Corte di Cassazione, Sez. 3, Sentenza n. 20652 del 2009, dep. il 25/09/2009


[…]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione dell’11.11.1996, […] conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Vibo Valentia la […] S.r.l. affermando di essere stata vittima di un grave incidente al braccio sinistro mentre si trovava nella villa di proprietà della stessa […].
Quest’ultima si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto della domanda e la chiamata in causa e/o in garanzia della compagnia […] al fine di essere tenuta indenne di quanto sarebbe stata eventualmente tenuta a pagare all’attrice in dipendenza della responsabilità dedotta nel contratto di assicurazione inter partes. La […] s.r.l. deduceva in specie che l’abitazione in cui avvenne il sinistro era coperta da polizza assicurativa denominata “Master Casa e Famiglia”, stipulata presso l’agenzia di […] della […] S.p.A..
Con atto notificato il 15.03.1997, la […] conveniva in giudizio la […] Assicurazioni S.p.A. che chiedeva il rigetto di qualsiasi domanda avversaria in quanto inammissibile ed infondata. Con sentenza n. 12/2000 il Tribunale di Vibo Valentia dichiarava il difetto di legittimazione sostanziale dell'[…] S.r.l. in relazione al sinistro per cui è causa e, di conseguenza, che la […] non era tenuta al pagamento dell’indennizzo richiesto. Con atto di citazione in appello notificato il 16.12.2000, […] impugnava la suddetta sentenza n. 12/2000 chiedendo di accertare e dichiarare la legittimazione passiva della […] S.r.l. per il sinistro occorsole nella villa di proprietà della società convenuta; in quanto responsabile civile ai sensi dell’art.2049 c.c.; quindi di condannare la stessa […] S.r.l. al risarcimento dei danni derivati dal sinistro de quo. Con comparsa di appello incidentale del 18 gennaio 2000, si costituiva in giudizio la […][…] S.r.l.
Con comparsa di costituzione e contestuali appello incidentale ed appello incidentale condizionato, si costituiva la […] Assicurazioni S.p.A..
Con sentenza n. 172/2004 la Corte d’Appello di Catanzaro, rigettava gli appelli e confermava l’impugnata pronunzia compensando le spese del grado.
Proponeva ricorso per cassazione […]. Resistevano con controricorso la […] Assicurazioni spa e la […] s.r.l. che proponeva altresì ricorso incidentale condizionato.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo del ricorso […] denuncia “art. 360 c.p.c., n. 4: nullità della sentenza impugnata o del procedimento. Art. 112 c.p.c., principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato. Omessa pronuncia”.
La ricorrente eccepisce la nullità della sentenza resa dalla Corte d’Appello di Catanzaro, per avere quel giudice omesso di pronunciare sulla domanda proposta dall’appellante, per essere andato oltre i limiti della stessa e per aver pronunciato d’ufficio su eccezioni che possono essere proposte soltanto dalle parti. Sostiene in specie la ricorrente che il giudice di secondo grado ha completamente omesso la pronuncia sui motivi di gravame, focalizzando la propria attenzione su elementi e circostanze che non sono stati oggetto di impugnazione. Inoltre, prosegue la ricorrente, le espressioni utilizzate dal giudice di primo grado e da tutte le parti nei rispettivi atti di impugnazione, consentono di rilevare che la Corte d’Appello ha violato il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, esaminando l’unico punto mai contestato dalle parti convenute nel giudizio di primo grado ed utilizzato dalla difesa della […]: le modalità e le circostanze di tempo e di luogo in cui è avvenuto il sinistro, oggetto di definitivo accertamento sin dal giudizio di primo grado. Il Tribunale di Vibo Valentia ha sancito infatti che “la caduta rovinosa (…) è stata certamente generata da condotta colposa del […]” e deve perciò ritenersi corretta la configurazione ex art. 2049 c.c., della fattispecie concreta, a nulla rilevando che lo stesso […] fosse un dipendente stabile o un incaricato saltuario.
Il motivo deve essere rigettato.
