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RITENUTO IN FATTO
1. – Con ordinanza del 2 febbraio 2016, la Corte d’appello di Salerno, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’opposizione proposta dall’interessato avverso l’ordinanza dell’8 maggio 2015, con la quale era stato revocato il sequestro preventivo di opere abusive edilizie ed era stata disposta la restituzione di quanto in sequestro al Comune, in quanto soggetto avente diritto alla restituzione, in conseguenza della acquisizione gratuita dell’immobile e dell’area di sedime ai sensi dell’art. 31 del d.lgs. n. 380 del 2001.
2. – Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l’interessato, deducendo l’erronea applicazione del richiamato art. 31, sul rilievo che non si tratterebbe di un fabbricato ma di uno sbancamento parziale di una modesta macera di contenimento, che non potrebbe comunque essere acquisita al patrimonio del Comune, sia perché non sarebbe possibile il frazionamento catastale della relativa particella, sia perché la riduzione in pristino sarebbe stata comunque eseguita.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è manifestamente infondato. Il d.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, comma 3, stabilisce che «se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione, il bene e l’area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive, sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune». La giurisprudenza di questa Corte è ormai orientata nel ritenere che, dal tenore letterale della norma, risulta evidente che l’effetto ablatorio si verifica ope legís alla inutile scadenza del termine fissato per ottemperare all’ingiunzione di demolire, mentre la notifica dell’accertamento formale dell’inottemperanza si configura solo come titolo necessario per l’immissione in possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari (ex multis, Sez. n. 4962 del 28/11/2007, dep. 2008). Tale decisione ha anche precisato che «evidente corollario dei principi sopra esposti è che il giudice che dispone il dissequestro di un immobile abusivo, dopo che il responsabile dell’abuso non ha ottemperato nel termine di legge all’ingiunzione comunale di demolire, e quindi dopo che si è verificato l’effetto ablativo a favore dell’ente comunale, deve disporre la restituzione dell’immobile allo stesso ente comunale e non al privato responsabile, che per avventura sia ancora in possesso del bene. Per individuare l’avente diritto alla restituzione, infatti, non è sufficiente il favor possessíonis, occorrendo invece la prova positiva dello ius possidendí, che non compete più al privato ottemperare». Operando l’effetto ablativo di diritto ed automaticamente con il mero decorso del termine, per essere “paralizzato” è necessario che si verifichi un “impedimento assoluto” che non consenta al destinatario di dare esecuzione all’ordinanza (tale non è certamente il sequestro). L’art. 85 disp. att. cod. proc. pen., prevede, infatti, che «quando sono state sequestrate cose che possono essere restituite previa esecuzione di specifiche prescrizioni, l’autorità giudiziaria, se l’interessato consente, ne ordina la restituzione impartendo le prescrizioni del caso». È l’ordinamento stesso, quindi, a consentire di superare il vincolo rappresentato dal sequestro e di procedere, nonostante la presenza dello stesso, alla demolizione (ex multis, Cass. pen. Sez. 3, n. 9186 del 14/01/2009; Sez. 3, n. 171888 del 24/03/2010; Sez. 3, n. 42637 del 26/09/2013, Rv. 258308).
A fronte del corretto e puntuale richiamo di tali principii da parte della Corte d’appello nel caso di specie, le censure del ricorrente si risolvono in mere affermazioni – del tutto sganciate dagli atti causa e, anzi, puntualmente smentite dagli stessi – secondo cui il frazionamento catastale della particella non sarebbe possibile e la riduzione in pristino sarebbe stata comunque eseguita.
4. – Il ricorso deve perciò essere dichiarato inammissibile […]