Corte di Cassazione, Sez. 3, Sentenza n. 19683 del 2018, dep. il 07/05/2018

[…]

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza 1.06.2017, la Corte d’appello di Caltanissetta confermava la sentenza tribunale di Gela 10.03.2016, appellata dall’imputata, che era stata condannata alla pena di 7 mesi di reclusione ed € 400 di multa, pena condizionalmente sospesa per entrambi e subordinata al versamento di € 300,00 in favore del Comune di […], con il concorso di attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti contestate, per il reato edilizio contestato al capo 1) nonché per il reato di violazione di sigilli aggravata dalla qualità di custode contestato al capo 2), unificati gli stessi sotto il vincolo della continuazione, in relazione a fatti del 21.08.2012, contestati come commessi secondo le modalità esecutive e spazio-temporali meglio descritte nei due capi di imputazione.
2. Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputata […], a mezzo del difensore di fiducia iscritto all’Albo speciale ex art. 613, cod. proc. pen., deducendo tre motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Deduce, con il primo motivo, in relazione al capo 1) della rubrica, violazione di legge e vizio di motivazione. Anzitutto, contesta la ricorrente la natura di reato permanente del reato edilizio, sostenendo trattarsi di reato istantaneo con effetti permanenti, ciò che inciderebbe anche sulla prescrizione; quanto, poi, ai lavori contestati, si sostiene che non necessiterebbero di rilascio preventivo del titolo abilitativo; si contesta, poi, l’affermazione della Corte d’appello circa l’ultimazione dei lavori che, per i giudici di appello, ricorre solo quando si è in presenza di un edifico concretamente funzionale, che possegga tutti i requisiti di agibilità o abitabilità. Ne consegue che il reato è estinto per prescrizione, il cui onere probatorio non deve gravare sull’imputato, come invece sosterrebbe erroneamente la sentenza impugnata. Nel caso di specie, mancando la prova del momento di consumazione del reato, non poteva non essere applicato il principio del favor rei, in considerazione del diverso stato dell’immobile rispetto agli accertamenti effettuati in precedenza, donde era necessaria l’esatta indicazione del momento consumativo, ciò per consentire all’imputata di potersi difendere confutando un termine diverso da quello risultante dagli atti, nella specie mancante. In difetto di tale dato, il termine di prescrizione decorrerebbe dal […]2010, data dell’ultimo accertamento effettuato prima di quello del […]2012. Sul punto, pertanto, la sentenza sarebbe anche affetta dal vizio di insufficienza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione quanto all’individuazione del momento consumativo del reato, ciò che avrebbe dovuto indurre la Corte, in base al principio del favor rei, a prosciogliere l’imputata per intervenuta estinzione del reato per prescrizione. 2.2. Deduce, con il secondo motivo, in relazione poi al capo 2) della rubrica, violazione di legge e vizio motivazionale.
Si sostiene che i giudici avrebbero ancorato il giudizio di condanna valorizzando la funzione dei sigilli apposti in sede di sequestro penale, sub specie di immodificabilità della situazione dell’immobile in relazione alle esigenze cautelari sottese al provvedimento, donde qualsiasi condotta volta ad alterare tale condizione ben potrebbe essere ritenuta idonea a realizzare la violazione dei sigilli. Diversamente, sostiene la ricorrente, sarebbero da ritenere poste in violazione dei sigilli solo quelle condotte tali da comportare una sostanziale immutazione della consistenza del bene, non anche semplici lavori di completamento insuscettibili di incidere sull’effettiva identità del bene stesso. Inoltre, si afferma che vi sarebbe mancanza della motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato, avendo richiamato la Corte territoriale solo una pronuncia di questa Corte, senza ancorarla alla situazione concreta. Infine, si insiste per l’intervenuta estinzione anche di tale reato per prescrizione, trattandosi peraltro di reato di natura istantanea.
2.3. Deduce, con il terzo motivo, violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’art. 133, c.p., all’art. 131 bis, c.p. ed all’intervenuta subordinazione del beneficio di cui all’art. 163, c.p. al pagamento della somma di 300 € in favore del Comune di […]. In particolare, le censure attingono la sentenza con riferimento alla affermazione secondo cui la pena sarebbe proporzionata e correttamente determinata, tenuto conto del reato, dei limiti della pena e della non incensuratezza, segnatamente dell’imputata, ma, secondo la difesa, si tratterebbe di affermazione di mero stile. Analogamente le censure attingono la sentenza laddove ha rigettato la richiesta di riconoscimento della speciale causa di non punibilità dell’art. 131 bis, c.p., che sarebbe del tutto immotivata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Seguendo l’ordine suggerito dalla struttura dell’impugnazione proposta in sede di legittimità, si procederà all’esame dei singoli motivi, secondo l’ordine di illustrazione supra svolto, dovendosi premettere all’esame che gli stessi, complessivamente, hanno in comune un vizio di fondo, prestando il fianco al giudizio di genericità per aspecificità, non tenendo conto delle ragioni esposte dai giudici di primo grado e di appello a confutazione delle identiche doglianze esposte nei motivi di appello. Deve quindi essere fatta applicazione del principio, già affermato da questa Corte, secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849).
4. I motivi si appalesano, peraltro, manifestamente infondati.
5. Ed invero, quanto al primo motivo, con cui si deduce violazione di legge e vizio di motivazione, si osserva: a) quanto alla natura permanente del reato edilizio, che sarebbe da ritenere reato istantaneo con effetti permanenti, trattasi di affermazione errata in diritto perché è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che il reato di costruzione in assenza di concessione edilizia, previsto dall’art. 44, lett. b), d.p.r. n. 380 del 2001 (come già il previgente art. 20, lett. b), legge 28 febbraio 1985 n. 47), ha natura permanente e la relativa consumazione perdura fino alla cessazione dell’attività abusiva (Sez. U, n. 17178 del 27/02/2002 – dep. 08/05/2002, Cavallaro, Rv. 221399; b) quanto, poi, all’obiezione secondo cui i lavori contestati non necessiterebbero di rilascio preventivo del titolo abilitativo è del tutto priva di pregio; ed infatti, come risulta dalla stessa imputazione, si trattava del completamento degli impianti tecnologici, nella posa della pavimentazione, nell’installazione degli infissi esterni e delle porte interne e nella posa delle ringhiere dei balconi, il tutto relativamente ad un immobile abusivo oggetto di precedente sequestro e procedimenti penale; è indubbio che si tratta quindi di una fase ulteriore di prosecuzione die lavori del fabbricato in questione, risultando in particolare la collocazione degli infissi esterni e l’ultimazione degli impianti realizzata in epoca successiva al […]2010 data del sequestro e dell’apposizione dei sigilli. Come ben evidenzia la Corte territoriale, nel caso in esame risulta contestato uno stato di definizioni dell’immobile diverso e successivo rispetto a quello contestato nell’ambito dei precedenti procedimenti.
Correttamente, pertanto, richiama la Corte d’appello la giurisprudenza di questa Corte secondo cui Il divieto di un secondo giudizio per il reato di abuso edilizio di cui all’art. 44 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, riguarda soltanto la condotta posta in essere nel periodo indicato nell’imputazione ed accertata con la sentenza irrevocabile, ma non anche l’eventuale prosecuzione o la ripresa degli interventi edificatori in un periodo successivo, attesa la natura permanente della fattispecie e la conseguente scomponibilità giuridica dei comportamenti posti in essere dall’imputato (Sez. 3, n. 19354 del 21/04/2015 – dep. 11/05/2015, Alfiero, Rv. 263514). A ciò va aggiunto, inoltre, come, al fine di destituire di fondamento la tesi difensiva secondo cui si sarebbe trattato di interventi di minima entità non necessitanti di alcun titolo abilitativo, che trattandosi comunque di intervenni eseguiti su immobile già abusivo, era del tutto irrilevante la circostanza che si trattasse o meno di interventi soggetti a permesso di costruire, atteso che in tema di costruzioni edilizie, il regime di favore previsto per gli interventi edilizi non è applicabile all’intervento edilizio che acceda ad un manufatto principale abusivo, atteso che il bene accessorio ripete le proprie caratteristiche dall’opera principale a cui è intimamente connesso, risultando così anch’esso in contrasto con l’assetto urbanistico del territorio (v., ad esempio, in materia di pertinenze: Sez. 3, n. 33657 del 12/07/2006 – dep. 06/10/2006, Rossi, Rv. 235383).
