[…]
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 20 ottobre 2000 […] evocava, dinanzi al Tribunale di Verbania, la […] s.r.l. esponendo che con proposta di acquisto senza data, redatta dalla medesima promittente venditrice, si era impegnata ad acquistare per sé, per persona o ente da nominare al momento del rogito, l’unità immobiliare sita in […], costituita da villa con area annessa, autorimessa, piscina, campo da tennis e rustico di proprietà della società convenuta al prezzo di £. 1.060.000.000, di cui £. 50.000.000 versata alla firma della proposta e divenuta caparra confirmatoria con l’accettazione da parte della […] s.r.I., £. 100.000.000 che doveva essere versata alla stipulazione del compromesso di compravendita, poi non redatto, che doveva avvenire entro il 30.4.2000, £. 350.000.000 alla stipulazione dell’atto notarile da rogarsi presso il notaio […] entro il 30.6.2000, £. 350.000.000 con accollo di mutuo, salvo conguaglio, al rogito, £. 150.000.000 o eventuale permuta di un negozio sito in […] e £. 60.000.000 alla stipulazione del rogito relativamente al rustico da effettuarsi non prima del 30.6.2001; aggiungeva che avendo urgenza di trasferire nell’immobile la propria dimora, dovendo effettuare lavori di manutenzione, otteneva dalla promittente venditrice la consegna del complesso dietro versamento di altri anticipi del prezzo per £. 250.000.000, oltre a quanto previsto nella scrittura privata; precisava che tale complesso immobiliare era stato acquisto dalla …] s.r.l. in sede di asta fallimentare e che era risultato che la piscina ed il campo da tennis erano stati costruiti abusivamente e per essi la promittente venditrice non aveva provveduto ad ottenere la sanatoria edilizia; tanto premesso, la […] chiedeva l’esecuzione in forma specifica della proposta di acquisito, previa eliminazione degli abusi eventualmente esistenti relativamente alla piscina ed il campo da tennis o, in mancanza di sanatoria, previa riduzione del prezzo per esclusione della piscina e del campo da tennis dal trasferimento, e con condanna della società convenuta al risarcimento dei danni per inadempimento e per il ritardo nella consegna degli immobili.
Instaurato il contraddittorio, si costituiva la convenuta chiedendo il rigetto delle domande assumendo di essere divenuta proprietaria del complesso immobiliare promesso in vendita all’attrice a seguito di trasferimento sottoscritto in data 14.8.1999 dal Giudice delegato del Fallimento […] e dei soci illimitatamente responsabili, […], decreto nel quale nulla era stato evidenziato in ordine ad irregolarità edilizia di piscina e di campo da tennis, per cui unico responsabile per l’occorso doveva considerarsi il Fallimento, che chiedeva ed otteneva di chiamare in giudizio, unitamente ai soci illimitatamente responsabili, i quali nel costituirsi eccepivano, quanto al Fallimento […] e al Fallimento di […] il difetto di legittimazione passiva, dovendo ritenersi autonome le procedure concorsuali relative alla società ed ai soci ed essendo l’immobile di proprietà esclusiva di […], eccepita anche dal Fallimento […] non ricorrendo alcuna ipotesi di garanzia impropria. Il giudice adito, disposte ed espletate due consulenze tecniche d’ufficio, con sentenza non definitiva del 21.2/11.3.2003 trasferiva alla […] ex art. 2932 c.c. il complesso immobiliare promesso in vendita tra le parti ad esclusione del rustico. Proseguiva l’istruttoria per la domanda (separata) avente ad oggetto la denuncia dei vizi lamentati in relazione alla piscina, la richiesta di risarcimento dei danni ed il trasferimento del rustico, la cui irregolarità edilizia, sanabile attraverso l’effettuazione di opere per complessivi €. 16.125,22 emergeva a seguito dei rilievi e delle indicazioni del c.t.u., per cui l’originaria attrice ed appellante chiedeva oltre al suo trasferimento ex art. 2932 c.c., l’esecuzione delle opere in sanatoria o la riduzione del prezzo anche in relazione a detto immobile, il Tribunale adito, respingeva la domanda relativamente al rustico per irregolarità urbanistica, nonché quella di garanzia per i vizi della piscina ritenendoli palesi, respinta anche la restante domanda risarcitoria perché genericamente formulata.
