Corte di Cassazione, Sez. 2, Sentenza n. 24852 del 2015, dep. 09/12/2015

[…]

RITENUTO IN FATTO

1. — La […] s.r.l. convenne in giudizio […] e […], chiedendo l’esecuzione in forma specifica del contratto preliminare che essa attrice (quale promittente venditore) aveva stipulato con i convenuti (quali promissari acquirenti), avente ad oggetto un villino sito nel comune di […].
2. — Il Tribunale di Roma accolse la domanda attorea e dispose il trasferimento della proprietà dell’immobile dalla società attrice ai convenuti, subordinandolo al pagamento in favore della […] — a saldo del prezzo — della somma di euro 102.373,50 (da maggiorare con gli interessi legali), da eseguirsi entro quattro mesi dal passaggio in giudicato della sentenza; respinse le domande riconvenzionali proposte dai convenuti.
3. — Sul gravame proposto dai convenuti, la Corte di Appello di Roma confermò la sentenza di primo grado.
4. — Per la cassazione della sentenza di appello ricorrono […] e […] sulla base di cinque motivi.
Resiste con controricorso la […] s.r.l.
Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 cod. proc. civ.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. — Preliminarmente va rigettata l’eccezione di inammissibilità del controricorso, proposta dai ricorrenti nella memoria difensiva, per non essere stati indicati — nella procura speciale in calce all’atto — il nome e il cognome del soggetto firmatario; trattasi di eccezione infondata, in quanto — contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti — la detta procura risulta sottoscritta da “[…]”, che, dalla sentenza impugnata, risulta essere l’amministratore unico e legale rappresentante della […] s.r.l.
2. — Col ricorso si formulano le seguenti censure.
2.1. — Col primo motivo di ricorso, si deduce il vizio di motivazione della sentenza impugnata con riferimento alla conclusione della Corte territoriale circa la mancata prova che gli abusi edilizi relativi al primo piano della palazzina fossero stati realizzati dalla […], piuttosto che dai promissari acquirenti’. Secondo i ricorrenti, i giudici di merito non avrebbero tenuto conto delle risultante della consulenza tecnica di ufficio e degli altri accertamenti tecnici eseguiti.
La censura è inammissibile.
I ricorrenti censurano la valutazione delle prove acquisite da parte dei giudici di merito e le conclusioni cui essi sono pervenuti nel ritenere non provato che gli abusi edilizi riscontrati nell’immobile (e consistiti nella trasformazione della soffitta in vani abitabili) fossero precedenti alla stipula del preliminare e fossero siano ascrivi bili alla società promittente venditrice.
E tuttavia, in conformità alla costante giurisprudenza di questa Corte, va ribadito che il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma solo la facoltà di controllare — sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale — le argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale soltanto spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di valutarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere — tra le complessive risultanze del processo — quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvi i casi, tassativamente previsti dalla legge, in cui la valutazione delle prove è sottratta alla discrezionalità del giudice: c.d. prove legali). Ne consegue che il preteso vizio di motivazione sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione (cfr., ex plurimis, Sez. L, Sentenza n. 2357 del 07/02/2004, Rv. 569961; Sez. 5, Sentenza n. 27197 del 16/12/2011 Rv. 620709; Sez. L, Sentenza n. 12052 del 23/05/2007, Rv. 597230).
Nella specie, i giudici di merito hanno chiarito, con dovizia di argomenti, le ragioni della loro decisione (spiegando, tra l’altro, che nella planimetria acclusa al preliminare si precisava che il primo piano non avrebbe avuto destinazione abitativa ed aveva un’altezza di “Hm. 2,2- soffitta” e che l’immobile fu consegnato dopo appena due mesi dalla stipula del preliminare); non si ritiene, peraltro — per ovvi motivi — di riportare qui integralmente tutte le suddette argomentazioni, sembrando sufficiente al Collegio far rilevare che le stesse non sono né illogiche né insufficienti; e che, anzi, l’estensore della sentenza ha esposto in modo ordinato e coerente le ragioni che giustificano la decisione adottata.
Riducendosi la censura mossa dal ricorrente a doglianze relative al merito della valutazione delle prove, la stessa risulta inammissibile.
2.2. — Col secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2932 cod. civ., per avere la Corte territoriale disposto il trasferimento della proprietà dell’immobile privo di regolarità urbanistica.
La doglianza non è fondata.
Va premesso che la nullità prevista dall’art. 40 della legge n. 47 del 1985 — derivando semplicemente dalla mancata indicazione nell’atto, da parte dell’alienante, degli estremi della concessione (ad edificare o in sanatoria) — rappresenta, al pari di quella contemplata dal precedente art. 17, una nullità formale, riconducibile — nel sistema generale dell’invalidità — all’art. 1418 ultimo comma cod. civ., in quanto la legge speciale eleva a requisito formale del contratto la presenza in esso di alcune dichiarazioni, la cui assenza comporta di per sé la nullità dell’atto, a prescindere cioè dalla regolarità dell’immobile che ne costituisce l’oggetto (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 8147 del 15/06/2000, Rv. 537619).