6. Con riferimento, ancora alla censura rivolta all’affermazione della Corte d’appello circa l’ultimazione dei lavori (che, per i giudici di appello, ricorre solo quando si è in presenza di un edifico concretamente funzionale, che possegga tutti i requisiti di agibilità o abitabilità), si tratta di censura del tutto sfornita di pregio, essendo pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che deve ritenersi “ultimato” solo l’edificio concretamente funzionale che possegga tutti i requisiti di agibilità o abitabilità, di modo che anche il suo utilizzo effettivo, ancorchè accompagnato dall’attivazione delle utenze e dalla presenza di persone al suo interno, non è sufficiente per ritenere sussistente l’ultimazione dell’immobile abusivamente realizzato, coincidente generalmente con la conclusione dei lavori di rifinitura interni ed esterni (Fattispecie relativa ad immobile privo di infissi, impianti elettrici e imbiancatura, nella quale la Corte ha specificato che spetta al ricorrente l’onere di dimostrare di avere non solo sospeso l’attività edilizia, ma anche di aver voluto lasciare volutamente l’opera abusiva nello stato in cui è stata rinvenuta; Sez. 3, n. 48002 del 17/09/2014 – dep. 20/11/2014, Surano, Rv. 261153).
7. Con riferimento, poi, alla questione relativa alla prescrizione del reato edilizio, non v’è dubbio che nel caso in esame non possa essere applicato il principio del favor rei invocato dalla difesa. Ed invero, come ben ricorda la Corte territoriale, in tema di prescrizione, grava sull’imputato, che voglia giovarsi di tale causa estintiva del reato, l’onere di allegare gli elementi in suo possesso dai quali poter desumere la data di inizio del decorso del termine, diversa da quella risultante dagli atti (tra le tante: Sez. 3, n. 27061 del 05/03/2014 – dep. 23/06/2014, Laiso, Rv. 259181); onere di allegazione, nella specie, non assolto dall’imputato, con conseguente corretta determinazione, in assenza di elementi a favore del reo, della data di consumazione del reato in quella dell’accertamento del 21.08.2012, senza che sia ravvisabile alcuno dei vizi, anche di motivazione, denunciati.
8. Manifestamente infondata è la doglianza che attinge il capo 2) della rubrica; ed invero, non può dolersi la difesa del fatto che i giudici abbiano ancorato il giudizio di condanna valorizzando la funzione dei sigilli apposti in sede di sequestro penale, sub specie di immodificabilità della situazione dell’immobile in relazione alle esigenze cautelari sottese al provvedimento. Sul punto i giudici di appello correttamente replicano alla censura difensiva osservando come la funzione dei sigilli, apposti in sede di sequestro penale, avrebbe dovuto essere quella di cristallizzare la situazione dell’immobile posto sotto sequestro, ovvero di garantire l’immodificabilità in relazione alle esigenze cautelari sottese al provvedimento, di natura meramente processuale e probatoria/preventiva, a seconda della natura dello stesso. Va richiamata a tal proposito la giurisprudenza di questa Corte secondo cui con l’apposizione dei sigilli si attua una custodia meramente simbolica mediante la quale si manifesta la volontà dello stato di assicurare cose, mobili o immobili, contro ogni atto di disposizione di persone non autorizzate. Pertanto, il fatto costitutivo del reato di cui all’art. 349 cod. pen. consiste in qualsiasi atto che renda vana la predetta volontà manifestata dall’ufficio che ne aveva il potere (nella specie è stato ritenuto configurabile il reato nella attività di completamento di un villino, con intonaci e pavimentazione di una veranda esterna, dopo che era stata ordinata la sospensione dei lavori ed erano stati apposti i sigilli: Sez. 6, n. 8293 del 19/06/1984 – dep. 06/10/1984, Palmeri, Rv. 166001). Dunque sono da considerare come poste in violazione dei sigilli non solo quelle condotte tali da comportare una sostanziale immutazione della consistenza del bene, ma anche semplici lavori di completamento apparentemente insuscettibili di incidere materialmente sull’effettiva identità del bene stesso.
9. Infine, quanto alla asserita mancanza della motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato, del tutto correttamente la Corte territoriale richiama la giurisprudenza di questa Corte secondo cui in tema di violazione dei sigilli, l’elemento soggettivo del reato è integrato dal dolo generico, per la cui sussistenza è sufficiente che il soggetto attivo si rappresenti e voglia realizzare la violazione dei sigilli apposti per legge o sulla base di un provvedimento dell’autorità competente per garantire la conservazione o l’identità di un bene, senza che sia necessario il fine specifico di recare un “vulnus” alla conservazione o all’identità della cosa sequestrata (Sez. 3, n. 1743 del 20/09/2016 – dep. 16/01/2017, Milani, Rv. 269358).