La Corte non ha violato il principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., trattando domande od eccezioni nuove ma ha soltanto pronunciato sulle domande proposte dalle parti con motivazioni diverse rispetto a quelle addotte dalle medesime o dal Tribunale. Il suddetto principio – come quello del tantum devolutum quantum appellatum (art. 434 e 437 c.p.c.) – non esclude infatti che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, nonché in base ad una qualificazione giuridica dei fatti medesimi ed all’applicazione di una norma giuridica, diverse da quelle invocate dall’istante (Cass., 12 maggio 2006, n. 11039; Cass., 7 dicembre 2005, n. 26999). E del pari non incorre nella violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato il giudice d’appello che, rimanendo nell’ambito del petitum e della causa petendi, confermi la decisione impugnata sulla base di ragioni diverse da quelle adottate dal giudice di primo grado o formulate dalle parti, mettendo in rilievo nella motivazione elementi di fatto risultanti dagli atti ma non considerati o non espressamente menzionati dal primo giudice (Cass., 10 aprile 1997, n. 3100). La Corte d’Appello, nell’ambito sua discrezionalità, ha correttamente respinto la domanda attrice, seppure con motivazioni diverse (quale la mancata prova della responsabilità dello […]), ma comunque fondate su elementi di fatto risultanti dagli atti di causa. Nè vi è stata ultrapetizione od extrapetizione in quanto la Corte, da un lato, ha emesso un provvedimento conforme a quanto richiesto dalla parte; dall’altro non ha interferito con il potere dispositivo delle medesime parti, alterando taluno degli elementi di identificazione dell’azione od eccedendo i limiti della richiesta od eccezione (Cass., 21 marzo 2008, n. 7697). Con il secondo e terzo motivo, da esaminare congiuntamente per la stretta connessione dei temi da essi affrontati, parte ricorrente rispettivamente denuncia: “Art. 360 c.p.c., n. 3: violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.. Violazione e falsa applicazione dell’art. 329 c.p.c.. Divieto di reformatio in peius”; “Art. 360 c.p.c., n. 3: violazione e falsa applicazione dell’art. 329 c.p.c., comma 2. Violazione del principio della acquiescenza alle parti della sentenza non impugnate. Formazione del giudicato”. Sostiene […] che il Giudice d’appello, nell’esaminare la sussistenza dei presupposti di fatto posti a fondamento della domanda, ha eliso l’unico punto a favore dell’appellante, così ponendo in essere una reformatio in peius della sentenza di primo grado. A suo avviso inoltre l’addebitabilità della caduta al comportamento colposo del domestico della […] S.r.l. e, quindi, il nesso di causalità tra tale comportamento e danno, era stato già oggetto di positivo accertamento da parte del giudice di primo grado, con conseguente formazione di giudicato parziale.
Osserva ancora parte ricorrente che, sia nell’appello principale proposto dalla […], sia negli appelli incidentali proposti dalla […] S.r.l. e dalla […] Assicurazioni S.p.A., viene data sostanziale acquiescenza alla parte della sentenza che ha individuato i presupposti ed il fondamento della responsabilità civile per i danni occorsi all’appellante. Tale responsabilità viene ricondotta all’art. 2049 c.c.. Anche questi motivi sono infondati. Quanto alla dedotta acquiescenza, deve escludersi che le circostanze del sinistro e la responsabilità dello […] non sono state oggetto di contestazione fra le parti, mentre riguardo all’effetto devolutivo dell’appello si deve osservare che quest’ultimo preclude al giudice del gravame esclusivamente di estendere le sue statuizioni a punti che non siano compresi nel tema del dibattito esposto nei motivi d’impugnazione; non viola invece il principio del tantum devolutum quantum appellatum il giudice d’appello che fondi la decisione su ragioni che, pur non specificamente fatte valere dall’appellante, tuttavia appaiano, nell’ambito della censura proposta, in rapporto di diretta connessione con quelle espressamente dedotte nei motivi stessi, costituendone necessario antecedente logico e giuridico (Cass., 15 novembre 1994, n. 9626). Nel giudizio d’appello, infatti, il giudice può riesaminare l’intera vicenda nel complesso dei suoi aspetti, purché tale indagine non travalichi i margini della richiesta, coinvolgendo punti decisivi della statuizione impugnata suscettibili di acquisire forza di giudicato interno in assenza di contestazione, e decidere, con pronunzia che ha natura ed effetto sostitutivo di quella gravata, anche sulla base di ragioni diverse da quelle svolte nei motivi d’impugnazione (Cass., 10 febbraio 2006, n. 2973; Cass., 15 novembre 1994, n. 9626; Cass., 10 aprile 1997, n. 3100). Con il quarto motivo si denuncia “Art. 360 c.p.c., n. 3: violazione e falsa applicazione dell’art. 346 c.p.c. e art. 329 c.p.c., comma 2. Decadenza dalle domande e dalle eccezioni non riproposte. Formazione del giudicato”.
