Corte di Cassazione, Sez. 2, Sentenza n. 1944 del 2014, dep, il 29/01/2014

[…]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

  1. Il ricorrente, […], rimasto soccombente nei due gradi di giudizio, acquistava il 26/6/1990 con proprio denaro un appartamento del quale era intestatario, per aver stipulato il relativo contratto, il figlio. A seguito del decesso di quest’ultimo (17 dicembre 1998) […] chiedeva (settembre 1999) nei confronti degli eredi dichiararsi la nullità dell’atto di acquisto per interposizione fittizia e, in subordine, per interposizione reale, avendo pagato l’importo del prezzo (parte al rogito e parte per mutuo), avendo sostenuto tutte le spese, riscosso i canoni di locazione ed avendo il figlio rilasciato procura irrevocabile a vendere ad entrambi i genitori il 18 settembre 1990. L’attore formulava ulteriori domande (risoluzione del contratto di comodato assuntivamente intercorso e in subordine pagamento di indennità per la restituzione di quanto pagato per l’acquisto dell’immobile ex articolo 2041 codice civile).
    La convenuta […], moglie del figlio defunto del […], contestava le prospettazioni attoree e deduceva essersi trattato di donazione indiretta.
    In corso di causa (30 maggio 2001) l’attore produceva la copia fotostatica di un patto fiduciario intercorso col figlio in data 19 giugno 1990 (ricorso pag. 4), in base al quale quest’ultimo si impegnava a trasferire l’immobile senza condizioni in favore del padre, nonché copia fotostatica della denuncia di smarrimento di tale documento, presentata il 4 marzo del 1999 da tale […], consulente tributario del […], cui il documento contenete il pactum fiduciae era stato consegnato per la custodia.
    La convenuta contestava la conformità all’originale della fotocopia prodotta, nonché della fotocopia della denuncia di smarrimento del predetto documento, e disconosceva, altresì, quale erede, la sottoscrizione di […]o nell’originale della scrittura ove fosse reperita (ai sensi dell’art. 214 c.p.c., comma 2). Ammesse ed espletate le prove sul documento in questione, il Tribunale di Milano rigettava tutte le domande e condannava l’attore anche al risarcimento ex art. 96 c.p.c..
  2. Il Tribunale, dopo aver rilevato “l’intrinseca contraddittorietà” delle domande avanzate e l’avvenuta non riproposizione in sede di conclusioni della domanda per interposizione fittizia, preso atto che la domanda era fondata sul pactum fiduciae, contenuto in un documento smarrito, riteneva non fornita la prova della “perdita incolpevole del documento”, necessaria per dare ingresso alla prova ex art. 2724 c.c., n. 3, trattandosi di documento la cui forma scritta era necessaria ad substantiam. Rilevava il Tribunale che non era stata fornita ne’ la prova dell’avvenuta presentazione della denuncia, ne’ quella relativa alla perdita incolpevole del documento. Quanto al primo aspetto, affermava il primo giudice che agli atti del giudizio civile era stata depositata solo la fotocopia di tale denuncia, e che quello che era indicato come originale, oggetto di sequestro probatorio nell’ambito del procedimento penale nel frattempo iniziato a carico del […] a seguito di querela della […] per truffa (art. 640 c.p.), altro non era che la “copia della denuncia nella disponibilità di […]”. Rilevava altresì che “l’originale della denuncia veniva cercato anche nel luogo ove avrebbe dovuto essere: gli uffici della Stazione Carabinieri di […]”, senza però esito positivo, come dichiarato dal Comandante di tale Stazione con dichiarazione acquisita al giudizio (“Comunicasi che agli atti di questo ufficio, non è stato trovato riscontro di alcuna denuncia di smarrimento presentata in data 04 marzo 1999 da […]…”).
