Corte di Cassazione, Sez. 2, Ordinanza n. 2038 del 2019, dep. il 24/01/2019

[…]

FATTI DI CAUSA

…., con ricorso depositato il 10/2/2004, ha chiesto che il tribunale di Venezia pronunciasse, nei confronti di … ed …, decreto avente ad oggetto l’ingiunzione al pagamento della somma di C. 36.287,96, oltre interessi e spese, quale corrispettivo per l’esecuzione di lavori edili presso l’immobile di proprietà degli stessi.
… hanno proposto opposizione al decreto ingiuntivo, chiedendone la revoca e proponendo domanda per la condanna del ricorrente alla restituzione delle somme eccedenti la presenza di vizi e difetti dei lavori eseguiti ed al risarcimento del danno, da liquidarsi in separato giudizio, conseguente alla violazione delle norme edilizie sulla costruzione dell’immobile.
… si è costituito in giudizio, eccependo la prescrizione dell’azione prevista dall’art. 1669 c.c. e chiedendo, nel merito, il rigetto dell’opposizione.
Gli attori, autorizzati alla chiamata in causa di …, progettista e direttore dei lavori, hanno chiesto la condanna dello stesso, in solido con l’appaltatore, alla restituzione di quanto versato in eccesso ed al risarcimento del danno, da liquidarsi in separato giudizio, derivato dal fatto che l’immobile era stato realizzato in violazione delle norme urbanistiche e non era dato stabilire se potesse essere condonato o demolito.
… si è costituito in giudizio eccependo l’inammissibilità della chiamata in causa, stante la diversità dei titoli di responsabilità addotti a sostegno della domanda svolta nei confronti dell’appaltatore e di quella svolta nei confronti dei terzo, e chiedendo, nel merito, il rigetto della domanda attorea in quanto gli attori erano incorsi in prescrizione e decadenza ed, in ogni caso, in quanto la domanda era infondata. Il terzo chiamato, infine, ha chiesto, in via riconvenzionale, la condanna degli attori al pagamento della somma di C. 3.641,03, oltre IVA e CNPG, quale residuo credito per le prestazioni professionali rese.
Il tribunale di Venezia, con sentenza dell’8/2/2008, ha revocato il decreto ingiuntivo opposto ed ha condannato gli attori a pagare a … la somma di €. 31.427,96, oltre interessi legali dalla domanda al saldo, ed a … la somma pari alla differenza tra € 3.641,03, oltre IVA e CNPG, ed C. 1.416,00, oltre IVA, con gli interessi legali dalla domanda al saldo, compensando le spese processuali in ragione di un terzo tra gli attori ed il convenuto … e condannando i primi a rifondere le spese residue, e compensando interamente le spese tra gli attori ed il terzo chiamato e ponendo le spese di consulenza tecnica a carico delle parti in ragione di un terzo per ciascuna.
Il tribunale, in particolare, rigettate le eccezioni di inammissibilità della chiamata in causa del terzo e di decadenza e prescrizione, da un lato, ha determinato, alla luce delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, in €. 93.659,10 il valore delle opere eseguite dal …, da cui si doveva scomputare l’importo di €. 4.050,00 per i vizi costruttivi riscontrati, e, dall’altra, ha ritenuto che nell’opera svolta dal … sussistessero modesti vizi progettuali, con il conseguente scomputo, dall’importo richiesto, della somma di €. 1.416,00, comprensiva di C. 516,00 sborsata per la sanatoria delle difformità.
Il tribunale, inoltre, ha ritenuto che dovesse essere rigettata la domanda di pagamento delle somme pretese dal Comune il 29/10/2007 per l’aumento di volume ricavato nell’immobile in difformità della concessione edilizia, sul rilievo che i calcoli eseguiti dall’amministrazione comunale erano diversi da quali effettuati dal consulente tecnico d’ufficio e che non vi fosse la prova che le difformità rispetto al progetto fossero imputabili al … ed al …, essendo probabile che l’accesso allo spazio al di sotto del portico per ricavarne spazi utili fosse stato richiesto dai committenti.
Il tribunale, infine, ha ritenuto che dovesse essere rigettata la domanda di condanna al risarcimento dei danni per il mancato utilizzo tempestivo dell’immobile in quanto la domanda era stata tardivamente formulata ed, in ogni caso, era infondata perché la minima entità dei vizi costruttivi e delle difformità rilevate non legittimavano la decisione degli attori di escludere l’appaltatore ed il direttore dei lavori dal cantiere.
…ed … hanno proposto appello con citazione del 16/4/2008.
… si è costituito ed ha chiesto il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza impugnata.
… si è costituito, riproponendo tutte le eccezioni svolte nel giudizio di primo grado e proponendo appello incidentale volto alla riforma della sentenza impugnata nella parte in cui il tribunale ha compensato le spese di lite, come pure le spese di consulenza tecnica.
