Corte di Cassazione, Sez. 2, Ordinanza n. 21503 del 2018, dep. il 31.08.2018

[…]

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO

  1. Con atto di citazione del 12 agosto 2004 […] convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Trani il germano[…], chiedendo l’apertura della successione di […] e di […], dichiarando la nullità delle donazioni effettuate in vita dal primo in favore del convenuto, nella misura in cui ledevano la quota di legittima degli attori, con la conseguente reintegra della quota in questione, oltre alla condanna del convenuto alla restituzione dei frutti dei beni donati e goduti in maniera esclusiva, e con la successiva divisione della massa ereditaria.
    A sostegno della domanda deducevano che in data […]2003 era deceduto in […] il genitore […], lasciando a se superstiti il coniuge […] ed i tre figli […]; inoltre la sua successione era regolata da testamento pubblico del […]2002 che prevedeva delle disposizioni testamentarie a favore dei suoi congiunti.
    Tuttavia in data […] il de cuius aveva donato al figlio […] con atto per notar […], alcune delle unità immobiliari che nel testamento erano invece state attribuite alla figlia […], oltre al fondo in […].
    Aggiungevano, anche, che in vita il defunto aveva effettuato numerose donazioni in denaro sempre in favore del figlio […] al fine di permettergli l’acquisto di terreni in […], con la conseguenza che il valore complessivo delle donazioni effettuate eccedeva l’ammontare della disponibile con la lesione dei diritti degli altri legittimari. Infine, in data […]2003 era deceduta ab intestato anche […], lasciando come unici eredi i tre figli.
    Si costituiva il convenuto il quale evidenziava la litispendenza con un altro giudizio pendente presso la sezione distaccata di Barletta ed avente ad oggetto la nullità della donazione del […]2003, giudizio del pari instaurato dagli attori, e concludeva per la declaratoria di nullità dell’atto di citazione e comunque per il rigetto delle domande proposte.
    Con atto notificato in data 24/12/2008 gli attori rinunciavano agli atti del giudizio, rinuncia però non accettata dal convenuto.
    Quindi il Tribunale adito con la sentenza n. 889/2010, esclusa la possibilità di dichiarare l’estinzione del giudizio, rigettava le domande degli attori, in quanto non provate.
    A seguito di appello di […], la Corte d’Appello di Bari con la sentenza n. 1163/2014, rigettava il gravame, compensando per un terzo le spese di lite e ponendo la residua parte a carico dell’appellante.
    In primo luogo rilevava che non poteva essere accolta l’eccezione dell’appellato secondo cui non poteva pervenirsi ad una decisione nel merito, dovendo escludersi la possibilità di dichiarare la cessazione della materia del contendere, posto che, una volta esclusa la intervenuta accettazione della rinuncia agli atti del giudizio operata dalle originarie parti attrici, e dovendosi distinguere la rinuncia de qua dalla rinuncia alla domanda, si imponeva da parte del giudice di primo grado una decisione nel merito della controversia.
    Quanto alla doglianza di merito, che investiva l’affermazione del Tribunale in punto di carenza di prova della domanda attorea, la sentenza d’appello richiamava la giurisprudenza di legittimità per la quale in caso di esercizio dell’azione di riduzione, l’attore deve allegare e comprovare gli elementi che la fondano, laddove nel caso in esame, gli attori si erano limitati a richiamare il contenuto del testamento paterno e dell’atto di donazione del […]2003, facendo anche un non precisato riferimento a donazioni indirette, affermazioni queste che non soddisfacevano il requisito di specificità della domanda.
    Solo in appello si era cercato di porre rimedio a tali carenze, ma con la mera indicazione del valore catastale dei beni, ma senza specificare quale realmente fosse il loro valore di mercato.
    Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione […] sulla base di due motivi.
    […] ha resistito con controricorso.
    […] non ha svolto difese in questa fase.
  2. Preliminarmente deve essere disattesa la deduzione di cui al controricorso secondo cui l’appello era da reputarsi inammissibile. Si sostiene, infatti, che a seguito della rinuncia agli atti formulata dagli attori, sebbene non accettata dal convenuto, gli attori stessi non avevano precisato le loro conclusioni nel merito, instando semplicemente per la dichiarazione di estinzione del giudizio, con la conseguenza che le domande in origine proposte dovevano reputarsi abbandonate ed insuscettibili di riproposizione in sede di appello.
    Osserva il Collegio che la questione è stata quanto meno implicitamente risolta dal giudice di appello, e che pertanto il convenuto per contestarne la correttezza avrebbe dovuto proporre un motivo di ricorso incidentale, non essendo a tal fine sufficiente il mero richiamo alla ricorrenza di una causa di inammissibilità del gravame.
    Ed, invero, il Tribunale ha escluso che fosse maturata la fattispecie estintiva di cui all’art. 306 c.p.c., in assenza dell’adesione del convenuto alla rinuncia agli atti degli attori, ed ha reputato doveroso pronunciare nel merito della domanda attorea, pervenendo al suo rigetto, in tal senso opinando che la domanda attorea fosse ancora in piedi.
    La Corte d’appello ha a sua volta deciso nel merito la causa, disattendendo la deduzione dell’appellato secondo cui in realtà si sarebbe dovuta dichiarare la cessazione della materia del contendere, ed è pervenuta al rigetto dell’appello, che investiva la correttezza della decisione di prime cure che aveva reputato che la domanda attorea non fosse provata.
    Pertanto, ha quanto meno implicitamente, ritenuto che le domande di merito degli attori, che erano le uniche proposte nel giudizio, dovessero essere decise, escludendo quindi che la rinuncia agli atti ne precludesse la disamina, non potendosi attribuire a tale rinuncia la sua efficacia in assenza dell’adesione del convenuto.
    Sempre in via preliminare deve rilevarsi l’invalidità della procura con la quale la ricorrente ha nominato come proprio difensore, in aggiunta a quello originario, […], attesa l’inapplicabilità alla fattispecie ratione temporis, trattandosi di causa già pendente alla data del 4 luglio 2009, della novellata previsione di cui all’art. 83 c.p.c., in assenza di designazione del nuovo difensore con procura speciale per atto pubblico o scrittura privata autenticata (conf. Cass. n. 18323/2014).
  3. Il primo motivo di ricorso lamenta ex art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c. l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio rappresentato dalla nullità delle donazioni effettuate dal de cuius con atto del […]2003, in violazione degli artt. 769 e 177 c.c., nonché dell’art. 788 c.c..
    Si sostiene che era stata eccepita la nullità della donazione in oggetto, in quanto con la stessa il padre della ricorrente aveva donato al figlio […] dei beni che erano in comunione legale con la moglie, […] e senza il consenso di quest’ultima. Inoltre la donazione sarebbe in ogni caso affetta da nullità in quanto l’unica ragione per la quale è stata compiuta consiste nella intenzione del donante di privare la figlia […] ed il coniuge dei diritti che erano stati loro precedentemente attribuiti per testamento, ed al fine di attuare un arricchimento esclusivo del donatario. La questione della nullità della donazione era stata dedotta in sede di merito ma non ha ricevuto alcuna considerazione né dal Tribunale né dalla Corte d’Appello.
    Il motivo deve essere disatteso.
    In primo luogo il ricorso pecca evidentemente del requisito di specificità di cui all’art. 366 co. 1 n. 6 c.p.c. nella parte in cui omette di riportare il testo sia del testamento pubblico del […]2002 (le cui previsioni si assume siano state deliberatamente travolte dal testatore con il successivo atto di donazione) sia dell’atto di donazione, al fine di apprezzare quale fosse l’assetto patrimoniale che il de cuius aveva inteso assicurare con l’atto di ultima volontà e poterlo confrontare con il successivo atto di liberalità, onde verificare sulla base della lettura del ricorso l’effettiva corrispondenza tra i beni lasciati per testamento e quelli invece donati.
    Tale omissione incide ancor più sulla valutazione di decisività della censura mossa, in relazione al profilo anche della nullità derivante dal compimento di un atto dispositivo di beni cadenti in comunione legale, posto che la mancata riproduzione dell’atto di donazione, non consente di poter verificare, in assenza anche di una puntuale indicazione contenuta nel motivo, quali cespiti siano stati oggetto della donazione e quando e con quali modalità gli stessi fossero stati in precedenza acquistati dal donante.
    In disparte l’assorbenza di tale rilievo, e sebbene il riscontro della nullità possa essere operato anche d’ufficio dal giudice delle impugnazioni, il ricorso omette altresì di specificare con precisione in che fase e con quale specifico atto difensivo fosse stata sollevata in sede di merito la questione relativa alla nullità della donazione per avere ad oggetto beni in comunione legale tra i genitori degli odierni contendenti.