    Concludeva, quindi, il primo giudice che “È da escludersi, pertanto, che la copia della denuncia prodotta agli atti di questa causa, che non reca, si noti, alcun numero di protocollo o di registrazione, fosse, come avrebbe dovuto essere e come si è sostenuto, una copia dell’originale conservato agli atti d’ufficio della polizia giudiziaria. Trattasi, al più, di una copia della copia del documento nella disponibilità di […]”. Nè il […] aveva provato (come poteva sulla base dei capitoli di prova ammessi) tale circostanza, avendo scelto di non sentire come teste, nel limite dei tre ammessi per parte dal giudice, il […] su tale circostanza. Non provata l’avvenuta presentazione della denuncia, ne’ la perdita incolpevole del documento contenente il pactum fiduciae, restava inammissibile la prova sul pactum fiduciae. Il Tribunale, comunque, esaminava le prove testimoniali assunte al riguardo, ritenendo i testi “in larga misura inattendibili”. Qualificava poi il rapporto intercorso tra le parti come donazione indiretta con conseguente esclusione del comodato e dell’azione ex art. 2041 c.c..
  3. L’adita Corte di appello di Milano rigettava l’impugnazione del […], condividendo pienamente il percorso motivazionale della sentenza di primo grado, riprodotta per intero all’interno della decisione. La Corte di merito rivalutava tutta la problematica relativa al pactum fiduciae, giungendo ad escludere la sussistenza della relativa scrittura privata, sulla base di una serie di elementi presuntivi risultanti dagli atti, desunti dalla posizione processuale assunta nella esposizione fattuale operata dall’attore, che inizialmente in citazione, risalente al settembre 1998, non aveva invocato tale patto (contenuto in tesi in una scrittura privata sottoscritta oltre nove anni prima, il 19 giugno 1990), scrittura questa che sarebbe risultata decisiva rispetto alle domande proposte. La Corte di merito poi riteneva non provata la perdita incolpevole del documento (non solo quanto alla genuinità della denuncia di smarrimento, ma anche quanto alla mancata prova tramite il teste indicato, ma non escusso), restando così non decisive le valutazioni operate nel decreto di archiviazione del gip nel procedimento penale, quanto alla genuinità della denuncia di smarrimento, peraltro non condivise, posto che comunque l’originale della scrittura in questione non era stata rinvenuto.
    La Corte di appello riteneva, quindi, assorbite o ultronee le ulteriori domande, confermando la pronuncia ex art. 96 c.p.c., disposta anche per il grado di impugnazione.
  4. Impugna tale decisione […], che articola sei motivi di ricorso.
    Resiste […] con controricorso, che ha depositato memoria, mentre restano intimati […].

MOTIVI DELLA DECISIONE

  1. Il ricorso è infondato e va rigettato per quanto di seguito si chiarisce.
    1.1 Prima di esaminare analiticamente i motivi di ricorso, appare opportuno richiamare sinteticamente le valutazioni e le conseguenti decisioni della Corte di appello e del Tribunale, in quanto espressamente richiamati dalla prima, nonché fornire alcune indicazioni sulle questioni avanzate e sulle relative soluzioni giuridiche.
    1.2 La domanda proposta dall’odierno ricorrente si fonda sul pactum fiduciae, in tesi contenuto nella scrittura privata del 19 giugno 1990, pure in tesi “incolpevolmente smarrita”. Quindi, trattandosi di pactum fiduciae, resta esclusa l’ipotizzabilità della simulazione, anche assoluta, del negozio principale, posto che il negozio fiduciario si realizza mediante il collegamento di due negozi, l’uno di carattere esterno, realmente voluto e con efficacia verso i terzi, e l’altro di carattere interno – pure effettivamente voluto – ed obbligatorio, diretto a modificare il risultato finale del primo negozio per cui il fiduciario è tenuto a ritrasferire il bene al fiduciante o ad un terzo (Cass. n. 9402 del 06/05/2005, Rv. 581194).
    È pacifico che il negozio fiduciario richiede, trattandosi di immobili, della prova scritta ad substantiam, con conseguente esclusione della prova per testi o presunzioni con l’unica eccezione di cui all’art. 2724 c.c., comma 3, con onere per chi invoca il documento in suo favore, di provarne la “perdita incolpevole”.
    Nel caso in questione, il documento contenente il pactum fiduciae è stato assuntivamente smarrito dal terzo, che lo aveva ricevuto in custodia.
