Corte di Cassazione, Sez. 1, Sentenza n. 7986 del 2014, dep. il 04/04/2014


[…]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 26.01.2005 […] adiva il Tribunale di Mondovì e premesso che con sentenza del medesimo Tribunale in data 16.05-10.08.2002, passata in giudicato il 9.10.2003, […] era stato dichiarato padre naturale di […], nato a […] e da lei riconosciuto, chiedeva la condanna del […] a rimborsarle pro quota le spese per il mantenimento e l’allevamento del loro figlio, ormai maggiorenne, e che quantificava in complessivi Euro 120.000,00, oltre interessi dalla domanda al saldo, dedotto l’importo liquidato con il provvedimento del 29.07.2004 dal Tribunale di Cuneo a titolo di spese processuali. Si costituiva in giudizio il […], eccependo la prescrizione del diritto ex adverso azionato, atteso che la […], che da sempre ben sapeva che lui era il padre di suo figlio, aveva omesso di esercitare l’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità nel termine decennale di prescrizione ovvero di richiedere alcunché a titolo di contributo al mantenimento del figlio, perdendo, per intervenuta prescrizione, ogni diritto.

Con sentenza del 21.11.2007 l’adito Tribunale di Mondovì, respinta l’eccezione di prescrizione del diritto al rimborso, condannava il […] al pagamento in favore dell’attrice della, somma di Euro 120.000,00, quale quota parte a lui facente carico, delle spese sostenute dalla madre per il mantenimento del figlio, oltre agli interessi legali dalla data della domanda al saldo.

Con sentenza del 18-21.05.2009 la Corte di appello di Torino, nel contraddittorio delle parti ed in parziale accoglimento dell’appello proposto dal […], riduceva il rimborso da lui dovuto alla somma di Euro 75.000,00, oltre agli interessi legali, compensando per un terzo le spese di entrambi i gradi di giudizio e condannando il medesimo V. a rifondere alla […] i residui 2/3.

La Corte territoriale osservava e riteneva che:

– il […] aveva sostenuto che la […] era autonomamente legittimata a proporre la domanda di accertamento giudiziale di paternità, soggetta per lei a prescrizione decennale, e comunque che poiché ormai il figlio lavorava ed era da anni economicamente indipendente, la richiesta di annualità alimentari doveva ritenersi prescritta, anche alla luce dei principi vigenti in materia di prescrizione quinquennale;

– era circostanza pacifica agli atti che la sentenza dichiarativa della paternità naturale di […] nei confronti di […] era passata in giudicato nell’ottobre del 2003;

– per la signora […] il termine per far valere il suo diritto al rimborso delle spese sostenute per il mantenimento, l’educazione e l’istruzione del figlio […] decorreva solo dalla formazione del giudicato sulla paternità naturale del […] , prima del quale lei non aveva la possibilità legale di far utilmente valere il proprio diritto al rimborso verso l’altro genitore coobbligato, in quanto, anche se la (co)obbligazione era sorta per il fatto stesso della procreazione, la relativa prestazione non era esigibile prima di quel momento, atteso, che soltanto la sentenza dichiarativa della paternità comportava (come disposto dall’art. 261 c.c.: per il riconoscimento) gli effetti tipici, risalenti retroattivamente, connessi dalla legge allo status giuridico di figlio naturale: fino a tale accertamento, la […], che pure avrebbe potuto autonomamente proporre l’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità, si trovava nell’impossibilità giuridica (e non di mero fatto) a promuovere la domanda per chiedere il rimborso delle spese sostenute dalla nascita del figlio;

– infondata era altresì l’eccezione di prescrizione quinquennale ex art. 2948 c.c., giacché nel caso di specie la […] aveva agito non per il recupero di “annualità alimentari”, ma per il rimborso di spese sostenute per il mantenimento del figlio, obbligo che non aveva carattere alimentare;

