una condizione dell’azione, rilevabile anche d’ufficio dal giudice.
3.- Per la cassazione di tale sentenza propongono ricorso, con tre motivi, illustrati da memoria, […] e la figlia […], la quale ha assunto anagraficamente il cognome “[…]” per effettuata variazione nei registri di stato civile. Resiste […], mediante controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

4.- Deve essere esaminata, innanzitutto, l’eccezione d’inammissibilità del presente ricorso, sollevata dal resistente […], per pretesa carenza d’interesse di […] ad impugnare la sentenza d’appello, non avendo ella mai assunto la veste di parte in tale giudizio e dunque mancando il presupposto indispensabile per ricorrere o resistere in cassazione; non potendo assegnarsi, d’altronde, efficacia sanante alla concomitante proposizione del ricorso per Cassazione da parte di […], oramai priva della qualità, rivestita nel corso del giudizio di merito, di legale rappresentante della figlia (allora) minorenne.
4.1.- L’eccezione è fondata soltanto con riguardo a […], realmente carente di legittimazione (non “interesse”: cfr. Cass. n. 89/1978) a ricorrere per Cassazione avverso l’indicata sentenza della corte d’appello di Lecce.
In effetti, nonostante il carattere “personalissimo” (articolo 270 c.c.) dell’azione del figlio per la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, la sostituzione processuale di lui da parte della persona esercente la potestà genitoriale (nel caso di specie, la madre) non cessa automaticamente allorquando lo stesso raggiunga la maggiore età, se tale circostanza non sia dichiarata in udienza o, comunque, portata a conoscenza delle altre parti (art. 300 comma 1 cod. proc. civ.).
Peraltro, avendo […] compiuto diciotto anni nel corso del giudizio d’appello, ed essendo ella stessa legittimata ad impugnare con ricorso per Cassazione – come ha fatto – la relativa sentenza sulla questione fondamentale concernente la dichiarazione giudiziale di paternità, non può concorrere sulla stessa materia la legittimazione anche della madre.
Per detta ragione, l’eccezione di mancanza d’interesse (recte, legittimazione) ad agire di […] non è fondata. È fondata invece, nel caso specifico e per la suddetta ragione, riguardo alla madre; benché ciò non escluda, in generale, l’interesse dell’esercente la potestà dei genitori ad impugnare la sentenza d’appello in tale materia, e quindi la sua legittimazione a ricorrere in cassazione, allorché il petitum consista in pretese di carattere economico, non ricorrenti nella fattispecie.
5.- Tanto premesso, si osserva che, col primo mezzo, è denunziata violazione e falsa applicazione degli articoli 2909 c.c., 300, 303, 324 c.p.c., 124 disp. att. c.p.c., per avere la corte d’appello:
5.1.- dichiarato improseguibile il giudizio instaurato davanti al tribunale per i minorenni, sul rilievo della mancata prestazione del consenso da parte di […], ai sensi dell’articolo 273, 2 co., c.c., dopo il compimento del sedicesimo anno d’età, nonostante l’avvenuto passaggio in giudicato della sentenza di primo grado che attribuiva definitivamente a […] la paternità naturale sull’odierna ricorrente;
5.2.- ignorato che gli effetti dell’evento interruttivo (cancellazione dall’albo degli avvocati del difensore dell’appellante) verificatosi durante il processo d’appello decorrono, al fine della tempestiva riassunzione del procedimento, dalla data del provvedimento del giudice, il quale non sarebbe stato ignaro di tale evento, in considerazione del suo carattere di notorietà, quand’anche la dichiarazione d’interruzione del processo non fosse stata nota alle parti.
5.3.- La censura è inammissibile sotto entrambi i profili.
5.3.1.- Il primo profilo (par. 5.1) risulta inammissibile perché il ragionamento in cui si compendia la censura da per scontato un fatto (avvenuto passaggio in giudicato della sentenza di primo grado) che, invece, è controverso, siccome conseguirebbe solo alla pretesa estinzione del giudizio di secondo grado. Pertanto, partire dal punto di vista che la sentenza di primo grado sia passata in giudicato, in base a certificazione di cancelleria, significa non cogliere la triplice ratio decidendi utilizzata del giudice d’appello, il quale ha escluso l’estinzione in base alle seguenti circostanze: che essa sia stata mai dichiarata, che sia stata tempestivamente eccepita e che ne ricorrano i presupposti di legge.
5.3.2.- Il secondo profilo (par. 5.2) è altrettanto inammissibile perché il discorso sulla decorrenza del termine semestrale per la riassunzione (articolo 305 c.p.c), anche se fosse svolto correttamente – nel senso cioè che la causa dell’interruzione fu dichiarata dall’avvocato in udienza (11.3.1999), in modo sufficiente e valido a far decorrere il termine semestrale fissato dall’articolo 305 c.p.c. (quale risulta dopo la sentenza C. cost. n. 139/1967) -, trascurerebbe di censurare una ragione sufficiente a reggere la decisione impugnata: ragione costituita dal fatto che l’estinzione del giudizio d’appello non era stata eccepita, come vuole l’articolo 307, ult. co., c.p.c., prima di ogni altra difesa da parte dell’appellata;
6.- Col secondo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione degli articoli 100, 299, 300 e 303 c.p.c, per avere il giudice d’appello, allorché fu introdotta la domanda di “riattivazione” del processo, omesso di verificare l’integrità del contraddittorio, ovverosia se l’istanza ed il pedissequo decreto di fissazione dell’udienza per la prosecuzione erano stati notificati, ai sensi dell’articolo 303 c.p.c., a […], unica interessata e legittimata alla causa, divenuta maggiorenne nelle more del giudizio.
