Studio Legale Berto

Corte di Cassazione, Sez. 2, Sentenza n. 5898 del 2004, dep. il 24/03/2004

[…]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto del 15/12/1993 […], nella qualità di curatore del […], conveniva in giudizio […] – curatore del […] – e […] – curatore del […] – nonché […], chiedendo che venisse dichiarata la nullità del contratto di vendita stipulato dall'[…] con la [..] e […] (quest’ultimo dante causa di […]) per violazione dell’articolo 17 della legge 47/85, con conseguente condanna dei convenuti alla restituzione del prezzo ed al risarcimento del danno. Le curatele fallimentari, costituitesi, sostenevano l’infondatezza della domanda che, con sentenza 29/5/1998, l’adito tribunale di Barcellona PG rigettava. Avverso la detta sentenza […] proponeva appello al quale resistevano le curatele appellate, mentre […] rimaneva contumace.
Con sentenza 6/6/2000 la corte di appello di Messina rigettava il gravame osservando: che la controversia traeva origine da un contratto di vendita del 10/2/1988 con il quale […] aveva acquistato da […] un immobile in […]; che in detto atto erano stati menzionati gli estremi della concessione edilizia e ad esso erano state allegate le copie della domanda di sanatoria edilizia e delle ricevute di versamento delle prime due rate dell’oblazione; che la pratica di sanatoria non aveva avuto esito positivo non essendo sanabile l’immobile come realizzato; che tale situazione non era idonea a determinare la nullità del contratto atteso che erano state rispettate le prescrizioni formali richieste dall’art. 17 della legge 47/85; che nel sistema legislativo accanto alle nullità basate su manchevolezze formali non sussistevano altre nullità (inespresse ma implicite) con riferimento alle ipotesi di dichiarazioni mendaci o erronee o di documentazione falsa; che nessun dato normativo prevedeva l’incommerciabilità delle opere illecitamente realizzate sotto il profilo urbanistico; che ciò comportava l’infondatezza della domanda e non l’assenza di tutela per l’acquirente il quale poteva agire per ottenere la risoluzione del contratto a norma dell’art. 1497 c.c. o il suo annullamento per errore sull’oggetto o per dolo; che nella specie dette domande non erano state proposte in quanto solo in appello era stata formulata una domanda di annullamento che era però inammissibile sia per la sua tardività ex articolo 345 c.p.c., sia per la sua totale genericità non essendo state specificate la cause dell’annullamento.
La cassazione della sentenza della corte di appello di Messina è stata chiesta dall'[…], nella predetta qualità, con ricorso affidato a quattro motivi. Gli […] hanno resistito con separati controricorsi. […] non ha svolto attività difensiva in sede di legittimità.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso […] denuncia violazione degli articoli 15 legge 10/1977, 17, 31 e 40 legge 47/1985, 1346 e 1418 c.c.. Ad avviso del ricorrente la corte di appello ha errato nel ritenere sufficienti, al fine di escludere la nullità del contratto di vendita immobiliare, l’indicazione della concessione edilizia e della domanda di sanatoria e l’allegazione della copia della domanda di sanatoria e delle ricevute di versamento delle due prime rate dell’oblazione. Al contrario, se il legislatore ha comminato la nullità del contratto per vizi formali, a fortiori ha stabilito la nullità per i contratti riguardanti costruzioni abusive insuscettibili di sanatoria. Pertanto l’opera non è commerciabile se non è sanabile: da ciò consegue che il contratto è comunque nullo (pur a voler escludere la nullità per i vizi formali di cui all’art. 40 legge 47/1985 ) perché l’oggetto manca di liceità, ossia di uno dei requisiti stabiliti dall’art. 1346 c.c. richiamato dall’art, 1418 c.c..
Il motivo è infondato in quanto la corte di appello si è correttamente uniformata al principio più volte affermato nella giurisprudenza di legittimità secondo cui la nullità prevista dagli art. 17 e 40 della l. n. 47 del 1985 (omessa dichiarazione degli estremi della concessione edilizia dell’immobile oggetto di compravendita, ovvero degli estremi della domanda di concessione in sanatoria) riveste carattere formale (definita “testuale e documentale” e non meramente virtuale) riconducibile, per l’effetto, nel sistema generale delle invalidità, all’ultimo comma dell’art. 1418 c.c., attesa la sua funzione di tutela dell’affidamento dell’acquirente, con la conseguenza che, ai fini della sua legittima ravvisabilità, è sufficiente che si riscontri la mancata indicazione nell’atto degli estremi della concessione, senza