    Non solo, ma la stessa denuncia di smarrimento, pure assuntivamente presentata il 4 marzo 1999 presso la Stazione dei Carabinieri di […], non risulta agli atti di tale Ufficio e comunque certamente non reca un protocollo in entrata. Prodotta in giudizio la sola copia fotostatica di entrambi i documenti, contestati ai sensi dell’art. 2719 c.c., e, quanto al pactum fiduciae, anche ai sensi dell’art. 214 c.p.c., comma 2, non restava all’attore che produrre gli originali. Ciò non ha fatto, perché, da un lato, l’originale della denuncia di smarrimento era stato oggetto di sequestro probatorio nell’ambito del procedimento penale nel frattempo iniziato su querela della signora […] per truffa e, dall’altro, perché il documento contenente il pactum fiduciae era stato smarrito. In relazione a tale situazione processuale, venivano ammesse ed espletate prove testimoniali quanto alla perdita incolpevole del documento e quanto al contenuto del pactum fiduciae con lista dei testi, per parte, limitata a tre, testi tra i quali l’attore non indicava colui al quale aveva consegnato il documento e che lo aveva smarrito.
    Il primo giudice adotta una doppia ratio decidendi. Ritiene in primo luogo non fornita la prova dell’incolpevole smarrimento del documento contenente il pactum fiduciae, sia perché non risultava comunque prodotto in atti, anche nel giudizio penale, l’originale della denuncia, ma semmai copia in possesso del terzo della denuncia presentata all’ufficio, sia perché era mancata sul punto anche la prova testimoniale. Di qui, l’inammissibilità della prova sul documento contenente il pactum fiduciae. In ogni caso (seconda ratio decidendi), il giudice di primo grado analizza poi, quanto al documento contenente in tesi il pactum fiduciae sia le dichiarazioni testimoniali che i plurimi elementi indiziali disponibili, giungendo alla conclusione che non era stata raggiunta la prova sul contenuto dello stesso.
    In appello, prodotto il fascicolo del giudizio penale, contenente in tesi anche l’originale della denuncia proposta, la Corte territoriale riesaminava tutta la vicenda, adottando anch’essa una doppia ratio decidendi, ritenendo cioè, da un lato e senza esaminare la questione relativa alla perdita incolpevole del documento, già sufficienti e decisivi tutti gli indizi risultanti dagli atti, che portavano ad escludere sul piano logico l’esistenza del documento contenete il pactum fiduciae, e, dall’altro, che, non essendo stato comunque reperito il documento contenente il pactum fiduciae, restava non provata la perdita incolpevole del documento stesso (non potendosi considerare tale lo smarrimento dichiarato dal terzo cui il documento era stato affidato in custodia), perché non era stata fornita, per scelta dell’attore, la prova testimoniale sul punto (mancata indicazione del teste […]). Quanto poi alla denuncia di smarrimento, ritenuta dal giudice penale genuina, osserva la Corte di merito che comunque trattasi pur sempre di una fotocopia, e come tale valutabile anche dal giudice civile (pag 22 della sentenza al centro).
  2. I motivi del ricorso.
    2.1 Col primo motivo di ricorso si deduce: “violazione e falsa applicazione dell’art. 2719 c.c., ed insufficiente motivazione circa la veridicità ed utilizzabilità della denuncia di smarrimento del 4 marzo 1999, nonché insufficiente esame dei documenti costituenti il fascicolo del procedimento penale a carico del ricorrente (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5)”. Ha errato la Corte territoriale a ritenere non
    veridica ed utilizzabile la denuncia di smarrimento (doc. 106) della scrittura privata, nonostante che l’esistenza e l’autenticità della denuncia fosse stata riconosciuta nel decreto di archiviazione del G.I.P. del 30 ottobre 2003.
    Viene formulato il seguente quesito: “Voglia l’Ecc.ma Corte adita dichiarare che il disconoscimento della conformità di una copia fotostatica all’originale di una scrittura, di cui all’art. 2719 c.c., non ha gli stessi effetti del disconoscimento della scrittura privata previsto dall’art. 215 c.p.c., comma 1, n. 2), giacché mentre quest’ultimo, in mancanza di richiesta di verificazione, preclude l’utilizzabilità della scrittura, la contestazione ai sensi dell’art. 2719 c.c., non impedisce al giudice di accertare la conformità all’originale anche mediante altri di prova (quali, nella fattispecie, l’intero fascicolo penale prodotto con la citazione in appello)”.
