[…]
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’Appello di Bari, con la sentenza pubblicata il 16 maggio 1997, rigettava la impugnazione per nullità proposta dalla […] – nei confronti della s.p.a. […] – contro il lodo arbitrale pronunciato in Bari il 12 novembre 1991 (e reso esecutivo con decreto 13 novembre 1992) nella controversia insorta tra le parti in ordine alla esecuzione dell’appalto relativo alla costruzione di due c.d. “centri pilota” in località […] e […].
Con riguardo al primo motivo di nullità addotto dalla […] (e cioè l’erronea interpretazione della deliberazione della Giunta […] n. […]/1986 di aggiudicazione provvisoria e dei conseguenti verbali di consegna dei lavori del 30 giugno e del 10 luglio 1986), la Corte di merito rilevava che la censura non denunciava la violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale (specificamente non richiamata) ma in realtà si limitava a contrapporre, a quella motivata dagli arbitri, una diversa interpretazione di tali atti, sicché il motivo così formulato (non prospettando la violazione di “regole di diritto”) non rientrava nella previsione dell’art. 839, comma 2, c.p.c. ed era, perciò, “inaccoglibile”. Così come il secondo motivo che, criticando “l’errore e il travisamento dei fatti”, mirava “a provocare una nuova valutazione delle risultanze processuali” preclusa alla Corte in sede di impugnazione del lodo. Infine la terza censura, che deduceva falsa ed erronea applicazione dell’art. 30 D.P.R. 1063/1962 in rapporto agli artt. 1358 e 1175 c.c., doveva ritenersi infondata “dal momento che il Collegio arbitrale ha applicato ai rapporti giuridici in contestazione la disciplina che ad essi competeva secondo gli elementi di fatto – costitutivi dei rapporti stessi – da esso accertati”.
Contro questa sentenza la […] ha proposto ricorso, affidato a cinque mezzi di cassazione, illustrati anche con memoria. Si è costituita la […].
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- L’eccezione pregiudiziale di inammissibilità del ricorso – formulato dalla società resistente in ragione della denunciata mancanza, in quell’atto, della esposizione sommaria dei fatti di causa – non è fondata.
Nell’esegesi dell’art. 366 n. 3 c.p.c. – che appunto prescrive l'”esposizione sommaria dei fatti di causa” a pena di inammissibilità del ricorso – questa Corte ha infatti, già più volte precisato che, per soddisfare siffatto requisito, non è necessario che l’esposizione dei fatti costituisca una premessa autonoma e distinta rispetto ai motivi della impugnazione, ne’ occorre una narrativa analitica o particolareggiata, ma è sufficiente ed insieme indispensabile, che “dal contesto del ricorso” sia possibile desumere una conoscenza del “fatto” sostanziale e processuale “sufficiente per bene intendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice a quo” (cfr. nn. 13071, 9656/97; 2867/95; 2796/94 ecc.). Per cui il ricorso deve ritenersi inammissibile solo quando i fatti, nel loro nucleo essenziale, indispensabile per individuare il contenuto della impugnazione, “non siano desumibili neppure dai motivi di doglianza svolti dal ricorrente” (7517/1994). Nella specie, viceversa, il ricorso della […] non solo trascrive letteralmente l’esposizione della sentenza impugnata ma, nel denunciare l'”omessa pronuncia su motivi di nullità del lodo rilevabile anche d’ufficio”, è intessuto di continui rinvii alle censure già svolte dalla stessa […] contro il lodo arbitrale e correlativamente alle questioni portate all’esame della Corte barese, per cui non difettano certo gli elementi, in questa sede, per intendere il significato e la portata delle odierne censure:
con le quali in particolare si denuncia che i giudici a quibus abbiano:
a) omesso, appunto, di pronunciare sui due motivi di impugnazione in prosieguo dedotti dalla […], e che si assumono “rilevabili d’ufficio”, relativamente sia al difetto di potestas iudicandi degli arbitri – in ordine a fatti verificatisi (dopo l’aggiudicazione “provvisoria” dei lavori, ma) prima della stipula definitiva e quindi non riconducibile alle “controversie derivanti dal contratto” contemplate dalla clausola compromissoria – sia al “difetto di integrità del contraddittorio” per avere al giudizio arbitrale partecipato la sola […], capogruppo dell’Associazione temporanea d’imprese stipulanti, e non anche le altre imprese associate;
b) violato e falsamente applicato gli artt. 806 ss., 829 c.p.c., e 61 l. reg. Puglia 1985 n.27, con il non rilevare l’incompetenza degli arbitri, a giudicare di asseriti danni verificatisi prima della conclusione del contratto;
c) violato l’art. 102 c.p.c., in relazione anche all’art. 360 n.5 c.p.c., con il non rilevare il suddetto “difetto di integrità del contraddittorio”;
d) falsamente applicati anche gli artt. 1362 ss. cod. civ., con il qualificare erroneamente come “definitiva” l’aggiudicazione, invece, provvisoria di cui alla delibera […] n. […]/86;
e) violato, infine, gli artt. 1358, 1175 c.c. e 337, 338 T.U. sulle opere pubbliche, in tema di obblighi delle parti in pendenza della condizione, e di imputabilità del ritardo all’ente.