In virtù di rituale appello interposto dalla […], con il quale si doleva della mancata pronuncia ex art. 2932 c.c. con riferimento al rustico sotto molteplici profili e dell’erronea definizione dei vizi afferenti alla piscina come riconoscibili, con conseguente rigetto anche della domanda risarcitoria, la Corte di appello di Torino, nella resistenza della […] s.r.I., che proponeva appello incidentale autonomo per la parziale riforma della decisione impugnata quanto alle spese processuali sostenute dai Fallimenti e poste a suo carico, costituiti anche i Fallimenti, rigettava sia l’appello principale sia quello incidentale autonomo.
A sostegno della decisione adottata la corte distrettuale evidenziava — quanto al rustico — che pur essendo stato effettivamente edificato prima del 1°.9.1967, aveva subito interventi di ristrutturazione e di sistemazione negli anni 1982/1984 senza avere preventivamente ottenuto concessione ovvero autorizzazione, per cui non era in regola con la normativa urbanistico-edilizia e quindi non era commerciabile ai sensi della legge n. 47 del 1985, con conseguente non pronunciabilità della sentenza che avrebbe dovuto sostituire il contratto definitivo di compravendita dell’immobile. Precisava, altresì, che il fatto che nell’ultima integrazione alla relazione peritale fosse stata indicata la possibilità di sanatoria dell’immobile, attraverso la realizzazione di interventi espressamente indicati e quantificati per il profilo economico non rilevava ai fini della domanda ex art. 2932 c.c., per il cui accertamento doveva tenersi conto della situazione in concreto al momento dell’introduzione della domanda e della decisione, inammissibili le domande dell’appellante di condanna della […] s.r.l. a regolarizzare sotto il profilo edilizio urbanistico il rustico ovvero la riduzione del prezzo, giacchè quelle domande erano state nell’atto introduttivo specificamente articolate sui presunti abusi edilizi relativi alla piscina e al campo da tennis, senza alcun accenno al rustico, la cui irregolarità era emersa solo in sede di espletamento della consulenza tecnica di ufficio.
Aggiungeva — quanto ai lamentati vizi della piscina — che anche a volere considerare effettivamente esistenti le fessurazioni e le perdite lamentate dalla appellante, si trattava comunque di vizi riconoscibili dalla promissaria acquirente al momento della stipula della proposta, perché facilmente percepibili in relazione alla risalenza della costruzione della stessa (prima del 1975) e alle sue condizioni di manutenzione definite dal c.t.u. in stato di vetustà ed obsolescenza; proprio lo stato di conservazione dell’opera e, in genere, del complesso immobiliare giustificava l’espressa pattuizione dell’accettazione dello stesso nello stato in cui si trovava e confermava l’interpretazione della clausola inserita nel preliminare ‘vista e piaciuta’. Infine, con riferimento alla domanda di risarcimento dei danni, osservava la corte, in ordine al ritardo, che il notaio rogante era stato indicato sull’accordo di entrambe le parti ed era stato lui a ritenere non esistenti le condizioni per concludere l’atto e a richiedere approfondimenti; a ciò aggiungeva che il ritardo nella stipula del contratto definitivo aveva comportato il ritardo nel sorgere in capo alla […], che già occupava l’immobile, le obbligazioni a suo carico.
Aggiungeva che comunque la stipula del contratto definitivo per il rustico era prevista ‘non prima del 30.6.2001’, ossia in data successiva all’introduzione del giudizio.
