Corte di Cassazione, Sez. 1, Sentenza n. 4175 del 2007, dep. il 22 febbraio 2007

[…]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

[…] convenne il 27.03.1990 dinanzi al Tribunale di Salerno la moglie […] – dalla quale si era separato consensualmente il 13.05.1983 – e l’avvocato […], curatrice speciale del minore […], nato il […], nei cui confronti propose il disconoscimento di paternità, avendo verificato attraverso alcuni esami ematologici la fondatezza del sospetto dell’adulterio della moglie.
La […] resistette all’azione, della quale peraltro eccepì la decadenza per il decorso del termine di cui all’art. 244 c.c., e la inammissibilità in relazione all’esigenza che fosse provato il dedotto adulterio.
Il tribunale, all’esito dell’istruzione probatoria, eseguita anche a mezzo di indagine genetico-ematologia, rimasta senza effetto per il rifiuto della […] di sottoporre se ed il minore ai necessari prelievi, rigettò la domanda con sent. 12.05.1998 e compensò le spese processuali.
La sentenza, impugnata da […], è stata confermata il 16.04.2002 dalla Corte di Appello di Salerno, la quale, dopo aver rilevato che l’azione era stata tempestivamente proposta, avuto riguardo al momento in cui l’attore aveva acquisito la conoscenza dell’adulterio della moglie, ha ritenuto inidonei sul piano probatorio gli elementi processuali, sia in relazione al dedotto adulterio, considerato dalla legge condizione legittimante per dar luogo alla prova negativa della paternità, sia con riferimento alle incompatibilità antropometriche tra il minore […] ed il padre legittimo […], atteso che al di là di una relazione medica di parte, priva di supporti documentali, null’altro era stato prodotto o provato; sicché nessun rilievo avrebbe potuto attribuirsi, in assenza della dimostrazione dell’adulterio, fatto determinante per l’ulteriore corso processuale, al rifiuto della […] di sottoporsi al prelievo ematico, non potendosi esso interpretare alla stregua di un contegno univocamente teso ad impedire la conclusione proficua della fase afferente alla prova del fatto presupposto, laddove proprio la consapevolezza della necessaria dimostrazione preventiva della fattispecie prevista dall’art. 235 c.c., comma 1, n. 3, ben poteva avere indotto la parte a non prestarsi all’effettuazione delle operazioni peritali, per la loro concreta ultroneità.
Propone ricorso per cassazione con un motivo illustrato da memoria […]; non svolgono difese gli intimati.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo il ricorrente, nel denunziare la violazione degli artt. 235 e 2727 c.c., contesta la interpretazione della norma sul disconoscimento della paternità, in particolare del comma 1, n. 3, laddove “istituisce un rapporto di logica indeclinabile subordinazione della prova delle incompatibilità emo – genetiche rispetto alla prova dell’adulterio”, essa contrastando con l’origine storica della previsione legislativa al tempo della riforma del regime della filiazione, contraddicendo alle scelte di politica del diritto affermatesi nel sistema normativo, favorevoli a dare prevalenza alla verità rispetto alla legittimità tanfo che l’azione era stata estesa alla madre e al figlio – e urtando contro la ratio della prescrizione legale, posto che il suo esercizio è fissato alla data della conoscenza del fatto sul quale il disconoscimento si fonda.
Aggiunge che dalla formula letterale della norma predetta non risultano preclusioni sul terreno probatorio ad avvalersi dell’accertamento delle incompatibilità per dimostrare l’adulterio, non figurando in essa alcuna espressa limitazione dei mezzi di prova ed anzi da essa ricavandosi che la prova eventuale dell’adulterio non è sufficiente a dimostrare la mancanza di derivazione biologica del figlio, sicché come non è vero che l’adulterio costituisca condizione sufficiente per il disconoscimento, altrettanto non vera è l’affermazione della insufficienza della inequivoca prova genetica di incompatibilità.
Sotto tale aspetto ha eccepito il ricorrente la illegittimità costituzionale degli artt. 24 e 3 Cost., per le ipotesi che l’indirizzo giurisprudenziale di segno contrario alla tesi sostenuta restasse confermato, tenuto conto delle limitazioni del diritto di difesa e della disparità di trattamento del regime della negazione di paternità rispetto alla materia della dichiarazione giudiziale. La Corte Costituzionale con sent. 06.07.2006 n. 266 ha dichiarato illegittimo l’art. 235 c.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui, ai fini dell’azione di disconoscimento della paternità, subordina l’esame delle prove tecniche da cui risulta che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre, alla previa dimostrazione dell’adulterio della moglie.
