Corte di Cassazione, Sez. 3, Ordinanza n. 16322 del 2018, dep. il 21/06/2018

[…]

I FATTI DI CAUSA

[…] propone ricorso, articolato in quattro motivi ed illustrato da memoria, per la cassazione della sentenza n. 2865 del 2015, depositata dalla Corte d’Appello di Venezia 1’11.12.2015, notificata il 14.1.2016, regolarmente depositata in copia notificata, con la quale è stato confermato il rigetto della sua domanda di risarcimento danni per responsabilità professionale, proposta nei confronti dell'[…].
Nel 2007 il […], titolare dell’omonima ditta individuale, conveniva in giudizio […], proponendo nei suoi confronti azione di risarcimento danni da responsabilità professionale, e chiedendone la condanna al risarcimento per non essere riuscito ad evitare che un bene immobile della s.a.s. […], della quale il […] era socio accomandatario, fosse sottoposto ad esecuzione forzata ed aggiudicato a terzi a seguito della vendita (gli si addebitava, in particolar modo, di non aver presentato istanza di conversione).
Ciò sul presupposto che i rapporti attivi e passivi della società in accomandita si fossero trasferiti in capo alla sua ditta individuale.
Il Tribunale dichiarava la carenza di legittimazione attiva del […], in proprio, a proporre azione di responsabilità relativa all’attività svolta dall'[…] in favore
della società in accomandita, soggetto diverso ed estinto, in quanto cancellata dal registro delle imprese.
La Corte d’Appello di Venezia confermava la pronuncia di primo grado, ribadendo che l’impresa individuale non fosse legittimata alla proposizione della domanda risarcitoria spettante eventualmente alla disciolta società, peraltro cancellata e quindi soggetto giuridico non più esistente.
Evidenziava che l’attuale ricorrente non avesse chiaramente indicato nell’atto introduttivo del giudizio di appello da quale titolo pretendesse di far derivare la propria legittimazione attiva alla causa (usando disinvoltamente come sinonime espressioni aventi significato ben distinti, quali “attribuzione di tutti i beni aziendali” o “cessione dei rapporti attivi e passivi della società” o ancora “conferimento dell’azienda sociale nell’impresa individuale”. Escludeva che la titolarità della pretesa
risarcitoria si potesse fondare sulla identità della impresa, esercitata dapprima in forma societaria e poi individuale, stante il venir meno dell’ente societario a seguito della sua cancellazione ed estinzione, ed escludeva che il […] avesse anche solo indicato un idoneo negozio giuridico traslativo di beni e rapporti connessi alladisciolta società (che sarebbe dovuta passare attraverso una fase di liquidazione).
Escludeva infine che il […] potesse essere divenuto titolare della pretesa
risarcitoria, in quanto socio, dal momento e per l’effetto dell’estinzione della società, atteso che il predetto fenomeno successorio, peraltro neppure invocato dal […], potrebbe operare rispetto alle obbligazioni sociali, ai diritti ed ai beni , ma non anche rispetto alle mere pretese ( e richiama cass. S.U. n.6070 del 2013).
L'[…] e […] s.p.a. resistono con controricorso.

LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art.112 c.p.c., per aver la corte d’appello deciso su una fattispecie estranea al contenuto delle eccezioni degli appellati. Sostiene che la corte d’appello avrebbe aderito alla sua tesi, secondo la quale la società di persone, che non gode di personalità giuridica ma soltanto di un certo grado di autonomia patrimoniale, può sciogliersi e poi estinguersi attraverso la cancellazione dal registro delle imprese senza che ciò osti al
mantenimento dell’azienda, che può essere trasferita. In questo caso, la società che si scioglie potrebbe conferire l’azienda al socio superstite.
Pur avendo ritenuto accettabile, nell’assunto del ricorrente, questa ricostruzione, là corte d’appello avrebbe poi affermato la carenza di legittimazione attiva del ricorrente, introducendo un thema decidendum che non faceva parte, neppure in via di eccezione, della materia del contendere, ovvero che ai fini del trasferimento dell’azienda sarebbe stato necessario un atto traslativo da un soggetto all’altro, mancante nella fattispecie, non essendo sufficiente a questo scopo la semplice
dichiarazione effettuata davanti al notaio e poi riportata nella registrazione dinanzi alla camera di commercio. In tal modo, nella ricostruzione del ricorrente la corte di appello sarebbe incorsa in ultrapetizione.
Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., e la violazione del principio dell’onere della prova.
Sostiene che la corte d’appello avrebbe violato l’onere della prova, nel ritenere che egli non avesse adeguatamente provato il trasferimento dei beni aziendali in suo favore (non avendo il […] prodotto e neppure indicato nei suoi estremi, il negozio traslativo dei beni), in quanto, a fronte della pubblicità costituita dalla registrazione presso la camera di commercio, l’onere probatorio si sarebbe invertito.
Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1350 c.c., sulla forma scritta degli atti.
Sostiene che, diversamente da quanto affermato dalla corte territoriale, non fosse necessario nessun contratto scritto per trasferire i beni aziendali dalla società in accomandita alla ditta individuale, ed anzi afferma espressamente che non esisteva affatto un contratto scritto, in quanto ciò che si era verificato era semplicemente una successione nell’azienda, che dalla società in accomandita semplice facente capo al […] quale accomandatario, si era trasferita in capo alla ditta individuale dello
stesso […]. Pertanto, afferma il ricorrente, non solo non era necessario nessun negozio scritto (che tra l’altro sarebbe stato, nella ricostruzione del ricorrente, un contratto con sè stesso), ma non era necessaria la conclusione di alcun contratto, essendo sufficiente che il trasferimento dei non meglio precisati beni costituenti l’azienda risultasse dalla dichiarazione sostitutiva dell’atto notorio, rilasciata alla camera di commercio.
Con il quarto motivo, al quale i precedenti motivi rinviano, il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 2495, 2272 e 2555 c.c.. Sostiene di aver “assegnato”, come accomandatario, il compendio aziendale all’impresa individuale […], pubblicando questa operazione nel registro delle imprese, ovvero di aver operato una assegnazione di azienda alla impresa individuale, ex artt. 2555 e 2559 c.c. In virtù della indicata assegnazione, che non necessiterebbe di tradursi in alcuno specifico negozio giuridico traslativo, si sarebbe verificato il trasferimento, oltre che di tutti i beni, di tutti i crediti relativi all’azienda, ed anche del diritto ad agire per chiedere il
risarcimento del danno all'[…], che avrebbe col suo operato danneggiato la
società in accomandita.
Ciò premesso, le critiche rivolte dal ricorrente alla sentenza di appello – che in corretta applicazione del principio di diritto espresso da Cass. S.U. n. 6070 del 2013 lo ha ritenuto non legittimato, come già il giudice di primo grado, a far valere le mere pretese risarcitorie mai in precedenza azionate da una società in accomandita che si è incontestatamente cancellata dal registro delle imprese prima dell’inizio del presente giudizio in quanto la mancata attivazione del liquidatore per realizzare tale pretesa consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo (e peraltro, quand’anche la società si fosse cancellata a giudizio in corso, peraltro, le pretese fatte valere avrebbero dovuto intendersi abbandonate: v. Cass. n. 25974 del 2015 e Cass. n. 15782 del 2016) – non sono neppure scrutinabili, in quanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile,
per numerosi, concorrenti motivi.
Esso è caratterizzato da una tecnica redazionale alquanto confusa e poco rigorosa, utilizzata già in appello come si evince con chiarezza dalla sentenza impugnata, che si articola in una non chiara illustrazione dei fatti di causa dei quali fornisce, all’interno dei diversi motivi, ricostruzioni sia storicamente che giuridicamente difformi utilizzando quasi fossero equivalenti istituti ben distinti. Quanto alla scarsa comprensibilità sul piano cronologico, non è ben chiaro se collochi la cessione ( non è chiaro di quali diritti ed obblighi ) da […] s.a.s. a […] prima della cancellazione della società in accomandita o nel momento stesso della cancellazione. Sotto il profilo della ondivaga ricostruzione giuridica sembra far discendere dalla inesistenza di un obbligo di forma scritta, per il contratto traslativo dei non meglio individuati beni aziendali, la superfluità di un negozio traslativo, a prescindere dalla forma di esso, per il trasferimento di essi o dei diritti su di essi ovvero per il trasferimento della intera azienda.
Esso è poi assolutamente generico, laddove non individua con precisione i passi della sentenza impugnata avverso i quali rivolge le sue censure.
Il ricorso non soddisfa inoltre i requisiti di cui all’art. 366, primo comma, n. 6 c.p.c., in quanto non riporta mai il contenuto degli atti cui fa riferimento (in particolare il testo della più volte citata dichiarazione sostitutiva di atto notorio, che il […] quale socio accomandatario della […] s.a.s avrebbe reso alla Camera di commercio e dalla quale nella sua ricostruzione discenderebbe il trasferimento dei beni e dei diritti (o, come dice in altro punto dei ricorso, della cessione di azienda, che è entità diversa) dalla società in accomandita non al socio accomandatario ma alla ditta individuale […],). Non precisa neppure se e quando essi siano stati depositati nel corso del giudizio di merito e neppure se essi siano stati nuovamente depositati in questa sede.
In tal modo, contravviene al principio di diritto già più volte affermato da questa Corte, secondo il quale in tema di ricorso per cassazione, l’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., novellato dal d.lgs. n. 40 del 2006, oltre a richiedere l’indicazione degli atti, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento risulti prodotto; taleprescrizione va correlata all’ulteriore requisito di procedibilità di cui all’art. 369, comma 2, n. 4 c.p.c., per cui deve ritenersi, in particolare, soddisfatta: a) qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel relativo fascicolo, mediante la sua produzione, purché nel ricorso si specifichi che il fascicolo è stato prodotto e la sede in cui il documento è rinvenibile; b) qualora il documento sia stato prodotto, nelle fasi di merito, dalla controparte, mediante l’indicazione che esso è prodotto nel fascicolo del giudizio di merito di controparte, pur se cautelativamente si rivela opportuna la produzione del documento, ai sensi dell’art. 369, comma 2, n. 4, c.p.c., per il caso in cui la controparte non si costituisca in cassazione o lo faccia senza fascicolo o lo produca senza documento; c) qualora si tratti di documento non prodotto nelle fasi di merito, relativo alla nullità della sentenza od all’ammissibilità del ricorso oppure attinente alla sua fondatezza e formato dopo la fase di merito e comunque dopo l’esaurimento della possibilità di produrlo, mediante la produzione del documento, previa individuazione e indicazione della produzione stessa nell’ambito del ricorso (Cass. n. 27475 del 2017) […]