    A tal riguardo si rileva che della questione non vi è menzione alcuna in sentenza, sicché va dato seguito alla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 2443/2016) a mente della quale in sede di legittimità non è consentita la proposizione di nuove questioni di diritto, ancorché rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, quando esse presuppongano o richiedano nuovi accertamenti o apprezzamenti di fatto preclusi alla Corte di cassazione, salvo che nelle ipotesi previste dall’art. 372 c.p.c., tra le quali rientra la nullità della sentenza purché il vizio infici direttamente il provvedimento e non sia effetto di altra nullità relativa al procedimento. Peraltro la verifica circa la sussistenza della dedotta nullità implica all’evidenza accertamenti in fatto, dovendo porsi come preliminare verifica quella relativa all’individuazione dei beni donati ed al loro regime giuridico, riscontrando l’effettiva corrispondenza degli stessi a quelli in regime di comunione legale tra i coniugi, e ciò sulla base di riscontri compiuti con riferimento alla data di acquisto, alla provenienza del bene (si pensi alla non inclusione dei beni di provenienza ereditaria), all’eventuale opzione dei coniugi, ove coniugati, come nella specie, in epoca anteriore all’entrata in vigore della legge n. 151/1975, per l’estensione del regime della comunione legale anche per gli acquisiti effettuati in epoca anteriore (cfr. art. 228 I. n. 151/1975).
    In assenza quindi della specifica individuazione degli atti difensivi o di un diverso atto del processo nei quali la deduzione di nullità nei termini esposti sia stata sollevata, la questione in quanto nuova è inammissibile in sede di legittimità (cfr. Cass. n. 8206/2016).
    Ancora, il motivo, oltre a difettare del requisito di cui al n. 6 dell’art. 366 c.p.c., risulta del tutto generico anche in relazione alla diversa previsione di cui al n. 4 dell’art. 366 c.p.c., posto che, pur assumendo la nullità per essersi la donazione estesa anche a beni ricadenti in comunione legale, ed in assenza del consenso del coniuge del donante, si limita semplicemente ad invocare l’esistenza del regime della comunione legale tra i genitori delle parti in causa, deducendo che la donazione ha riguardato “una serie di beni immobili e terreni che nella stessa descrizione risultano acquistati e realizzati nel corso del matrimonio ed in costanza di comunione legale” (pag. 9), trascurando di individuare di quali beni si tratti, non potendosi attribuire efficacia risolutiva alla sola circostanza che gli acquisti siano avvenuti in pendenza del rapporto di coniugio, posto che risalendo le nozze al 1948, ed in assenza di un’allegazione circa l’opzione dei condividenti per l’applicazione del regime della comunione legale anche agli acquisti precedenti l’entrata in vigore della legge n. 151/1975, ai sensi dell’art. 228 di tale legge, i beni acquistati prima del 1975 dovrebbero presumersi di proprietà esclusiva dell’acquirente.
    Manca altresì una puntuale specificazione dei vari titoli di provenienza dei beni di cui ha disposto il donante, occorrendo, al fine della specificità delle censura, anche chiarire se i beni donati esulassero o meno da quelli personali come individuati dalla previsione di cui all’art. 179 c.c.
    La doglianza risulterebbe comunque anche infondata nel merito.
    Reputa il Collegio che la soluzione alla quale sono pervenute le Sezioni Unite in tema di donazione di beni altrui ( cfr. Cass. S.U. n. 5068/2016, secondo cui la donazione di cosa altrui o parzialmente altrui, sebbene non espressamente vietata, è nulla per difetto di causa, sicché la donazione del coerede avente ad oggetto la quota di un bene indiviso compreso nella massa ereditaria è nulla, atteso che, prima della divisione, quello specifico bene non fa parte del patrimonio del coerede donante (con la sola eccezione dell’ipotesi in cui nell’atto di donazione sia affermato che il donante è consapevole dell’altruità della cosa, in quanto in tal caso la donazione vale come donazione obbligatoria di dare) sia insuscettibile di trovare applicazione all’ipotesi di donazione da parte di un solo coniuge comproprietario del bene in regime di comunione legale.
    Depone in tal senso la specifica previsione di cui all’art. 184 c.c. che, con riferimento agli atti compiuti dal coniuge senza il consenso dell’altro coniuge ovvero in assenza di sua convalida, ed avvalendosi quindi di una dizione di carattere tendenzialmente onnicomprensiva, tale da estendersi a tutti gli atti dispositivi, tra cui rientra anche la donazione, prevede solo che l’atto laddove abbia ad oggetto, come nel caso di specie, beni immobili, sia solo annullabile e peraltro nel termine di cui al secondo comma dell’art. 184 c.c. (termine nel caso in esame ampiamente decorso, anche a voler reputare che la legittimazione all’azione de qua si trasmetta agli eredi del coniuge non disponente, essendo abbondantemente decorso l’anno dallo scioglimento della comunione legale, coincisa con la morte del donante).