2.- La prima doglianza è senz’altro infondata.
Pacifico, infatti, che i due motivi d’appello della […], in ordine ai pretesi difetti di potestas iudicandi degli arbitri e di integrità del contraddittorio, non erano stati dedotti con l’atto introduttivo del gravame ma solo in prosieguo articolati, in sede di precisazione delle conclusioni – con immediato e radicale rifiuto, per altro, di accettazione del contraddittorio da parte della appellata (v. verbale d’udienza del 3 ottobre 1994) – immune da censura risulta conseguentemente, la sentenza impugnata che quei motivi non ha preso in esame.
Nel procedimento di impugnazione per nullità del lodo arbitrale – che ha, in un certo senso, il carattere di un appello limitato, in quanto ammesso solo per determinati vizi in procedendo nonché per inosservanza delle regole di diritto ma nei limiti previsti dall’art. 829 c.p.c. – vige invero la regola di specificità dei motivi e della loro formalizzazione con l’atto introduttivo della impugnazione, con la conseguenza che non sono appunto ammissibili, e non è consentito al giudice prendere in esame, motivi diversi ed aggiunti (come nella specie) rispetto a quelli contenuti nel medesimo atto introduttivo (cfr. Cass. nn. 10862/94; 938/86; 4820/84, ex plurimis).
Nè – a prescindere da riferiti limiti al potere cognitorio del giudice nel procedimento impugnatorio ex artt. 828 a 830 c.p.c. (che escludono in radice l’asserita omissione di pronuncia per inesistenza del correlativo dovere) – è comunque sostenibile che quei motivi aggiunti fossero rilevabili d’ufficio presupponendo anzi gli stessi il non consentito riesame di valutazioni degli arbitri, quali – nel primo caso – quella sul carattere “in realtà definitivo” attribuito all’atto di c.d. aggiudicazione provvisoria dei lavori e – nel secondo caso – quella sulla natura, di parte individuale o complessa, spesa dalla capogruppo […].
3.- Per le considerazioni già svolte risultano conseguentemente infondati anche i motivi secondo, terzo e quarto, costituenti mere varianti espositive della censura articolata nel primo mezzo.
4.- Il quinto motivo, infine, del ricorso si risolve testualmente nella “richiesta di un nuovo esame” delle censure prospettate con l’atto di impugnazione del lodo e che la […] dichiara di voler “riproporre puntualmente come violazione dei principi fondamentali ed inderogabili sulla sequenza di atti che condizionano la stipula del contratto e la successiva consegna dei lavori di un’opera pubblica”.
Quest’ultima doglianza, basata sulla denuncia di apoditticità della motivazione con cui la Corte territoriale avrebbe respinto quelle censure con espressione di mero stile, è a sua volta però carente sul piano esplicativo dei fatti cui si riferiscono le censure medesime e sullo stesso esatto contenuto di queste, richiamate solo per relationem; sicché, per tale parte, il ricorso risulta inammissibile per difetto del requisito di autosufficienza.
6.- L’impugnazione della […] va pertanto nel suo complesso respinta […].