Corte di Cassazione, Sez. 3, Sentenza n. 27588 del 2015, dep. il 01/07/2015

[…]

RITENUTO IN FATTO

Con ordinanza del 23.4.2014 la Corte d’Appello di Napoli in funzione di giudice dell’esecuzione ha respinto l’istanza di […] volta ad ottenere la revoca dell’ingiunzione a provvedere alla demolizione delle opere abusive, ordinata con la sentenza 5.10.2005 divenuta irrevocabile il 10.6.2006. Per giungere a tale conclusione la Corte territoriale ha osservato che la semplice presentazione dell’istanza di condono non è sufficiente a consentire la sospensione o la revoca dell’ordine di demolizione del fabbricato, peraltro oggetto di ulteriori lavori descritti in una nuova comunicazione di notizia di reato; che l’organo dell’esecuzione è il pubblico ministero e che l’istituto del differimento dell’esecuzione di cui all’art. 146 c.p., si riferisce alle pene detentive e dunque non si estende alla demolizione.

Avverso la decisione ricorre per Cassazione il difensore con tre motivi, tutti incentrati sulla violazione dell’art. 111 Cost.

Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Col primo motivo la ricorrente denunzia innanzitutto, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b), l’inosservanza degli art. 111 Cost. e della L. n. 724 del 1994, dolendosi della mancata sospensione della procedura di esecuzione per la pendenza di una domanda di definizione degli illeciti edilizi per oblazione ex L. n. 724 del 1994. Richiama la avvenuta presentazione della domanda di concessione in sanatoria presentata dal coniuge […] in data 7.12.2004, accompagnata dal pagamento dei relativi oneri ma non ancora esaminata, nonostante l’inesistenza di condizioni ostative. Ritiene prevedibile in breve tempo il rilascio di un provvedimento favorevole da parte dell’autorità amministrativa. Richiama la L.R. n. n. 19 del 2009 meglio nota come “Piano Casa” e l’assenza di regolamenti attuativi che abbiano deliberato l’esclusione di aree o singoli edifici dall’applicazione delle misure per il rilancio delle costruzioni.

Il motivo è inammissibile sia per manifesta infondatezza (art. 606 c.p.p., u.c.) che per difetto di specificità (art. 581 c.p.p., lett. c e art. 591 c.p.p., lett. c).

Secondo il costante orientamento di questa Corte, l’ordine di demolizione di opere edilizie abusive sfugge alla regola del giudicato: è riesaminabile in sede esecutiva ove può essere revocato in presenza di determinazioni della autorità o giurisdizione amministrativa incompatibili con l’abbattimento del manufatto oppure può essere sospeso quando sia ragionevolmente prevedibile, in base a elementi concreti, che un tale provvedimento sarà adottato in breve arco temporale.

Pertanto, non è sufficiente, per neutralizzare l’ordine in esame, la mera possibilità che in tempo lontano – o, comunque, non prevedibile – saranno emanati atti favorevoli al condannato non potendosi rinviare indefinitivamente la tutela del territorio che l’ordine di demolizione è finalizzato a reintegrare (cfr. tra le varie, Sez. 3^, Sentenza n. 16686 del 05/03/2009 Cc. dep. 20/04/2009 Rv. 243463; Sez. 3^, Sentenza n. 42978 del 17/10/2007 Cc. dep. 21/11/2007 Rv. 238145; Sez. 3^, Sentenza n. 3682 del 19/11/1999 Cc. dep. 04/02/2000 Rv. 215456).

Nel caso in esame dell’avvenuto rilascio di provvedimenti della P.A. incompatibili con tale ordine non vi è traccia ed anzi, vi è da rilevare che in ossequio al principio di specificità dei motivi (art. 581 c.p.p., lett. c) la ricorrente ben avrebbe potuto farsi rilasciare e allegare una certificazione del Comune attestante quanto meno lo stato della pratica, ma non lo ha fatto, limitandosi a sostenere, a quasi undici anni dalla proposizione dell’istanza, la prevedibilità dell’adozione di provvedimenti favorevoli in “breve tempo” e ad affermare la sussistenza dei presupposti per la condonabilità delle opere: argomentazioni, queste, assolutamente generiche anche ai fini di un eventuale controllo dei presupposti per la formazione del silenzio assenso di cui alla legge 724/1994 art. 39: la giurisprudenza di questa Corte in proposito ha più volte

rilevato, (cfr. Sez. 3^, Sentenza n. 13836 del 13/02/2001 Ud. dep. 05/04/2001 Rv. 218966; Sez. 3^, Sentenza n. 4749 del 13/12/2007 Cc. dep. 30/01/2008 Rv. 238787), i presupposti che il giudice penale deve accertare per ritenere perfezionata la concessione silenziosa sono a) il pagamento integrale dell’oblazione, determinata in modo veritiero, b) il pagamento degli oneri di concessione, c) la presentazione della documentazione sulle opere abusive o della dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà da parte del richiedente, ferma la documentazione fotografica e, ove prescritte, la perizia giurata e la certificazione tecnica sull’idoneità statica delle opere, d) la denuncia tempestiva ai fini dell’accatastamento, e) il decorso del termine annuale o biennale dall’entrata in vigore della L. n. 724 del 1994, (fissata espressamente al 1.1.1995) senza l’adozione di un espresso provvedimento negativo della sanatoria.

