Corte di Cassazione, Sez. 3, Sentenza n. 27199 del 2022, dep. il 14/07/2022

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RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 28 maggio 2021, la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale di Napoli, con la quale … era stata condannata alla pena di anni uno di arresto e ad euro 30.000 di multa, con ordine di demolizione delle opere e del ripristino dei luoghi con sospensione della pena subordinatamente alla demolizione, per i reati di cui agli artt. 44 lett.c), 83, 95, 64 e 71 del D.p.r. n. 380 del 2001, e di cui all’art. 181 del D.Igs. n. 42 del 2004.
2. Avverso la sentenza l’imputato, tramite il proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. Con un primo motivo di censura, in ordine alla responsabilità, si deduce la violazione dell’art. 44 del D.p.r. n. 380 del 2001, in relazione al fatto che i lavori non erano in corso, ma ultimati, essendo stati realizzati in epoca risalente, negli anni 75/80, come emerge dalla scheda catastale del 20 settembre 1975 e dalle foto aeree del 2012, da cui si trae l’esistenza di una terrazza pavimentata e di un parapetto. Eccepisce inoltre di essere solo la comproprietaria degli immobili indivisi, e non la committente, in quanto non residente nell’abitazione, né di essere mai stata vista a dirigere i lavori. Infatti, risulta dalle dichiarazioni del teste … che le opere sono state eseguite dall’…, mentre alla ricorrente, semmai, può essere addebitato solo il rifacimento della pavimentazione della terrazza e del parapetto di recinzione, peraltro non facenti parte della sua unità immobiliare, ma su cui ella transita soltanto per raggiungere le scale che accedono all’abitazione dove risiede il figlio. Anche il locale caldaia non è riconducibile alla porzione di proprietà o posseduta dalla ricorrente, ma dal …. Si evidenzia comunque che le opere in questione non richiedono titolo abilitativo.
2.2. Si deduce violazione di legge non essendo ravvisabile il reato di cui all’art. 181 del D.Igs. 42/2004, poiché le opere non richiedono alcuna autorizzazione paesaggistica, trattandosi di adeguamento funzionale di opere preesistenti, i cui volumi e la sagoma non sono stati modificati, come contraddittoriamente ammette il giudice laddove fa riferimento alla trasformazione dell’immobile. Si tratta in sostanza di rifacimento di opere preesistenti e di mero mutamento di destinazione, che non richiede permesso di costruire, e giammai di realizzazione di costruzione abusiva ex novo. Né vi è stata grave e rilevante manomissione del territorio con alterazione della sua conformazione naturale. Ebbene tali opere avrebbero richiesto solo una denuncia di inizio di attività, non essendo necessaria l’autorizzazione paesaggistica a norma dell’art. 149 del D.Igs. 42/2004
2.3. Con ulteriore motivo si deduce la mancanza di correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza, posto che l’imputazione era circoscritta alla sola contestazione della creazione ex novo di un’opera del tutto abusiva, mentre dall’istruttoria dibattimentale è emerso che la costruzione preesisteva e che l’abuso è consistito in un mutamento di destinazione o comunque in una illegittima trasformazione, senza alcun incremento di superficie. Pertanto, avrebbero richiesto una mera denuncia di inizio di attività.
2.4. Infine con ulteriori motivi il ricorrente deduce l’assenza di prova in ordine alla realizzazione delle opere, l’intervenuta prescrizione del reato, già nel corso del giudizio di appello, posto che il dies a quo che segna la consumazione del reato, come emerge dalla dichiarazioni del teste …, è il … 2016, ovvero la data in cui ha constatato l’esistenza delle opere. In ogni caso le opere sono visibili fin dal 2012.
2.5. Si deduce la mancata applicazione dell’art. 131 bis cod. pen., pur trattandosi di opere di estrema tenuità, posto che non si tratta di zona sottoposta a vincolo idrologico e che non arreca alcun pregiudizio per l’assetto del territorio e che consistono nel rifacimento della pavimentazione del terrazzo e non creano nuovi volumi.
2.6. Si deduce infine anche la illegittimità della subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione delle opere, peraltro detenute dal …, disposta dal giudice sulla base della presunta persistenza della ricorrente nella realizzazione delle opere abusive.
3. Il Procuratore Generale, nella sua requisitoria, ha chiesto declaratoria di inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato.