E, nel caso di specie, il dolo generico era agevolmente desumibile proprio dalla prosecuzione dei lavori da parte dell’imputata, aggravato dalla qualità di custode della stessa, che rendeva chiara la consapevolezza di modificare lo stato dei luoghi rispetto all’apposizione dei sigilli; con riferimento alla prescrizione del reato, infine, il momento consumativo del reato di violazione di sigilli può essere ritenuto coincidente con quello dell’accertamento – sulla base di elementi indiziari, di considerazioni logiche, ovvero di fatti notori e massime di esperienza – salvo che venga rigorosamente provata l’esistenza di situazioni particolari o anomale, idonee a confutare la valutazione presuntiva e a rendere almeno dubbia l’epoca di cor’nmissione del fatto (giurisprudenza costante: Sez. F, n. 34281 del 30/07/2013 – dep. 08/08/2013, Franzese e altro, Rv. 256644): prova rigorosa nella specie non fornita dall’imputata.
10. Infine, quanto alle residue doglianze di cui al terzo motivo (violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’art. 133, c.p., all’art. 131 bis, c.p. ed all’intervenuta subordinazione del beneficio di cui all’art. 163, c.p. al pagamento della somma di 300 € in favore del Comune di […]), si osserva quanto segue. 11. Quanto alle censure con riferimento alla affermazione contenuta in sentenza secondo cui la pena sarebbe proporzionata e correttamente determinata, tenuto conto del reato, dei limiti della pena e della non incensuratezza dell’imputata, lungi dal trattarsi di affermazione di mero stile, in realtà è idonea a soddisfare l’onere motivazionale richiesto dalla legge; sul punto, il ricorrente non tiene conto del fatto che, in ragione dei limiti edittali della pena prevista dal comma 1 dell’art. 349, c.p. (limiti da assumere come riferimento, atteso il giudizio di equivalenza operato dal giudice di primo grado), la pena inflitta rientra nel c.d medio edittale (reclusione da sei mesi a tre anni e multa da centotre euro a milletrentadue euro), con la conseguenza che trova applicazione il principio secondo cui in tema di determinazione della pena, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015 – dep. 23/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283).
12. In secondo luogo, con riferimento alle censure relative al rigetto della richiesta di riconoscimento della speciale causa di non punibilità dell’art. 131 bis, c.p., che sarebbe del tutto immotivata, i giudici di appello escludono la sussistenza dei presupposti per ritenere di minima offensività la condotta in esame; trattasi di motivazione sufficiente, alla stregua del complesso degli elementi emersi, atteso che se, da un lato, è ben vero che in tema di particolare tenuità del fatto, il reato permanente, in quanto caratterizzato dalla persistenza, ma non dalla reiterazione, della condotta, non è riconducibile nell’alveo del comportamento abituale che preclude l’applicazione di cui all’art. 131-bis cod. pen., è altrettanto vero che lo stesso importa una attenta valutazione con riferimento alla configurabilità della particolare tenuità dell’offesa, la cui sussistenza è tanto più difficilmente rilevabile quanto più a lungo si sia protratta la permanenza (Fattispecie relativa a reati edilizi e paesaggistici: Sez. 3, n. 47039 del 08/10/2015 – dep. 27/11/2015, P.M. in proc. Derossi, Rv. 265448). E, nel caso di specie, la condotta illecita si è protratta ininterrottamente, non solo per aver inizialmente eseguito i lavori senza alcun titolo abilitativo, ma anche per averli proseguiti, violando i sigilli, così denotando particolare proclività al delitto, ciò che esclude una minima offensività del fatto; dall’altro, poi, va aggiunto che la esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis cod. pen. non può essere dichiarata in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, e giudicati nel medesimo procedimento, configurando anche il reato continuato una ipotesi di “comportamento abituale”, ostativa al riconoscimento del beneficio (Fattispecie relativa a reiterate violazioni di sigilli commesse per portare a compimento l’esecuzione di lavori edilizi abusivi su un immobile sottoposto a sequestro: Sez. 3, n. 29897 del 28/05/2015 – dep. 13/07/2015, Gau, Rv. 264034).
13. Alla stregua delle considerazioni che precedono il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile[…]