Rileva parte ricorrente che, ai sensi dell’art. 346 c.p.c., le domande e le eccezioni non accolte dalla sentenza di primo grado e non espressamente riproposte in appello si intendono rinunciate. E ribadisce, per quanto attiene alla fattispecie oggetto di questo ricorso, che è incorso nel suddetto vizio di violazione di legge, il Giudice della Corte d’Appello di Catanzaro che, nonostante sul punto non vi fosse stata contestazione, si è addentrato nell’esame dei presupposti di fatto che hanno condotto alla produzione del danno. Il richiamo all’art. 346 c.p.c., non è in effetti pertinente perché, come ha già affermato questa Corte, la decadenza di cui all’art. 346 c.p.c., riguarda le domande e le eccezioni in senso proprio non riproposte in sede di appello; non anche le mere argomentazioni giuridiche, ovvero le questioni di fatto e di diritto addotte a sostegno delle medesime domande che devono viceversa ritenersi implicitamente richiamate con la semplice istanza di rigetto dell’impugnazione da parte dell’appellato (Cass., 21 gennaio 2005, n. 1277). In questo processo la Corte d’Appello non ha analizzato domande ed eccezioni non riproposte in appello, bensì mere argomentazioni addotte dalle parti e poste a fondamento della sentenza del Giudice di prima istanza. Per tali ragioni anche quest’ultimo motivo deve essere rigettato.
Con il quinto motivo la […] denuncia: “Art. 360 c.p.c., n. 3: violazione e falsa applicazione dell’art. 346 c.p.c.”, così intendendo porre in evidenza che anche la rilevabilità d’ufficio va coordinata con i principi generali dettati in materia di impugnazioni ed è, quindi, preclusa ove sul punto si sia formato il giudicato (Cass. 11.11.2003 n. 16904). Il motivo deve essere rigettato perché privo dei caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata. Esso infatti non consente di individuare il capo della pronuncia impugnata, ne’ contiene l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione, limitandosi alla mera riproduzione di pronunce di questa Corte che si afferma essere pertinenti alla decisione impugnata (Cass., 6.6.2006, n. 13259). Con il sesto motivo si denuncia “Art. 360 c.p.c., n. 3: violazione e falsa applicazione dell’art. 246 c.p.c.”. Sostiene la […] che un ulteriore vizio della sentenza impugnata è costituito dalla violazione o falsa applicazione dell’art. 246 c.p.c.. A suo avviso infatti ogni possibile ragione di danno nei confronti dello […] doveva considerarsi ormai esclusa sia dall’avvenuta maturazione in suo favore della prescrizione quinquennale, sia dalla circostanza che lo stesso non era stato chiamato in causa da nessuna delle parti nel corso del giudizio di primo grado, mentre la relativa facoltà risultava definitivamente preclusa nel corso del giudizio di secondo grado.
Il motivo è infondato.
Lo […] non poteva infatti testimoniare in quanto, pur non essendo mai stato parte del giudizio, era comunque potenzialmente interessato a partecipare al giudizio stesso.
Il settimo motivo denuncia: “Art. 360 c.p.c., n. 3: violazione e falsa applicazione degli artt. 244, 246 e 157 c.p.c.”. Sostiene parte ricorrente che le regole sui limiti di ammissibilità della prova testimoniale e quelle relative alla formalità di deduzione ed assunzione di tale mezzo di prova sono dettate nell’interesse esclusivo delle parti e non per ragioni di ordine pubblico. E questo ha portato la giurisprudenza a ritenere che le nullità o decadenze conseguenti alla eventuale loro inosservanza finiscano per assumere natura meramente relativa e siano pertanto suscettibili di sanatoria per acquiescenza in quanto non tempestivamente eccepite ad opera della parte interessata: “le disposizioni che comminano la nullità delle deposizioni testimoniali assunte in violazione del divieto di cui agli artt. 246 e 247 c.p.c., sono dettate nell’esclusivo interesse delle parti, sicché le nullità ivi previste si considerano sanate sia se le parti stesse vi hanno dato causa sia se non sono state tempestivamente dedotte subito dopo l’espletamento della prova” (Cass. 15.11.1999 n. 12634). Le nullità o decadenze derivanti dalla violazione delle disposizioni contenute nell’art. 244 c.p.c. e segg., in materia di modalità di deduzione e assunzione della prova testimoniale, indicazione dei testimoni e capacità di deporre hanno natura relativa e sono sanate per acquiescenza se non eccepite tempestivamente ai sensi dell’art.157 c.p.c., perché stabilite dalla legge a tutela di interessi delle parti e non Per motivi di ordine pubblico” (Cass. 21.2.1995, n. 1864). Ciò determina un ulteriore motivo di censura della sentenza resa dalla Corte d’Appello di Catanzaro, avendo il giudice di merito individuato d’ufficio una causa di incapacità a testimoniare nonostante tale incapacità non fosse stata oggetto di specifica eccezione ne’ durante tutto il corso del giudizio di primo grado ne’ in occasione degli appelli incidentali proposti dalla […] S.r.l. e dalla […] Assicurazioni S.p.A..