6.1.- La censura è infondata.
6.2.- L’appellante […] non doveva riassumere il processo d’appello nei confronti di […], pretesa sua figlia naturale, perché questa non era parte nel giudizio, in cui era rappresentata dalla madre quale sostituto processuale, tale rimasta anche dopo che ella, nelle more dell’interruzione del giudizio, aveva compiuto la maggiore età. Anche la cessazione della rappresentanza, conseguente al compimento della maggiore età del rappresentato, è, infatti, come già dianzi sottolineato, un evento che – per determinare l’interruzione del processo ai sensi dell’articolo 300 c.p.c. e la successiva necessità di riassunzione nei confronti del maggiorenne – deve essere dichiarato in udienza o notificato alle altre parti dal procuratore della parte costituita: circostanza non riscontrabile nel caso di specie.
7.- Col terzo motivo la sentenza d’appello è censurata per violazione e falsa applicazione degli articoli 250, 2 co., 273 c.c.; 100, 101, 331 c.p.c., e per motivazione contraddittoria, per avere:
7.1.- omesso di considerare che la figlia aveva tacitamente manifestato il consenso richiesto dall’articolo 273, 2 co., c.c., all’atto di chiedere ed ottenere all’anagrafe il cognome del padre naturale; ovvero omesso di chiederlo direttamente a lei medesima, non ostando a ciò alcuna preclusione processuale: sempre che si ritenga necessario il consenso del figlio maggiorenne per proseguire l’azione (qualora il consenso, cioè, debba ritenersi richiesto dalla legge non solo all’ultrasedicenne, ma anche all’ultradiciottenne, titolare esclusivo della legittimazione ad agire);
7.2.- errato, altrimenti, nel dichiarare improseguibile l’azione, non più soggetta ad alcun consenso stante la maggiore età raggiunta dall’interessata; per la maggior fondatezza di questa seconda ipotesi deporrebbe, secondo le ricorrenti, l’argomento ricavatale dall’articolo 250, 2 co., c.c., per cui il riconoscimento (anche, secondo l’assunto, quello conseguente alla sentenza di accertamento della genitorialità naturale) del figlio sedicenne non produce effetto senza il suo assenso.
7.3.- Anche questo motivo di censura è infondato.
7.3.1.- Il consenso del sedicenne (articolo 273, 2 co., c.c.), necessario per promuovere o proseguire validamente l’azione per la dichiarazione di paternità o maternità naturale, è considerato dalla giurisprudenza di questa suprema corte un requisito del diritto d’azione, integratore della legittimazione ad agire del genitore, sostituto processuale del figlio minorenne (Cass. nn. 3721/1998, 4982/1995, 9277/1994). Esso può sopravvenire, pertanto, in qualsiasi momento ed è necessario e sufficiente che sussista al momento della decisione (Casa. nn. 5291/2000, 3721/1998, 4982/1995); in mancanza, il giudice deve dichiarare, anche d’ufficio, l’improseguibilità del giudizio e non può pronunziare nel merito (Cass. nn. 3721/1998, 9277/1994, 1771/1988).
7.3.2.- Alla necessaria prestazione del consenso non osta il fatto che l’interessato abbia raggiunto la maggiore età (Cass. n. 4358/1992); sempre che questo fatto (compimento della maggiore età) non abbia prodotto l’interruzione del processo ai sensi dell’articolo 300 c.p.c. (v. par. 6.2), ovvero non sia diversamente idoneo, di per
sè, a determinare l’improcedibilità dell’azione (Cass. ult. cit.), rendendo così necessaria l’integrazione del contraddittorio nei confronti dell’ex minorenne.
7.3.3.- il consenso in parola, dovendo integrare la capacità processuale della parte che ha promosso o intende proseguire l’azione concernente lo status di figlio, non può ritenersi validamente prestato dal sedicenne fuori dal processo – o, comunque, desunto da fatti e comportamenti estranei ad esso, come, nella specie, il mero fatto di “portare” il cognome del presunto padre naturale – ma deve essere esplicitamente prestato nel giudizio.
7.3.4.- Nè la ricorrente può dolersi della mancata convocazione da parte del giudice d’appello, al fine della acquisizione del suo consenso per la prosecuzione dell’azione.
Il giudice deve infatti limitarsi a rilevare, anche d’ufficio come già notato, la mancata prestazione di esso e la conseguente improseguibilità del processo, trattandosi di potere connesso all’esercizio di un’azione personalissima, lasciata dalla legge nell’esclusiva disponibilità del soggetto titolare.
8.- Per tutte le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato […]