Corte di Cassazione, Sez. 3, Sentenza n. 1044 del 2020, dep. il 14/01/2020

[…]

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 21 settembre 2018 la Corte d’appello di Messina ha confermato, respingendo l’imnpugnazione dell’imputato, la sentenza del … 2018 del Tribunale di Messina, con cui […] era stato condannato alla pena, condizionalmente sospesa subordinatamente alla demolizione delle opere abusive entro … mesi dal passaggio in giudicato della sentenza, di tre mesi di arresto ed euro 40.000,00 di ammenda, in relazione ai reati di cui agli artt. 44, lett. c), 93, 94 et 95 d.P.R. 380/2001 e 181, comma 1 bis, d.lgs. 42/2004 (per avere realizzato, quale proprietario e committente, in area del Comune […] sottoposta a vincolo ambientale, in assenza di permesso di costruire, di preavviso e autorizzazione al Genio Civile e di autorizzazione paesaggistica, un vano della superficie di circa 25 metri quadrati e del volume di circa 80 metri cubici e un muro di contenimento alto 5 metri e lungo circa 250 metri).
La Corte territoriale, nel disattendere l’impugnazione dell’imputato, ha ritenuto a lui riconducibili le opere abusive in considerazione della sua veste di proprietario e della presentazione della domanda di sanatoria di tali opere, ha giudicato congrua la pena e ha escluso l’estinzione per prescrizione dei reati, in considerazione del fatto che le opere abusive erano ancora in corso di realizzazione all’epoca dell’accertamento e delle richieste di sanatoria e di sospensione del processo avanzate dall’imputato.

2. Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.

2.1. Con un primo motivo ha lamentato la manifesta illogicità e l’insufficienza della motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., con riferimento alla affermazione della riconducibilità al proprietario della realizzazione delle opere abusive, pur mancando gli altri indici richiesti dalla giurisprudenza di legittimità per poterlo ritenere committente di tali opere (citando le sentenze n. 13841 del 2014 e n. 38492 del 2016); ha richiamato l’orientamento interpretativo circa la necessità di un comportamento positivo o negativo del proprietario dal quale desumere la sua partecipazione all’abuso, non essendo lo stesso gravato da un obbligo giuridico di impedire o denunciare la attività illecita compiuta da terzi nel fondo di sua proprietà, né titolare di una posizione di garanzia sulla base della quale ritenerlo responsabile per concorso per omissione, con la conseguente insufficienza della sola veste di proprietario per poterne affermare la responsabilità, non essendo emersa alcuna sua partecipazione alla realizzazione delle opere abusive.

2.2. In secondo luogo ha lamentato la violazione e l’errata applicazione degli artt. 133, 164 e 165 cod. pen. e la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione, con riferimento al trattamento sanzionatorio, stabilito in misura superiore al minimo edittale nonostante la modesta gravità del fatto contestato, senza considerare la condotta latu sensu riparatoria consistita nella richiesta di concessione edilizia ai sensi dell’art. 13 I. n. 47 del 1985.

2.3. Infine con il terzo motivo ha denunciato l’inosservanza e l’errata applicazione degli artt. 158 e 159 cod. pen., ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., con riferimento al mancato rilievo da parte della Corte d’appello della estinzione di tutti i reati per prescrizione, da considerare consumati, alla luce di quanto dichiarato dal teste […], nella primavera del 2013, anziché il 31 ottobre 2013 come contestato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso, peraltro riproduttivo dell’appello, è inammissibile.