Né poteva essere condivisa la doglianza quanto alla liquidazione delle spese processuali a carico della […] in quanto disposto il trasferimento ex art. 2932 c.c. del complesso immobiliare con sentenza n. 96/03, passata in giudicato, con riconoscimento delle spese di lite, la successiva sentenza aveva regolato solo i rapporti limitatamente al rustico e all’azione risarcitoria, respingendo in toto le pretese attoree.
Avverso la indicata sentenza della Corte di appello di Torino ha proposto ricorso per cassazione la […], articolato su tre motivi, al quale hanno replicato, con separati controricorsi, la […] s.r.l. ed il Fallimenti, presentati dagli stessi anche ricorsi incidentali.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente disposta, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., la riunione del ricorso principale e dei ricorsi incidentali siccome proposti avverso la stessa sentenza.
Ciò posto, con il primo motivo del ricorso principale viene dedotta errata applicazione ed interpretazione degli artt. 17, 18 e 40 legge 28.2.1985 n. 47 per avere la corte territoriale ritenuto incommerciale il rustico nonostante la costruzione dello stesso risalisse a prima del 1°.9.1967; d’altro canto non qualsiasi intervento non autorizzato su costruzioni iniziate prima di tale data comporta ex sé l’incommerciabilità della costruzione, come sostenuto dalla Commissione Studi Civili del notariato, ma solo quello comportante la ‘totale difformità’ dell’opera. A conclusione del mezzo viene formulato il seguente quesito di diritto: “Dica l’Ecc.ma Corte di Cassazione se ai sensi della legge n. 47/1985 sia o meno liberamente commerciabile una costruzione iniziata prima del 1° settembre 1967 e sulla quale sia stato successivamente operato un intervento edilizio non costituente variazione essenziale, né ampliamento della volumetria”.
La censura è fondata e va, pertanto, accolta.
Sono pacifici – e risultano dagli atti del processo presi in considerazione dai giudici del merito – i seguenti dati di fatto: il rustico in questione è stato realizzato, nella sua originaria struttura, prima del 1° settembre 1967; dopo la sua edificazione ha subito interventi di ristrutturazione e di sistemazione negli anni 1982 — 1984 senza avere ottenuto preventivamente la concessione di autorizzazione, giacchè l’unica rinvenuta, la n. […]/81-A del […]1982, richiedeva (da parte dell’Assessorato alla Pianificazione Territoriale della Regione Piemonte) integrazioni non presentate; rispetto alla costruzione iniziale, all’immobile in questione sono state apportate successivamente modificazioni, in occasione del restauro che ha riguardato il rifacimento del tetto, degli intonaci, della torretta fumaria, oltre al rappezzo delle pavimentazioni, alla sistemazione degli infissi e soprattutto la realizzazione di una scala esterna, con muretti di elevazione intonacati al rustico e gradini in pietra naturale grezza (la Regione ha in ordine a quest’ultima opera evidenziato la necessità di realizzare la nuova scala con muratura in pietra a faccia a vista come il resto dell’edificio); l’immobile presenta, rispetto all’opera iniziale, difformità riguardante la costruzione della scala esterna, costituente una modifica essenziale, per la quale la Regione, come suddetto, ha chiesto di modificare il progetto redatto al tempo del restauro, modifica che però non è stata presentata; l’Amministrazione comunale non ha proceduto ad ingiungere la demolizione delle opere de quibus; il c.t.u. ha accertato la possibilità di sanare l’immobile attraverso la realizzazione di interventi puntualmente indicati e quantificati economicamente.
La giurisprudenza di questa Corte ha più volte ribadito (Cass. 17 giugno 1999 n. 6018; Cass. 11 luglio 2005 n. 14489; Cass. 24 aprile 2007 n. 9849) che la sanzione di nullità, prevista dalla L. 28 febbraio 1985 n. 47, art. 40, comma 2, con riferimento ad immobili privi della necessaria concessione edificatoria (ovvero della concessione rilasciata in sanatoria o della copia conforme della relativa domanda corredata della prova dell’avvenuto versamento delle prime due rate dell’oblazione), trova applicazione ai soli contratti ad effetti reali, mentre le relative previsioni non possono essere estese ai contratti ad efficacia meramente obbligatoria, quali i preliminari di vendita, come si desume dal tenore letterale della norma, nonché dalla circostanza che, successivamente al contratto preliminare, può intervenire la concessione in sanatoria degli abusi edilizi commessi, con la conseguenza che, in questa ipotesi, rimane esclusa la sanzione di nullità per il successivo contratto di vendita, ovvero si può far luogo alla pronuncia di sentenza ex art. 2932 c.c.. Peraltro, poiché la procedura di cui all’art. 2932 c.c. opera in funzione sostitutiva della volontà del contraente inadempiente, se fosse consentita l’emanazione di tale sentenza senza l’osservanza della L. n. 47 del 1985, art. 40, l’indicata disciplina imperativa verrebbe di fatto elusa, dato che, tramite il provvedimento dell’autorità giudiziaria, sarebbe possibile l’ottenimento di un effetto maggiore o diverso da quello raggiungibile con un atto negoziale.
Per tale motivo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 9 dicembre 1992 n. 13024; Cass. 27 aprile 2006 n. 9647; Cass. 22 maggio 2008 n. 13225) ha affermato che, in assenza della dichiarazione degli estremi della concessione edilizia o della allegazione della domanda di concessione in sanatoria con gli estremi del versamento delle prime due rate della relativa oblazione, il giudice non può pronunciare la sentenza di trasferimento coattivo di diritti reali su edifici o loro parti, prevista dall’art. 2932 c.c., perché l’art. 40, comma 2, legge cit., che richiede la predetta dichiarazione o allegazione, a pena di nullità, per la stipulazione degli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali (che non siano di servitù o di garanzia) relativi ad edifici o loro parti, indirettamente influisce anche sui presupposti necessari per la pronuncia della sentenza di cui all’art. 2932 c.c., che, avendo funzione sostitutiva di un atto negoziale dovuto, non può realizzare un effetto che, comunque, eluda le norme di legge che governano, nella forma e nel contenuto, l’autonomia negoziale delle parti. E tale limite non può essere superato dalla astratta possibilità della successiva sanatoria della nullità, prevista per i contratti, dell’art. 40, comma 3 (che espressamente consente la successiva “conferma”, con efficacia sanante, del negozio viziato), attesa l’evidente incompatibilità tra l’istituto della conferma dell’atto nullo previsto dalla predetta disposizione e le peculiari caratteristiche della sentenza e l’autorità del giudicato che questa è destinata ad acquistare.
Orbene, se è corretta l’analisi normativa della Corte territoriale e la ricostruzione della vicenda in ordine alla possibilità per l’attrice di ottenere una pronuncia costitutiva del trasferimento della proprietà ex art. 2932 c.c., non è condivisibile la conclusione cui nella specie è pervenuta.
Infatti la Corte di merito ha ritenuto di equiparare la costruzione senza licenza edilizia alla costruzione in difformità senza previamente accertare se si trattasse di difformità “totale” (per la quale ipotesi vale l’assimilazione predetta) ovvero di variazione parziale e non essenziale. La prima ipotesi (L. n. 47 del 1985, art. 7, comma 1) ricorre quando sia stato realizzato un organismo edilizio radicalmente diverso per caratteristiche tipologiche o di realizzazione di volumi non assentiti (L. n. 47 del 1985, ex art. 8), da quello per cui la concessione è stata rilasciata. Si ha invece variazione parziale (L. n. 47 del 1985, art. 12) quando la modifica concerne parti non essenziali del progetto. In particolare la giurisprudenza del Consiglio di Stato, con specifico riferimento al caso della traslazione del manufatto rispetto all’area originaria, assume esservi “variante essenziale quando le modifiche al progetto assentito riguardano la sagoma, la superficie coperta, la struttura interna e la destinazione dell’edificio”, mentre “la parziale rilocalizzazione… attuata con una parziale traslazione e rotazione dello stesso rispetto all’ubicazione originaria di progetto è una mera variante minore e non una vicenda che giustifichi l’emanazione di una nuova concessione” (Consiglio di Stato 22 gennaio 2003 n. 249).
