[…]
Fatti di causa
Il tribunale di Chieti dichiarava il fallimento di […], in estensione del fallimento della […], della quale s.a.s. il predetto […] era stato accomandatario.
Con sentenza depositata il 19-3-2012, la corte d’appello de L’Aquila rigettava il reclamo da lui proposto sotto i profili della carenza del decreto di convocazione, quanto ai requisiti previsti dall’art. 15 della legge fall., e della effettiva assunzione della responsabilità illimitata quale socio accomandatario pro tempore.
[…] ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi, illustrati da memoria. La curatela del fallimento (sia della s.a.s. che del socio) ha replicato con controricorso.
Ragioni della decisione
1. E’ stata eccepita dalla curatela l’ improcedibilità del ricorso o comunque la sua inammissibilità in quanto tardivo, giacché la sentenza della corte di merito sarebbe stata notificata il 27-3-2012, a fronte di ricorso notificato il 18-9-2012 e recante la copia autentica di sentenza non notificata.
L’eccezione non può trovare consenso, dal momento che dagli atti di causa la sottostante condizione, di avvenuta notifica della sentenza impugnata, non risulta.
2. Col primo motivo è dedotta la violazione ed errata applicazione dell’art. 15 della legge fall. e dell’art. 147 stessa legge, in quanto non sarebbe stato indicato, nel decreto di convocazione del debitore in sede prefallimentare, il termine di sette giorni al fine di presentare memorie e di depositare la prevista documentazione, ivi compresi i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi e la situazione patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata.
Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
L’impugnata sentenza ha rigettato la corrispondente eccezione previamente osservando che, quanto al termine per il deposito di memorie, documenti e relazioni tecniche, solo la curatela sarebbe stata legittimata a dolersi dell’omissione, sicché, in difetto, il vizio del decreto di convocazione doveva ritenersi, da simile punto di vista, sanato.
La doglianza è dunque in parte qua inammissibile, perché non calibrata su tale specifica ratio decidendi, che involge non l’istituto della nullità, che è presupposto, ma quello, in effetti ritenuto operante, della sanatoria.
La stessa è invece infondata nella parte concernente la mancanza, nel decreto di convocazione, dell’invito al debitore a depositare i bilanci degli ultimi tre esercizi e la situazione patrimoniale economica e finanziaria aggiornata. Invero la sentenza ha correttamente messo in evidenza che al decreto era stato allegato, e contestualmente notificato, il ricorso per dichiarazione di fallimento, che con quello aveva formato un unicum inscindibile. […] pertanto aveva avuto modo di conoscere esattamente la motivazione della convocazione.
La mancanza, nel decreto, dell’invito a depositare i bilanci degli ultimi tre esercizi e la situazione patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata non possiede alcuna rilevanza, atteso che la convocazione rifletteva il procedimento per l’estensione del fallimento all’accomandatario. Sicché, come giustamente osservato dalla corte d’appello, la documentazione suddetta non era necessaria in quanto già acquisita all’ambito dell’istruttoria prefallimentare relativa alla società.
3. Col secondo motivo il ricorrente denunzia la violazione ed errata applicazione dell’art. 147, quarto comma, legge fall., posto che la sua esistenza come socio era nota già prima della dichiarazione del fallimento della società, per cui si sarebbe dovuto provvedere all’estensione fin dall’origine del procedimento onde consentirgli la partecipazione attiva attraverso il deposito di documenti, bilanci e quanto altro.
Col terzo motivo egli inoltre denunzia la violazione ed errata applicazione dell’art. 147, secondo comma, legge fall. in quanto anche la citata previsione non sarebbe stata applicabile al caso concreto, posto che il fallimento andava ricondotto alla contestuale dichiarazione nei riguardi della società.
4. I motivi, unitariamente esaminabili per connessione, sono inammissibili per genericità, non essendo indicato quale documentazione in concreto sarebbe stata idonea a scalfire la valutazione resa dal giudice fallimentare in ordine alle condizioni di fallibilità e all’insolvenza della società.