    2.2 Col secondo motivo di ricorso si deduce: “violazione e falsa applicazione dell’art. 2719 c.c., art. 2724 c.c., n. 3, art. 2725 c.c., comma 2 – insufficiente e contraddittoria motivazione circa la veridicità ed utilizzabilità della scrittura privata contenente il pactum fiduciae e prova dell’incolpevole smarrimento – art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”. Assume il ricorrente, quanto alla veridicità ed utilizzabilità della scrittura privata contenente il pactum fiduciae e quanto alla prova del suo incolpevole smarrimento, che il documento prodotto in fotocopia era “vero ed utilizzabile” dal momento che la denuncia del suo smarrimento era stata ritenuta autentica dal GIP.
    Viene formulato il seguente quesito: “Voglia l’Ecc.ma Corte adita dichiarare che il disconoscimento (formulato dalla difesa […]) di cui all’art. 2719 c.c. (in relazione alla produzione documentale attorea – costituente il pactum fiduciae) non bagli stessi effetti del disconoscimento di cui all’art. 215 c.p.c., poiché la veridicità ed utilizzabilità dello stesso – quando il contenuto sia costituito da un contratto che, riferibile al catalogo dell’art. 1350 c.c., debba stipularsi in forma scritta a pena di nullità – e provabile secondo il disposto di all’art. 2724 c.c., n. 3, e art. 2725 c.c., comma 2, previa dimostrazione della perdita incolpevole del documento anche nel caso in cui lo stesso sia stato smarrito da un terzo pienamente affidabile a cui sia stato consegnato per ragioni apprezzabili riferendosi, in tale caso, la mancanza di colpa al soggetto contraente che invoca il contenuto del documento e non al comportamento del terzo che lo abbia smarrito”.
    2.3 – Col terzo motivo di ricorso si deduce: “insufficiente e contraddittoria motivazione (anche per relationem) circa l’interposizione reale di persona e relativo pactum fiduciae – artt. 1322, 1350, 1351 e 1414 c.c. – art. 360 c.p.c., n. 5”. La Corte territoriale è incorsa nel vizio denunciato, perché ha motivato per relationem alla decisione di primo grado senza esporre le ragioni del rigetto delle censure ad essa formulate con l’atto di appello, mediante il richiamo agli atti del giudizio penale, alle deposizioni testimoniali ed alla procura irrevocabile a vendere che deponevano per un negozio fiduciario e non per una donazione indiretta.
    2.4 – Col quarto motivo di ricorso si deduce: “violazione e falsa applicazione degli artt. 769 e 2041 c.c., insufficiente motivazione (anche per relationem) sulla donazione indiretta e sull’azione di arricchimento senza causa (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5)”. La Corte territoriale è incorsa nel vizio denunciato, perché ha motivato per relationem alla decisione di primo grado quanto alla ritenuta sussistenza della donazione indiretta e al rigetto della domanda per indebito arricchimento, non sussistendo i presupposti di applicazione della prima e sussistendo invece i presupposti della seconda. Viene formulato il seguente quesito: “Voglia l’Ecc.ma Corte adita dichiarare che l’intestazione ad un soggetto di un immobile acquistato con denaro altrui e contestuale rilascio di procura irrevocabile a vendere da parte dell’intestatario del bene in favore del soggetto che ha corrisposto il prezzo non costituisce donazione indiretta ed in caso di premorienza del soggetto intestatario integra la tutela di cui all’art. 2041 c.c.”.
    2.5 – Col quinto motivo di ricorso si deduce: “violazione e falsa applicazione dell’art. 96 c.p.c., n. 1, contraddittoria ed insufficiente motivazione (art. 360, nn. 3 e 5)”.
    La pronuncia ex art. 96 c.p.c., era stata erroneamente fondata sul procedimento penale poi archiviato del gip. Inoltre, era rimasta non provata la concreta ed effettiva esistenza del danno in conseguenza del comportamento processuale, nonché la ricorrenza del dolo e della colpa grave (consapevolezza o ignoranza della infondatezza delle tesi), o del carattere irrituale-fraudolento dei mezzi adoperati per agire o resistere in giudizio. Il ricorrente aveva avanzato due distinte domande rispetto alle quali la “copiosa” documentazione prodotta era necessaria sia perché non era possibile, stante lo smarrimento, produrre l’originale della scrittura contenente il pactum fiduciae, sia perché si era ritenuto di offrire al giudice “una ricostruzione fedele a supporto delle richieste avanzate”.