– la sentenza dichiarativa della filiazione naturale produceva nel nostro ordinamento gli stessi effetti del riconoscimento e quindi implicava tutti i doveri propri della procreazione legittima, compreso quello del mantenimento del minore, ex art. 148 c.c., con la conseguenza che l’altro genitore, il quale nel frattempo avesse assunto l’obbligo del mantenimento anche per la porzione di pertinenza del genitore giudizialmente dichiarato, aveva diritto di regresso per la corrispondente quota anticipata per conto dell’altro, anche per il periodo anteriore alla dichiarazione di paternità, sulla scorta delle regole dettate dall’art. 1299 c.c. nei rapporti fra condebitori solidali;

– una volta accertato, quindi, lo status genitoriale, l’obbligo in capo al genitore dichiarato decorreva sin dalla nascita del figlio: ne conseguiva che colui che era stato dichiarato genitore doveva rimborsare all’altro coniuge le spese sostenute per il passato, mentre, per il futuro era tenuto a contribuire al mantenimento del figlio;

trattandosi, pertanto, non già di un assegno di mantenimento, valevole per il futuro, in relazione al quale, a mente dell’art. 148 c.c, nella sua determinazione il giudice valutava le condizioni economiche dei genitori, ciascuno dei quali era tenuto a provvedere “in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo”, ma di un rimborso di spese sostenute, nella relativa quantificazione il giudice poteva utilizzare il criterio equitativo, avendo il rimborso delle spese spettanti al genitore che aveva provveduto al mantenimento del figlio fin dalla nascita, natura in senso lato indennitaria ed essendo non agevole per costui dare la prova precisa di tali esborsi;

– ciò non escludeva che spettasse alla parte che agiva per il rimborso il fornire elementi per determinare, seppure in via equitativa, l’entità della sua pretesa creditoria;

– dalle dichiarazioni rese dalla signora […] emergeva che la stessa aveva attraversato momenti di difficoltà sotto il profilo, economico, avendo svolto occupazioni lavorative precarie e scarsamente retribuite, non avendo avuto aiuti economici dai propri genitori ed avendo dovuto quindi provvedere al suo mantenimento ed a quello del figlio con le sue sole modeste entrate, con cui aveva dovuto fare fronte anche alla spesa per l’affitto della casa;

– se, come risultava dalle dichiarazioni dell’appellata, il figlio […] non aveva potuto praticare sport, salvo quelle organizzate dalla scuola, così come non aveva potuto fruire di periodi di vacanze in località turistiche per le ristrettezze economiche della madre, egli aveva tuttavia seguito, dopo la licenza media, e dopo un anno d’istituto professionale un corso triennale d’informatica conseguendo la relativa abilitazione professionale: dall’età di 20-22 anni e fino ai 26 anni aveva svolto lavoretti, seppure non sempre con regolarità, con retribuzioni che, secondo la […], non superavano il milione di lire. Dall’età di 26 anni e fino ai 30 anni era stato regolarmente assunto come corriere dalla […] con uno stipendio mensile di L. 1.200.000, divenuto poi di Euro 600,00. Dal 2006 F. viveva da solo. Sulla scorta di tali risultanze doveva ritenersi che le spese sostenute per il mantenimento del figlio dovevano essere state necessariamente contenute e limitate; non avendo la […] le capacità economiche per offrire al figlio quelle possibilità che l’azione di dichiarazione di paternità le avrebbe invece consentito di conseguire, grazie all’indubbia diversa capacità del […] che già allora era titolare di una ditta di carpenteria;

– se nei primi anni di vita (dal 1976 al 1995), tenuto conto della modesta retribuzione goduta (inizialmente di L. 70.000, poi aumentata a L. 175.000, e quindi, appena sufficiente come da lei affermato a mantenersi), le spese sostenute per il bambino, anche in considerazione dell’età e delle sue esigenze, non potevano che essere state contenute e ridotte a quelle minime necessarie per il suo mantenimento, nel successivo periodo, e soprattutto con l’inizio delle scuole superiori, esse sicuramente erano state superiori, anche in considerazione delle maggiori disponibilità della […], che aveva reperito un’attività come edicolante;