che occorra interrogarsi sulla reale esistenza di essa. Le norme citate non prendono in considerazione l’ipotesi della conformità o meno della realizzazione edilizia rispetto alla licenza o alla concessione: la nullità del contratto di compravendita è prevista a prescindere dalla regolarità dell’immobile che ne costituisce l’oggetto ed ha il fine di disincentivare l’abusivismo nonché di soddisfare l’esigenza di tutela dell’affidabilità dell’acquirente che deve essere posto in grado di conoscere esattamente le condizioni del bene acquistato e di poter più agevolmente effettuare accertamenti sulla detta regolarità del bene attraverso il confronto tra la sua consistenza reale e quella risultante dagli atti (concessione edilizia, ovvero domanda di concessione in sanatoria con estremi del versamento delle prime due rate della relativa oblazione) obbligatoriamente indicati nel negozio (nei sensi suddetti: sentenze 15/6/2000 n. 8147; 14/12/1999 n. 14025; 17/8/1999 n. 8685 ). Pertanto, come affermato dalla corte di merito, dal combinato disposto degli articoli 17 e 40 legge 47/1985 va ravvisata la previsione solo di una nullità formale ( per la mancata indicazione degli estremi della concessione o della domanda di sanatoria ) e non anche di una nullità sostanziale: il difetto di regolarità sostanziale del bene sotto il profilo urbanistico non rileva di per sè ai fini della validità dell’atto di trasferimento.
Occorre solo precisare che nella specie non è neanche rilevabile la nullità del contratto di compravendita in questione per “illiceità dell’oggetto” a norma dell’articolo 17, comma 7, della legge 10/1977.
In proposito va evidenziato che – come questa Corte ha ripetutamente chiarito – prima dell’entrata in vigore della legge 28 gennaio 1977, n. 10, che all’art. 15 sancisce la nullità degli atti di trasferimento di immobili costruiti senza concessione edilizia, ove dall’atto stesso non risulti che l’acquirente sia a conoscenza della mancata concessione, nessun norma stabiliva espressamente l’invalidità dei rapporti relativi a tali immobili o l’incommerciabilità delle costruzioni.
Nè la nullità della compravendita poteva ritenersi sotto il profilo della illiceità dell’oggetto del contratto, in quanto oggetto della compravendita è il trasferimento della proprietà della cosa, la quale non è suscettibile, in sè, di valutazione in termine di liceità, attenendo questa qualificazione all’attività di produzione della cosa, che è estranea al contenuto tipico delle prestazioni oggetto della compravendita.
L’abusività della costruzione poteva, invece, venire in rilievo soltanto in termini di insufficienza della prestazione di trasferimento, per la possibilità di evizione totale o parziale o di impedimento dell’uso della costruzione per difetto di abitabilità o agibilità, e quindi trovare il suo rimedio e la sua sanzione nella generale disciplina dell’inadempimento contrattuale, a tutela e su iniziativa del soggetto che, ignaro dell’abusività al momento della stipulazione del contratto, ne avesse subito pregiudizio (sentenze 21/5/1999 n. 4946; 17/1/1998 n. 374; 19/5/1995 n. 6036; 9/12/1992 n. 13024; 26/6/1990 n. 6466; 31/10/1989 n. 4554; 26/4/1984 n. 2631; 28/6/1980 n. 4096).
Va inoltre aggiunto che, come è pacifico nella giurisprudenza di legittimità (tra le ultime sentenza 17/8/1999 n. 8685), alla nullità prevista dalla citata norma di cui all’articolo 15 legge 10/1977 – per gli atti giuridici aventi ad oggetto unità edilizie costruite in assenza di concessione – deve riconoscersi carattere relativo essendo comminata solo ove dall’atto non risulti che l’acquirente non era a conoscenza della mancanza di concessione. La detta norma, inoltre, sia per il suo carattere innovativo, sia perché contenuta in una normativa speciale ispirata alla tutela di interessi pubblici legati all’ordinato assetto e sviluppo urbanistico del territorio, è di stretta interpretazione, non applicabile oltre i tempi in essa considerati. Con la conseguenza, in particolare per quel che in questa sede interessa, che, in base alla citata normativa, non può essere dichiarata la nullità di un atto avente ad oggetto a compravendita di un immobile costruito non in “assenza”di concessione edilizia ma in “difformità” – totale o parziale – della stessa.