    Viene formulato il seguente quesito: “Voglia l’Ecc.ma Corte adita dichiarare che l’ipotesi risarcitoria di cui all’art. 96 c.p.c., comma 1, postula una disamina di tutte le domande portate dalla parte, l’integrale soccombenza ed il requisito del dolo e della colpa grave riconducibili ad ogni singola fattispecie reclamata”.
    2.6 – Col sesto motivo di ricorso si deduce: “violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., in relazione alla produzione documentale dell’appellata […] nel giudizio d’appello (art. 360 c.p.c., n. 4)”. In relazione alla produzione in appello effettuata dalla […] della nota di trascrizione di acquisto di una unità immobiliare da parte della figlia dell’attore, lamenta il ricorrente che la Corte territoriale ne abbia “dato atto nella parte motiva della sentenza … senza argomentare in proposito”.
    Viene formulato il seguente quesito: “Voglia l’Ecc.ma Corte adita dichiarare che l’ammissibilità, ex art. 345 c.p.c., della produzione di un nuovo documento nel giudizio di appello deve avere il requisito dell’indispensabilità ai fini della decisione e deve risultare inequivocabilmente”.
  3. Tutti i motivi sono inammissibili o infondati per quanto di seguito si chiarisce.
    3.1 – I primi tre motivi riguardano il nucleo della decisione impugnata, la esistenza e il contenuto del documento pactum fiduciae, in tesi incolpevolmente smarrito dal terzo, la valutazione della sussistenza o meno della “perdita incolpevole” e, infine, la veridicità della esistenza (e presentazione) della relativa denuncia di smarrimento. Il tutto con riguardo alle diverse rationes decidendi della Corte territoriale, essendo sufficiente, per sorreggere la decisione, la correttezza anche solo di una di esse.
    In questa prospettiva, occorre rilevare che il ragionamento e la motivazione della Corte di merito appare non viziato e incensurabile in questa sede, nonché esente dai vizi denunciati, quanto alla affermata mancata prova dell’incolpevole smarrimento (non ulteriormente qualificato) da parte del terzo, in mancanza di qualsiasi prova non solo sull’adeguatezza della diligenza nella conservazione del documento da parte del terzo con riguardo specificamente alle concrete modalità con le quali è intervenuto lo smarrimento, ma anche quanto alla diligenza nell’affidamento, non tanto e non solo nella scelta dell’affidatario, ma anche e specialmente con riguardo alle modalità scelte in relazione al possibile smarrimento, deterioramento e persino distruzione del documento. Sul punto, il ricorrente cita alcuni precedenti (risalenti nel tempo), secondo i quali per la valutazione della colpevolezza (o meno) della perdita del documento, sarebbe sufficiente la prova ex ante della affidabilità del terzo e della esistenza di una ragione condivisibile, che giustifica l’affidamento in custodia al terzo. Al riguardo, tale orientamento merita un approfondimento anche alla luce di ulteriori arresti della giurisprudenza di questa Corte. Occorre osservare, infatti, in via generale che la ratio della normativa restrittiva della prova per testimoni e presunzioni, quanto ad un contratto che richiede la prova scritta ad substantiam e ad probationem, deve essere individuata nello sfavore per la prova testimoniale per particolari contratti. Per questo, l’unica eccezione ammessa è la perdita incolpevole del documento, che, come tale, deve essere interpretata con la massima attenzione e del tutto restrittivamente, proprio per non consentire un’agevole elusione della norma. Si deve, quindi, aver riguardo, in primo luogo, al comportamento di colui che affida il documento in consegna al terzo, senza aver preventivamente adottato alcuna (facile ed agevole) precauzione (procurandosi, ad esempio, una copia autentica del documento prima della consegna al terzo) e, successivamente, al comportamento del terzo, non potendo quest’ultimo essere del tutto trascurato, anche in ipotesi di perdita colpevole, come in caso di smarrimento, così nella sostanza consentendo a colui che ha affidato il documento a terzi di giovarsi di una prova che non sarebbe stata ammessa se tale comportamento fosse stato da lui stesso posto in essere (vedi Cass. n. 24100 del 17/11/2011, Rv. 619748 quanto al deposito dell’unico originale presso un pubblico ufficio). Tale più recente orientamento appare a questo Collegio condivisibile, non potendosi ritenere incolpevole la perdita di un documento solamente perché affidato ad un terzo, senza valutare, da un lato, se il comportamento di chi lo affida risulti adeguato, e, dall’altro, se il terzo sia esente da colpa, come nel caso di denunciato smarrimento. Passando all’esame dei singoli motivi di ricorso, si osserva in via generale che le censure avanzate con riguardo al vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) risultano del tutto prive del necessario motivo di sintesi.