Del tutto corretta appare pertanto l’ordinanza impugnata laddove ha rilevato che la semplice presentazione dell’istanza di sanatoria non è sufficiente a consentire la sospensione o la revoca dell’ordine di demolizione neppure se accompagnata dal versamento della somma quantificata nella domanda, evidenziando addirittura che vi è stata una ulteriore prosecuzione dei lavori da cui è scaturita una nuova comunicazione di reato del 19.6.2013.

2. Col secondo motivo la ricorrente deduce ancora una volta l’erronea applicazione dell’art. 111 Cost. affermando l’impossibilità per il pubblico ministero di curare l’esecuzione dell’ordine di demolizione. A suo dire, l’esecuzione spetta solo all’autorità amministrativa trattandosi di sanzione amministrativa, eccezionalmente irrogabile dal giudice penale. Pertanto, a quest’ultimo compete di accertare il reato e, quindi, di ordinarla, trasmettendo gli atti alla Regione e al Comune perché adottino i provvedimenti di competenza secondo la normativa vigente (indizione di una gara di appalto o concorso pubblica, fissazione di apposita voce nel capitolo di bilancio, comunicazione del procedimento agli interessati, loro facoltà di adire l’A.G. amministrativa competente, etc).

Anche questa censura è manifestamente infondata e pertanto segue la stessa sorte della precedente.

Da tempo questa Corte afferma, anche a sezioni unite, che l’ordine di demolizione adottato dal giudice ai sensi della L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 7, al pari delle altre statuizioni contenute nella sentenza definitiva, è soggetto all’esecuzione nelle forme previste da codice di procedura penale, avendo natura di provvedimento giurisdizionale, ancorché applicativo di sanzione amministrativa (tra le tante, Sez. U, Sentenza n. 15 del 19/06/1996 Cc. dep. 24/07/1996 Rv. 205336; sez. 3^, Sentenza n. 3336 del 02/10/1996 Cc. dep. 10/01/1997 Rv. 206555; più di recente, v. Sez. 3^, Sentenza n. 40763 del 23/05/2013 Cc. dep. 02/10/2013 Rv. 257524).

La tesi del ricorrente si scontra dunque con la consolidata giurisprudenza di legittimità, correttamente richiamata nell’ordinanza impugnata e dunque non coglie nel segno.

3. Col terzo ed ultimo motivo la ricorrente denunzia la violazione della medesima norma costituzionale dolendosi della mancata sospensione dell’ordine di demolizione ai sensi dell’art. 146 c.p.. A suo dire il differimento dell’esecuzione può essere disposto anche per la pena accessoria della demolizione, stante la natura invasiva e dirompente della stessa e richiama una serie di patologie da cui è affetta lei stessa e il proprio coniuge, che suggeriscono il rinvio dell’esecuzione anche per l’assenza di altre soluzioni abitative. Il motivo è manifestamente infondato, come i precedenti e pertanto va dichiarato anch’esso inammissibile.

L’art. 146 c.p., nel prevedere il rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena, si riferisce chiaramente alla sola “pena detentiva” laddove richiede la sussistenza di condizioni di salute incompatibili con lo stato di detenzione (cfr. in particolare comma 1, n. 3).
D’altro canto, come rilevato dalla giurisprudenza, esso mira ad evitare che l’esecuzione avvenga in spregio del diritto alla salute e del senso di umanità.
Pertanto, a fronte di una richiesta di rinvio dell’esecuzione della pena per grave infermità fisica, il giudice deve valutare se le condizioni di salute del condannato siano o meno compatibili con le finalità rieducative della pena e con le possibilità concrete di reinserimento sociale conseguenti alla rieducazione. Qualora, all’esito di tale valutazione, tenuto conto della natura dell’infermità e di un’eventuale prognosi infausta quoad vitam a breve scadenza, l’espiazione di una pena appaia contraria al senso di umanità per le eccessive sofferenze da essa derivanti, ovvero appaia priva di significato rieducativo in conseguenza dell’impossibilità di proiettare in un futuro gli effetti della sanzione sul condannato, deve trovare applicazione l’istituto del differimento previsto dal codice penale (cfr. Sez. 1^, Sentenza n. 28555 del 18/06/2008 Cc. dep. 10/07/2008 Rv. 240602; cfr. altresì Sez. 1^, Sentenza n. 26136 del 06/06/2012 Cc. dep. 05/07/2012 Rv. 253087).

Così ricostruita natura e finalità dell’istituto, è evidente che il suo richiamo è del tutto fuori luogo perché oggi si discute solo di demolizione di un fabbricato oggetto di abuso edilizio (accertato con sentenza passata in giudicato) e non di esecuzione di pena detentiva, come subito rilevato dalla Corte d’Appello.
Solo per completezza, si evidenzia altresì il difetto di specificità della censura perché; a) le varie patologie descritte, peraltro neppure sorrette da documentazione (che per il principio di specificità andava allegata al ricorso, non essendo di certo compito della Corte di Cassazione la consultazione degli atti) non hanno alcuna connessione con la demolizione dell’immobile, attività esecutiva che non incide affatto sull’assistenza sanitaria;
c) l’assenza di altre soluzioni abitative è solo genericamente prospettata dalla ricorrente;
c) la richiesta di differimento non indica neppure un termine di durata, lasciando intendere quindi che sia finalizzata ad ottenere di fatto una sospensione “sine die”.

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