Corte di Cassazione, Sez. 3, Sentenza n. 30167 del 2017, dep. il 15/06/2017

[…]

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa in data 11/09/2015, depositata in data 13/09/2016, la Corte d’appello di Napoli, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza proposta in data 17/03/2014 ed integrata in da 13/01/2015 da […], condannata dalla medesima Corte d’appello con sentenza del 6/10/1998, irr. 11/12/1998, alla pena accessoria della demolizione delle opere abusive realizzate; con la predetta istanza la […] chiedeva la revoca, previa sospensione, dell’ordine di demolizione atteso l’evolversi delle vicende amministrative (presentazione istanza di condono, tuttora in corso di definizione, completa di tutti i requisiti, tra cui il pagamento integrale delle somme dovute a titolo di oblazione nonché il deposito di tutta la relativa documentazione); la stessa istante, peraltro, rappresentava l’impossibilità tecnica di procedere alla demolizione atteso che il manufatto accede ad altro immobile legittimamente costruito alla fine degli anni sessanta, sicchè la demolizione avrebbe potuto pregiudicare la parte eseguita in conformità alla concessione edilizia, secondo quanto previsto dall’art. 34, co. 2, d.p.r. n. 380 del 2001, estensibile per la […] anche alle sanzioni accessorie alla sentenza penale.

2. Hanno proposto congiunto ricorso per cassazione […], a mezzo del comune difensore cassazionista, quali eredi legittimi della […], deceduta nelle more del procedimento odierno in data […]2015, deducendo – previa specificazione delle ragioni della sussistenza dell’interesse ad impugnare – quattro motivi ad essi comuni, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deducono, con un primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. c), cod. proc. pen., sotto il profilo della nullità dell’ordinanza per violazione del principio del contraddittorio in relazione all’art. 229 cod. proc. pen.
In sintesi, le censure attingono l’ordinanza impugnata in quanto, sostengono i ricorrenti, all’atto della lettura dell’ordinanza impugnata emergeva il disposto espletamento da parte della Corte d’appello di una perizia senza alcun formale conferimento di incarico né comunicazione alle parti delle relative operazioni ex art. 229 cod. proc. pen.; l’avviso dato al difensore dell’inizio o della prosecuzione delle operazioni peritali soddisfa le esigenze di tutela dell’assistenza dell’imputato ex art. 178, lett. c), cod proc. pen.; conseguentemente l’omessa comunicazione integra violazione della norma citata e dello stesso principio del contraddittorio, cui la norma si inspira.

2.2. Deducono, con un secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., sotto il profilo della nullità dell’ordinanza e del provvedimento di demolizione per contraddittorietà con altro provvedimento emesso dalla medesima Corte d’appello.
In sintesi, le censure attingono l’ordinanza impugnata in quanto, sostengono i ricorrenti, in atti è presente l’ordinanza 19/01/1999, dep. 20/01/1999 con cui la stessa Corte territoriale aveva disposto il dissequestro dell’immobile e la sua restituzione all’avente diritto […]; detto provvedimento è palesemente in contrasto con l’ordine di demolizione e con il provvedimento oggetto dell’attuale impugnazione, che non tiene assolutamente conto del precedente provvedimento della Corte territoriale; la mancanza della motivazione configura dunque una nullità dell’ordinanza.