Contro simile valutazione il ricorrente non risulta aver prospettato censure. Egli si è limitato ad asserire di esser rimasto estraneo all’insolvenza per aver rivestito la carica sociale solo per brevissimo tempo (alcuni minuti, prima della cessione delle quote) e per non aver mai partecipato all’esercizio dell’attività d’impresa.
In contrario deve affermarsi il principio secondo cui l’estensione del fallimento riflette la responsabilità illimitata per le obbligazioni che è correlata alla posizione ricoperta nel tipo sociale, e che riguarda anche i debiti preesistenti all’assunzione della qualità di socio illimitatamente responsabile (art. 2269 cod. civ.).
Difatti la responsabilità prevista dall’art. 2313 cod. civ. trae origine dalla qualità di socio accomandatario.
Questi, per il sol fatto di esser tale, diviene debitore al pari della società anche per debiti pregressi all’acquisizione della qualità di socio.
Né una tale responsabilità è condizionata dal fatto che dette obbligazioni risultino dalle scritture contabili della società, valendo il medesimo principio al riguardo da questa Corte sottolineato quanto alle società in nome collettivo (cfr. Cass. n. 9326-10), tenuto conto che le norme relative a tali società si applicano anche alla s.a.s. in base al richiamo contenuto negli artt. 2315 e 2318 cod. civ., e che non esistono norme incompatibili in seno al capo IV, del tiolo V, del corrispondente libro del codice civile.
5. Quanto esposto rende palese l’infondatezza del ricorso.
Ne consegue che la Corte può deciderlo in ossequio al principio di ragionevole durata, che prevale anche sul principio del contraddittorio ove la salvaguardia di codesto si riveli sintonica al rispetto di un dato meramente formale, senza incidenza, cioè, e senza pregiudizio alla situazione giuridica sostanziale.
Certamente, come osservato dal procuratore generale di udienza, a seguito delle modifiche alla legge fallimentare introdotte con il d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169, i creditori che hanno proposto il ricorso di fallimento nei confronti di una società di persone sono litisconsorti necessari nel giudizio di reclamo alla sentenza dichiarativa di fallimento proposto dal socio illimitatamente responsabile, cui il fallimento sia stato successivamente esteso.
Donde è vero che, se il giudice di primo grado non ha disposto l’integrazione del contraddittorio e la corte d’appello non ha provveduto a rimettere la causa al primo giudice ai sensi dell’art. 354, primo comma, cod. proc. civ., resta viziato l’intero procedimento e si impone, in sede di legittimità, l’annullamento, anche d’ufficio, delle pronunce emesse, e il rinvio della causa al giudice di prime cure ai sensi dell’art. 383, ultimo comma, stesso codice (cfr. Cass. n. 10795- 14).
Non è men vero, tuttavia, che ciò avviene in esito a una specifica ratio, la quale va rinvenuta nell’affermazione circa i pregiudizi che la revoca del fallimento potrebbe arrecare alle pretese di quei creditori; pretese che, a norma dell’art. 148 legge fall., si intendono dichiarate anche nel fallimento dei singoli soci. (v. esplicitamente Cass. n. 10795-14, e v. anche, sebbene implicitamente, la Cass. n. 3621-16, che ha esteso il principio del litisconsorzio anche alla sede prefallimentare).
La conseguenza è che, qui come nei casi simili di litisconsorti necessari pretermessi giunti all’esame di questa Corte, vale il principio generale per il quale l’integrazione del contraddittorio (e dunque la rimessione del giudizio alla prima fase) può ritenersi superflua, in forza del principio della ragionevole durata del processo, ove l’impugnazione risulti assolutamente infondata, sì che l’integrazione del contraddittorio si riveli attività del tutto ininfluente sull’esito del procedimento (cfr. Cass. Sez. U n. 21670-13, in fattispecie di ricorso per cassazione proposto dai genitori quali esercenti la potestà sul figlio, quando lo stesso sia già divenuto maggiorenne, in rapporto all’integrazione del contraddittorio nei confronti di quest’ultimo in quanto litisconsorte necessario).
Il ricorso è dunque rigettato. […]