In linea generale, la Corte di legittimità ha sottolineato che “la strumentazione prevista dalla L. n. 47 del 1985 ha lo scopo di garantire che il bene nasca (e si trasmetta nella contrattazione) soltanto se privo di determinati caratteri di abusivismo. Quindi, attesa la tutela di un interesse generale sotteso alla previsione di sanzioni di nullità, detta comminatoria riguarda i casi di immobili costruiti in assenza di concessione, ed anche quelli in totale difformità da essa (come è reso palese anche dal fatto che la L. n. 47 del 1985 accomuna, anche sotto il profilo delle sanzioni amministrative e penali ex artt. 7 e 20 della Legge, l’uno e l’altra tipologia di opere abusive). Comminatoria di nullità che non colpisce invece le costruzioni effettuate in base a regolare concessione edilizia e non in totale difformità dalla stessa nel senso sopra precisato” (così Cass. 31 gennaio 2011 n. 2187; ma anche Cass. 18 settembre 2009 n. 20258).
Nel caso di specie la previsione della nullità – e, corrispondentemente, la preclusione alla emanazione della sentenza costitutiva – non era però applicabile, perché si tratta di immobile costruito sulla base della normativa antecedente alla c.d. legge Ponte, ma avente una parziale difformità rispetto all’originaria struttura, per la presenza di una scala esterna, che pur costituente una modifica essenziale, soprattutto per i vincoli paesaggistici, non comporta un aumento consistente della volumetria realizzata e non consta che abbia dato luogo ad un organismo integralmente diverso o autonomamente utilizzabile.
Con il secondo motivo del ricorso principale la ricorrente lamenta la mancata ammissione dei mezzi istruttori dedotti, in violazione dell’art. 345 c.p.c. con riferimento all’art. 360 nn. 4 e 5 c.p.c.. In particolare la ricorrente si duole che, da un lato, la corte territoriale abbia dato per certo, pur in assenza di alcuna prova al riguardo, la riconoscibilità dei vizi della piscina, e, dall’altro, non abbia consentito all’appellante di provarne, sia a mezzo testi sia a mezzo di c.t.u., la loro reale consistenza e l’impossibilità di percepirli se non mettendo in funzione la piscina.
Il mezzo è in parte inammissibile e in parte infondato.
Deve invero rilevarsi come al ricorso in esame, avente ad oggetto un provvedimento emesso nel mese di gennaio dell’anno 2007, debbano applicarsi le disposizioni del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (in vigore dal 2.3.2006 sino al 4.7.2009), e in particolare l’art. 6, che ha introdotto l’art. 366 bis c.p.c.. Alla stregua di tali disposizioni – la cui peculiarità rispetto alla già esistente prescrizione della indicazione nei motivi di ricorso della violazione denunciata consiste nella imposizione di una sintesi originale ed autosufficiente della violazione stessa, funzionalizzata alla formazione immediata e diretta del principio di diritto al fine del miglior esercizio della funzione nomofilattica – l’illustrazione dei motivi di ricorso, nei casi di cui all’art. 360 comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, deve concludersi, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto che, riassunti gli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito e indicata sinteticamente la regola di diritto applicata da quel giudice, enunci la diversa regola di diritto che ad avviso del ricorrente si sarebbe dovuta applicare nel caso di specie, in termini tali che per cui dalla risposta che ad esso si dia discenda in modo univoco l’accoglimento o il rigetto del gravame.
Analogamente, nei casi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’illustrazione del motivo deve contenere (cfr., ex multis: Cass. SS.UU. n. 20603 del 2007; Cass. n.16002 del 2007; Cass. n. 8897 del 2008) un momento di sintesi – omologo del quesito di diritto – che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità.