2.3. Deducono, con un terzo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., sotto il profilo della nullità dell’ordinanza e del provvedimento di demolizione per mancato esame del pericolo di crollo del fabbricato.
In sintesi, le censure attingono l’ordinanza impugnata in quanto, sostengono i ricorrenti, nel caso in esame, in occasione dell’incidente di esecuzione era stata fornita una perizia di parte volta a dimostrare che la demolizione della parte dell’edificio ritenuta abusiva avrebbe determinato un pregiudizio alla parte invece regolarmente costruita, sollecitando per tale ragione la Corte d’appello alla nomina di un perito per la verifica di tale aspetto; la Corte territoriale, come già illustrato dianzi senza alcun contraddittorio, avrebbe disposto una perizia d’ufficio che non avrebbe assolutamente esaminato tale aspetto ritenuto assolutamente imprescindibile dall’art. 34, comma secondo, d.P.R. n. 380 del 2001; il perito di ufficio si sarebbe limitato a rappresentare una delle tante tecniche applicabili al caso in esame, per procedere alla parziale demolizione del piano sopraelevato, identificata nella tecnica della “demolizione controllata”, senza specificare se la struttura ed i materiali di costruzione dell’immobile oggetto dell’ordinanza impugnata siano stati valutati come compatibili con tale tecnica, limitandosi a sostenere come l’intervento sul secondo piano è eseguibile; detto provvedimento sarebbe viziato da manifesta illogicità della motivazione, in quanto l’argomento utilizzato è carente della verifica specifica sull’immobile oggetto di demolizione.

2.4. Deducono, con un quarto motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. c), cod. proc. pen., sotto il profilo della prescrizione dell’ordinanza di demolizione.
In sintesi, le censure attingono l’ordinanza impugnata in quanto, sostengono i ricorrenti, l’estinzione per prescrizione del reato per abusi edilizi rilevanti di assenza di p.d.c., totale difformità da esso o con variazioni essenziali, comporta la decadenza de conseguente ordine demolitorio; poiché, come emerge dalla sentenza di appello, il reato sub c) era stato dichiarato estinto per prescrizione, con contestuale riforma della sentenza appellata e riduzione della pena, anche il corrispondente ordine di demolizione del manufatto abusivo andava revocato, come del resto correttamente disposto dalla stessa Corte d’appello con l’ordinanza 19.01.1999.

3. Con requisitoria scritta depositata presso la cancelleria di questa Corte in data 3/01/2017, il P.G. presso la S.C. di Cassazione ha chiesto annullarsi parzialmente con rinvio la ordinanza impugnata; in particolare, si osserva: a) quanto alla doglianza di cui al secondo motivo, che il contrasto non sarebbe ravvisabile; b) quanto alla doglianza, che si ritiene sia stata proposta per la prima volta in questa sede, di cui al quarto motivo, che la prescrizione del solo reato sub c) della sentenza allegata al ricorso (relativa alla violazione della normativa antisismica, ex lege n. 64 del 1974) non ha rilevanza decisiva; c) quanto alla doglianza di cui al primo motivo, che la stessa non è fondata in relazione all’art. 185 disp. Att. cod. proc. pen. che prevede la possibilità per il g.e. di espletare la perizia “senza particolari formalità”; d) infine, quanto alla doglianza di cui al terzo motivo, osserva il P.G. che – pur potendosi ritenere infondato il motivo in quanto sostanzialmente rinvierebbe ad una complessiva rilettura/rivalutazione dell’elaborato peritale, non apparendo autosufficiente — tuttavia la lettura dell’elaborato peritale evidenzierebbe come effettivamente nella parte finale a pag. 12 il tecnico aggiunga che, in mancanza di certificazione ufficiale per prove sui materiali da costruzione, il documento relativo all’idoneità statica non è da ritenersi esaustivo ai fini dell’idoneità statica del fabbricato di cui il 2° piano è oggetto di demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi; detta circostanza, unitamente al fatto che il g.e. prende in considerazione, sia pure per rinviarli al momento opportuno, gli eventuali problemi di statica che si dovessero porre, inducono il P.G. a concludere per la fondatezza di tale motivo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. I ricorsi sono fondati per le ragioni di seguito esposte.