La corte d’appello di Venezia, con sentenza del 18/7/2013, in riforma della sentenza impugnata, per un verso, ha revocato il decreto ingiuntivo opposto ed ha condannato gli appellanti … ed … a pagare a … la somma di € 24.836,06, oltre interessi legali dalla domanda al saldo, e, per altro verso, ha condannato … a pagare ad … ed … la somma di € 6.591,90, oltre interessi legali dalla domanda al saldo, compensando, infine, tra le parti le spese processuali di entrambi i gradi di giudizio. La corte, in particolare, per quanto ancora rileva, ha esaminato la doglianza secondo cui il tribunale avrebbe omesso di dare corso ad ulteriore attività istruttoria a seguito del deposito del provvedimento del Comune del 29/10/2007, che ha determinato in € 19.775,70 la sanzione amministrativa a carico degli appellanti per l’eccesso di volumetria realizzato rispetto al progetto assentito, e, dopo aver evidenziato che secondo il provvedimento sanzionatorio erano stati realizzati 36,43 mc in eccedenza rispetto a quelli previsti nel progetto assentito, ha ritenuto, secondo quanto emerge dalla relazione del consulente tecnico ufficio, pur se effettuata sulla base di rilievi operati sul fabbricato al grezzo, che l’abuso riguardasse il vano scantinato sotto il portico, vale a dire un vano autonomo e non di modeste difformità rispetto al progetto, del quale i committenti non avrebbero potuto non rendersi conto in corso dell’esecuzione delle opere sicché – ha concluso la corte – “è da ritenere che la realizzazione del vano interrato, che non era evidenziato nel progetto iniziale, sia avvenuta con l’assenso dei committenti medesimi” e che “tale circostanza risulta viepiù provata dal fatto che i committenti hanno sottoscritto la domanda di concessione in sanatoria del 30.3.2007 relativamente alle modifiche apportate al progetto originario“.
Sussisteva, in ogni caso, ha proseguito la corte, il concorso di colpa sia del direttore dei lavori, che dell’appaltatore, i quali, in ragione delle conoscenze tecniche specifiche di cui erano dotati, avrebbero dovuto astenersi dal prestare la loro opera per la realizzazione del vano aggiuntivo, con la conseguenza che la somma dovuta per il pagamento della sanzione dovesse essere divisa in ragione di un terzo tra i committenti, l’appaltatore e il direttore dei lavori e che, dunque, dalla somma pretesa dal …, dovesse essere detratta l’ulteriore somma di €. 6.591,90 e che la stessa somma dovesse essere detratta da quanto già corrisposto al …, riformando in tal senso la sentenza appellata.
La corte, poi, ha esaminato la censura secondo la quale nessun compenso è dovuto al … perché il tribunale avrebbe dovuto rilevare d’ufficio la nullità del contratto stipulato poiché lo stesso, in qualità di geometra, non era abilitato a progettare case di civile abitazione che necessitassero di opere di cemento armato: al riguardo, dopo aver evidenziato che, in base alla documentazione progettuale e alla parcella prodotta dal …, l’edificio era destinato ad abitazione e richiedeva la realizzazione di opere in cemento armato, ha rilevato che, in base alle norme previste dall’art. 16 del r.d. n. 274 del 1929 e dall’art. 1 del r.d. n. 2229 del 1939, la competenza in materia di costruzioni civili che adottino strutture in cemento armato, sia pure di modeste dimensioni, è riservata agli ingegneri, con la conseguenza che il progetto redatto da un geometra in materia riservata alla competenza professionale degli ingegneri è illegittimo, a nulla rilevando che un ingegnere l’abbia controfirmato e che abbia eseguito i calcoli del cemento armato ed abbia diretto le relative opere, poiché è il professionista competente che deve essere altresì titolare della progettazione, assumendosi la relativa responsabilità. In tale ipotesi, quindi, ha aggiunto la corte, il rapporto tra il geometra ed il cliente è radicalmente nullo ed al primo non spetta alcun compenso per l’opera svolta ai sensi dell’art. 2231 c.c..
La corte, inoltre, quanto alle eccezioni di difetto di legittimazione passiva, di decadenza e di prescrizione che l’appellato ha riproposto in giudizio quali argomenti ad ulteriore sostegno della domanda di pagamento del compenso richiesto, ha ritenuto che: la prima eccezione fosse infondata, sul rilievo che la deduzione della responsabilità del progettista e/o del direttore dei lavori, esclusiva o concorrente con quella dell’appaltatore convenuto in giudizio per rispondere dell’esistenza di difetti costruttivi, può comportare, configurandosi una comunanza di causa, la chiamata in causa del progettista e/o del direttore dei lavori per ordine del giudice; le eccezioni di decadenza e di prescrizione rimanessero assorbite in considerazione del fatto che è stata ritenuta ammissibile e fondata l’eccezione di nullità del contratto di prestazione d’opera professionale.
La corte, infine, in considerazione della reciproca soccombenza, ha compensato tra le parti le spese processuali di entrambi i gradi di giudizio
…, con ricorso notificato ad .., ha chiesto, per otto motivi, la cassazione della sentenza, notificata il 23/10/2013.
… ed … hanno resistito con controricorso notificato in data 17/1/2014.
… e …, nella qualità di eredi di …, deceduto il .., con ricorso notificato ad … ed … il …, hanno chiesto, per quattro motivi, la cassazione della sentenza, notificata il 23/10/2013.
… ed … hanno resistito con controricorso notificato in data 17/1/2014 nel quale hanno eccepito il difetto di integrità del contraddittorio per non essere stato notificato il ricorso a tutti i litisconsorti necessari, e cioè a … .
Le parti hanno depositato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.In via preliminare, la Corte, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., dispone la riunione dei ricorsi separatamente proposti avverso la sentenza. E tale riunione, imponendo, a norma della disposizione citata, la trattazione “in un solo processo” di tutte le impugnazioni proposte nei confronti della medesima sentenza, esclude, evidentemente, la sussistenza del denunciato difetto di integrità del contraddittorio conseguente alla mancata notifica a … del ricorso proposto da … e .. , nella qualità indicata.
