Corte di Cassazione, Sez, 1, Sentenza n. 12199 del 2012, dep. il 17 luglio 2012

[…]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con lodo del 12 aprile 2006 il Collegio arbitrale di cui alla clausola compromissoria apposta nel contratto di appalto per lo smaltimento dei rifiuti prodotti affidato dal comune di […] all’ATI tra le […] il […]1994, respinse la domanda di risoluzione del negozio avanzata dalle imprese per fatto e colpa della stazione appaltante, nonché di rimborso dei costi dalle stesse sostenute per aver eseguito il servizio fino al 24 marzo 1997.
L’impugnazione delle società T[…] è stata dichiarata inammissibile dalla Corte di appello di Bari, la quale con sentenza del 19 ottobre 2009 ha osservato: a) che la giurisprudenza di legittimità aveva limitato l’accertamento di ufficio della nullità di un contratto alle ipotesi in cui viene in contestazione l’applicazione o l’esecuzione dell’atto la cui validità rappresenti un elemento costitutivo della domanda; e non anche, quindi, allorché la domanda sia rivolta a far dichiarare la risoluzione del contratto per inadempimento; b) che nel caso ricorreva proprio quest’ultima fattispecie, in cui la pronuncia di nullità, oltre a risultare ultra petita avrebbe assunto le caratteristiche di una questione nuova, perciò del tutto inammissibile.
Per la cassazione della sentenza, le società hanno proposto ricorso per 4 motivi; cui resiste il comune di […] con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il Collegio deve rilevare anzitutto che il ricorso notificato dalla […] alla controparte nel termine annuale di cui all’art. 327 cod. proc. civ., è tempestivo, in quanto la modifica introdotta dalla disposizione dalla L. n. 69 del 2009, art. 58, che ha dimezzato il termine suddetto riducendolo a mesi 6, si applica “ai giudizi instaurati” e non alle impugnazioni proposte a decorrere dal 4 luglio 2009: perciò restando valido il termine annuale qualora l’atto introduttivo del giudizio di primo grado (o di quello arbitrale) sia – come nella fattispecie – anteriore alla data suddetta (Cass. 6784/2012).
Con il secondo motivo dall’evidente carattere pregiudiziale, le imprese, deducendo violazione degli artt. 1325, 1346, 1362, e segg., artt. 1418, 1421, 1453, e segg., censurano la sentenza impugnata per avere omesso di dichiarare la nullità del contratto invocando un’isolata decisione di questa Corte nella quale si esclude che ne ove sia invocata la risoluzione, il giudice possa dichiararne di ufficio la nullità; e senza considerare invece la giurisprudenza dominante secondo cui la domanda di risoluzione presuppone proprio la validità del negozio, sicché intanto il giudice può procedere alla declaratoria della risoluzione, nonché a stabilirne le cause, in quanto non sussistano ragioni che determinino la nullità del contratto da accertare incidentalmente in ogni stato e grado del giudizio, ad eccezione dell’ipotesi qui non ricorrente, in cui sulla questione si sia formato il giudicato.
Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato. La sentenza di appello, infatti, ha dichiarato inammissibile l’impugnazione, da parte delle società, del lodo arbitrale che aveva respinto la loro domanda di risoluzione del contratto di appalto 5 luglio 1994 per fatto e colpa del comune, anzitutto per avere aderito all’orientamento dominante di questa Corte confermato dalle Sezioni Unite (sent. 21095/2004) per il quale il potere del giudice di dichiarare d’ufficio la nullità o l’inesistenza di un contratto ex art. 1421 cod. civ., va coordinato con il principio della domanda (artt. 99 e 112 cod. proc. civ.), con la conseguenza che la nullità può essere rilevata d’ufficio, in qualsiasi stato e grado del giudizio, indipendentemente dall’attività assertiva delle parti, soltanto nel caso in cui sia in contestazione l’applicazione o l’esecuzione del contratto, la cui validità rappresenta quindi un elemento costitutivo della domanda; e non in quello in cui la domanda sia diretta a far pronunciare la risoluzione dell’atto per inadempimento. E quindi, perché il vizio della nullità negoziale per impossibilità originaria dell’oggetto del contratto, dedotto per la prima volta nel giudizio di impugnazione del lodo assumeva le caratteristiche di una questione del tutto nuova, come tale non proponibile in quel giudizio (pag. 6). Pertanto non soltanto il primo di detti profili della decisione doveva essere impugnato dalle imprese, ma anche il secondo, nel caso decisivo, perché anche ad aderire all’indirizzo giurisprudenziale ricordato dalle stesse, che il giudice possa rilevare di ufficio le nullità negoziale pur quando sia stata proposta azione di risoluzione o di annullamento del contratto, resta ferma comunque nella giurisprudenza di legittimità la regola che i presupposti di fatto dai quali deve ricavarsi la nullità del contratto devono risultare già acquisiti agli atti del processo; e che non possono esemplificativamente essere prospettati per la prima volta nel giudizio di legittimità.
