Corte di Cassazione, Sez. 2, Sentenza n. 20258 del 2009, dep. il 18/09/2009

[…]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con atto di citazione notificato il 14 luglio 1990, […] ed […] convennero in giudizio, dinanzi al Tribunale di Civitavecchia, […] ed […], esponendo che in data […] 1990 avevano stipulato con i convenuti un contratto preliminare di compravendita per effetto del quale essi attori si erano impegnati all’acquisto, nel termine del 30 giugno 1990, della proprietà dell’appartamento sito in […], località […], ma che i convenuti si erano successivamente rifiutati di procedere alla stipula dell’atto definitivo, adducendo la asserita esistenza di abusi edilizi non suscettibili di sanatoria.
Tanto premesso, chiesero che il Tribunale pronunciasse sentenza costitutiva del trasferimento, ai sensi dell’art. 2932 cod. civ., alle condizioni di cui al contratto preliminare o in relazione alla minor somma conseguente al ritardo nella stipulazione del definitivo ed al minor valore dell’immobile per le violazioni eventualmente accertate; in via subordinata, chiesero la condanna dei convenuti al pagamento del doppio della caparra versata all’atto della redazione del preliminare.
I convenuti contestarono la fondatezza della domanda, evidenziando come fossero stati gli attori a sollecitare la sanatoria dell’immobile e come il tecnico all’uopo incaricato avesse rilevato l’impossibilità di effettuare il condono per l’avvenuto superamento dei limiti di cubatura prescritti dalla disciplina comunale, e chiesero il rigetto della domanda o, in via subordinata, in caso di accoglimento, la maggiorazione del corrispettivo pattuito in relazione ai mutati valori di mercato.
I convenuti procedettero alla chiamata in giudizio dei proprio danti causa, […] e […], i quali, a loro volta, svolsero domanda di garanzia nei confronti dell’impresa costruttrice, società […] a r.l., e del Comune di […].
Si costituirono quindi il Comune di […] e […], nella qualità di socio liquidatore della predetta società, contestando, entrambi, eventuali profili di responsabilità.
Richieste informazioni scritte all’ente comunale ed espletata una consulenza tecnica d’ufficio, il Tribunale adito, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 22 gennaio 2002, accolse la domanda degli attori, disponendo il trasferimento coattivo della proprietà dell’unità immobiliare e condannando i convenuti al risarcimento del danno, liquidato nella somma di L. 41.970.000; e rigettò le domande di garanzia svolte dalle parti, condannando i convenuti alla rifusione delle spese in favore degli attori e dei chiamati in causa […] e […], condannando questi ultimi alla rifusione delle spese in favore del […] e dichiarando compensate le spese processuali relativamente alle domande proposte nei confronti del Comune di […].
A tanto il primo giudice pervenne dopo avere rilevato, alla luce della espletata consulenza tecnica d’ufficio, che le violazioni edilizie erano, sotto il profilo dell’allora vigente L. 23 febbraio 1985, n. 47, perfettamente sanabili, sicché non sussisteva alcuna ipotesi di nullità del contratto preliminare per illiceità dell’oggetto; e dopo avere giudicato infondata la domanda di garanzia avanzata dai convenuti nei confronti dei loro danti causa, in quanto gli abusi erano addebitabili al costruttore, l’azione nei cui confronti doveva tuttavia ritenersi prescritta.
2. – Con sentenza depositata il 4 ottobre 2004, la Corte d’appello di Roma, accogliendo l’impugnazione proposta dal […] e dalla […], ha rigettato le domande avanzate nei confronti degli appellanti dalla […] e […], nonché tutte le domande proposte dalle altre parti del giudizio, dichiarando integralmente compensate le spese di entrambi i gradi del giudizio.
2.1. – La Corte territoriale ha rilevato: che l’immobile in questione, costruito sulla base di concessione edilizia e dichiarato abitabile dal Comune di […] nel dicembre 1980, presentava una cubatura fuori terra di circa 70 metri cubi eccedente quella originariamente prevista nel progetto; che al momento della scadenza del termine per la stipulazione del definitivo mancavano i requisiti (allegazione della domanda di concessione in sanatoria con gli estremi del versamento delle prime due rate della relativa oblazione) per consentire detta stipulazione; che solo successivamente, a cinque anni di distanza dalla scadenza fissata per la stipulazione del contratto di compravendita, la predetta domanda poteva trovare accoglimento, in relazione a sopraggiunti comportamenti delle parti e ad un contesto amministrativo e normativo che, per effetto della L.23 dicembre 1994, n. 724, appariva ampiamente modificato rispetto al tenore dell’originaria risposta del Comune di […] in data 5 dicembre 1991 alla richiesta di informazioni rivolta dal Tribunale ai sensi dell’art. 213 cod. proc. civ., nella quale la predetta amministrazione comunale si era espressamente pronunciata nel senso di una difformità non sanabile per contrasto con gli strumenti urbanistici.
La Corte capitolina ha considerato quindi fondate le eccezioni di parte convenuta rivolte a far valere la non vincolatività del contratto rispetto ai diritti ed agli obblighi inerenti al trasferimento della proprietà, non potendosi attribuire rilievo a situazioni sopravvenute soltanto allorché la complessiva economia del contratto risultava chiaramente e profondamente alterata per il diverso valore che avevano acquisito le prestazioni originariamente incombenti sulle parti. D’altra parte, la condotta inadempiente dei convenuti doveva considerarsi pienamente legittima alla luce del comportamento negativo reiteratamente assunto rispetto all’ipotesi di condono dai tecnici del Comune di […]. Legittimamente, pertanto, i promittenti venditori avevano ritenuto meno il vincolo negoziale, rifiutandosi di dare corso alla stipulazione di un contratto definitivo che non poteva essere stipulato in assenza degli elementi indicati nella L. n. 47 del 1985, art. 40, comma 2, ed in un contesto nel quale gli elementi raccolti circa la possibilità di un esito positivo della richiesta di sanatoria risultavano del tutto negativi.
3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello hanno interposto ricorso […] ed […], sulla base di tre motivi.
Hanno resistito, con controricorso, […] e […], nonché il Comune di […].
[…] e […] hanno, a loro volta, proposto ricorso incidentale adesivo, articolando quattro motivi di censura.
Il ricorso incidentale adesivo è resistito, con controricorso, da […] ed […].
In prossimità dell’udienza, memorie illustrative sono state depositate dai ricorrenti […] ed […] nonché dai controricorrenti […] e […].

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Preliminarmente, il ricorso principale ed il ricorso incidentale adesiva devono essere riuniti, a norma dell’art. 335 cod. proc. civ., essendo entrambe le impugnazioni relative alla stessa sentenza.
2. – Con il primo motivo del ricorso principale, i ricorrenti, denunciando contraddittoria ed insufficiente motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia, rilevano che – essendo stato l’immobile oggetto del preliminare costruito in base a regolare concessione edilizia e munito di certificato di abitabilità ed avendo la c.t.u. escluso l’esistenza di una totale difformità dell’edificio – non era tecnicamente necessaria alcuna domanda di condono per rendere commerciale il bene, non avendo l’autorità amministrativa mai accertato alcuna difformità totale, e quindi non essendo mai stati revocati permessi e licenze edilizie.
Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 47 del 1985, art. 40. Il giudice d’appello avrebbe erroneamente fatto applicazione di questa disposizione, che riguarda esclusivamente la totale mancanza di ogni licenza o concessione o la loro sopravvenuta inefficacia per totale difformità del realizzato rispetto al progetto assentito. Nella specie la villa quadrifamiliare della quale fa parte la porzione oggetto del compromesso non era stata costruita in totale difformità; inoltre, la medesima porzione immobiliare era stata già oggetto, all’atto del preliminare, di due successivi passaggi di proprietà. Tutte le difformità riscontrate in sede di c.t.u., essendo limitate e parziali, erano suscettibili di ricadere nella disciplina della L. n. 47 del 1985, artt. 12 e 13, e quindi sanabili.
Con il terzo motivo (carente e contraddittoria motivazione) si censura che il giudice d’appello non abbia considerato che l’immobile de quo era stato costruito sulla base di regolare concessione edilizia, dando invece importanza a documenti (quali lettere, pareri informali ed informative endoprocessuali) non in grado di ledere la vigenza degli atti autorizzativi formali ed ipotizzando una volontà negativa di concessione in sanatoria da parte dell’amministrazione comunale, smentita dallo stesso difensore del Comune, presente in causa.
3. – Il primo mezzo del ricorso incidentale adesivo (contraddittoria ed insufficiente motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia) rileva, al pari del primo motivo del ricorso principale, che, avendo la c.t.u. dimostrato l’inesistenza di totale difformità dell’edificio, si versava al di fuori dell’ipotesi di assenza di concessione o del vizio di totale difformità, il che non impediva la valida circolazione giuridica dell’immobile oggetto del preliminare.
Con il secondo motivo (violazione e falsa applicazione della L. n. 47 del 1985, art. 40) si afferma, analogamente a quanto prospettato dai ricorrenti in via principale, che erroneamente la Corte di merito non avrebbe considerato che le difformità riscontrate in sede di c.t.u., essendo limitate e parziali, erano suscettibili di ricadere nella disciplina della L. n. 47 del 1985, artt. 12 e 13, e quindi sanabili.
Il terzo mezzo del ricorso incidentale adesivo denuncia carente e contraddittoria motivazione, con movenze analoghe alla censura articolata con il terzo motivo del ricorso principale.
Con il quarto motivo i ricorrenti in via incidentale, deducendo omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia, si dolgono che la Corte d’appello abbia omesso di pronunciarsi in ordine alla domanda proposta dal […] e dalla […], tendente a dichiarare il costruttore ed il Comune tenuti a manlevare gli stessi da ogni responsabilità in ordine al pagamento di qualsiasi somma conseguente e relativa agli abusi riscontrati nella unità immobiliare in questione.
4. – I motivi del ricorso principale ed i primi tre motivi del ricorso incidentale adesivo – i quali, stante la loro connessione, possono essere esaminati congiuntamente – sono fondati, nei termini di seguito precisati.
4.1. – Sono pacifici – e risultano dagli atti del processo presi in considerazione dai giudici del merito – i seguenti dati di fatto:
– l’immobile in questione – costituente porzione di una costruzione composta di quattro unità immobiliari – è stato realizzato a seguito di licenza di costruzione n. […] del […] 1976 e di successiva concessione edilizia n. 1[…] del […] 1979; e dopo la sua edificazione è stato dichiarato abitabile con certificato rilasciato dal Comune di […] in data […] 1980;
– rispetto alla costruzione iniziale, all’immobile in questione non sono state apportate successivamente modificazioni;
– l’immobile presenta, rispetto al progetto approvato ed assentito, difformità – esistenti fin dalla realizzazione della costruzione e quindi allorché venne rilasciato il certificato di abitabilità – riguardanti l’altezza fuori terra del fabbricato e la volumetria, con una eccedenza complessiva di circa 74 metri cubi (essendo stati realizzati fuori terra 1.556 metri cubi anziché 1.482 metri cubi previsti dal progetto);
– l’Amministrazione comunale non ha annullato ne’ revocato la licenza edilizia, la concessione ad edificandum o il certificato di abitabilità, ne’ ha proceduto ad ingiungere la demolizione delle opere eseguite in difformità dalla concessione;
– il c.t.u. ha qualificato la parte abusiva come un’opera realizzata in parziale difformità dalla concessione edilizia;
– prima di essere oggetto del contratto preliminare di compravendita oggetto della presente controversia, la porzione immobiliare de qua, nell’identica situazione di fatto, è stata oggetto di due trasferimenti di proprietà con atti pubblici notarili (rispettivamente in data 22 luglio 1981 ed in data 13 novembre 1989).
4.2. – La giurisprudenza di questa Corte ha più volte ribadito (Sez. 2^, 17 giugno 1999, n. 6018; Sez. 2^, 11 luglio 2005, n. 14489; Sez. 2^, 24 aprile 2007, n. 9849) che la sanzione di nullità, prevista dalla L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 40, comma 2, con riferimento ad immobili privi della necessaria concessione edificatoria (ovvero della concessione rilasciata in sanatoria o della copia conforme della relativa domandar corredata della prova dell’avvenuto versamento delle prime due rate dell’oblazione), trova applicazione ai soli contratti ad effetti reali, mentre le relative previsioni non possono essere estese ai contratti ad efficacia meramente obbligatoria, quali i preliminari di vendita, come si desume dal tenore letterale della norma, nonché dalla circostanza che, successivamente al contratto preliminare, può intervenire la concessione in sanatoria degli abusi edilizi commessi, con la conseguenza che, in questa ipotesi, rimane esclusa la sanzione di nullità per il successivo contratto di vendita, ovvero si può far luogo alla pronuncia di sentenza ex art. 2932 cod. civ.. Peraltro, poiché la procedura di cui all’art. 2932 cod. civ., opera in funzione sostitutiva della volontà del contraente inadempiente, se fosse consentita l’emanazione di tale sentenza senza l’osservanza della L. n. 47 del 1985, art. 40, l’indicata disciplina imperativa verrebbe di fatto elusa, dato che, tramite il provvedimento dell’autorità giudiziaria, sarebbe possibile l’ottenimento di un effetto maggiore o diverso da quello raggiungibile con un atto negoziale.