2.Con il primo motivo, il ricorrente …, lamentando la violazione dell’art. 101 c.p.c. e degli artt. 24, comma 2°, e 111 Cost., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, anziché “rimettere in istruttoria la lite … e consentire un corretto contraddittorio, di merito ed istruttorio, tra le parti costituite“, lo ha condannato a versare agli appellanti la somma di €. 6.591,60, quali danni conseguenti alla sanzione inflitta dal Comune per quasi 20.000 euro, nonostante che, da un lato, la nota comunale n. … del … 2007, che dava unilateralmente conto del fatto che il Comune di si era determinato ad irrogare a … ed … la predetta sanzione, era stata prodotta dagli attori in primo grado soltanto in sede di precisazione delle conclusioni e, dall’altro lato, la circostanza relativa all’irrogazione delle sanzioni era stata dedotta solo all’udienza di precisazione delle conclusioni, quando, cioè, erano ampiamente decorsi i termini del contraddittorio di merito ed istruttorio, in tal modo menomando irrimediabilmente il diritto di difesa delle parti convenute e violando il principio del contraddittorio espresso dagli artt. 101 c.p.c., 24, comma 2°, e 111 Cost..
3. Il motivo è infondato. Intanto, non rileva il fatto, denunciato dal ricorrente, che la corte d’appello, anziché “rimettere in istruttoria la lite … e consentire un corretto contraddittorio, di merito ed istruttorio, tra le parti costituite“, abbia condannato il … sulla base di un documento acquisito nel giudizio innanzi al tribunale solo all’udienza fissata per la precisazione delle conclusioni: non risulta, infatti, né che il ricorrente, una volta acquisto il predetto documento, abbia espressamente eccepito, innanzi al tribunale, la necessità di una rimessione della causa nella fase istruttoria per consentirgli di dedurre sul punto, sia nel merito che in via istruttoria, né, soprattutto, che la decisione implicitamente assunta dal tribunale di non accedere a tale eccezione ove mai proposta) sia stata oggetto di appello incidentale da parte del …, con la conseguenza che il riesame, in questa sede, della questione di nullità della sentenza conseguente, in ipotesi, alla violazione del contraddittorio, risulta inevitabilmente precluso dal giudicato implicitamente formatosi sul punto. Quanto al resto, gli atti del giudizio di merito, cui la Corte accede direttamente in ragione dell’error in procedendo che il ricorrente ha censurato, dimostrano, unitamente agli atti del presente procedimento, che:
a) … ed …, nell’atto con il quale in data ..2004 hanno chiamato in causa …, ne hanno espressamente domandato la condanna, nella qualità di direttore dei lavori, in solido con l’appaltatore, al risarcimento di tutti i danni, da liquidarsi in separata sede, che gli stessi hanno subito in conseguenza del fatto che la costruzione è stata realizzata in violazione delle norme edilizie ed urbanistiche vigenti e che, allo stato, non era possibile stabilire se potesse essere condonata o dovesse essere demolita;
b) nel corso del giudizio, e, precisamente, all’udienza del 14/11/2007, fissata per la precisazione delle conclusioni, … ed … hanno dedotto che il Comune …, come da nota n. … del …2007, contestualmente depositata, aveva ad essi inflitto, per l’eccesso di volumetria realizzato rispetto al progetto assentito, la sanzione amministrativa di €. 19.775,70, insistendo nella domanda di condanna del chiamato in causa, nella qualità di direttore dei lavori, in solido con l’appaltatore, al risarcimento di tutti i danni, da liquidarsi in separata sede, dagli stessi subiti in conseguenza del fatto che la costruzione era stata realizzata in violazione delle norme edilizie ed urbanistiche in vigore;
c) le controparti hanno eccepito l’inammissibilità della produzione documentale in quanto successiva rispetto alla scadenza dei termini assegnati per la formulazione delle istanze istruttorie;
d) il tribunale ha ammesso la produzione del documento ma, come in precedenza evidenziato, ha rigettato la domanda sul rilievo che i calcoli eseguiti dall’amministrazione comunale erano diversi da quali effettuati dal consulente tecnico d’ufficio e che non vi fosse la prova che le difformità rispetto al progetto fossero imputabili al … ed al …, essendo probabile che l’accesso allo spazio al di sotto del portico per ricavarne spazi utili fosse stato richiesto dai committenti;
e) … ed …, nell’atto d’appello, hanno riproposto la domanda con la quale avevano chiesto la condanna del direttore dei lavori, in solido con l’appaltatore, al risarcimento di tutti i danni, da liquidarsi in separata sede, che gli stessi hanno subito in conseguenza del fatto che la costruzione è stata realizzata in violazione delle norme edilizie ed urbanistiche vigenti, ferma solo la richiesta di immediato ristoro per le somme corrisposte a titolo di sanzione per evitare la demolizione.
La sentenza impugnata, pertanto, quando ha condannato il …, nella qualità di direttore dei lavori, a pagare ad … ed … la somma di €. 6.591,90, in ragione del pregiudizio arrecato agli stessi per aver concorso alla commissione dell’illecito edilizio che ha determinato l’irrogazione a loro carico della sanzione amministrativa da parte del Comune, ha, evidentemente, accolto la domanda al risarcimento dei danni proposta dai committenti in conseguenza dei medesimi fatti che gli stessi avevano già dedotto, quale causa petendi, nell’atto di citazione contenente la chiamata in causa del …, vale a dire la realizzazione della costruzione in violazione delle norme edilizie ed urbanistiche vigenti. E così facendo, la corte d’appello si è posta in linea con i principi che questa Corte ha avuto più volte modo di affermare, vale a dire che non costituisce domanda nuova, ed è quindi ammessa nel corso di tutto il giudizio di primo grado e finché non si precisano le conclusioni, la modificazione quantitativa del risarcimento del danno in origine richiesto, intesa non solo come modifica della valutazione economica del danno costituito dalla perdita o dalla diminuzione di valore di una cosa determinata, ma anche come richiesta dei danni, provocati dallo stesso fatto che ha dato origine alla causa, che si manifestano solo nel corso del giudizio (Cass. n. 16819 del 2003; conf., Cass. n. 9453 del 2013, in motiv.): dei quali, naturalmente, devono ritenersi ammissibili, oltre alle corrispondenti allegazioni fattuali, anche le relative prove, pur se offerte o prodotte dopo la scadenza dei termini previsti dagli artt. 183 e 184 c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis, specie nel caso, come quello in esame, in cui tanto il danno (corrispondente alla sanzione amministrativa inflitta), quanto il documento che lo dimostra (il provvedimento comunale che ha inflitto tale sanzione ai committenti), sono venuti in essere successivamente alle relative preclusioni. D’altra parte, nel giudizio di risarcimento del danno è consentito all’attore chiedere per la prima volta in appello un risarcimento degli ulteriori danni, provocati dal medesimo illecito, manifestatisi solo in corso di causa (Cass. n. 9453 del 2013).