Siffatto principio vale a maggior ragione nel giudizio di impugnazione ex art. 829 cod. proc. civ., del lodo arbitrale, assimilabile nella sua disciplina, come ricordato dalle stesse ricorrenti, a quella del ricorso per cassazione in quanto tende ad un iudicium rescindens finalizzato all’accertamento di eventuali nullità del lodo, che si conclude con l’annullamento del medesimo;
cui segue solo in tal caso la fase rescissoria nel corso della quale il giudice ordinario procede alla ricostruzione del fatto sulla base delle prove dedotte.
Pertanto, nella prima fase non è consentito alla Corte d’Appello di procedere ad accertamenti di fatto, dovendo limitarsi all’esame delle eventuali nullità in cui sia incorso il lodo, pronunciabili soltanto per determinati errori “in procedendo”, nonché per inosservanza delle regole di diritto nei limiti previsti dal medesimo art. 829 cod. proc. civ.; mentre solo in sede rescissoria al giudice
dell’impugnazione è attribuita la facoltà di riesame del merito delle domande, comunque nei limiti del “petitum” e della “causa petendi” dedotti dinanzi agli arbitri; con la conseguenza che non sono consentite ne’ domande nuove, ne’ censure diverse da quelle tipiche individuate dall’art. 829 cod. proc. civ. (Cass. 20880/2010; 23900/2004; 12430/2000).
Ora, dagli stessi fatti riferiti dalle imprese nel ricorso risulta che le stesse con l’atto di accesso a giudizio del 29 marzo 2004 chiesero al collegio arbitrale (con le prime due domande) che fosse accertato l’inadempimento del comune agli obblighi assunti con il menzionato contratto del 1994,invece da esse puntualmente eseguito per avere svolto per diversi anni il servizio dello smaltimento dei rifiuti nel territorio comunale; e che lo stesso (unitamente alle successive modifiche) fosse quindi dichiarato risolto per fatto e colpa del comune con la condanna della stazione appaltante al rimborso dei costi sostenuti nella misura di Euro 1.472.333,67: anche a titolo di indebito arricchimento (terza subordinata domanda). Sicché la questione della impossibilità originaria di realizzare la discarica controllata di prima categoria nei sensi consentiti dalla L.R. n. 17 del 1993, oggetto dell’originario contratto, non è stata prospettata agli arbitri, non ha formato oggetto del relativo giudizio; ed è stata posta per la prima volta inammissibilmente in quello di impugnazione nel quale alla Corte di appello era precluso esaminare le clausole del contratto sulle quali si fondava, nonché il contenuto delle obbligazioni con esso assunte dalle parti al riguardo anche in seguito alle successive modificazioni; e soprattutto accertare le circostanze fattuali asseritamente ostative alla costruzione nonché alla gestione della discarica suddetta al lume della normativa posta dalla legge regionale.
Il Collegio deve aggiungere che la relativa prospettazione non è contenuta neppure nel ricorso, sotto tale profilo privo di autosufficienza, nel quale le imprese si sono limitate ad insistere nel potere-dovere della Corte di appello di dichiarare di ufficio la nullità del contratto di appalto per impossibilità dell’oggetto, rinviando “per relationem” alle ragioni ed alla narrativa contenute “nell’atto di citazione in appello”, non trascrivendo neppure le pattuizioni del contratto dalle quali avrebbe dovuto ricavarsi la configurabilità della fattispecie prevista dall’art. 1346 cod. civ., nonché la relativa prospettazione già nel procedimento arbitrale;e non consentendo di ricavarla neppure attraverso l’esposizione della vicenda processuale (pag. 1-10 ric.) contenuta nella prima parte dell’atto : posto che, da un lato, è ivi riportata l’obbligazione delle imprese di realizzare “le opere necessarie per la costruzione dell’impianto di cui all’art. 1” (pag. 7), senza alcuna indicazione degli ostacoli che lo avrebbero impedito, – ma dall’altro la circostanza viene smentita nel prosieguo del ricorso ove è riferito che le stesse società avevano successivamente proposto di modificare l’originario contratto nel senso di realizzare una discarica di seconda categoria (pag. 9) e che dapprima la Provincia di Bari con delibera 17 febbraio 1995 e poi la stazione appaltante con delibera 28 ottobre 1995 avevano accolto la proposta (pag. 8); e che il negozio in tal modo modificato per volontà di entrambe, aveva negli anni successivi ricevuto regolare esecuzione.
