Corte di Cassazione, Sez. 2, Ordinanza n. 9177 del 2018, dep. il 12/4/2018

[…]

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Il Tribunale di Termini Imerese accoglieva parzialmente la domanda proposta da […] e […] nei confronti delle sorelle […] e del nipote ex fratre […], condannandole al pagamento della somma pari ad un quinto delle maggiori cifre che riteneva dovute nell’intero dalle condividenti alla massa ereditaria della comune dante causa […]. Inoltre, in accoglimento della domanda riconvenzionale, condannava altresì gli attori al rimborso di un quinto in favore delle convenute della maggior somma che egualmente i medesimi dovevano alla massa ereditaria a titolo d’indennità di occupazione di alcuni immobili. La Corte d’Appello di Palermo con la sentenza n. 970 del 20 maggio 2016 in primo luogo dichiarava inammissibile, in quanto formulato in maniera del tutto generica e contraria al disposto di cui all’art. 342 c.p.c., l’appello incidentale promosso da […], accogliendo invece l’appello principale avanzato da […].
In primo luogo osservava che era fondata la doglianza con la quale si evidenziava che non poteva emettersi condanna al pagamento dell’indennità di occupazione in danno di […] per il godimento di un immobile che era stato oggetto di donazione in vita in suo favore da parte della de cuius.
Ed, invero, una volta qualificata la domanda riconvenzionale delle convenute come finalizzata alla collazione, era da escludersi che fosse possibile una condanna in relazione ad una domanda che si palesava altresì infondata, in quanto la collazione è una fase della divisione ereditaria, che non era stata richiesta, non potendosi quindi in via autonoma chiedere il conto del godimento esclusivo del bene donato, per il periodo successivo all’apertura della successione.
Né poteva configurarsi la proposizione di un’azione di riduzione, atteso che non era stato nemmeno puntualmente indicato, come invece era onere delle istanti, entro quali limiti era stata lesa la loro quota di riserva, alla luce della precisa individuazione della massa ereditaria.
Anche il secondo motivo di appello era accolto, in quanto non si poteva evincere la proposizione di alcuna domanda di condanna al rendiconto nei confronti dell’attore […] per il godimento esclusivo di un immobile caduto in comunione.
In merito al terzo motivo, con il quale gli attori intendevano far risalire al 1993 la data in cui la convenuta […] aveva iniziato a riscuotere e gestire la pensione materna, la Corte distrettuale rilevava che, stante l’assenza della produzione di parte appellata, le risultanze del verbale di interrogatorio formale ove la convenuta aveva affermato che la sua gestione della pensione era avvenuta a far data dal 1995, erano contrastate dalle dichiarazioni rese dalla stessa parte nel corso del giudizio di interdizione, e precisamente all’udienza del 14/5/2001, ove aveva affermato che in realtà si era occupata della madre sin dal 1993, dovendosi quindi far risalire a tale data anteriore anche la riscossione della pensione.
Del pari meritevole di accoglimento era ritenuto il motivo di appello con il quale si contestava la possibilità di poter tenere conto, ai fini della determinazione delle spese sostenute dalla convenuta […] nell’interesse della madre, della documentazione prodotta nel termine del 15 gennaio 2003 e cioè in occasione delle note di replica di cui all’art. 184 c.p.c., secondo la formulazione applicabile ai giudizi pendenti in data anteriore al 1 marzo 2006.
A tal fine i giudici di appello osservavano che mentre il primo termine di cui all’art. 184 c.p.c. era concesso per l’indicazione di nuovi mezzi di prova e per l’indicazione di documenti idonei a dimostrare l’esistenza dei fatti posti a fondamento della domanda ovvero delle eccezioni, il secondo termine era concesso solo per la prova contraria, da indentificarsi nella semplice controprova rispetto alle richieste probatorie ed al deposito di documenti compiuto nel primo termine. Ne derivava che la convenuta aveva l’onere nel primo termine di articolare i mezzi istruttori e di produrre i documenti idonei a giustificare la domanda riconvenzionale ovvero a contrastare i fatti allegati dalla controparte così come definitivamente precisati nei termini di cui all’art. 183 co. 5 c.p.c.
Poiché i documenti erano finalizzati a dimostrare l’esborso delle somme di cui la stessa convenuta aveva chiesto il rimborso nella comparsa di risposta, e non già a contrastare le richieste probatorie ed i documenti prodotti nel primo termine dagli attori, i documenti de quibus non potevano essere presi in esame dal Tribunale, nulla potendo essere riconosciuto a tale titolo in favore della convenuta.
Infine, erano accolti anche i motivi di appello finalizzati ad ottenere la condanna delle convenute al pagamento degli interessi legali sulle somme dovute in favore degli attori.
[…] ha proposto ricorso per la cassazione di tale sentenza sulla base di tre motivi.
[…] e […] hanno resistito con controricorso.
Gli altri intimati non hanno svolto difese in questa fase.
Il primo motivo di ricorso denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., nonché la violazione del principio di equità e ragionevolezza laddove i giudici di appello hanno ritenuto che la domanda riconvenzionale proposta dalle convenute nei confronti di […], in relazione al godimento del bene immobile donatole dalla madre, andasse qualificata in termini di azione di collazione, trascurando la disamina degli atti difensivi delle parti, dai quali si doveva evincere che si trattava di domanda volta ad accertare l’obbligo a carico dell’attore di imputare nel giudizio di rendiconto l’ammontare dell’indennità di occupazione del bene de quo.
Il motivo è manifestamente infondato.
Ed, invero, oltre a doversi rilevare che nella fattispecie, ad onta del formale richiamo alla violazione dell’art. 112 c.p.c., il motivo di ricorso mira nella sostanza a contestare la correttezza dell’interpretazione della domanda riconvenzionale così come effettuata dal giudice di merito, e cioè un’attività tipicamente insindacabile in sede di legittimità, la formulazione del motivo non si confronta con la motivazione della sentenza gravata.
Ed, invero, la Corte d’Appello, nell’affrontare la questione investita dal motivo in esame, dopo avere riferito di una incerta formulazione della riconvenzionale oscillante tra l’azione di riduzione e quella di collazione, ha dato atto che il Tribunale aveva optato per la qualificazione nel secondo senso, aggiungendo che tale qualificazione non era stata contestata in grado di appello, così che doveva ritenersi che la medesima non fosse più suscettibile di contestazione.
Trattasi di affermazione questa, concernente appunto la mancata contestazione della qualificazione in termini di azione di collazione per la domanda riconvenzionale de qua, che non è oggetto di censura con il motivo di ricorso e che pertanto appare tale da sorreggere di per sé sola il rigetto del motivo in esame.
Peraltro, anche a voler ravvisare la proposizione di una mera domanda di rendiconto, la richiesta si palesa comunque come priva di fondamento, occorrendo ribadire come la stessa attenga alla maturazione di frutti, non già prodotti da un bene caduto in successione, quanto da un bene precedentemente oggetto di donazione, e quindi suscettibile di poter rientrare in natura nella massa da dividere, solo nel caso in cui il donatario opti per la collazione in natura, posto che solo in tal caso potrebbe trovare applicazione la previsione di cui all’art. 745 c.c.
Laddove, invece, come nella prevalenza dei casi avviene, il donatario propenda per la collazione per imputazione, e ferma restando la premessa che la richiesta deve inserirsi nell’ambito di un giudizio di divisione ereditaria, che nella fattispecie non risulta essere stato proposto, vale ricordare che secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 25646/2008), una volta che il condividente donatario abbia optato per la collazione per imputazione – che si differenzia da quella in natura per il fatto che i beni già oggetto di donazione rimangono di proprietà del medesimo condividente – la somma di denaro corrispondente al valore del bene donato, quale accertato con riferimento alla data di apertura della successione, viene sin da quel momento a far parte della massa ereditaria in sostituzione del bene donato, costituendo in tal modo “ah origine” un debito di valuta a carico del donatario cui si applica il principio nominalistico; ne consegue che anche gli interessi legali vanno rapportati a tale valore e decorrono dal medesimo momento, il che esclude che possano essere determinati i frutti quale corrispettivo per il godimento esclusivo del bene da parte del donatario.