4.Con il secondo motivo, il ricorrente …, lamentando la violazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello lo ha condannato a versare agli appellanti la somma di €. 6.591,60, pur in mancanza di documentazione tecnica e/o fotografica che nel contraddittorio delle parti avrebbe potuto attestare in modo verosimile uno stato di fatto che potesse astrattamente dimostrare la legittimità del provvedimento sanzionatorio emesso dal Comune e la responsabilità in ordine alla sanzione del geom. …, e pur in mancanza di prova da parte degli appellanti di aver effettivamente versato al Comune la sanzione irrogata, in tal modo violando, per la mancanza di un mezzo istruttorio legittimamente acquisito al processo, l’art. 115 c.p.c., a norma del quale il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove offerte dalle parti, come tale non potendo essere considerato il provvedimento comunale del … 2007, depositato tardivamente dagli attori ed, in quel momento, neppure definitivo per decorso del termini per la sua impugnazione.
5.11 motivo è infondato. Il ricorrente, infatti, incorre nell’equivoco di ritenere che la violazione o la falsa applicazione di norme di legge processuale dipendano o siano ad ogni modo dimostrate dall’erronea valutazione del materiale istruttorio, laddove, al contrario, un’autonoma questione di malgoverno degli artt. 115 e 116 c.p.c. può porsi, rispettivamente, solo allorché il ricorrente alleghi che il giudice di merito: 1) abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge; 2) abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione (Cass. n. 27000 del 2016). Del resto, affinché sia rispettata la prescrizione desumibile dal combinato disposto dell’art. 132 n. 4 e degli artt. 115 e 116 c.p.c., non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata all’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla ovvero la carenza di esse (Cass. 24434 del 2016). La valutazione degli elementi istruttori costituisce, infatti, un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.). Nel quadro del principio, espresso nell’art. 116 c.p.c., di libera valutazione delle prove (salvo che non abbiano natura di prova legale), del resto, il giudice civile ben può apprezzare discrezionalmente gli elementi probatori acquisiti e ritenerli sufficienti per la decisione, attribuendo ad essi valore preminente e così escludendo implicitamente altri mezzi istruttori richiesti dalle parti: il relativo apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità, purché risulti logico e coerente il valore preminente attribuito, sia pure per implicito, agli elementi utilizzati. (Cass. n. 11176 del 2017). In effetti, non è compito di questa Corte quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008).
6. Con terzo motivo, il ricorrente …, lamentando l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1227 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, pur avendo correttamente rilevato che, con riferimento al vano autonomo sito al di sotto del porticato, i committenti non avrebbero potuto non rendersi conto in corso dell’esecuzione delle opere e che, dunque, la realizzazione del vano interrato, che non era evidenziato nel progetto iniziale, è avvenuta con l’assenso dei committenti medesimi tant’è che gli stessi hanno sottoscritto la domanda di concessione in sanatoria del … 2007 relativamente alle modifiche apportate al progetto originario, ha nondimeno ritenuto la sussistenza di un concorso di colpa sia del direttore dei lavori, che dell’appaltatore, sul rilievo che gli stessi, in ragione delle conoscenze tecniche specifiche di cui erano dotati, avrebbero dovuto astenersi dal prestare la loro opera per la realizzazione del vano aggiuntivo, e lo ha, quindi, condannato a versare agli appellanti la somma di €. 6.591,60, in tal modo, però, omettendo di considerare alcuni fatti, assolutamente decisivi ed oggetto di contraddittorio nei precedenti gradi di giudizio, e cioè che: – i lavori di ristrutturazione non erano mai stati portati a compimento dall’impresa …; – gli abusi riscontrati dai consulenti tecnici facevano riferimento alle opere al grezzo; – in data … 2009, … e … erano stati diffidati ad accedere al cantiere e non vi avevano in seguito più messo piede. I committenti, quindi, perfettamente a conoscenza del vano tecnico al di sotto del portico, avrebbero potuto portare a termine i lavori appaltati all’impresa … e completare le lavorazioni relative al piano interrato, eliminando il vano originariamente non previsto. Ne consegue, ha concluso il ricorrente, che, se il Comune ha poi accertato l’esistenza di un volume abusivo, ciò è dipeso unicamente ed esclusivamente dal comportamento di … ed …, che non hanno portato a conclusione i lavori con l’eliminazione del vano, e lo hanno poi denunciato al Comune. L’irrogazione della sanzione, quindi, ha concluso il ricorrente, è addebitabile unicamente a fatto e colpa dei committenti e costituisce un danno che essi, usando l’ordinaria diligenza, ben avrebbero potuto evitare in tutto o in parte.