Con il primo motivo, le società, deducendo violazione dell’art. 829, comma 2, in relaz. agli artt. 112 e 360 cod. proc. civ., addebitano alla sentenza impugnata di essersi pronunciata sulla sola questione della nullità del contratto di appalto, senza considerare che l’impugnazione era stata proposta per altri distinti profili illustrati nell’atto di impugnazione: neppure esaminati dalla Corte di appello; che in tal modo aveva precluso il controllo di legittimità da parte della Suprema Corte sulle risposte e sulla relativa motivazione in merito a ciascuna delle censure. Con il terzo, deducendo ancora violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., si dolgono che in particolare la Corte di appello abbia omesso di pronunciarsi sulla chiesta condanna del comune al rimborso del costo del servizio sostenuto, erroneamente ritenendo la richiesta assorbita dalla statuizione di inammissibilità dell’azione di nullità del contratto; laddove trattavasi di un autonomo profilo correlato all’inadempimento del comune delle obbligazioni assunte con il contratto di appalto.
Con il quarto motivo analoga doglianza estendono alla omessa pronuncia in merito alla domanda di risoluzione del contratto per inadempimento del comune, anch’essa autonoma e dipendente dall’accertamento della nullità (non del contratto, ma) del lodo. Queste doglianze sono infondate.
Non è anzitutto esatto che la sentenza impugnata abbia omesso di pronunciarsi sulle domande suddette, avendole invece, come hanno finito per riconoscere le stesse società, dichiarate espressamente assorbite nella statuizione di inammissibilità dell’azione di nullità del contratto (pag. 6 sent.), che non aveva consentito l’annullamento del lodo, perciò impedendo il passaggio alla fase rescissoria; e ciò dopo avere riportato i relativi motivi di impugnazione delle imprese in base ai quali il Collegio arbitrale doveva dichiarare d’ufficio la nullità del contratto e, conseguentemente, “valutare positivamente la sussistenza dei presupposti in ordine all’arricchimento”; ed in estremo subordine dare atto dell’inadempimento della stazione appaltante all’obbligazione di consentire all’aggiudicataria la costruzione della discarica, nonché dichiarare la nullità parziale del lodo (pag. 4 sent.).
D’altra parte, non sembra al Collegio che si potrebbe sfuggire alla seguente alternativa: o convenire con la Corte di appello che si trattava di richieste dipendenti dall’accertamento della nullità del contratto per impossibilità dell’oggetto: come d’altra parte confermato dalla parte del ricorso in cui sono state riportate ed espressamente subordinate alla declaratoria di nullità chiesta al giudice dell’impugnazione che avrebbe dovuto “nel merito e conseguentemente” accoglierle nell’ordine logico prospettato. Ed allora, non essendosi verificata detta condizione, per averla la sentenza impugnata dichiarato inammissibile, ed in tal modo escluso il passaggio alla fase rescissoria, le stesse non potevano che risultare travolte dal mancato accoglimento della domanda principale cui erano espressamente subordinate.
Ovvero ipotizzare che, contrariamente a quanto ritenuto dalla decisione, la volontà delle imprese fosse quella di riproporle in modo autonomo: a prescindere dalla sorte della domanda principale di nullità del contratto: sostanzialmente richiedendo alla Corte territoriale di riesaminare le analoghe domande avanzate nell’atto di accesso agli Arbitri che già le avevano respinte.
Ma in tal caso non era sufficiente reiterarle al giudice dell’impugnazione, mediante un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni effettuate ed, in base ad esse, delle conclusioni raggiunte al riguardo dal collegio arbitrale; ma dato il rigoroso principio di specificità della formulazione dei motivi (Cass. fin da sez. un. 1960/ 1972) che accomuna il relativo giudizio, significativamente qualificato a critica limitata, a quello di legittimità, e che consente l’impugnazione del lodo soltanto per le nullità tipiche indicate dall’art. 829 cod. proc. civ., occorreva che le imprese indicassero espressamente gli errori in procedendo che essi addebitavano al lodo; e/o quali norme o quali principi di diritto gli arbitri avessero violato o frainteso nel respingere entrambe le richieste (Cass. 6931/2004; 3383/2004; 12165/2000). E non bastava dedurre che avevano chiesto anche la declaratoria di nullità del lodo (in aggiunta a quella del contratto), ma era necessario altresì che le suddette censure che ne prospettavano le ragioni fossero trascritte nel ricorso onde consentire alla Corte di Cassazione di verificare se le contestazioni suddette corrispondevano esattamente ai casi di impugnabilità stabiliti dall’art. 829, cit.;
o si limitavano per converso a denunciare inammissibilmente una mera difformità del giudizio arbitrale rispetto alle attese ed alle deduzioni delle ricorrenti; che di conseguenza la Corte di appello non aveva l’obbligo di prendere in esame.
Il rigetto del ricorso […]