Per tale motivo la giurisprudenza di questa Corte (Sez. 2^, 9 dicembre 1992, n. 13024; Sez. 2^, 27 aprile 2006, n. 9647; Sez. 2^, 22 maggio 2008, n. 13225) ha affermato che, in assenza della dichiarazione degli estremi della concessione edilizia o della allegazione della domanda di concessione in sanatoria con gli estremi del versamento delle prime due rate della relativa oblazione, il giudice non può pronunciare la sentenza di trasferimento coattivo di diritti reali su edifici o loro parti, prevista dall’art. 2932 cod. civ., perché l’art. 40, comma 2, legge cit., che richiede la
predetta dichiarazione o allegazione, a pena di nullità, per la stipulazione degli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali (che non siano di servitù o di garanzia) relativi ad edifici o loro parti, indirettamente influisce anche sui presupposti necessari per la pronuncia della sentenza di cui all’art. 2932 cod. civ., che, avendo funzione sostitutiva di un atto negoziale dovuto, non può realizzare un effetto che, comunque, eluda le norme di legge che governano, nella forma e nel contenuto, l’autonomia negoziale delle parti. E tale limite non può essere superato dalla astratta possibilità della successiva sanatoria della nullità, prevista per i contratti, dell’art. 40, comma 3 (che espressamente consente la successiva “conferma”, con efficacia sanante, del negozio viziato), attesa l’evidente incompatibilità tra l’istituto della conferma dell’atto mallo previsto dalla predetta disposizione e le peculiari caratteristiche della sentenza e l’autorità del giudicato che questa è destinata ad acquistare.
4.3, – Tanto premesso, se è corretto il quesito che la Corte territoriale si è posta preliminarmente in ordine alla possibilità per gli attori di ottenere una pronuncia costitutiva del trasferimento della proprietà ex art. 2932 cod. civ., errata è la conclusione che ad esso nella specie è stata data.
E ciò per le seguenti ragioni.
Va ricordato che questa Corte ha più volte precisato (tra le tante, Sez. 2^, 15 giugno 2000, n. 8147) che, derivando semplicemente dalla mancata indicazione nell’atto, da parte dell’alienante, degli estremi della concessione (ad edificare o in sanatoria), la nullità prevista dalla L. n. 47 del 1985, art. 40, al pari di quella contemplata dal precedente art. 17, rappresenta una nullità formale, riconducibile, nel sistema generale dell’invalidità, dell’art. 1418 cod. civ., u.c.. La legge eleva a requisito formale del contratto la presenza in esso di alcune dichiarazioni ed è la loro assenza che di per sè comporta la nullità dell’atto, a prescindere cioè dalla regolarità dell’immobile che ne costituisce l’oggetto.
In questa prospettiva, si è affermato: (a) che, in tema di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto di compravendita, non osta all’emissione della sentenza sostitutiva della manifestazione della volontà della parte la mancanza di certificazione di conformità alla concessione edilizia, in quanto la L. n. 47 del 1985, art. 40, commina la nullità degli atti tra vivi con i quali vengano trasferiti diritti reali su immobili ove non contengano la dichiarazione degli estremi della licenza o della concessione, mentre non prende in considerazione l’ipotesi della conformità o meno della realizzazione rispetto alle dette licenza o concessione (Sez. 2^, 14 dicembre 1999, n. 14025); (b) che il citato art. 40 commina la nullità degli atti tra vivi con i quali vengano trasferiti diritti reali su immobili ove essi non contengano la dichiarazione degli estremi della concessione edilizia dell’immobile oggetto di compravendita, ovvero degli estremi della domanda di concessione in sanatoria, sanzionando specificamente la sola violazione di un obbligo formale, imposto al venditore al fine di porre l’acquirente di un immobile in condizione di conoscere le condizioni del bene acquistato o di effettuare gli accertamenti sulla regolarità del bene stesso attraverso il confronto tra la sua consistenza reale e quella risultante dalla concessione edilizia, ovvero dalla domanda di concessione in sanatoria, mentre nessuna invalidità deriva al contratto dalla difformità della realizzazione edilizia rispetto alla licenza o alla concessione e, in generale, dal difetto di regolarità sostanziale del bene sotto il profilo del rispetto delle norme urbanistiche (Sez. 2^, 24 marzo 2004, n. 5898; Sez. 2^, 7 dicembre 2005, n. 26970). Occorre peraltro precisare che la strumentazione prevista dalla L. n.47 del 1985, ha lo scopo di garantire che il bene nasca e si trasmetta nella contrattazione soltanto se privo di determinati caratteri di abusivismo.