Tale decisione è derivata dalla presa d’atto della Consulta del diritto vivente (Cass. 14887/2002; 8887/1998; 2113/1992, tra le altre) che non consentiva differenti soluzioni interpretative, secondo cui la indagine sul verificarsi dell’adulterio ha carattere preliminare rispetto a quella della sussistenza o meno del rapporto procreativo, con la conseguenza che la prova genetica o ematologia, anche se espletata contemporaneamente alla prova dell’adulterio, può essere esaminata solo subordinatamente al raggiungimento di quest’ultima e al diverso fine di stabilire il fondamento del merito della domanda; con la ulteriore conseguenza che in difetto di prova dell’adulterio, anche in presenza della dimostrazione che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre, l’azione di disconoscimento della paternità deve essere respinta. La pronunzia intervenuta nel corso di questo giudizio di legittimità consente l’accoglimento del ricorso, avuto riguardo alla ragione della decisione impugnata e cioè all’ostacolo – ora rimosso – costituito dall’esigenza, nella specie rimasta insoddisfatta, che fosse raggiunta la prova dell’adulterio della madre nel periodo compreso tra il trecentesimo ed il centottantesimo giorno prima della nascita del figlio.
Ha infatti ritenuto la corte di merito che la ammissione dell’onerato alla utilizzazione immediata delle indagini ematologiche e genetiche, a fini sostanzialmente esplorativi della situazione di adulterio, avrebbe portato ad incrinare il punto di equilibrio tra favor legitimitatis e favor veritatis stabiliti, anche nell’interesse preminente del figlio, dal legislatore nell’ambito della sua discrezionalità politica; ed ha escluso di poter attagliare al caso in esame la linea interpretativa maturata nell’ambito, oggettivamente distinto, della dichiarazione giudiziale della paternità naturale, con particolare riferimento al diniego delle persone interessate a sottoporsi agli accertamenti ematici e genetici ed agli argomenti che possono indursene ex art. 116 c.p.c., posto che in quel caso il principio della libertà di prova con ogni mezzo (art. 269 c.c., comma 2), quando sia ammesso il riconoscimento, che pure trova riscontro nella seconda parte dell’art. 235 c.c., comma 1, n. 3 non può sopprimere la necessità che la valutazione del quadro probatorio, in cui il comportamento processuale delle parti può costituire argomento di prova ai sensi dell’art. 116 citato, segua l’accertamento dell’adulterio.
Ciò premesso e rilevato che gli elementi processuali acquisiti nel giudizio di merito non hanno consentito, alla stregua dell’apprezzamento compiuto da quei giudici, non sindacabile in questa sede per essere stato diffusamente ed adeguatamente, sul piano logico e giuridico, motivato, di ritenere raggiunta la prova dell’adulterio e ancor meno quella delle incompatibilità immunogenetiche tra […] e […] si prospetta necessario l’accertamento genetico e del gruppo sanguigno, ormai liberato da quel presupposto, volto ad escludere la paternità. vero è che nel giudizio di primo grado quell’accertamento risulta essere stato disposto, senza effetto, non avendo accettato la […] di sottoporre sè ed il minore ai necessari prelievi; ma la circostanza che medio tempore […] abbia raggiunto la maggiore età (e sia quindi nella condizione di autodeterminarsi liberamente in ordine all’azione intentata dal genitore legittimo, in termini eventualmente collaborativi nella ricerca della verità), nonché quella che il rifiuto a suo tempo ebbe la oggettiva possibilità, come la sentenza impugnata ha rilevato, di essere valutato – attesa la consapevolezza della necessità che fosse anzitutto dimostrato il fatto presupposto – nel senso che la parte, certa della mancanza di prova di esso, non si sia prestata alla effettuazione delle operazioni peritali “per la ultroneità in concreto, inducono a ritenere che, nel mutato quadro normativo derivato dalla illegittimità costituzionale dell’art. 235 c.c., n.3, nella parte afferente all’adulterio, l’accertamento tecnico e la valutazione ex art. 116 c.p.c. del contegno processuale delle parti meritino di essere ulteriormente compiuti, appalesandosi la decisione impugnata non più in linea con la norma predetta, a fronte dell’intervento sopravvenuto del giudice delle leggi. Nè può accedersi alla richiesta del ricorrente, formulata con la memoria ex art. 375 c.p.c., di annullamento della sentenza impugnata senza rinvio, con decisione della causa nel merito, dal momento che si impongono ulteriori accertamenti in fatto, nei termini che si sono indicati, le cui conseguenti valutazioni, compreso l’esercizio del potere di trarre argomento di prova ex art. 116 cit. dai comportamenti, in applicazione del principio del libero apprezzamento della prova da parte del giudice (Cass. 5116/2003; 13766/2001;
14910/2000) vanno compiute dal giudice del merito al quale si rinvia.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Salerno, in diversa composizione, anche per le spese di cassazione.
Così deciso in Roma, il 20 dicembre 2006.
Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2007