Anche questo motivo è infondato.
Le nullità relative all’ammissione ed all’espletamento della prova testimoniale, per incapacità a testimoniare, vanno infatti denunciate, ai sensi dell’art. 157 c.p.c., comma 2, dalla parte interessata, nella prima istanza o difesa successiva al loro verificarsi e quindi all’udienza di espletamento della prova od alla prima udienza successiva (Cass., 12 gennaio 2006, n. 403). In questo processo la testimonianza dello […] non era stata ammessa in nessuno dei due gradi del giudizio: non poteva quindi essere sollevata alcuna eccezione e le parti non erano decadute dalla facoltà di eccepire l’incapacità del teste ex art. 246 c.p.c..
Con l’ottavo motivo ed ultimo motivo […] denuncia “Art. 360 c.p.c., n. 5: omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio. Omesso esame di documenti”. Sostiene parte ricorrente che la motivazione del giudice di secondo grado è gravemente insufficiente e contraddittoria, sia a causa dell’omesso esame di rilevanti documenti di causa, sia perché ha attribuito rilevanza ad espressioni, che nulla hanno a che vedere con l’accertamento circa l’effettivo verificarsi o meno dell’evento dannoso.
In particolare sostiene la […] che la motivazione dell’impugnata sentenza è palesemente contraddittoria ed illogica in quanto la richiesta prova testimoniale venne ritenuta prima “irrilevante”, quindi “inammissibile” nonostante tra i due concetti vi sia una notevole differenza; che vi è contraddizione fra l’affermazione secondo la quale l’incidente si verificò nella villa di […] il 21 giugno 1996 e quella secondo la quale il ricovero in ospedale della […] avvenne l’anno precedente; che è stato omesso l’esame di specifici elementi probatori documentali, regolarmente versati agli atti del processo, idonei a fornire l’esatta rappresentazione del fatto oggetto dell’accertamento giudiziale ed attinenti a circostanze che avrebbero potuto indurre ad una soluzione diversa da quella adottata; che tali omissioni si rilevano anche in relazione alla determinazione dell’entità del danno.
Anche quest’ultimo motivo è infondato.
Deve anzitutto rilevarsi che l’aver definito la prova testimoniale prima “inammissibile” e poi “irrilevante” non è significativo sotto il profilo eziologico ai fini della decisione, non esistendo un nesso causale diretto fra la differente qualificazione della prova ed il contenuto della sentenza adottata dalla Corte.
D’altra parte tutte le censure relative all’omesso esame di atti o documenti, così come il riferimento alle circostanze di tempo e di luogo del sinistro costituiscono censure di merito non di legittimità. Circostanze di merito sono in specie quelle relative alla data del sinistro, all’eventuale errore sul significato del termine “proprietà” ed al luogo ed alle modalità in cui si verificò il sinistro stesso, mentre non si rilevano nella sentenza le omissioni denunciate dalla ricorrente: e tanto risulta dallo stesso tenore letterale della medesima decisione.
Non emergono infine nella motivazione contraddizioni logiche o giuridiche idonee ad essere valutate in questa sede. In conclusione, alla luce di tutte le considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato.
Ha proposto ricorso incidentale, condizionato all’accoglimento del ricorso principale in relazione alle questioni sollevate con l’appello incidentale, la […] s.r.l..
Il rigetto del ricorso principale ne comporta l’assorbimento. In conclusione, per le ragioni che precedono, riuniti i ricorsi, deve essere rigettato il principale e dichiarato assorbito l’incidentale […]