    3.1.1 – Il primo motivo è inammissibile, risultando il relativo quesito generico e non decisivo. Il motivo denuncia la violazione dell’art. 2719 c.c., per aver errato la Corte territoriale a ritenere non veridica ed utilizzabile la denuncia di smarrimento (doc. 106) della scrittura privata, nonostante che l’esistenza e l’autenticità della denuncia fosse stata riconosciuta nel decreto di archiviazione del G.I.P. del 30 ottobre 2003. Viene formulato il seguente quesito: “Voglia l’Ecc.ma Corte adita dichiarare che il disconoscimento della conformità di una copia fotostatica all’originale di una scrittura, di cui all’art. 2719 c.c., non ha gli stessi effetti del disconoscimento della scrittura privata previsto dall’art. 215 c.p.c., comma 1, n. 2), giacché mentre quest’ultimo, in mancanza di richiesta di verificazione, preclude l’utilizzabilità della scrittura, la contestazione ai sensi dell’art. 2719 c.c., non impedisce al giudice di accertare la conformità all’originale anche mediante altri mezzi di prova (quali, nella fattispecie, l’intero fascicolo penale prodotto con la citazione in appello)”. Il quesito attiene alla diversità degli effetti del disconoscimento della conformità di una copia fotostatica all’originale di una scrittura, di cui all’art. 2719, e del disconoscimento della scrittura privata previsto dall’art. 215, ed alla non necessità nel primo caso di richiesta di verificazione. Si tratta di un quesito generico e non decisivo. La sentenza, infatti, non ha negato la possibilità che il disconoscimento della conformità all’originale della copia fotostatica della denuncia di smarrimento potesse essere dimostrata con qualsiasi mezzo ed anche con presunzioni, ma ha ritenuto che la denuncia di smarrimento non fosse idonea a provare l’esistenza del documento di cui il […] aveva denunciato lo smarrimento, sia perché l’attore non aveva intimato il […], al quale il documento era stato affidato “come consulente finanziario della famiglia di […]”, nonostante l’ammissione della sua testimonianza, sia perché deponevano in senso contrario la mancata menzione della scrittura nell’atto di citazione e la circostanza che il patto fiduciario era stato taciuto anche al notaio e sia perché erano inattendibili le deposizioni testimoniali assunte in giudizio sul punto. 3.1.2 – Il secondo motivo denuncia la “violazione e falsa applicazione dell’art. 2719 c.c., art. 2724 c.c., n. 3, art. 2725 c.c., comma 2”, quanto alla veridicità ed utilizzabilità della scrittura privata contenente il pactum fiduciae e quanto alla prova del suo incolpevole smarrimento, posto che il documento prodotto in fotocopia era “vero ed utilizzabile” dal momento che la denuncia del suo smarrimento era stata ritenuta autentica dal GIP.
    Viene formulato il seguente quesito: “Voglia l’Ecc.ma Corte adita dichiarare che il disconoscimento (formulato dalla difesa […]) di cui all’art. 2719 c.c. (in relazione alla produzione documentale attorea – costituente il pactum fiduciae) non ha gli stessi effetti del disconoscimento di cui all’art. 215 c.p.c., poiché la veridicità ed utilizzabilità dello stesso – quando il contenuto sia costituito da un contratto che, riferibile al catalogo dell’art. 1350 c.c., debba stipularsi in forma scritta a pena di nullità – è provabile secondo il disposto di all’art. 2724 c.c., n. 3, e art. 2725 c.c., comma 2, previa dimostrazione della perdita incolpevole del documento anche nel caso in cui lo stesso sia stato smarrito da un terzo pienamente affidabile a cui sia stato consegnato per ragioni apprezzabili riferendosi, in tale caso, la mancanza di colpa al soggetto contraente che invoca il contenuto del documento e non al comportamento del terza che lo abbia smarrito”.