7.Il motivo è infondato. Il giudizio d’appello, per come incontestatamente ricostruito nella sentenza impugnata, non risulta aver avuto ad oggetto la questione relativa alla esclusiva imputabilità ai committenti – in quanto dagli stessi evitabile con l’ordinaria diligenza mediante l’eliminazione, in sede di completamento dei lavori, del vano originariamente non previsto – del danno dagli stessi subito in conseguenza della edificazione del vano non assentito e della sanzione amministrativa conseguentemente inflitta dal Comune. Ed è noto, invece, che i motivi del ricorso per cassazione devono investire questioni che abbiano formato oggetto del thema decidendum del giudizio di secondo grado, come fissato dalle impugnazioni e dalle richieste delle parti: in particolare, non possono riguardare nuove questioni di diritto se esse postulano indagini ed accertamenti in fatto non compiuti dal giudice del merito ed esorbitanti dai limiti funzionali del giudizio di legittimità (Cass. n. 16742 del 2005; Cass. n. 22154 del 2004; Cass. n. 2967 del 2001). Pertanto, secondo il costante insegnamento di questa Corte (cfr. Cass. n. 20518 del 2008; Cass. n. 6542 del 2004), qualora una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa: ciò che, nel caso di specie, non è accaduto. Il ricorrente, infatti, non ha specificamente indicato, con la riproduzione in ricorso dei corrispondenti passi dei suoi scritti difensivi, se e come abbia rappresentato tale questione al giudice dell’impugnazione della sentenza di primo grado. La sentenza impugnata, del resto, è stata depositata dopo 1’11/9/2012, trovando, dunque, applicazione l’art. 360 n. 5 c.p.c. nel testo in vigore successivamente alle modifiche apportate dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni con la I. n. 134 del 2012, a norma del quale la sentenza può essere impugnata con ricorso per cassazione solo in caso omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Ed è noto come, secondo le Sezioni Unite (n. 8053 del 2014), la norma consente di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico“, nella “motivazione apparente“, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile“, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, un esito diverso della controversia (Cass. n. 14014 del 2017, in motiv.; Cass. n. 9253 del 2017, in motiv.; Cass. n. 7472 del 2017). Ne consegue che, nel rispetto delle previsioni degli artt. 366, comma 1°, n. 6, e 369, comma 2°, n. 4, c.p.c., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n. 14014 del 2017, in motiv.; Cass. n. 9253 del 2017, in motiv.). Nel caso in esame, invece, il ricorrente non ha indicato, riproducendone in ricorso la relativa deduzione, se e come abbia rappresentato, innanzi al giudice di merito, i fatti, come in precedenza esposti, che, ai fini dallo stesso desiderati, la corte d’appello avrebbe omesso di esaminare. Si tratta, peraltro, di fatti che, pur se espressamente esaminati, non risultano tali da far ritenere che la corte d’appello, se li avesse esaminati, avrebbe senz’altro assunto una decisione diversa da quella presa. Il giudice distrettuale, infatti, intanto ha ritenuto che il direttore dei lavori dovesse rispondere del danno subìto dai committenti per effetto della sanzione amministrativa, pari ad €. 19.775,70, che il Comune aveva ad essi inflitto, in quanto ha accertato, in fatto, che il direttore dei lavori, al pari dell’appaltatore, aveva prestato la sua opera per “... la realizzazione del vano interrato, che non era evidenziato nel progetto iniziale …“: e ciò prescinde, evidentemente, dal fatto che, in via di mera ipotesi, tale vano aggiuntivo, una volta realizzato, avrebbe potuto essere, in seguito, rimosso. La conclusione cui è pervenuta la corte d’appello risulta, in definitiva, fondata su un accertamento in fatto (tale essendo quello che, in generale, riguarda i presupposti per l’applicabilità della disciplina prevista dall’art. 1227, comma 2°, c.c., che esclude il risarcimento con riguardo ai danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza, trattandosi di un’indagine di fatto, riservata al giudice di merito, che rimane sottratta al sindacato di legittimità se non per vizi della motivazione: cfr. Cass. SU n. 12348 del 2007) che, giusto o sbagliato che sia, non è suscettibile, in quanto scevro di quei soli ed evidenti vizi logici o giuridici ammessi dalle richiamate pronunzie delle Sezioni Unite, di sindacato in sede di legittimità, rimanendo istituzionalmente riservato al giudice di merito (Cass. n. 30921 del 2017, in motiv.).
8.Con il quarto motivo, il ricorrente …, lamentando l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, sull’art. 360 n. 5 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello lo ha condannato a versare agli appellanti la somma di €. 6.591,60, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, laddove, in realtà, mentre la domanda è stata proposta con citazione notificata il … 2004, il provvedimento con il quale il Comune ha irrogato la sanzione è stato emesso in data … 2007.
9.Il motivo è fondato. Gli interessi dovuti da chi è tenuto al risarcimento di un danno sulle somme liquidate a tale titolo (che, in quanto illiquido, non consente la decorrenza degli interessi di pieno diritto), infatti, decorrono – in funzione compensativa del pregiudizio subìto dal creditore per il tardivo conseguimento della somma corrispondente al suo equivalente pecuniario – dalla maturazione del diritto, e cioè dal momento del fatto illecito, il quale, però, richiede non solo il compimento dell’atto illecito, ma anche la verificazione dell’evento lesivo. Nel caso di specie, il fatto illecito, che la corte d’appello ha accertato, si è perfezionato con il provvedimento del Comune che, in data … 2007, nel corso del giudizio, ha inflitto la sanzione amministrativa: ed è, quindi, da tale data (e non certo dalla domanda risarcitoria anteriormente proposta) che gli interessi dovevano essere calcolati.
