Corte di Cassazione, Sez. 3, Sentenza n. 10486 del 2016, dep. il 14.03.2016

[…]

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 2 ottobre 2012, […] è stato condannato dal Tribunale di Brindisi, […], alla pena di anni tre e mesi due di reclusione ed euro 1.200 di multa, perché ritenuto responsabile del reati di cui agli artt. 110, 349 e 61 n°2 c.p.; 110 c.p. e 44 lett. b) DPR n. 380/2001.
2. Su appello dell’imputato, la Corte distrettuale lo ha assolto dal reato di cui al capo a), con formula terminativa ampia, ed ha rideterminato la pena, per il capo b), in mesi tre di arresto ed € 12.000 di ammenda. Per quel che qui ancora interessa, ha rilevato che la difformità delle opere aveva riguardato l’aumento della volumetria sia del piano interrato che del piano terra e la realizzazione di un’altra veranda. Per tali fatti egli era stato già giudicato in altro procedimento. Successivamente, l’imputato avrebbe dovuto provvedere alla riduzione della volumetria dell’immobile e, per tale ragione, era stata disposta la rimozione dei sigilli, mentre invece egli aveva proseguito i lavori, con la finalità di rendere fruibile l’opera abusiva.
Ha proposto ricorso per cassazione […], deducendo quattro motivi [art. 606 comma 1° lett. b) ed e) in relazione agli artt. 3, 6, 10 e all’art. 44 lett. b) DPR n.380/2001; art. 606 comma 1° lett. b) ed e) in relazione agli artt. 649 c.p.p. e all’art. 44 lett. b) DPR n.380/2001; prescrizione del reato di cui agli artt. 44 lett. b) DPR n. 380/2001; art. 606 comma 1° lett. b) ed e) in relazione agli artt. 62 bis, 63 c.p. e 163 in relazione all’art. 133 c.p.].

