Corte di Cassazione, Sez. 3, Sentenza n. 2291 del 2020, dep. il 22/01/2020

[…]

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza dell’11 ottobre 2018, il Tribunale di Velletri, in sede esecutiva, rigettava l’istanza presentata nell’interesse di […], finalizzata a ottenere la revoca o la sospensione dell’ordine di demolizione […] in esecuzione della sentenza del 27 giugno 2007, divenuta irrevocabile il 19 luglio 2007, con cui il Tribunale di Velletri, […] aveva condannato […] alla pena, condizionalmente sospesa, di …. in quanto ritenuto colpevole dei reati di cui agli art. 44 comma 1 lett. C), 72, 73, 75 e 95 del d.P.R. n. 380 del 2001 e 181 del d.lgs. n. 42 del 2004, ordinando la remissione in pristino dello stato dei luoghi.

2. Avverso l’ordinanza del Tribunale laziale, […], tramite il loro comune difensore di fiducia, hanno proposto ricorso per cassazione, sollevando tre motivi.
Con il primo, la difesa eccepisce la nullità del provvedimento impugnato per la violazione degli art. 125 cod. proc. pen. e 3 e 21 septies della legge n. 241 del 1990, osservando che l’ordine di demolizione disposto dal P.M. non consentiva di identificare le opere abusive, il che ha inciso soprattutto sulla posizione della […], rimasta estranea al procedimento penale definito con la condanna.
Né poteva essere utile la presentazione di una richiesta di copia della sentenza emessa a carico di […], posto che neppure tale sentenza identificava catastalmente l’immobile da demolire, per cui anche l’accesso all’intero fascicolo processuale non avrebbe consentito alla ricorrente di avere piena cognizione degli estremi identificativi del manufatto oggetto dell’ordinanza di demolizione.
Evidenzia inoltre la difesa che, pur volendo considerare l’ordine di demolizione come una sanzione accessoria di natura amministrativa, questa sarebbe comunque revocabile o nulla in quanto priva di motivazione in ordine all’attualità dell’interesse pubblico alla demolizione, a fronte del legittimo convincimento, ingenerato nel privato, rispetto al mantenimento dell’opera.
Con il secondo motivo, viene dedotta la violazione degli art. 7 C.E.D.U. e 1 Protocollo n. 1 C.E.D.U., osservandosi come non possa ritenersi consentito comminare a carico della […], estranea al procedimento penale, l’ordine di demolizione, che è una misura afflittiva a tutti gli effetti e dunque non applicabile per fatti commessi da altri, fermo restando che nel caso in esame, secondo la prospettazione difensiva, risulta comunque arbitraria la lesione del diritto di proprietà derivata dell’esecuzione di un ordine di demolizione privo di basi legali.
Con il terzo motivo, infine, i ricorrenti censurano la violazione degli art. 173 cod. pen., 7 C.E.D.U. e della legge n. 689 del 1981, evidenziando che il Tribunale non aveva considerato che l’ordine di demolizione ha natura afflittiva e pertanto, dovendo essere qualificato come una pena vera e propria, è soggetto al regime della prescrizione, per cui, risultando commesso nel 2005 il reato per cui è intervenuta la condanna, doveva ritenersi maturata la prescrizione decennale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

I ricorsi sono inammissibili perché manifestamente infondati.

1. Iniziando dal primo motivo, deve escludersi, come correttamente rilevato dal Procuratore generale, che l’ordine di demolizione sia stato contraddistinto da lacune motivazionali incidenti sul diritto di difesa dei destinatari … posto che, nel provvedimento emesso dalla Procura della Repubblica di Velletri il 5 aprile 2018, è stata richiamata, con tutti gli estremi, la sentenza del Tribunale con cui è stata disposta la demolizione delle opere abusive, rinviandosi al titolo esecutivo (e in particolare al capo di imputazione) per l’individuazione delle predette opere.
È quindi evidente che la […], avrebbe avuto pieno accesso, ove lo avesse chiesto, al fascicolo processuale, stante il suo conclamato interesse, per cui, non risultando che sia stata inibita alla ricorrente la consultazione del fascicolo, deve ritenersi che alcuna lesione del diritto di difesa sia ravvisabile, tanto più ove si consideri che è rimasta assertiva l’affermazione secondo cui neanche la visione degli atti processuali avrebbe consentito di conoscere le opere da demolire, avendo al contrario il giudice dell’esecuzione rilevato nell’ordinanza impugnata, sul punto non adeguatamente smentita ex adverso, che la sentenza consente “l’individuazione dell’abuso da eliminare”. Di qui la manifesta infondatezza della doglianza difensiva.