Tanto precisato, per quanto attiene alla censura dedotta con riferimento alla violazione dell’art. 345 c.p.c. (avuto riguardo all’art. 360 n. 4 c.p.c.), ne va rilevata la non conformità a tali disposizioni, a causa della totale assenza del quesito di diritto. Relativamente al denunciato vizio di motivazione, pur ritenendo ammissibile la doglianza, per un adeguato momento di sintesi (omologo al quesito di diritto), osserva il Collegio che la Corte distrettuale ha correttamente ed adeguatamente motivato la riconoscibilità del vizio con la vetustà e la obsolescenza dell’immobile; in altri termini, ha argomentato il suo convincimento tenendo conto dello stato complessivo di conservazione del bene, affermando “che anche a voler considerare effettivamente esistenti le fessurazioni e le perdite lamentate dalla appellante, si trattava comunque di vizi riconoscibili dalla promissaria acquirente al momento della stipula della proposta, perché facilmente prevedibili e percepibili in relazione alla risalenza della costruzione della stessa (prima del 1975) e alle sue condizioni di manutenzione definite dal c.t.u. in stato di vetustà ed obsolescenza”. Ha poi concluso che proprio lo stato di conservazione dell’opera e, in generale, del complesso immobiliare giustificava l’espressa pattuizione dell’accettazione dello stesso nello stato in cui si trovava e confermava l’interpretazione della clausola inserita nel preliminare ‘vista e piaciuta’, statuizione quest’ultima che non ha formato oggetto di specifica critica.
Il motivo, dunque, si risolve nella formulazione di palesi censure di merito, che senza evidenziare lacune o illogicità della motivazione della sentenza impugnata, tende a rimettere in discussione un insindacabile accertamento di fatto compiuto dalla corte territoriale, che sulla scorta di incensurabile valutazione delle risultanze processuali (rilievi descrittivi del c.t.u., fotografici e planimetrici) ha ritenuto che lo stato di fatiscenza della piscina fosse adeguato con riferimento all’epoca di realizzazione (primi anni ’70). Da tale accertamento, compiuto in conformità ai canoni dettati dalla costante giurisprudenza di questa Corte (v., tra le altre Cass. n. 5741 del 2008; Cass. n. 22688 del 2009; Cass. SS.UU. n. 21578 del 2011), quella di merito ha tratto la corretta conclusione che il bene in questione presentasse, in tutte le sue componenti, uno stato di obsolescenza immediatamente percepibile dalla promissaria acquirente. Con il terzo motivo del ricorso principale è dedotta la violazione e/o errata interpretazione degli artt. 278 e 193 c.p.c. con riferimento all’art. 360 n. 4 c.p.c. per quanto attiene alla domanda di risarcimento dei danni, formulata dall’attrice a causa dell’inadempimento della promittente venditrice, benché ella fosse adempiente, stabilendo l’art. 1218 c.c. una presunzione esattamente contraria a quanto ritenuto dalla corte territoriale, prescindendo il risarcimento dal requisito dell’imputabilità, essendo sufficiente il dato obiettivo del mancato adempimento (art. 1453 c.c.). A corollario del motivo viene posto il seguente quesito di diritto: “Dica la Corte se l’accertata inadempienza ed il ritardo nel trasferimento di immobile consenta di per sé una pronuncia di condanna generica al risarcimento di danni da liquidarsi in separato giudizio”.
Anche detto mezzo non può trovare ingresso.
A prescindere dal rilevare la erroneità della invocazione dell’art. 193 c.p.c., quanto al danno genericamente richiesto per inadempimento da ritardo nel prestare il consenso al trasferimento del bene, la corte territoriale ha evidenziato e ribadito (pagg. da 17 a 19 della sentenza) che di esso la parte interessata non aveva fornito alcuna prova, onde correttamente ha escluso qualsiasi diritto della parte stessa al risarcimento. In primo luogo perché la insussistenza delle condizioni per concludere il definitivo era stata accertata dal notaio, indicato sull’accordo dalle parti; in secondo luogo perché l’immobile era stato consegnato alla promissaria acquirente dietro versamento di ulteriori anticipi del prezzo; infine, relativamente al rustico, la data per il definitivo era stata prevista ‘non prima del 30.6.2001′, e quindi in data successiva all’introduzione del giudizio. Sul punto, la ricorrente nessuna utile censura muove alla decisione adottata dal giudice a quo nei termini sopra riportati, dolendosi della mancata formale declaratoria dell’inadempimento, irrilevante in difetto della prova del danno il cui risarcimento costituiva l’oggetto della domanda, senza tuttavia dedurre di aver provato il pregiudizio.
Passando al ricorso incidentale proposto dalla […] s.r.I., con un unico motivo viene dedotta la violazione e/o errata applicazione degli artt. 91, 32, 102 e 106 c.p.c., oltre a vizio di motivazione, per avere la corte di merito non tenuto conto che in applicazione del principio di causalità, di cui la soccombenza è solo un elemento rivelatore, le spese del giudizio delle terze chiamate dovevano essere poste a carico dell’attrice essendo sorta la necessità della chiamata in garanzia proprio dalle domande della […], in particolare in ordine alla richiesta di risarcimento dei danni, in relazione alla quale era rimasta soccombente. A conclusione del motivo viene formulato il seguente quesito di diritto: ” se, in applicazione del principio di causalità, il rimborso delle spese processuali sostenute dal terzo chiamato in garanzia, debbono essere poste a carico dell’attore soccombente, ove la chiamata in causa del terzo si sia resa necessaria in relazione alla domanda sostenuta dall’attore e poi risultata infondata”.
Il mezzo prima che infondato, è inammissibile.
Osserva preliminarmente il Collegio che anche recentissimamente le Sezioni unite hanno ribadito che “è inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ., applicabile ratione temporis, il ricorso per cassazione nel quale il quesito di diritto si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo” (Cass. SS.UU. n. 21672 del 23 settembre 2013: nella specie, la S.C. ha ritenuto inammissibile il ricorso con il quale veniva posto un quesito circa la possibilità per il giudice, ai sensi degli artt. 115 e 116 c.p.c., di fondare la propria decisione attenendosi a mere dichiarazioni difensive svolte in atti dai difensori delle parti in lite, senza chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata, in relazione alla concreta controversia). Resta in ogni caso fermo il principio per il quale è inammissibile il ricorso contenente un quesito di diritto che si limiti a chiedere alla S.C. puramente e semplicemente di accertare se vi sia stata o meno la violazione di una determinata disposizione di legge (Cass. SS.UU. n. 26020 del 2008).
Alla luce dei principi esposti il motivo in esame è da ritenere inammissibile per assoluta genericità del quesito e della stessa doglianza, in quanto dedotta la violazione del principio di causalità nell’attribuzione delle spese processuali con riferimento ai chiamati, la censura non formula alcuna specifica critica al ben più complesso ordito motivazionale della Corte territoriale, che nel porre a carico della […] le spese dei fallimenti dalla stessa evocati, ha tenuto conto della infondatezza dell’istanza di garanzia per la gran parte del compendio immobiliare da lei acquistato e poi rivenduto. In altri termini, il quesito non chiarisce i principi di cui la sentenza impugnata non avrebbe in concreto fatto buon governo, secondo le critiche mossele. Da ultimo, l’esame del ricorso incidentale condizionato dei Fallimenti (da valutare per il parziale accoglimento del ricorso principale) evidenzia la riproposizione delle medesime questioni dedotte dagli stessi nei gradi di merito, ossia l’inammissibilità di domande nuove in relazione al rustico, l’inammissibilità dell’introduzione di un nuovo petitum da parte della […] s.r.l. con riferimento alla domanda come precisata dall’attrice, l’inammissibilità della domanda in ordine a pretesi vizi afferenti la piscina ed il risarcimento dei danni vertendosi in tema di vendita forzata, con conseguente esonero dalle garanzie proprie del venditore, carenza di legittimazione passiva.
