Corte di Cassazione, Sez. 2, Sentenza n. 8510 del 2018, dep. il 06/04/2018

[…]

FATTI DI CAUSA

[.. conveniva in giudizio l’ex marito […] e il fratello […] chiedendo l’accertamento dell’avvenuta lesione della quota di legittima di […], la riduzione della quota di […] e per effetto la reintegrazione di […] nella quota di 1/3 dell’asse ereditario. […] si costituiva chiedendo che fosse dichiarata la carenza di legittimazione dell’attrice e il rigetto delle domande da ella proposte; si costituiva anche […] che faceva proprie le domande fatte valere dall’attrice.
Il Tribunale di Milano, dichiarata la sopravvenuta inammissibilità della domanda di […], ha stabilito che, ai fini della determinazione della quota di legittima spettante agli eredi di […] (che era deceduto lasciando un testamento olografo con il quale aveva disposto esclusivamente in favore del […]), occorre fare riferimento unicamente al relictum, dal momento che non è stata fornita prova dell’avvenuta donazione di azioni dal padre ai figli, e ha così accertato la violazione della quota di legittima spettante a […] e conseguentemente ridotto le disposizioni testamentarie in favore di […] ai 2/3 del patrimonio ereditario, attribuendo a […] la restante quota di 1/3.
[…] ha proposto appello. La Corte d’appello di Milano – con sentenza 12 marzo 2013, n. 1438 – in accoglimento dell’appello, e in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato le domande di accertamento dell’avvenuta lesione di legittima e di riduzione proposte da […].
[…] ricorre per cassazione.
[…] resiste con controricorso, anzitutto eccependo l’inammissibilità del ricorso per insussistenza del requisito dell’esposizione sommaria dei fatti di causa.
Sia il ricorrente che il controricorrente hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis 1 c.p.c.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso, di cui va affermata (pur a fronte di una lacunosa ricostruzione dei fatti) l’ammissibilità, è articolato in quattro motivi.

2. Il primo motivo denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 782 c.c.: la corretta interpretazione della disposizione impone per la donazione la forma dell’atto pubblico così che la stipulazione della stessa deve essere provata per iscritto, prova scritta che non sarebbe stata fornita da […], essendosi questo limitato a depositare l’estratto notarile del libro soci, da cui risulta il trasferimento di azioni, denominati “trapassi azionari”.
Il motivo non può essere accolto.
Il ricorrente non considera – e non censura sotto questo profilo la pronuncia – che la Corte d’appello, a differenza del Tribunale, non qualifica l’atto di trasferimento delle azioni donazione ai sensi dell’art. 769 c.c., soggetto come tale all’onere della forma di cui all’art. 782 c.c. (cfr. alriguardo Cass., sez. un., 18725/2017), ma trasferimento “avvenuto a titolo gratuito attraverso strumenti giuridici leciti diversi da quelli previsti dall’art. 769 c.c., quali i fissati bollati dell’epoca, e che quindi, in definitiva, sono configurabili quali atti di liberalità leciti che, ex art. 809 c.c., sono soggetti alle stesse norme sulla riduzione delle donazioni per integrare le quote dovute ai legittimari”

3. Il secondo motivo fa valere la falsa applicazione “degli artt. 809 e 2728-2729 c.c., nel combinato disposto degli artt. 99 c.p.c. e 2907, 2908 c.c.”: la Corte avrebbe qualificato il trasferimento di azioni da […] in favore di […] quale atto di liberalità ex art. 809 c.c., basandosi “unicamente sulla narrativa fraintesa di un atto difensivo” e invece trascurando che occorreva provare la significativa sproporzione tra le prestazioni e che nessuna prova è stata data in tal senso.
Il motivo non può essere accolto.
La Corte d’appello ha svolto il seguente ragionamento: non è contestato che, nella misura indicata da […], vi è stato un trasferimento di azioni in favore di […], l’onerosità di tale trasferimento […] non solo non ha dimostrato (non avendo indicato, né essendosi offerto di dimostrare dove, quando e in quale misura egli provvide a pagare il corrispettivo delle azioni), ma è incompatibile con la sua condotta processuale (il ricorrente ha chiesto di provare la donazione anche a favore del fratello di azioni e nella comparsa conclusionale depositata in primo grado si legge che […] aveva ereditato “il donatum del 23,3% della […] spa”), elementi che hanno portato il giudice d’appello – considerato che incombe sulla parte che eccepisce un fatto ostativo alla collazione l’onere di fornirne la prova (cfr. Cass. 15131/2005) – a concludere per la gratuità del trasferimento.

4. Il terzo motivo, in parte già anticipato nello svolgimento del secondo, lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 112- 116, in relazione agli artt. 809, 2728-2729 c.c. e 101 c.p.c.: la Corte d’appello, sviluppando dalla domanda posta nel giudizio di riduzione e reintegrazione della quota di legittima, senza impulso del convenuto, la pronuncia su una domanda di simulazione di una donazione indiretta mai fatta valere da […], avrebbe violato il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e quello del contraddittorio.
Il motivo (in relazione al quale vengono erroneamente invocati, invece del parametro di cui al n. 4, i parametri di cui ai n. 3 e 5 del primo comma dell’art. 360 c.p.c.) non può essere accolto. L’obbligo della collazione ereditaria, quale strumento giuridico volto alla formazione della massa ereditaria da dividere sulla base della sommatoria del relictum e del donatum, sorge automaticamente e i beni donati in vita dal de cuius devono essere conferiti indipendentemente da una espressa domanda, essendo sufficiente a tal fine la domanda di accertamento della lesione della quota e di riduzione proposta nel giudizio e la menzione dell’esistenza di determinati beni facenti parte dell’asse ereditario da ricostruire (cfr. alriguardo Cass. 15131/2005).

5. Il quarto motivo contesta violazione o falsa applicazione dell’art. 556 c.c. e omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio ex art. 537 c.c.: la collazione per imputazione si fa avuto riguardo al valore dei beni al tempo dell’apertura della successione, così che “si doveva quantificare il valore commerciale della tenuta di […] al momento dell’apertura della successione e così per i mobili (azioni) ai sensi dell’art. 750 c.c.”.
Il motivo è inammissibile. Esso fa riferimento a un corretto principio, espresso dagli artt. 747 e 750 c.c., che vuole che il valore dei beni, oggetto di collazione, sia determinato considerando quale era il loro valore al tempo della aperta successione, ma all’enunciazione di tale principio non segue poi una specificazione circa il valore di tali beni e come la sentenza impugnata – dal cui testo non emerge che la Corte d’appello abbia violato le prescrizioni dettate dal legislatore – tale valore non abbia tenuto in considerazione, limitandosi il ricorrente a parlare di pronuncia “a dir poco sbrigativa e inconsistente” e a dire che “rimangono del tutto indeterminati i valori complessivi dei beni”. Né a tale genericità può porre rimedio la trascrizione di due sentenze posta in essere dal ricorrente in calce alla memoria depositata ex art. 380-bis 1 c.p.c. (sentenze che comunque concernono un giudizio instaurato successivamente a quello in esame, avente un oggetto, secondo quanto le medesime sentenze affermano, differente).

6. Il ricorso va quindi rigettato. […]