Da quanto precede deriva che nella specie non è ravvisabile la nullità dell’atto di compravendita in esame a norma di quanto disposto dall’articolo 15 legge 10/1977 posto che – come risulta precisato nella sentenza impugnata – l’appellante (ossia la curatela ricorrente) aveva dedotto che “la domanda di sanatoria era stata realmente presentata e che effettivamente le prime due rate dell’oblazione erano state pagate, ma che la concessione in sanatoria era stata negata in quanto l’immobile presentava difformità rispetto al progetto autorizzato (e cioè la sanatoria non atteneva alle difformità effettivamente riscontrate)”. Peraltro nello stesso ricorso (alle pagine 2 e 3) si afferma che “in realtà l’immobile aveva subito modifiche in difformità dalla concessione edilizia” e che “l’istanza di sanatoria non poteva essere accolta in quanto le modifiche strutturali dell’immobile erano state apportate in epoca successiva al 1/10/1983”.
In definitiva, in aderenza ai detti principi, la sentenza impugnata deve essere confermata per la parte relativa al rigetto della domanda di nullità – sia pur con le precisazioni sopra esposte – non sussistendo nella specie ne’ l’ipotesi della nullità “formale” di cui all’articolo 40 legge 47/1985, ne’ quella prevista dall’articolo 15 della legge 10/1977. Come affermato dalla corte di appello nel caso in esame l’acquirente avrebbe potuto agire per chiedere o la risoluzione del contratto a noma dell’articolo 1497 c.c. o l’annullamento del negozio per errore o (nell’ipotesi di falsità) per dolo. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione degli articoli 345 e 164 c.p.c., nonché vizi di motivazione, lamentando l’errore commesso dalla corte di merito nel ritenere inammissibile – per tardività e genericità – la domanda di dichiarazione di nullità del contratto a norma degli articoli 1346 e 1418 c.c.. Secondo il ricorrente dalla semplice lettura dell’atto introduttivo emerge che la dichiarazione di nullità del contratto ha costituito, sin dall’inizio del giudizio, l’oggetto della domanda principale di esso […]. In ogni caso, pur volendo per ipotesi ritenere che con l’atto di appello sia stata modificata la causa pretendi, i termini della questione dovrebbero essere considerati immutati essendo rimasti invariati i fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio – senza l’introduzione di un nuovo tema di indagine e di decisione – e non essendo stati alterati l’oggetto sostanziale dell’azione ed i termini della controversia. Inoltre la corte di appello, mal interpretando l’atto di citazione e l’atto di appello, ha errato nel ritenere “una totale genericità” della domanda per una pretesa mancata specificazione della “cause dell’annullabilità”.
Anche questo motivo non è fondato in quanto frutto di una non attenta e non corretta lettura della sentenza impugnata con la quale la corte di appello non ha ritenuto inammissibile (ex art. 345 c.p.c.) la domanda dell’appellante volta alla dichiarazione di nullità del contatto per incommerciabilità del bene alienato (e, quindi, per mancanza o per illiceità dell’oggetto a norma degli articoli 1346 e 1418 c.c.). Al contrario la corte territoriale si è dilungata, nel l’esaminare la detta domanda, ritenendola infondata e non inammissibile per tardività o per genericità. La pronuncia di inammissibilità è invece relativa alla domanda di annullamento che – come risulta dalla consentita lettura degli atti processuali e, in particolare, dell’atto di citazione e dell’atto di appello come predisposti dalla curatela ricorrente – quest’ultima ha proposto solo nel giudizio di secondo grado in modo assolutamente generico non avendo in alcun modo dedotto ed illustrato le cause di annullabilità di cui agli articoli 1425 e seguenti c.c. (con riferimento, in particolare, ai vizi del consenso quali errore, violenza e dolo) ed avendo sempre richiamato gli articoli 1346 e 1418 c.c. a sostegno della nullità del contratto con oggetto privo del requisito della liceità in quanto incommerciabile.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione degli articoli 15 legge 10/1977, 17, 31 e 40 legge 47/1985, 1346 e 1418 c.c., 345 e 164 c.p.c., nonché vizi di motivazione, sostenendo che dall’annullamento del contratto dedotto in giudizio scaturisce il congruo diritto alla restituzione del prezzo e degli accessori, nonché al risarcimento del danno.

Con il quarto motivo il […] denuncia violazione degli articoli 91 e 92 c.p.c. deducendo che la corte di appello avrebbe dovuto accogliere il gravame con conseguente condanna degli appellati al pagamento delle spese dei due gradi del giudizio di merito.

I detti motivi sono logicamente assorbiti presupponendo l’accoglimento dei primi due motivi di ricorso che invece, come sopra rilevato, sono infondati.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato […]

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