10. Con il quinto motivo, il ricorrente …, lamentando la violazione e l’erronea interpretazione ed applicazione dell’art. 16 del r.d. n. 274 del 1929, dell’art. 17 della I. n. 64 del 1974, dell’art. 2 della I. n. 1086 del 1981 nonché degli artt. 1418 e 2231 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha rigettato la domanda riconvenzionale proposta ritenendo che il contratto di prestazione d’opera professionale stipulato da un geometra, tutte le volte in cui il progetto prevede l’adozione, anche in minima parte, di strutture in cemento armato in una futura costruzione civile, è nullo ai sensi dell’art. 1418 c.c., per violazione di una norma imperativa, e non dà diritto ad alcun compenso, laddove, al contrario, in base alle norme previste dal r.d. n. 274 del 1929, che disciplina le competenze professionali del geometra, dalla I. n. 144 del 1949, che ha approvato la relativa tariffa, dal r.d. n. 2229 del 1939, dalla successiva I. n. 1086 del 1971 e dalla I. n. 64 del 1964, rientra nella competenza dei geometri anche la progettazione di costruzioni di cemento armato, purché, secondo un’indagine da svolgere caso per caso, tali costruzioni, sotto il profilo tecnico-qualitativo, rientrino, per i problemi tecnici che implicano, nella loro competenza professionale, al pari della direzione dei relativi lavori, e che, secondo il criterio economico-quantitativo, non comportino pericoli per l’incolumità pubblica.
11. Il motivo è infondato. Il ricorrente, infatti, ha riproposto argomenti già più volte esaminati e disattesi dalla giurisprudenza civile di questa Corte, la quale ha costantemente evidenziato come ai geometri sia solo consentita, ai sensi della norma contenuta nell’art. 16, lett. m) del r.d. n. 274 del 1929, la progettazione, direzione e vigilanza di modeste costruzioni civili, con esclusione in ogni caso di opere che prevedono l’impiego di strutture in cemento armato, a meno che non si tratti di piccoli manufatti accessori, nell’ambito di fabbricati agricoli o destinati alle industrie agricole, che non richiedano particolari operazioni di calcolo e che per la loro destinazione non comportino pericolo per l’incolumità pubblica. Peraltro, trattandosi di una scelta inequivoca del legislatore dettata da evidenti ragioni di pubblico interesse, i limitati margini di discrezionalità accordati all’interprete attengono soltanto alla valutazione dei requisiti della modestia delle costruzioni, della non necessità di complesse operazioni di calcolo ed all’assenza di implicazioni per la pubblica incolumità, mentre invece, per l’altra condizione, costituita dalla natura di annesso agricolo o industriale agricolo dei manufatti, eccezionalmente progettabili dagli anzidetti tecnici anche nei casi di impiego di cemento armato, non vi sono margini di sorta, attesa la chiarezza e tassatività del precetto normativo, esigente un preciso requisito (la suddetta destinazione), che o c’è o non c’è. Disattesa, per le suesposte considerazioni, la possibilità di un’interpretazione estensiva della citata disposizione, deve altresì escludersi, ai sensi dell’art. 14 disp.gen., l’applicabilità analogica della deroga, contenuta nell’art 16, lett. m) del r.d. cit., al generale divieto di progettazione di opere in cemento armato, in considerazione della evidenziata natura eccezionale della norma, che pertanto non si presta, de iure condito, ad adattamenti di tipo “evolutivo”, quale che sia la meritevolezza delle esigenze al riguardo prospettate. Va ancora precisato, per completezza, che di nessun apporto alla suddetta tesi è il richiamo alle previsioni contenute nei testi normativi disciplinanti le costruzioni in cemento armato e quelle nelle zone sismiche, considerato che sia l’art. 2 della I. n. 1086 del 1971, sia l’art. 17 della I. n. 64 del 1974 fanno riferimento, per quanto attiene alla progettazioni in questione da parte delle varie categorie di professionisti, ai limiti delle rispettive competenze, così chiaramente rinviando, senza introdurre autonomi ed innovativi criteri attributivi di competenza, alle previgenti rispettive normative professionali di riferimento, tra le quali, dunque, per quanto riguarda i geometri, quella in precedenza esaminata, che è rimasta immutata (Cass. n. 19292 del 2009; conf., Cass. n. 27441 del 2006; Cass. n. 6649 del 2005; Cass. n. 3021 del 2005; Cass. n. 5961 del 2004; Cass. n. 15327 del 2000; Cass. n. 5873 del 2000; Cass. n. 3046 del 1999; Cass. n. 1157 del 1996). Ne consegue la nullità del contratto di affidamento della direzione dei lavori di costruzioni civili ad un geometra, ove la progettazione richieda l’esecuzione, anche parziale, dei calcoli in cemento armato, trattandosi di attività demandata agli ingegneri, attese le limitate competenze attribuite ai geometri dall’art. 16 del r.d. n. 274 del 1929 (Cass. n. 5871 del 2016; Cass. n. 19989 del 2013, per cui il contratto di progettazione e direzione dei lavori relativo a costruzioni civili che adottino strutture in cemento armato stipulato da un geometra anteriormente all’abrogazione – ad opera del d.lgs. n. 212 del 2010 – del r.d. n. 2229 del 1939, è nullo in quanto contrario a norme imperative, sul rilievo che la menzionata abrogazione, comportando l’introduzione di una disciplina innovativa e non già interpretativa della normativa previgente, non ha prodotto effetti retroattivi idonei ad incidere sulla qualificazione degli atti compiuti prima della sua entrata in vigore e non ha, dunque, influito sulla invalidità del contratto, regolata dalla legge del tempo in cui lo stesso è stato concluso). La decisione impugnata è, dunque, sul punto giuridicamente corretta: la corte d’appello, infatti, dopo aver accertato, in fatto, che l’edificio progettato dal ricorrente era destinato ad abitazione e richiedeva la realizzazione di opere in cemento armato, ha giustamente ritenuto la nullità del relativo contatto trattandosi di progetto redatto da un geometra in materia estranea alla relativa competenza professionale.
12. Con il sesto motivo, il ricorrente …, lamentando l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c. e la conseguente violazione ed erronea interpretazione ed applicazione dell’art. 16 del r.d. n. 274 del 1929, dell’art. 17 della l. n. 64 del 1974, dell’art. 2 della l. n. 1086 del 1981 nonché dell’art. 1418 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, in accoglimento dell’eccezione di nullità contrattuale, ha rigettato la domanda riconvenzionale proposta, omettendo, tuttavia, di esaminare fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, e cioè che: – l’oggetto del progetto realizzato e poi diretto dal geom. … era un intervento di ristrutturazione edilizia di un edificio già esistente, e non un’opera di nuova edificazione; – l’edificio interessato era un modesto fabbricato rurale, non destinato ad abitazione; – l’edificio oggetto del progetto di ristrutturazione era, per la volumetria e la superficie coinvolte, di modeste dimensioni, vale a dire una modesta costruzione civile, rientrante, quindi, nella competenza professionale dei geometri.
13. Il motivo è infondato. Il giudizio d’appello, per come incontestatamente ricostruito nella sentenza impugnata, non risulta aver avuto ad oggetto le questioni che il ricorrente ha indicato. E si è già detto che i motivi del ricorso per cassazione devono investire questioni che abbiano formato oggetto del thema decidendum del giudizio di secondo grado, come fissato dalle impugnazioni e dalle richieste delle parti: in particolare, non possono riguardare nuove questioni di diritto se esse postulano indagini ed accertamenti in fatto non compiuti dal giudice del merito ed esorbitanti dai limiti funzionali del giudizio di legittimità.
14. Con il settimo motivo, il ricorrente …, lamentando la violazione e l’erronea interpretazione ed applicazione dell’art. 16 del r.d. n. 274 del 1929, dell’art. 17 della l. n. 64 del 1974, dell’art. 2 della l. n. 1086 del 1981 nonché degli artt. 1418 e 2231 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, in accoglimento dell’eccezione di nullità contrattuale, ha rigettato la domanda riconvenzionale proposta ritenendo irrilevante che l’attività di progettazione e di direzione dei lavori delle strutture in cemento armato fosse stata eseguita, in accordo con i committenti, dall’arch. …., laddove, in realtà, ove il tecnico laureto abbia assunto, in modo esplicito, sia nei confronti del committente privato, che della pubblica amministrazione, la responsabilità per tutti quei profili che nell’ottica della tutela della pubblica incolumità richiedono specificamente il suo intervento, la normativa di legge sulle competenze professionali non può dirsi violata.
15. Il motivo è infondato. Escluso, infatti, per quanto in precedenza esposto, ogni rilievo ai fatti che la sentenza non ha espressamente rappresentato quali oggetto del suo accertamento, non avendo il ricorrente dedotto il come e il quando ne avesse fatto allegazione nel corso del giudizio di merito, la Corte non può che ribadire il principio per cui il progetto redatto da un geometra in materia riservata alla competenza professionale degli ingegneri è illegittimo, a nulla rilevando né che sia stato controfirmato da un ingegnere, né che un ingegnere abbia eseguito i calcoli del cemento armato e diretto le relative opere, perché è il professionista competente che deve essere, altresì, titolare della progettazione, assumendosi la relativa responsabilità. Ne consegue che, nella suddetta ipotesi, il rapporto tra il geometra ed il cliente è radicalmente nullo ed al primo non spetta alcun compenso per l’opera svolta, ai sensi dell’art. 2231 c.c. (Cass. n. 6402 del 2011) È appena il caso di ricordare che nell’ambito della disciplina normativa sopra evidenziato, dal quale emerge una chiara ripartizione di competenze tra geometri ed altri professionisti in riferimento alla progettazione ed alla direzione di opere relative a costruzioni ed edifici, trova fondamento l’orientamento giurisprudenziale di questa Corte, dal quale non vi sono ragioni per discostarsi, secondo cui la progettazione e la direzione di opere da parte di un geometra in materia riservata alla competenza professionale degli ingegneri e degli architetti sono illegittime, cosicché a rendere legittimo un progetto redatto da un geometra non rileva che esso sia controfirmato o vistato da un ingegnere ovvero che un ingegnere esegua i calcoli del cemento armato e diriga le relative opere, perché è il professionista competente che deve essere, altresì, titolare della progettazione, trattandosi di incombenze che devono essere inderogabilmente affidate dal committente al professionista abilitato secondo il proprio statuto professionale, sul quale gravano le relative responsabilità. Anche per tale ragione, dunque, correttamente la sentenza impugnata ha concluso per la nullità del contratto (Cass. n. 3021 del 2005, secondo cui, per il disposto dell’art. 2231 c.c., l’esecuzione di una prestazione d’opera professionale di natura intellettuale effettuata da chi non sia iscritto nell’apposito albo previsto dalla legge, dà luogo a nullità assoluta del rapporto tra professionista e cliente, privando il contratto di qualsiasi effetto, in contrario non rilevando la circostanza che il progetto dell’opera realizzando risulti redatto da altro professionista (nel caso, un ingegnere) cui quello incaricato (nel caso, un geometra) si sia al riguardo rivolto, dal personale possesso del titolo abilitante da parte di quest’ultimo dipendendo la validità del negozio).