– ella, infatti, pur con sacrifici, non solo aveva provveduto a tutte le esigenze alimentari, abitative, mediche, di svago del ragazzo, ma aveva sostenuto per quattro anni le spese scolastiche, non indifferenti, della scuola superiore e fatto fronte a tutte le esigenze che il figlio, affacciandosi all’età adolescenziale, aveva potuto avere;

– pertanto, l’importo da liquidarsi a titolo di rimborso spese poteva liquidarsi in Euro 75.000,00, considerato il diverso valore della lira all’epoca della nascita del figlio e negli anni seguenti, tenuto conto che la stessa signora […] aveva riconosciuto che all’età di 20-22 anni (quindi circa negli anni 1996-1998) […] aveva cominciato a percepire retribuzioni di 800 mila/un milione di lire, poi aumentate a L. 1.200.000, quando, all’età 26 anni, lo stesso era stato assunto dalla […], e che, quindi, in relazione a tale periodo, doveva presumersi (in mancanza di qualunque elemento di prova, che era onere dell’appellata offrire) che non vi fossero state spese eccezionali che la retribuzione del ragazzo non avesse consentito di coprire.

Avverso questa sentenza il […] ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi e notificato il 1.07.2010 alla […], che il 7-12.08.2010 ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale fondato su un motivo.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Deve essere preliminarmente disposta ai sensi dell’art. 335 c.p.c., la riunione dei ricorsi principale ed incidentale, proposti avverso la medesima sentenza.

A sostegno del ricorso principale il […] denunzia:

1. “Violazione di legge con riferimento agli artt. 269, 270, 2935 e 2948 c.c. motivazione confusa e contraddittoria.”. Formula conclusivamente il seguente quesito di diritto, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis “Dica la Suprema Corte se, ai sensi degli artt. 269, 270, 2935 e 2948 c.c., l’azione di accertamento di paternità e la relativa azione volta ad ottenere il rimborso pro quota per il mantenimento del figlio sia, per la madre, prescritta nel caso in cui non sia stata utilmente esercitata dalla stessa nel termine di legge, ancorché rimanga l’azione del figlio imprescrittibile ex lege”.

Si duole del confermato rigetto della sua eccezione di prescrizione del diritto al rimborso azionato dalla […], assumendo in primis che la stessa aveva mancato di agire tempestivamente nei suoi confronti per il riconoscimento della paternità naturale, ossia nel termine decennale di prescrizione di questa sua autonoma azione, termine decorrente dalla nascita del figlio, per il quale, invece, la medesima azione è imprescrittibile. Aggiunge che, avendo la […] lasciato prescrivere la sua azione di reclamo della genitorialità, aveva anche pregiudicato il suo diritto al rimborso pro quota delle spese sostenute per il figlio. Deduce ulteriormente che la richiesta di annualità alimentari avrebbe dovuto comunque intendersi prescritta alla luce dei principi vigenti in materia di prescrizioni alimentari (art. 2948 c.c.). Il motivo, articolato in due profili, non ha pregio.