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con la prima censura, il ricorrente assume che le opere contestate non avrebbero richiesto alcun atto autorizzativo, trattandosi di opere interne non soggette ad alcun titolo abilitativo (ex artt. 3 e 6 DPR n. 380/2001). Pertanto, in mancanza di una contestazione relativa ad un aumento di volumi e superfici, la realizzazione di un impianto fognario e la posa in opera degli stipiti delle finestre non avrebbe richiesto alcun permesso. La diversa opinione della Corte distrettuale avrebbe trascurato di considerare che la condotta contestata non poteva essere quella di aver realizzato le opere interne, ma solo quella di eventuali difformità fra le opere assentite e quelle realizzate, oggetto di diverso giudizio.
2. Se poi – prosegue il ricorrente, introducendo il secondo motivo – l’imputazione avesse in realtà inteso riguardare la realizzazione di un manufatto in difformità rispetto al permesso di costruire, sarebbe stato agevole rilevare che, in relazione allo stesso abuso edilizio, […] era già stato condannato con altra sentenza, oggetto di diversa impugnazione. Infatti, pur trattandosi di una “prosecuzione” delle opere – secondo la definizione della Corte territoriale – il fatto ritenuto penalmente rilevante sarebbe stato il medesimo, essendovi identità dei fatti, analoga configurazione del reato, eguali circostanze di tempo, di luogo e di persona.
3. La terza lagnanza è volta ad invocare l’intervenuta prescrizione del reato residuo, con conseguente declaratoria di estinzione del reato.
4. Il quarto mezzo d’impugnazione è volto a contestare la pena inflitta, giacché il giudice di secondo grado avrebbe omesso di considerare gli aspetti emersi in concreto circa la condotta del prevenuto con riferimento alla natura delle opere realizzate, ed avrebbe valutato in modo non corretto il precedente di un reato colposo del 1964 per negare la prevalenza delle circostanze attenuanti. Sarebbe altresì apparsa ingiustificata la subordinazione della concessione della sospensione condizionale della pena, stante l’età dell’imputato e la consistenza delle opere oggetto di imputazione.
5. Osserva la Corte che il ricorso è manifestamente infondato.
5.1. Non ha rilievo la sussistenza o no del titolo abilitativo. In ogni caso, la Corte territoriale, con una motivazione logica e congrua – che, in quanto tale, si sottrae al sindacato di questa Corte – ha accertato l’aumento di volumetria, determinato dall’ampliamento sia del piano interrato che della veranda, dopo la contestazione poi sfociata nel diverso procedimento penale.
5.2. Va chiarito, in linea generale, che non vi è “identità del fatto”, rilevante ai fini dell’operatività del principio del ne bis in idem, nel caso in cui uno stesso reato permanente sia contestato in relazione a periodi diversi, ancorché parzialmente sovrapposti, poiché in tal caso il fatto, pur essendo naturalisticamente unico, risulta giuridicamente scomponibile in due fatti diversi in considerazione delle diverse circostanze di tempo (Sez. 2, n. 33838 del 12/7/2011, Blandina, Rv. 250592), ciò in quanto detta identità sussiste soltanto quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona (cfr. Sez. 5, n. 52215 del 30/10/2014, P.G. in proc. Carbognani, Rv. 261364; Sez. 2, n. 292 del 4/12/2013 (dep.2014), Coccorullo, Rv. 257993; Sez. 4, n. 4103 del 06/12/2012 (dep. 2013), Guastella, Rv. 255078; Sez. 5, n. 28548 del 01/07/2010, Carbognani, Rv. 247895; Sez. 2, n. 26251 del 27/5/2010, Rapisarda e altri, Rv. 247849; Sez. 2, n. 21035 del 18/4/2008, Agate e altri, Rv. 240106).
Per ciò che riguarda, in particolare, l’operatività del principio con riferimento al reato urbanistico, si è affermato che il divieto di un secondo giudizio riguarda la condotta delineata nell’imputazione ed accertata con la sentenza, di condanna o di assoluzione, divenuta irrevocabile e non anche la prosecuzione della stessa condotta o la sua ripresa in epoca successiva, trattandosi, in tal caso, di fatto storico diverso non coperto dal giudicato e per il quale non vi è impedimento alcuno a procedere (così, Sez. 3, n. 15441 del 13/3/2001, Migliorato, Rv. 219499).
5.3. Tale principio è pienamente condiviso dal Collegio, che intende pertanto darvi continuità affermando, conseguentemente, che attesa la natura permanente del reato urbanistico, la preclusione del ne bis in idem opera soltanto con riferimento alla condotta posta in essere nel periodo oggetto di contestazione nei capi di imputazione e non riguarda, invece, l’eventuale protrazione o ripresa della condotta in un periodo successivo, rispetto alla quale rimane impregiudicata l’azione penale e la qualificazione conseguente del fatto [Sez. 3, n. 19354 del 21/04/2015 (dep. 11/05/2015), Alfiero, Rv. 263514].
5.4. Date tali premesse, appare dunque evidente la manifesta infondatezza dei motivi di ricorso, avendo il giudice correttamente distinto tra le condotte accertate con il primo giudizio e quelle oggetto della successiva declaratoria di improcedibilità per prescrizione.
Va peraltro ricordato che l’esito del secondo giudizio non incide in alcun modo sull’efficacia dell’ordine di demolizione impartito all’esito della prima pronuncia.
Questa Corte ha infatti ripetutamente affermato che la demolizione ordinata dal giudice non riguarda soltanto l’immobile oggetto del procedimento che ha dato vita al titolo esecutivo, ma anche ogni altro intervento, eseguito successivamente, che, per la sua accessorietà all’opera abusiva, renda ineseguibile l’ordine medesimo, non potendo consentirsi che un qualunque intervento additivo, abusivamente realizzato, possa in qualche modo ostacolare l’integrale attuazione dell’ordine giudiziale di demolizione dell’opera cui accede e, quindi, impedire la completa restitutio in integrum dello stato dei luoghi disposta dal giudice con sentenza definitiva, poiché, se così non fosse, si finirebbe per incentivare le più diverse forme di abusivismo, funzionali ad impedire o a ritardare a tempo indefinito la demolizione di opere in precedenza illegalmente realizzate (Sez. 3, n. 38947 del 09/07/2013, Amore, Rv. 256431; Sez. 3, n. 21797 del 27/4/2011, Apuzzo, Rv. 250389; Sez. 3, n. 2872 del 11/12/2008 (dep. 2009), P.M. in proc. Corimbi, Rv. 242163; Sez. 3, n. 13649 del 20/2/2002, Corbi, Rv. 221449; Sez. 3, n. 10248 del 18/1/2001, Vitrani, Rv. 218961).
5.5. La valutazione della pena operata dalla Corte territoriale è, d’altronde, ampiamente motivata, così come sono motivati il diniego delle attenuanti generiche – il cui mancato riconoscimento non costituisce mezzo di determinazione della sanzione e non può, quindi, dar luogo né a violazione di legge, né al corrispondente difetto di motivazione [Sez. 3, Sentenza n. 44883 del 18/07/2014 (dep. 28/10/2014), Cavicchi, Rv. 260627] – e la subordinazione della sospensione condizionale della pena.
5.6. La manifesta infondatezza dei motivi determina l’inammissibilità del ricorso, ex art. 606 comma 30 c.p.p.
A tale proposito, giova sottolineare che, medio tempore il reato per il quale oggi si discute si sarebbe prescritto il 29 novembre 2014, ma la declaratoria di inammissibilità per manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto d’impugnazione e, pertanto, preclude la possibilità di dichiarare le cause di non punibilità di cui all’art. 129 c.p.p., ivi compresa la prescrizione intervenuta nelle more del procedimento di legittimità [Sez. U, Sentenza n. 32 del 22/11/2000 Cc. (dep. 21/\2/2000) Rv. 217266 e, da ultimo, Sez. 2, Sentenza n. 28848 dell’8/05/2013 Ud. (dep. 08/07/2013) Rv. 256463].
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