5. Preliminarmente, si osserva, sussiste la legittimazione ad impugnare l’ordinanza da parte degli eredi della destinataria originaria, medio tempore deceduta.
Ed invero, l’ordine di demolizione del manufatto abusivo, disposto con la sentenza di condanna per reato edilizio, non è estinto dalla morte del reo sopravvenuta alla irrevocabilità della sentenza, non avendo natura penale ma di sanzione amministrativa accessoria (Sez. 3, n. 3861 del 18/01/2011 – dep. 02/02/2011, Baldinucci e altri, Rv. 249317). L’ordine di demolizione dell’opera abusiva, peraltro, conserva la sua efficacia anche nei confronti dell’erede o dante causa del condannato o di chiunque vanti su di esso un diritto reale o personale di godimento, potendo essere revocato solo nel caso in cui siano emanati, dall’ente pubblico cui è affidato il governo del territorio, provvedimenti amministrativi con esso assolutamente incompatibili (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto legittimamente eseguibile l’ordine di demolizione di immobile conferito, dall’erede dell’autore dell’abuso, in fondo patrimoniale, oggetto di successiva azione revocatoria esperita dai creditori: Sez. 3, n. 42699 del 23/10/2015, Curcio, Rv. 265193). Deve quindi essere riconosciuto all’erede del condannato, estraneo al giudizio e dunque impossibilitato ad esperire i mezzi di impugnazione avverso la decisione, il diritto di agire in giudizio avverso l’ordine di demolizione disposto nei confronti del de cuius mediante incidente di esecuzione, rimanendogli peraltro precluse le valutazioni di merito in ordine alla ritenuta configurabilità dell’illecito edilizio (v. in giurisprudenza, con riferimento alla posizione dell’erede nel caso di confisca lottizzatoria: Sez. 3, n. 25883 del 14/03/2013 – dep. 13/06/2013, Pasqui e altri, Rv. 257144).

6. Quanto ai motivi proposti, si osserva quanto segue.
Con riferimento al primo motivo, con cui i ricorrenti si dolgono della nullità dell’ordinanza per violazione del principio del contraddittorio in relazione all’art. 229 cod. proc. pen., è ben vero, come rileva il P.G. ricorrente, che l’art. 185 disp. Att. cod. proc. pen. prevede in tema di «Assunzione delle prove del procedimento di esecuzione» che “Il giudice, nell’assumere le prove a norma dell’articolo 666 comma 5 del codice, procede senza particolari formalità anche per quanto concerne la citazione e l’esame dei testimoni e l’espletamento della perizia”.
E’ altrettanto pacifico però in giurisprudenza che il difensore che ne abbia fatto richiesta ha diritto di assistere alle operazioni peritali. Ne segue che, nel giudizio di cognizione la sua esclusione dà luogo, indipendentemente dalla presenza, o non, dei consulenti di parte, a nullità di ordine generale attinente all’assistenza dell’imputato. Tale conclusione, secondo questa Corte, va estesa al patrocinio dell’interessato nei procedimenti di esecuzione e di sorveglianza, nei quali, sebbene l’espletamento della perizia non sia soggetto a particolari formalità, deve pur sempre essere garantito il rispetto del contraddittorio e l’esercizio dei connessi poteri difensivi (v., in una fattispecie relativa ad esclusione della presenza del difensore, che aveva presentato apposita istanza, a perizia medica disposta nei confronti di condannato che aveva chiesto il differimento dell’esecuzione della pena: Sez. 1, n. 3643 del 19/06/1998 – dep. 16/09/1998, Tomelleri, Rv. 211422; nello stesso senso, Sez. 6, n. 3523 del 27/01/2009, Aprile, Rv. 242434, secondo cui il difensore ha altresì diritto all’avviso del conferimento di un incarico peritale).

7. Nel caso in esame, risulta che il Collegio di appello, quale g.e., dando seguito alla richiesta di espletamento di incarico peritale all’Ing. […] (al punto da ritenere “dirimenti” gli esiti degli accertamenti tecnici svolti dal medesimo, tanto da concludere, in base ai predetti esiti, che l’intervento di demolizione del secondo piano del fabbricato risultasse senza dubbio eseguibile), ha tuttavia omesso di notificare alla difesa dei ricorrenti l’avviso di conferimento dell’incarico peritale, avviso cui era evidentemente prodromica l’eventuale richiesta difensiva di assistere alle operazioni peritali. Deve, infatti, osservarsi, come già evidenziato dalla giurisprudenza di questa Corte, che la regola generale dettata per il giudizio di cognizione, deve estendersi anche al giudizio di esecuzione, in quanto anche in esso deve pur sempre essere garantito il rispetto del contraddittorio e dei connessi poteri difensivi (art. 666, comma quinto, cod. proc. pen.). Tale ultima disposizione processuale, infatti, stabilisce in maniera inequivoca che “5. Il giudice può chiedere alle autorità competenti tutti i documenti e le informazioni di cui abbia bisogno; se occorre assumere prove, procede in udienza nel rispetto del contraddittorio”.