Relativamente al primo profilo, involgente la questione dell’estinzione per prescrizione del diritto al rimborso “pro quota” delle spese sostenute dalla nascita del figlio, spettante al genitore che lo ha allevato, i giudici di merito si sono ineccepibilmente attenuti ai noti e richiamati principi, reiteratamente affermati da questa Corte, secondo cui tale diritto non è utilmente esercitabile se non dal momento della sentenza di accertamento della filiazione naturale, con la conseguenza che detto momento segna altresì il dies a quo della decorrenza della prescrizione del diritto stesso (cfr, tra le numerose altre, cass. n. 15756 e 23596 del 2006). D’altra parte l’art. 273 cod. civ., nel contemplare che l’azione per ottenere la declaratoria giudiziale di paternità o maternità (naturale) possa essere promossa, nell’interesse del figlio minore, dal genitore esercente la potestà (oggi responsabilità genitoriale D.Lgs. n. 154 del 2013, ex art. 32), configura un’estensione – rispetto ad un diritto personale del figlio – del potere di rappresentanza ex lege spettante al genitore (cfr, tra le altre, cass. n. 5259 del 1999; 10131 del 2005) e mira a tutelare esclusivamente detto minore, sulla base della presunzione di un suo interesse all’accertamento dello status; prevede, quindi, un caso di sostituzione processuale con il conferimento di un potere di azione a soggetto diverso dal titolare del diritto e ciò in funzione di un particolare interesse, discrezionalmente ed insindacabilmente apprezzabile dal genitore legittimato solo in via sostitutiva del figlio, all’esercizio di detto potere nel tempo anteriore al conseguimento della maggiore età del sostituito (in tema cfr. cass. n. 1771 del 1988; 12198 del 2012). L’azione del genitore di reclamo della genitorialità (naturale) nell’interesse del figlio minorenne non costituisce, quindi, azione personale del medesimo genitore, autonoma e diversa da quella spettante al figlio e soggetta, a differenza di questa che è imprescrittibile, all’ordinario termine decennale di prescrizione, la cui inutile scadenza tra l’altro ne impedirebbe, contro diritto e logica, l’esercizio nel restante periodo di persistente minore età del sostituito, conculcando l’interesse di questi, invece tutelato durante tutto il tempo di sua incapacità di agire in proprio per la tutela dei suoi diritti. Inammissibile è il secondo profilo della censura, implicante il richiamo al diverso ambito della prescrizione degli obblighi alimentari e non compendiato in correlato quesito di diritto, come prescritto dall’art. 366 bis c.p.c..

2. “Difetto di motivazione circa la valutazione della somma da corrispondersi a titolo di mantenimento del figlio”.

Formula il seguente quesito di diritto “Dica la Suprema Corte se la somma spettante a titolo di rimborso pro quota debba essere provata e dedotta nel suo ammontare o possa essere determinata in via equitativa dal Giudice”.

Il motivo è inammissibile per difetto di rituale sintesi dei rilievi svolti avverso la motivazione dell’impugnata sentenza. Come noto (tra le altre, cass SU n. 20603 del 2007; cass n. 5858 del 2013), in tema di formulazione dei motivi del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti, quale quello di specie, soggetti alle prescrizioni di cui all’art. 366 bis c.p.c., nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume viziata, ovvero le ragioni per le quali il dedotto vizio motivazionale la renda inidonea a giustificare la decisione; la relativa censura deve cioè contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità. L’onere di indicare chiaramente tale fatto, ovvero le ragioni per le quali la motivazione è viziata deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, al termine di esso, un’indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto alla illustrazione del motivo, così da consentire al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso stesso, indicazione nella specie non integrata dal formulato interrogativo, del tutto generico.

Con il ricorso incidentale la […] deduce “Omesso esame di questione decisiva non trattata in alcun modo nella sentenza impugnata in violazione degli artt. 112 e 342 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”, con riguardo alla riduzione apportata dai giudici d’appello all’importo attribuitole dal primo giudice, in tesi preclusa dall’assenza di impugnazione e contestazione in appello da parte del […].

Conclusivamente chiede se “In assenza di specifica contestazione in ordine al quantum della domanda attrice (essendo stata eccepita la prescrizione, e, in subordine, il solo periodo di durata della contribuzione) e se in mancanza di specifica impugnazione della statuizione del giudice di primo grado sul punto, il giudice d’appello possa esprimere una diversa valutazione, rideterminando in via equitativa l’importo liquidato”.

Il motivo non merita favorevole apprezzamento, dato che il […] risulta sin dal primo grado avere sostenuto di non dovere nulla alla […] per il titolo da lei azionato ed in appello specificamente chiesto pure la riduzione dell’entità del suo debito stabilita dal Tribunale.

Conclusivamente i ricorsi principale ed incidentale devono essere respinti […]