In questa prospettiva, questa Corte suprema ha affermato gli artt. 17 e 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 comminano la nullità degli atti tra vivi con i quali vengano trasferiti diritti reali su immobili ove essi non contengano la dichiarazione degli estremi della concessione edilizia dell’immobile oggetto di compravendita, ovvero degli estremi della domanda di concessione in sanatoria, sanzionando specificamente la sola violazione di un obbligo formale, imposto al venditore al fine di porre l’acquirente di un immobile in condizione di conoscere le condizioni del bene acquistato e di effettuare gli accertamenti sulla regolarità del bene stesso attraverso il confronto tra la sua consistenza reale e quella risultante dalla concessione edilizia, ovvero dalla domanda di concessione in sanatoria. Pertanto nessuna invalidità deriva al contratto dalla difformità della realizzazione edilizia rispetto alla licenza o alla concessione e, in generale, dal difetto di regolarità sostanziale del bene sotto il profilo del rispetto delle norme urbanistiche (Sez. 2, Sentenza n. 26970 del 07/12/2005, Rv. 586080).
Più in particolare, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto di compravendita, ai sensi dell’art. 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, non può essere pronunciata sentenza di trasferimento coattivo ex art. 2932 cod. civ. non solo qualora l’immobile sia stato costruito senza licenza o concessione edilizia (e manchi la prescritta documentazione alternativa: concessione in sanatoria o domanda di condono corredata della prova dell’avvenuto versamento delle prime due rate dell’oblazione), ma anche quando l’immobile sia caratterizzato da totale difformità della concessione e manchi la sanatoria. Nel caso in cui, invece, l’immobile, munito di regolare concessione e di permesso di abitabilità, non annullati né revocati, abbia un vizio di regolarità urbanistica non oltrepassante la soglia della parziale difformità rispetto alla concessione (nella specie, per la presenza di un aumento, non consistente, della volumetria fuori terra realizzata, non risolventesi in un organismo integralmente diverso o autonomamente utilizzabile), non sussiste alcuna preclusione all’emanazione della sentenza costitutiva, perché il corrispondente negozio di trasferimento non sarebbe nullo ed è, pertanto, illegittimo il rifiuto del promittente venditore (nella specie, a sua volta acquirente dello stesso immobile in base a precedente rogito notarile) di dare corso alla stipulazione del definitivo, sollecitata dal promissario acquirente (Sez. 2, Sentenza n. 20258 del 18/09/2009, Rv. 609669; v. anche Sez. 2, Sentenza n. 8081 del 07/04/2014, Rv. 630399, secondo cui, ai sensi dell’art. 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, l’irregolarità urbanistica che non oltrepassa la soglia della parziale difformità dalla concessione — come, nella specie, la presenza di scala esterna — non impedisce l’emanazione della sentenza ex art. 2932 cod. civ., perché il corrispondente negozio di trasferimento non sarebbe nullo).
Alla stregua dei richiamati principi, la previsione della nullità — e corrispondentemente, la preclusione all’emanazione della sentenza costitutiva — non è applicabile nel caso di specie, in quanto si tratta di immobile costruito sulla base di regolare concessione edilizia, nel quale sono stati eseguite alcune modifiche interne non autorizzate, che non ne hanno mutato per nulla la volumetria. In ogni caso, poi, si tratta di opere che sono state regolarizzate prima dell’emanazione della sentenza costitutiva dell’effetto traslativo della proprietà dell’immobile, essendo intervenuta concessione in sanatoria; ed è pacifico che qualora, successivamente al contratto preliminare, intervenga la concessione in .sanatoria di eventuali abusi edilizi, rimane esclusa la sanzione della nullità per il successivo contratto definitivo di vendita (Sez. 2, Sentenza n. 9849 del 2410412007, Rv. 596976).
2.3. — Col terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1490-1492 cod. civ., con riferimento al rigetto della domanda di riduzione del prezzo in relazione alle difformità edilizie riscontrate, costituenti vizi della cosa venduta. Con il quarto e il quinto motivo di ricorso, si deduce infine la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1440-1460-1494-2043 cod. civ., con riferimento al rigetto della domanda con la quale i convenuti avevano chiesto la condanna dell’attrice al risarcimento dei danni per vizi della cosa venduta.
Trattasi di censure che rimangono assorbite nel rigetto del primo motivo di ricorso, avendo i giudici di merito ritenuto non provato che gli abusi edilizi siano ascrivibili alla […], cosicché non possono logicamente trovare accoglimento le domande riconvenzionali dei promissari acquirenti.
3. — Il ricorso deve pertanto essere rigettato, […]