8. In altri termini, dunque, in tema di prova occorre affermare l’accessorietà dell’intervento del giudice rispetto a quello delle parti ricavabile, sia dall’impiego di particolari locuzioni (“di cui abbia bisogno” e “se occorre”) (art. 666, comma quinto, cod. proc. pen.), che dal denominatore comune che lega – nel sistema processuale – le “incursioni” istruttorie “d’ufficio” del giudice (Sez. 1, n. 2187 del 14/03/1997 – dep. 11/04/1997, Bianchetto, Rv. 20724; Sez. 1, n. 2510 del 27/04/1995 – dep. 15/07/1995, P.M. in proc. Esposito, Rv. 202141).
Peraltro, si è affermato, qualora il giudice esercitando i propri poteri istruttori abbia acquisito dopo la discussione documenti nuovi, non inclusi tra quelli del procedimento, la decisione può intervenire solo a seguito di una nuova udienza camerale in modo da consentire alle parti di prendere visione della nuova documentazione e consentire un effettivo contraddittorio (Sez. 2, n. 879 del 05/12/2003 – dep. 16/01/2004, Porchia, Rv. 227871), e ciò in quanto l’attività istruttoria del giudice dell’esecuzione deve svolgersi nel contraddittorio delle parti, le quali hanno il diritto di interloquire riguardo sia all’acquisizione documentale che all’assunzione delle prove. Solo per i «fatti notori», ossia per le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza (secondo la nozione datane dall’art. 115, comma secondo, cod. proc. civ.), ossia le nozioni di fatto che fanno parte del bagaglio di conoscenza dell’uomo medio in un certo periodo, quali la svalutazione monetaria o gli eventi bellici ecc.), in ragione della notorietà, intesa come diffusione generalizzata, può ritenersi non sussistere la necessità di prova mediante acquisizione processuale nel contraddittorio delle parti (Sez. 4, n. 32155 del 18/02/2014 – dep. 21/07/2014, De Crescenzo, Rv. 260120).
Quanto alla “portata” da riconoscersi alla locuzione per cui la citazione, l’esame dei testimoni e l’espletamento della perizia può avvenire “senza particolari formalità”, essa va giustificata alla luce del canone della congruità delle forme procedurali rispetto allo scopo che con un dato modulo si persegue; così, si osserva in dottrina, che «pur potendosi senz’altro presentare richiesta di ammissione di prova testimoniale o di audizione di consulenti (come di qualunque altra prova, documentale o meno) nella fase procedimentale antecedente all’udienza camerale esecutiva (vale a dire o direttamente nella richiesta od a seguito della notifica o comunicazione dell’avviso di udienza)», una simile attività non è sottoposta al termine preclusivo di sette giorni liberi contemplato dall’art. 468, «con la conseguenza che la presentazione delle richieste probatorie può tranquillamente essere effettuata in sede di udienza e il relativo giudizio di ammissibilità è da ritenersi comunque e sempre riservato a tale momento centrale del procedimento camerale esecutivo».

9. Può quindi essere affermato il seguente principio di diritto: «L’omesso avviso al difensore del conferimento dell’incarico peritale disposto in sede di incidente di esecuzione integra una nullità assoluta che incide sulla presenza obbligatoria del difensore al procedimento, con conseguente violazione dell’art. 178, lett. c), cod. proc. pen. in relazione all’art. 179 cod. proc. pen.».

10. L’accoglimento del primo motivo di ricorso, attesa la sua natura assolutamente prodromica ed assorbente, rende superfluo l’esame dei residui motivi, afferenti a presunti vizi motivazionali dell’ordinanza impugnata […]