    Il motivo è infondato, perché la Corte territoriale ha correttamente applicato la normativa civilistica in ordine alla necessità di fornire una prova adeguata non solo della incolpevole perdita del documento, ma anche del suo contenuto. Sul punto si richiama quanto ampiamente esposto al punto 3.1 circa la prova sulla perdita incolpevole, ulteriormente osservandosi che in ogni caso la Corte territoriale ha rilevato che nemmeno era stata fornita la prova sul contenuto del documento contenente il pactum fiduciae.
    3.1.3 – Il terzo motivo denuncia vizio di motivazione e non presenta il necessario momento di sintesi. In ogni caso il motivo è infondato e comunque resta assorbito dalla infondatezza del primo motivo. La Corte territoriale, pur avendo riportato per esteso le motivazioni del primo giudice, non si è limitata a richiamare i passaggi motivazionali pertinenti di tale decisione, ma, in relazione alla formulazione dell’atto di appello (in termini discorsivi e non articolato in motivi), ha dato atto di avere esaminato gli argomenti volti a ribadire la sussistenza del patto fiduciario e ne ha affermato l’inidoneità a confutare la motivazione del giudice di primo grado. In particolare la Corte di merito ha affermato che una procura a vendere dell’acquirente (irrevocabile) non costituisce elemento idoneo a provare un’interposizione reale e tale affermazione appare fondata: nell’interposizione reale l’interposto, d’accordo con l’interponente, contratta in nome proprio ed acquista effettivamente i diritti nascenti dal contratto, salvo l’obbligo, derivante dai rapporti interni, di ritrasmettere i diritti in tal modo acquistati dall’interponente e di tale obbligo deve essere fornita prova scritta se si tratta di trasferimento di beni immobili. Il rilascio di una procura a vendere, anche se irrevocabile, non realizza l’assunzione di tale obbligo, non solo perché destinata a estinguersi con la morte del rappresentato, ma anche perché, salvo che il rappresentante non sia stato autorizzato a contrattare con se stesso, non consente la ritrasmissione dei diritti all’interponente; va aggiunto che detta procura costituiva più il sintomo di una interposizione fittizia e, in ogni caso, il suo rilascio con facoltà disgiunte a più soggetti (anche alla madre) escludeva qualsiasi possibilità di interpretarla come diretta a far valere una interposizione fittizia o reale tra padre e figlio.
    3.1.4 Anche il quarto motivo di ricorso è inammissibile e comunque infondato.
    Si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 769 e 2041 c.c.. La Corte territoriale è incorsa nel vizio denunciato, perché ha motivato per relationem alla decisione di primo grado quanto alla ritenuta sussistenza della donazione indiretta e al rigetto della domanda per indebito arricchimento, non sussistendo i presupposti di applicazione della prima e sussistendo invece i presupposti della seconda.
    Viene formulato il seguente quesito: “Voglia l’Ecc.ma Corte adita dichiarare che l’intestazione ad un soggetto di un immobile acquistato con denaro altrui e contestuale rilascio di procura irrevocabile a vendere da parte dell’intestatario del bene in favore del soggetto che ha corrisposto il pretto non costituisce donazione indiretta ed in caso di premorienza del soggetto intestatario integra la tutela di cui all’art. 2041 c.c.”.
    La questione posta col quesito è stata già affrontata al punto 3.1.3 con argomentazioni che si richiamano integralmente. Nè può essere ritenuto “indebito” l’arricchimento che consegua al venir meno della procura irrevocabile.