La legge si preoccupa che la licenza o la concessione edilizia (ovvero la documentazione alternativa, rappresentata dalla concessione in sanatoria) siano dichiarate in atto, ma sul presupposto che detta documentazione vi sia effettivamente (v. Cass., Sez. 2^, 27 aprile 2006, n. 9647, la quale, proprio in fattispecie di sentenza sostitutiva dell’obbligo di concludere il contratto definitivo ex art. 2932 cod. civ., ha rilevato che la nullità assoluta ai sensi dell’art. 1418 cod. civ., stabilita dalla L. n. 47 del 1985, art. 40, riguarda gli atti di trasferimento immobiliari relativi a costruzioni risultanti non in regola con la normativa edilizia per “mancanza della concessione edilizia ovvero della concessione in sanatoria”); e – poiché la presenza o la mancanza della licenza non possono essere affermate in astratto, ma devono esserlo in relazione ad una concreta opera – essa mira ad attrarre nella comminatoria di nullità (o, trattandosi di giudizio volto ad ottenere una sentenza di trasferimento coattivo ex art. 2932 cod. civ., nell’impedimento alla pronuncia sostitutiva del negozio non
concluso) i casi riguardanti immobili costruiti in maniera così diversa dalla previsione contenuta nella licenza o nella concessione da non potere essere ricondotti alla stessa.
Quindi – attesa la tutela di un interesse generale sotteso alla previsione della sanzione della nullità – detta comminatoria riguarda i casi di immobili costruiti non solo in assenza della licenza o della concessione, ma anche in totale difformità da essa, come è reso sistematicamente palese, tra l’altro, dal fatto che la L. n. 47 del 1985, accomuna, anche sotto il profilo delle sanzioni amministrative e penali (rispettivamente, artt. 7 e 20, contenuti nel Capo 1^, a sua volta richiamato dall’art. 40, comma 1), l’una e l’altra tipologia di opere abusive.
Nel caso di specie la previsione della nullità – e, corrispondentemente, la preclusione alla emanazione della sentenza costitutiva – non era però applicabile, perché si trattava di immobile (per di più oggetto, nell’identica ed immutata situazione di fatto, già di due precedenti passaggi di proprietà con atto notarile) costruito sulla base di una regolare concessione edilizia e non in totale difformità dalla stessa, ma avente una parziale difformità rispetto al permesso di costruire, per la presenza di un aumento non consistente della volumetria realizzata che, pur superando i limiti del progetto approvato, non consta che si sia risolta o che abbia dato luogo ad un organismo integralmente diverso o autonomamente utilizzabile.
E ciò impediva ai promittenti venditori di rifiutarsi di prestare il consenso alla stipulazione del definitivo per una asserita incommerciabilità del bene.
5. – Per effetto dell’accoglimento, nei termini di cui in motivazione, del ricorso principale e dei primi tre motivi del ricorso incidentale adesivo resta assorbito l’esame del quarto motivo di quest’ultimo ricorso.
La sentenza impugnata deve, pertanto, essere cassata e la causa rinviata alla Corte d’appello di Roma, che, in diversa composizione, la deciderà attenendosi al seguente principio di diritto: “In tema di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto di compravendita, ai sensi della L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 40, non può essere pronunciata sentenza di trasferimento coattivo ex art. 2932 cod. civ., non solo allorché l’immobile sia stato costruito senza licenza o concessione edilizia (e manchi la prescritta documentazione alternativa: concessione in sanatoria o domanda di condono corredata della prova dell’avvenuto versamento delle prime due rate dell’oblazione), ma anche quando l’immobile sia caratterizzato da totale difformità dalla concessione (e manchi la sanatoria). Ove, invece, l’immobile – munito di regolare concessione e di permesso di abitabilità, non annullati ne’ revocati – abbia un vizio di regolarità urbanistica non oltrepassante la soglia della parziale difformità rispetto alla concessione (nella specie, per la presenza di un aumento, non consistente, della volumetria fuori terra realizzata, non risolventesi in un organismo integralmente diverso o autonomamente utilizzabile), non sussiste alcuna preclusione all’emanazione della sentenza costitutiva, perché il corrispondente negozio di trasferimento non sarebbe nullo, ed è pertanto illegittimo il rifiuto del promittente venditore (a sua volta acquirente dello stesso immobile in base a rogito notarile) di dare corso alla stipulazione del definitivo, sollecitata dal promissario acquirente”. […]