    In tal caso il legislatore a fronte di atti compiuti da uno solo dei comunisti ha approntato una specifica disciplina che proprio per il suo carattere di specialità è destinata prevalere sulla soluzione di carattere generale invece delineata dal citato precedente delle Sezioni Unite.
    Trattasi peraltro di un evidente riflesso della peculiare natura giuridica della comunione legale, tradizionalmente configurata come comunione senza quote (cfr. Corte Cost. n. 311/1988, la quale proprio in ragione di tale peculiare natura ha escluso che la differente soluzione prevista dall’art. 184 c.c. per gli atti dispositivi di beni posti in essere da un solo comunista, confliggesse con gli artt. 3, 24, 29 e 42 Cost.; conf. nella giurisprudenza di legittimità da ultimo, Cass. n. 8803/2017), giustificandosi in tal modo anche (cfr. Cass. n. 6575/2013) che l’espropriazione, per crediti personali di uno solo dei coniugi, di un bene (o di più beni) in comunione abbia ad oggetto il bene nella sua interezza e non per la metà, con scioglimento della comunione legale limitatamente al bene staggito all’atto della sua vendita.
    3.1 Quanto, invece al secondo profilo di nullità della donazione, in quanto posta in essere con l’unico intento del donante di avvantaggiare il donatario, determinando un assetto patrimoniale idoneo a pregiudicare le aspettative successorie delle altre legittimarie, quale in precedenza evidenziato nel testamento pubblico, se è vero che trattasi di questione effettivamente posta nei precedenti gradi di giudizio, laddove, come si ricava dalle conclusioni dell’atto di citazione, come riportate in sentenza, la nullità era ricollegata alla intervenuta lesione della quota di legittima della ricorrente e della madre, l’affermazione si pone in evidente contrasto con la tradizionale giurisprudenza di questa Corte.
    Ed, infatti, è stato reiteratamente affermato che (cfr. Cass. n. 9424/2003; Cass. n. 5323/2002) l’atto di liberalità, ancorché posto in essere dal de cuius all’evidente fine di favorire un estraneo ovvero uno solo dei suoi successibili (che rivesta anche a sua volta la qualità di legittimario) è esclusivamente suscettibile di aggressione con l’esercizio dell’azione di riduzione, dovendo escludersi che lo stesso sia affetto da un vizio di nullità, posto che la tutela dei legittimari, ancorché rispondente a principi di ordine pubblico interno, è stata conformata dal legislatore con il riconoscimento in favore del legittimario leso o pretermesso dell’azione di riduzione, il cui accoglimento rende l’atto pregiudizievole soltanto inefficace “ex nunc”, e nei soli confronti del legittimario vittorioso (in senso conforme di recente, Cass. n. 23278/2013, ed anche in relazione ad una successione “mortis causa” regolata dal codice civile del 1865). Ne consegue che non ricorre alcuna ipotesi di nullità per la sola presenza nel donante dell’intento di avvantaggiare uno solo dei suoi eredi a discapito degli altri, ai quali il legislatore ha accordato lo strumento dell’azione di riduzione che è oggetto invece del secondo motivo di ricorso.
  4. Il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 537, 542, 555, 556, 557 e 559 c.c., nonché l’insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla proposta azione di riduzione.
    Dopo avere riepilogato le vicende successorie che hanno interessato i germani […] e ribadito il concetto secondo cui le donazioni poste in essere dal padre avrebbero determinato la lesione della quota di legittima sia della ricorrente che della madre, i cui diritti di legittimaria intendeva far valere pro quota l’attrice, si deduce che dalla documentazione prodotta in primo grado già emergeva l’esistenza della lamentata lesione.
    Inoltre non appare condivisibile l’assunto del giudice di appello secondo cui le integrazioni della domanda effettuate in grado di appello non fossero esaustive, mancando l’indicazione del valore di mercato dei beni interessati dalla successione. Anche tale motivo va disatteso.
    In primo luogo va evidenziato che, in ragione della data di pubblicazione della sentenza d’appello 15/7/2014, risulta inammissibile la censura formulata ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c., facendo riferimento al vizio di insufficiente e contradditoria motivazione, e cioè facendo richiamo alla non più applicabile formulazione della norma de qua.
    Va altresì evidenziato che risulta del tutto inammissibile lo sviluppo del motivo di ricorso dalla pag. 19 alla pag. 22, nella parte in cui, al fine di replicare alla deduzione del giudice di appello secondo cui sarebbe del tutto mancata l’indicazione del valore venale dei beni oggetto delle donazioni e di quelli relitti (non essendo a tal fine sufficiente la sola indicazione del valore catastale), si procede ex novo ad individuare un valore venale dei cespiti in esame, senza peraltro nemmeno specificamente indicare se la stima sia da riferire alla data dell’apertura della successione, come appunto richiesto dalle norme in tema di azione di riduzione e di riunione fittizia, ovvero ad una diversa e non meglio specificata data.