In ordine al primo motivo di ricorso, questa Sezione Terza con sentenza n. 47083 del 22/11/2007, ha affermato il principio per il quale i reati previsti dall’art. 44 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 devono essere qualificati come reati comuni e non come reati a soggettività ristretta, salvo che per i fatti commessi dal direttore dei lavori e per la fattispecie di inottemperanza all’ordine di sospensione dei lavori impartito dall’Autorità amministrativa. Ne consegue che anche il proprietario “estraneo” (ovvero privo delle qualifiche soggettive specificate all’art. 29 del richiamato decreto: committente, titolare del permesso di costruire, direttore dei lavori) può essere ritenuto responsabile del reato edilizio, purchè risulti un suo contributo soggettivo all’altrui abusiva edificazione da valutarsi secondo le regole generali sul concorso di persone nel reato, non essendo sufficiente la semplice connivenza, attesa l’inapplicabilità dell’art. 40, comma secondo, cod. pen., in quanto non esiste una fonte formale da cui far derivare un obbligo giuridico di controllo sui beni finalizzato ad impedire il reato. Ne segue che “la responsabilità del proprietario che non abbia la disponibilità dell’immobile interessato dalle opere abusive, non può essere desunta dal mero rapporto di parentela e dal vincolo di convivenza con il committente delle stesse ma necessita di ulteriori elementi sintomatici della sua partecipazione, anche morale, alla realizzazione del manufatto, come la presentazione della domanda di condono edilizio, la presenza sul posto, lo svolgimento di un’attività di vigilanza dei lavori o l’interesse alla realizzazione dell’opera” (Fattispecie di immobile concesso in comodato dal nudo proprietario al proprio padre Sez.3, n. 16155 del 16/01/2019 Ud. (dep. 15/04/2019) Rv. 275401 – 01). Nello stesso senso, anche Sez.3, n.38492 del 19/05/2016, Rv. 268014 – 01; Sez.3, n. 24138 del 27/04/2021, Rv. 281540 – 01). Tanto premesso, si osserva che il giudice a quo ha dato atto a pagina 8 che … era presente sui luoghi al momento dei sopralluogo del …2016 effettuato dai Carabinieri a seguito della denuncia presentata e che l’immobile di sua proprietà fosse in uso al figlio o il nipote.
2. In merito alle eccezioni volte a evidenziare l’insussistenza del reato di cui all’art. 181 del D.lgs. 42/2004, poiché le opere non richiedono alcuna autorizzazione paesaggistica, trattandosi di adeguamento funzionale di opere preesistenti, i cui volumi e la sagoma non sono stati modificati, si osserva che secondo consolidata giurisprudenza, anche il mutamento di destinazione d’uso mediante opere richiede autorizzazione paesaggistica se trattasi di zona soggetta a vincolo e il permesso di costruire (Sez. 3, n. 43173 del 05/07/2017, Rv. 271336 – 01). Nessuna rilevanza quindi assume l’evenienza che la sagoma e i volumi non fossero stati modificati ai fini delle violazioni paesaggistiche né ai fini della necessità di ottenere il permesso di costruire. Peraltro, la medesima descrizione delle opere evidenzia che si tratta di interventi che trasformano in maniera definitiva il territorio e che quindi avrebbero richiesto il permesso di costruire.
3. Non può ritenersi fondata la doglianza relativa alla violazione dell’articolo 521 cod. proc.pen. Perché …. non ha realizzato una costruzione del tutto abusiva. I giudici di legittimità hanno infatti ribadito come l’accertamento della violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza non si esaurisca nel mero confronto letterale tra contestazione e sentenza, dovendosi, invece, verificare se l’imputato attraverso l’iter processuale sia venuto a trovarsi nella concreta condizione di potersi difendere in ordine all’oggetto dell’imputazione. Il suddetto principio non impone, dunque, una conformità formale tra i termini in comparazione, ma implica la necessità che il diritto di difesa dell’imputato abbia avuto modo di dispiegarsi effettivamente. Pertanto, di violazione del principio in commento può parlarsi solo nel caso in cui il mutamento della cornice accusatoria abbia effettivamente comportato una novazione dei termini dell’addebito tale da rendere la difesa menomata proprio sui profili di novità che da quel mutamento sono scaturiti e da determinare un concreto regresso sul piano dei diritti difensivi. Ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo confronto, puramente letterale, fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie di difesa, la violazione è del tutto insussistente laddove, come nel caso di specie, l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (Sez. U., n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco; Sez. U., n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051). Ma anche a volersi attenere al tenore testuale dell’imputazione, in quest’ultima sono chiaramente scolpiti i lineamenti fattuali della condotta rilevante del capo a) ex art. 44 lett.c) del D.Igs. n. 380 del 2001, poiché la contestazione è esplicita nell’indicare le opere abusive realizzate senza permesso di costruire in zona sottoposta a vincolo, quali la muratura di confine, il locale tecnico, il terrazzo pavimentato. Ragion per cui … è stata senz’altro posto in condizioni di rendersi ampiamente conto della sostanza dell’addebito mossogli e di elaborare ogni più opportuna strategia difensiva. Non può pertanto ravvisarsi alcuna violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza.