16. Con l’ottavo motivo, il ricorrente …, lamentando la violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che le eccezioni preliminari, che aveva proposto quale convenuto appellato, di prescrizione e di decadenza del diritto fatto valere da …ed … dovessero ritenersi assorbite in ragione della fondatezza dell’eccezione di nullità del contratto di prestazione d’opera professionale avente ad oggetto la progettazione della costruzione, laddove, al contrario, la parziale cassazione della sentenza in ragione dei precedenti motivi di ricorso, conduce a ritenere che le eccezioni preliminari di decadenza e di prescrizione non potranno più ritenersi assorbite.
17. Il motivo è assorbito dal rigetto degli altri.
18. Il ricorso dev’essere, quindi, accolto, limitatamente al quarto motivo e la sentenza impugnata, in relazione a tale motivo, dev’essere, per l’effetto, cassata. Peraltro, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la Corte ritiene di pronunciare, ai sensi dell’art. 384, comma 2°, c.p.c., nel merito stabilendo che gli interessi liquidati dalla corte d’appello decorrano dal … 2007, e non dalla domanda, e confermando le statuizioni della sentenza impugnata relativamente alle spese di lite.
19. Con il primo motivo, i ricorrenti … e …, nella qualità di eredi di …, lamentando la violazione di norme di diritto, in relazione agli artt. 81 – 99 e 100 c.p.c. e dell’art. 1188 c.c., hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha detratto dal prezzo dell’appalto l’importo di €. 6.591,90, pari ad un terzo della sanzione inflitta, in tal modo ignorando che il diritto al pagamento della sanzione amministrativa compete al Comune … e non ai committenti.
20. Con il secondo motivo, i ricorrenti … e …, nella indicata qualità, lamentando la violazione di norme di diritto, in relazione all’art. 1299 c.c., hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, prendendo atto che la sanzione irrogata dal Comune prevede un’obbligazione di pagamento solidale tra l’impresa, la committenza e la direzione dei lavori ma senza tener conto del fatto che la sanzione non è stata pagata, ha condannato il … a pagare un terzo dell’obbligazione di uno dei condebitori solidali, laddove, al contrario, a norma dell’art. 1299 c.c., solo il debitore in solido che ha pagato l’intero debito può ripetere dai condebitori solo la parte di ciascuno di essi.
21. Il primo ed il secondo motivo, da esaminare congiuntamente, sono infondati. I ricorrenti, infatti, – che, quali figlio e moglie del defunto (v. la dichiarazione di successione depositata in giudizio) e, quindi, chiamati ex lege alla relativa eredità, avendo agito in giudizio per far valere il residuo credito del de cuius, hanno assunto un comportamento incompatibile con la volontà di rinunciarvi, dimostrando di essere eredi di… (cfr. Cass. n. 6745 del 2018) e, come tali, legittimati a succedergli nel processo ai sensi dell’art. 110 c.p.c. – mostrano di non aver colto la ratio della pronuncia che hanno impugnato, la quale, infatti, quando ha ritenuto che, in ragione del concorso di colpa tra i committenti, il direttore dei lavori e l’appaltatore, la somma dovuta per il pagamento della sanzione inflitta del Comune dovesse essere divisa in ragione di un terzo tra gli stessi e che, dunque, l’importo di €. 6.591,90 dovesse essere (ulteriormente) detratto dalla somma complessivamente pretesa dal …, non ha affatto attribuito ai committenti la legittimazione a far valere il diritto del Comune di riscuotere l’importo della sanzione, né ha consentito agli stessi di esercitare il diritto di regresso senza aver prima pagato l’importo totale: la sentenza impugnata, più semplicemente, ha riconosciuto ai committenti, cui la sanzione amministrativa è stata inflitta (non importa se in solido con gli stessi danneggianti), il diritto di essere, sia pure in parte, risarciti del danno, che il giudice di merito ha così accertato e determinato, dagli stessi conseguentemente subìto.
22. Con il terzo motivo, i ricorrenti … e .., lamentando l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha omesso di considerare che la sanzione irrogata dal Comune non era definitiva e che le relazioni peritali depositate prima e durante il giudizio avevano escluso la sussistenza di abusi edilizi.
23. Con il quarto motivo, i ricorrenti … e …, lamentando la falsa applicazione di norme di diritto, in relazione agli artt. 1218, 2043 e 2740 c.c., hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, condannando l’impresa e il direttore dei lavori al pagamento dei due terzi della sanzione amministrativa, ha consentito al proprietario committente di mantenere la volumetria in eccesso, addebitando il costo di tale opzione, decisa solo dal proprietario, su chi non vanta alcun diritto nella gestione e della disposizione del bene.
24. Il terzo ed il quarto motivo, da trattare congiuntamente, sono infondati. Il giudizio d’appello, per come incontestatamente ricostruito nella sentenza impugnata, non risulta aver avuto ad oggetto le questioni che il ricorrente ha indicato nei motivi in esame. E si è già detto che i motivi del ricorso per cassazione devono investire questioni che abbiano formato oggetto del thema decidendum del giudizio di secondo grado, come fissato dalle impugnazioni e dalle richieste delle parti: in particolare, non possono riguardare nuove questioni di diritto se esse postulano indagini ed accertamenti in fatto non compiuti dal giudice del merito ed esorbitanti dai limiti funzionali del giudizio di legittimità. […]