2. Alla medesima conclusione deve pervenirsi rispetto al secondo motivo.
Ed invero, la circostanza che anche la moglie del condannato sia stata destinataria dell’ordine di demolizione non ne costituisce motivo di illegittimità, dovendosi al riguardo richiamare il costante orientamento di questa Corte . (su cui cfr. Sez. 3, n. 47281 del 21/10/2009, Rv. 245403), secondo cui l’ordine di demolizione delle opere abusive emesso dal giudice penale, per la sua natura di sanzione amministrativa a contenuto ripristinatorio, deve essere eseguito nei confronti di tutti i soggetti che sono in rapporto con il bene e vantano su di esso un diritto reale o personale di godimento, anche se si tratti di soggetti estranei alla commissione del reato, fatta salva la facoltà del terzo di far valere sul piano civile l’eventuale responsabilità, contrattuale o extracontrattuale, del dante causa, ciò in una prospettiva di restaurazione dell’interesse pubblico compromesso dall’abuso, non potendo in materia applicarsi quindi i principi propri del sistema sanzionatorio penale relativi al carattere personale della pena.
L’interesse dell’ordinamento, in definitiva, è nel senso che l’immobile abusivamente realizzato venga abbattuto, con conseguente eliminazione della lesione arrecata al bene protetto, mentre, ove si accedesse alla tesi dell’impossibilità di irrogare la sanzione ripristinatoria nei confronti del nuovo proprietario non responsabile dell’abuso, basterebbe una semplice alienazione (reale o simulata) per vanificare la predetta funzione fondamentale.

3. Manifestamente infondato è anche il terzo motivo.
Ed invero, in ordine alla rilevanza del decorso del tempo ai fini della operatività dell’ordine di demolizione, questa Corte, in coerenza con l’impostazione interpretativa prima richiamata, ha più volte affermato (cfr. Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015, Rv. 265540 e Sez. 3, n. 36387 del 07/07/2015, Rv. 264736), che, in materia di reati concernenti le violazioni edilizie, l’ordine di demolizione del manufatto abusivo imposto dal giudice costituisce una sanzione amministrativa che assolve a un’autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso, configurando quindi un obbligo di fare, imposto per ragioni di tutela del territorio, avendo peraltro carattere reale, producendo cioè effetti che ricadono sul soggetto che è in rapporto col bene, indipendentemente dal fatto che questi sia l’autore dell’abuso; da ciò consegue che, essendo privo di finalità punitive, l’ordine di demolizione non è soggetto alla prescrizione stabilita dall’art. 173 cod. pen. per le sanzioni penali, né alla prescrizione stabilita dall’art. 28 della legge n. 689 del 1981, che riguarda soltanto le sanzioni pecuniarie con finalità punitiva. Sotto tale profilo, è stato coerentemente escluso che la sottrazione dell’ordine di demolizione al regime della prescrizione delle pene si ponga in contrasto con la Costituzione o con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Per quanto riguarda il primo aspetto, occorre evidenziare che questa Corte (Sez. 3, n. 41475 del 03/05/2016, Rv. 267977) ha già ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, per violazione degli art. 3 e 117 Cost., dell’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001, rispetto alla mancata previsione di un termine di prescrizione dell’ordine di demolizione del manufatto abusivo disposto con la sentenza di condanna, osservando che la differente natura della sanzione amministrativa ripristinatoria della demolizione, rispetto alla finalità rieducativa delle sanzioni penali, alla quale è connessa l’estinzione per prescrizione, già integra una situazione diversa, idonea giustificare il differente regime giuridico; l’imprescrittibilità dell’ordine di demolizione, infatti, deriva da una scelta legislativa rientrante nei limiti dell’esercizio ragionevole del potere legislativo, non sindacabile in sede di vaglio della legittimità costituzionale sotto il profilo della pretesa irragionevolezza, in quanto fondata su natura e finalità differenti rispetto alle sanzioni penali soggette a prescrizione.
Quanto al secondo aspetto, allo stesso modo, è stato escluso che l’ordine di demolizione presenti profili di frizione con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in quanto non può essere qualificato come una pena.
L’intervento del giudice penale si colloca, infatti, a chiusura di una complessa procedura amministrativa finalizzata al ripristino delle originario assetto del territorio alterato dall’intervento edilizio abusivo, nell’ambito del quale viene considerato il solo oggetto del provvedimento (l’immobile da abbattere), prescindendo del tutto dall’individuazione di responsabilità soggettive, tanto che la demolizione si effettua anche in caso dì alienazione del manufatto abusivo a terzi estranei al reato, i quali potranno poi far valere in altra sede le proprie ragioni; l’intervento del giudice penale, peraltro, non è neppure scontato, dato che egli provvede ad impartire l’ordine di demolizione se la stessa ancora non sia stata altrimenti eseguita (cfr. Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015, Rv. 2655409).
Così ricostruito il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, la doglianza difensiva risulta manifestamente infondata, ponendosi l’ordinanza impugnata in piena sintonia con le premesse ermeneutìche prima richiamate.
Né, a fronte peraltro di un’espressa statuizione già contenuta nella sentenza di condanna, appare invocabile una sorta di principio di affidamento dei proprietari del bene sul mantenimento dell’opera abusiva, essendo tale aspettativa privata soccombente rispetto all’interesse pubblicistico al ripristino della legalità.

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