2. Il primo motivo, mediante il quale è stata denunciata la illogicità della motivazione, nella parte relativa alla affermazione di responsabilità dell’imputato, che sarebbe stata desunta in modo illogico esclusivamente dalla sua veste di proprietario del fondo nel quale sono state realizzate le opere abusive, in contrasto con l’orientamento interpretativo di questa stessa Sezione Terza circa l’insufficienza di tale sola veste per poter addivenire alla affermazione di responsabilità del proprietario, è manifestamente infondato, avendo la Corte territoriale, sia pure succintamente, evidenziato una condotta indicativa della partecipazione, quantomeno morale, del ricorrente alla realizzazione delle opere, consistente nella presentazione della domanda di condono, che implica, ontologicamente, la volontà di avvalersi delle opere abusive, di utilizzarle e farle proprie, richiedendo i titoli abilitativi necessari per poterle mantenere e lecitamente utilizzare. Questa Sezione ha già più volte affermato che la prova della responsabilità del proprietario non committente delle opere abusive non può essere desunta esclusivamente dalla piena disponibilità giuridica e di fatto del suolo e dall’interesse specifico ad edificare la nuova costruzione, ma necessita di ulteriori elementi, sintomatici della sua compartecipazione, anche morale, alla realizzazione del manufatto, quali la presentazione della domanda di condono edilizio, i rapporti di parentela o affinità tra esecutore materiale dell’opera e proprietario, la presenza di quest’ultimo in loco e lo svolgimento di attività di vigilanza nell’esecuzione dei lavori o il regime patrimoniale dei coniugi (cfr., ex plurimis, Sez. 3, n. 38492 del 19/05/2016, Avanzato, Rv. 268014; Sez. 3, n. 52040 del 11/11/2014, Langella, Rv. 261522; Sez. 3, n. 25669 del 30/05/2012, Zeno, Rv. 253065).
Ne consegue la manifesta infondatezza della doglianza formulata con il primo motivo, essendo stata fondata l’affermazione di responsabilità su rilievi non illogici, ma che costituiscono corretta applicazione di un consolidato indirizzo ermeneutico di questa Corte, che il Collegio condivide e ribadisce, tra l’altro non adeguatamente considerati e specificamente censurati dal ricorrente, che ha del tutto tralasciato di esaminare la sottolineatura da parte della Corte d’appello della presentazione da parte sua della domanda di condono delle opere abusive, cosicché la doglianza risulta anche priva della necessaria specificità estrinseca, per avere omesso il necessario confronto critico con uno degli argomenti utilizzati per addivenire alla affermazione della sua responsabilità nella realizzazione delle opere abusive.

3. Il secondo motivo, relativo al trattamento sanzionatorio, è inammissibile a causa della sua genericità, consistendo nella mera asserzione della eccessività della pena, non distante dal minimo edittale e comunque ampiamente inferiore alla media, come tale non richiedente diffusa giustificazione (cfr. Sez. 3, n. 38251 del 15/06/2016, Rignanese, Rv. 267949), con la conseguente sufficienza del rilievo della entità delle opere abusive, nonché di quello, implicito nella conferma della affermazione di responsabilità in relazione a tutti i reati contestati, della pluralità delle violazioni realizzate dall’imputato e della violazione di norme sia urbanistiche sia paesaggistiche.

4. Il terzo motivo, relativo all’omesso rilievo della estinzione dei reati per prescrizione, è anch’esso inammissibile, sia a causa della sua genericità, consistendo anch’esso nella mera asserzione della anteriorità del completamento delle opere rispetto al momento dell’accertamento degli abusi sulla base di quanto indicato da un testimone, le cui dichiarazioni non sono state riportate, neppure in sintesi o per estratto, nel ricorso; sia perché è volto a censurare un accertamento di fatto compiuto dai giudici di merito, circa l’epoca di completamento delle opere, di cui è stata data adeguata giustificazione, evidenziando che al momento dell’accertamento l’esecuzione dei lavori era ancora in corso, come ricavato, in modo logico, dalla presenza sul luogo di sacchi di cemento e altro materiale edile, cosicché la doglianza risulta volta, in modo non consentito nel giudizio di legittimità, a censurare sul piano del merito un accertamento di fatto compiuto concordemente dal Tribunale e dalla Corte d’appello, attraverso una valutazione logica degli elementi a disposizione, non rivisitabili da parte della Corte di cassazione.

5. Il ricorso deve, in conclusione, essere dichiarato inammissibile […].
L’inammissibilità del ricorso esclude il rilievo della eventuale prescrizione verificatasi successivamente alla sentenza di secondo grado, giacché detta inammissibilità impedisce la costituzione di un valido rapporto processuale di impugnazione innanzi al giudice di legittimità, e preclude l’apprezzamento di una eventuale causa di estinzione del reato intervenuta successivamente alla decisione impugnata (Sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, De Luca, Rv. 217266; conformi, Sez. un., 2/3/2005, n. 23428, Bracale, Rv. 231164, e Sez. un., 28/2/2008, n. 19601, Niccoli, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8.5.2013, Rv. 256463; Sez. 2, n. 53663 del 20/11/2014, Rasizzi Scalora, Rv. 261616). […]