    3.1.5 Anche il quinto motivo è infondato. Il motivo affronta la questione della condanna ex art. 96 c.p.c., disposta sia in primo che in secondo grado. Il ricorrente deduce l’assenza dei presupposti della condanna e formula il seguente quesito: “Voglia l’Ecc.ma Corte adita dichiarare che l’ipotesi risarcitoria di cui all’art. 96 c.p.c., comma 1, postula una disamina di tutte le domande portate dalla parte, l’integrale soccombenza ed il requisito del dolo e della colpa grave riconducigli ad ogni singola fattispecie reclamata”. Il quesito è generico, così come la illustrazione del relativo motivo a fronte di una motivazione ampia ed adeguata. Infatti, entrambi i giudici di merito hanno valutato, motivando adeguatamente, il comportamento processuale dell’odierno ricorrente, ampiamente descritto anche nella parte espositiva, con riguardo alla scelta di invocare il pactum fiduciae a giudizio già iniziato con una diversa prospettazione dei fatti (dimostrati da una notevole produzione documentale), e fondato su un documento in tesi andato smarrito da un terzo, con problemi anche relativi all’accertamento della presentata denuncia di smarrimento. Il primo giudice ha valorizzato la necessità, indotta da tale comportamento, di attivare una verifica penale della vicenda, senza poter tener conto dell’esito della stessa (all’epoca non essendo ancora definito il relativo procedimento penale). La Corte di appello ha inoltre valutato anche l’esito del procedimento penale (iniziato con riguardo alla diversa ipotesi di cui all’art. 640 c.p., e solo sotto quest’ultimo profilo ritenuta infondata) e ha ritenuto di confermare la sussistenza degli estremi di cui all’art. 96 c.p.c., in rapporto alla “speciale gravità dello sleale comportamento processuale tenuto, secondo le pertinenti considerazioni da ultimo già svolte del primo giudice”. Al riguardo, occorre osservare che la Corte di merito ha ritenuto di valutare la questione della presentazione della denuncia in modo diverso dal giudice penale con un giudizio di merito che appare adeguatamente motivato e non censurabile in questa sede. Sicché le pronunce trovano fondamento la prima sulla proposizione di un’azione giudiziaria avventata suffragata da strumentali produzioni probatorie e sul complessivo comportamento processuale, la seconda sulla pretestuosità del gravame. I giudici di merito hanno fatto, quindi, corretta applicazione dei principi al riguardo affermati da questa Corte, secondo i quali la domanda di risarcimento da responsabilità aggravata, di cui all’art. 96 c.p.c., comma 1, si atteggia diversamente a seconda dei gradi del giudizio, “atteso che, mentre in primo grado essa è volta a sanzionare il merito di un’iniziativa giudiziaria avventata, nel secondo grado, regolato dal principio devolutivo, essa deve specificamente riferirsi alla pretestuosità dell’impugnazione, valutata con riguardo non tanto alle domande proposte, quanto, piuttosto, alla palese e strumentale infondatezza dei motivi dell’appello e, più in generale, alla condotta processuale tenuta dalla parte soccombente nella fase di gravame” (Cass. n. 7620 del 26/03/2013, Rv. 625886). La quantificazione dei danni è stata, poi, correttamente effettuata con riguardo alle spese sostenute nel giudizio penale (vedi Cass. n. 7620 del 26/03/2013 – Rv. 625885) e tenendosi conto del prolungamento dello stato di incertezza sulla sorte del bene immobile (valutazione quest’ultima necessariamente equitativa).
    3.1.6 Inammissibile è infine l’ultimo motivo, stante l’evidente carenza di interesse del ricorrente. Infatti, è proprio quest’ultimo a rilevare, in relazione alla produzione in appello (ritenuta inammissibile) effettuata dalla […] della nota di trascrizione di acquisto di una unità immobiliare da parte della figlia dell’attore, che la Corte territoriale, pur avendone “dato atto nella parte motiva della sentenza” non ha svolto alcuna argomentazione al riguardo, così rendendo ininfluente ai fini della decisione il relativo documento.
  4. Le spese seguono la soccombenza. Anche in questo grado occorre provvedere sulla domanda avanzata ex art. 96 c.p.c., dall’avvocato […] ed anche in questo grado tale domanda deve essere accolta, dovendosi rilevare la pretestuosità del gravame a fronte dell’ampia ed adeguata motivazione dei giudici di merito e dei relativi ampi ed adeguati approfondimenti, nonché dei motivi avanzati in questa sede […]