    Tornando poi al vizio di violazione di legge, lo stesso è del tutto insussistente.
    La Corte d’Appello ha, infatti, compiuto una corretta applicazione della tradizionale giurisprudenza di questa Corte per la quale (cfr. da ultimo Cass. n. 20830/2016) il legittimario che propone l’azione di riduzione ha l’onere di indicare entro quali limiti è stata lesa la sua quota di riserva, determinando con esattezza il valore della massa ereditaria nonchè quello della quota di legittima violata dal testatore. A tal fine, ha l’onere di allegare e comprovare tutti gli elementi occorrenti per stabilire se, ed in quale misura, sia avvenuta la lesione della sua quota di riserva oltre che proporre, sia pure senza l’uso di formule sacramentali, espressa istanza di conseguire la legittima, previa determinazione della medesima mediante il calcolo della disponibile e la susseguente riduzione delle donazioni compiute in vita dal “de cuius” (conf. Cass. n. 1357/2017; Cass. n. 14473/2011; Cass. n. 13310/2002). Nel caso di specie, pur apparendo eccessivo esigere che la lesione debba essere indicata in termini di certezza numerica, procedendosi ad una individuazione del valore dei beni sulla scorta di una stima redatta ad opera, evidentemente, di un tecnico di parte, le cui valutazioni proprio per l’interesse che sorregge tale attività non appaiono in grado di vincolare il giudice adito, imponendo quindi verosimilmente il successivo espletamento di una CTU, i precedenti citati esprimono in ogni caso il condivisibile principio per il quale la domanda di riduzione, indubbiamente esperita dalla ricorrente, sia accompagnata da una precisa individuazione dei beni relitti, delle eventuali donazioni effettuate in vita dal de cuius, con la precisa indicazione dei beneficiari e della data di compimento, specialmente laddove si tratti di donazioni indirette del pari assoggettabili a riduzione, ma per le quali diviene maggiormente difficile accertare la data certa (e ciò in vista del rispetto della regola di aggressione delle donazioni di cui all’art. 559 c.c.). Nel caso in esame, come si rileva dalla motivazione del giudice di appello, sebbene in citazione si fosse fatto riferimento anche a donazioni di somme di denaro, asseritamente effettuate al fine di consentire al figlio […] di poter acquistare degli immobili (e con modalità tali da indurre a ritenere di essere al cospetto di donazioni indirette degli immobili poi successivamente acquistati) gli attori si erano limitati in citazione a richiamare il solo contenuto del testamento e dell’atto di donazione, omettendo quindi di far riferimento all’eventuale esistenza di beni relitti diversi da quelli indicati nell’atto di ultima volontà (e sui quali andrebbe quindi prioritariamente indirizzata ex art. 553 c.c. l’istanza di tutela della quota di legittima, previa rimodulazione del riparto delle quote ab intestato) nonché alle pretese donazioni indirette, di modo che dovendosi pervenire alla determinazione della quota di riserva a tutela della quale era esperita l’azione di riduzione, previo compimento delle operazioni di riunione fittizia, che impongono di cumulare al relictum il donatum, la domanda formulata, anche a prescindere dalla esatta individuazione dell’entità della quota lesa, risulta effettivamente del tutto generica, mancando la puntuale indicazione degli elementi necessari alla compiuta identificazione della causa petendi.
    Né appare possibile provvedere ad una integrazione della domanda in sede di appello, atteso che la modificazione della causa petendi esula evidentemente dalle attività che l’art. 345 c.p.c. consente in sede di gravame (e ciò anche a voler sorvolare circa l’assoluta inidoneità delle integrazioni effettuate dalla ricorrente, la quale, oltre a limitarsi ad allegare il valore solo catastale dei beni – senza precisare a quale data tale valore andasse riferito – ha in ogni caso omesso di individuare le ulteriori donazioni ricevute dal germano ed il loro ordine cronologico).
    Il riscontro da parte del giudice di appello, con motivazioni assolutamente condivisibili, dell’assoluta genericità dell’originaria domanda di riduzione, implica altresì che sia incensurabile la decisione di non ricorrere alla CTU, posto che, anche a tacere del fatto che si tratta di facoltà discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio ovvero mancato esercizio è insuscettibile di sindacato in sede di legittimità, l’espletamento di tale mezzo mirava essenzialmente a colmare le lacune di allegazione e di prova della domanda attorea, e ciò in contrasto con le finalità dell’istituto de quo.
    […]