Le doglianze sono inammissibili sotto molteplici profili: innanzitutto perché appaiono censurare non già la sentenza di appello ma introdurre, anche nel giudizio di legittimità, le questioni di merito delle difese svolte in primo grado; inoltre, non risultano articolate nel rispetto dell’art. 366 c.p.c. n. 4 (specificità dei motivi) e dell’art. 366 bis c.p.c. (formulazione del quesito di diritto), applicabile ratione temporis.
Salvo quanto sopra esposto con riferimento all’art. 366 bis c.p.c., secondo il costante indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, in tema di contenuto del ricorso per cassazione, la finalità perseguita dalla norma di cui all’art. 366 n. 4 c.p.c. è quella di assicurare che il ricorso stesso presenti l’autonomia necessaria a consentire, senza il sussidio di altre fonti, l’immediata e pronta individuazione delle questioni da risolvere, consentendo quindi un controllo alla Corte di Cassazione sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative (in tali sensi, e plurimis, Cass. SS.UU. n. 17627 del 2003; Cass. n. 10324 del 2000; Cass. n. 8013 del 1998; Cass. n. 1161 del 1995). Alla luce dell’indicato principio, può, dunque, affermarsi che, allorquando con il ricorso per Cassazione si lamenti il mancato esame, da parte del giudice d’appello, delle critiche rivolte alla sentenza di primo grado, è necessario che il ricorrente specifichi quali siano state queste critiche onde consentire al giudice di legittimità di valutare la dedotta omissione. Nè il requisito della specificità, completezza e riferibilità dei motivi del ricorso alla decisione impugnata può dirsi rispettato quando il ricorso per cassazione è basato sul richiamo ai motivi di appello, nonché alle deduzioni svolte nei precedenti gradi del giudizio. Per vero, l’onere della indicazione specifica dei motivi di impugnazione, imposto a pena di inammissibilità del ricorso per Cassazione dall’art. 366, n. 4, c.p.c, qualunque sia il tipo di errore per cui è proposto (in procedendo o in iudicando), non può essere assolto per relationem, con il generico rinvio ad atti del giudizio di appello, senza la esplicazione del loro contenuto (cfr. Cass. n. 14075 del 2002; Cass. n. 13258 del 2000; Cass. n. 252 del 1996; Cass. n. 5217 del 1967 e, da ult., Cass. n. 20454 del 2005 e Cass. n. 4021 del 2007).
Conclusivamente, va accolto il primo motivo del ricorso principale, rigettati i restanti, dichiarati inammissibili entrambi i ricorsi incidentali.
La sentenza impugnata deve, pertanto, essere cassata e la causa rinviata a diversa sezione della Corte d’appello di Torino, che, con riferimento all’unico motivo accolto, la deciderà attenendosi al seguente principio di diritto: “In tema di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto di compravendita, ai sensi della L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 40, non può essere pronunciata sentenza di trasferimento coattivo ex art. 2932 c.c.., non solo allorché l’immobile sia stato costruito senza licenza o concessione edilizia (e manchi la prescritta documentazione alternativa: concessione in sanatoria o domanda di condono corredata della prova dell’avvenuto versamento delle prime due rate dell’oblazione), ma anche quando l’immobile sia caratterizzato da totale difformità dalla concessione (e manchi la sanatoria). Ove, invece, l’immobile – munito di regolare concessione e di permesso di abitabilità, non annullati ne’ revocati – abbia un vizio di regolarità urbanistica non oltrepassante la soglia della parziale difformità rispetto alla concessione (nella specie, per la presenza di una nuova scala esterna), non sussiste alcuna preclusione all’emanazione della sentenza costitutiva, perché il corrispondente negozio di trasferimento non sarebbe nullo, ed è pertanto illegittimo il rifiuto del promittente venditore di dare corso alla stipulazione del definitivo, sollecitata dalla promissaria acquirente”.
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