4. Il motivo in tema di decorrenza del dies a quo della prescrizione in ordine all’accertamento della data di commissione del reato richiama atti del procedimento che involgono il giudizio di merito effettuato dal primo giudice e dalla Corte territoriale, non sindacabile in sede di legittimità.
5. Neanche il quinto motivo di ricorso può essere accolto, collocandosi sul piano del merito. Il giudizio sulla tenuità, nella prospettiva delineata dall’art. 131-bis cod. pen., richiede, infatti, una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, comma 1, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza e dell’entità del danno o del pericolo (Sez. U., n 13681 del 25/02/2016, Rv. 266590). Ne deriva che le determinazioni adottate dal giudice a quo, in ordine alla ravvisabilità della particolare tenuità del fatto, sono insindacabili in sede di legittimità ove siano supportate da motivazione conforme alle indicazioni enucleabili dalla predetta pronuncia delle Sezioni unite ed esente da vizi logico-giuridici. Inoltre, costituisce ius receptum che, ai fini della applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen. nelle ipotesi di violazioni urbanistiche e paesaggistiche, la consistenza dell’intervento abusivo – data da tipologia, dimensioni e caratteristiche costruttive – costituisce solo uno dei parametri di valutazione, assumendo rilievo anche altri elementi quali, ad esempio, la destinazione dell’immobile, l’incidenza sul carico urbanistico, l’eventuale contrasto con gli strumenti urbanistici e l’impossibilità di sanatoria, il mancato rispetto di vincoli e la conseguente violazione di più disposizioni, l’eventuale collegamento dell’opera abusiva con interventi preesistenti, la totale assenza di titolo abilitativo o il grado di difformità dallo stesso, il rispetto o meno di provvedimenti autoritativi emessi dall’amministrazione competente, le modalità di esecuzione dell’intervento (Sez. 3, n.47039 del 18/10/2015, R v. 265450 – 01)
Al riguardo, la Corte d’appello ha evidenziato che le costruzioni abusive sono ubicate nel centro urbano, in area sottoposta a vincolo paesaggistico, sismico e idrogeologico, estese, completate nella rifinitura e pronte all’uso, constando anche in una terrazza in cemento armato di circa … mq.
6. In ordine alla doglianza della illegittimità della subordinazione della sospensione condizionale della pena al ripristino dello status quo ante a spese dell’imputato, e al vizio di motivazione si precisa che la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena si basa sulla formulazione di un giudizio prognostico in ordine alla presunzione di astensione, da parte del colpevole, dalla commissione di ulteriori reati, da effettuarsi sulla base dei parametri indicati dall’art. 133 cod. pen. Cass., 24/01/1992, Gelati; Cass., 10/06/1981, Calamita; Sez. 1, n. 410 del 25/09/2003, Rv. 226618), e che la subordinazione della sospensione condizionale della pena all’adempimento di determinati obblighi può essere disposta solo con riferimento a prestazioni certe e determinate, in modo da assicurare – e da consentire di verificare- l’esatta corrispondenza tra obbligo imposto e corretto adempimento di esso. Nel caso in esame il giudice di merito ha motivato in ordine al giudizio prognostico e correttamente indicato quale fosse il contenuto dell’obbligazione. Trattasi dunque di apparato esplicativo puntuale, coerente, privo di discrasie concettuali, del tutto idoneo a rendere intelligibile l’iter logico-giuridico seguito dal giudice e perciò a superare lo scrutinio di legittimità. Né la Corte suprema può esprimere alcun giudizio sull’attendibilità delle acquisizioni probatorie, giacchè questa prerogativa è attribuita al giudice di merito, con la conseguenza che le scelte da questo compiute, se coerenti, sul piano logico, con una esauriente analisi delle risultanze agli atti, si sottraggono al sindacato di legittimità. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile […]