Corte di Cassazione, Sez. 3, Sentenza n. 39455 del 2017, dep. il 28.08.2017

[…]

RITENUTO IN FATTO

1. Il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Palermo ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe emessa dal Tribunale della stessa città nei confronti di […] imputato dei reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 lett. c), all’art. 81 cpv. c.p. e il D.P.R. n. 64 del 1974, artt. 1, 2, 20, all’art. 81 cpv. c.p. e L. n. 1086 del 1971, artt. 2, 13, 4, 14, (così come modificati dal D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 71 e 72), al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 – bis, all’art. 734 c.p., – nella parte in cui, dopo aver dichiarato estinti i reati ascritti all’imputato per esito positivo della messa alla prova, ha omesso di disporre la demolizione delle opere abusivamente realizzate.
2. Con un unico motivo di ricorso, è denunciata l’erronea applicazione della legge penale.
Ad avviso del PM ricorrente, l’art. 168 – ter c.p. prevede espressamente che l’estinzione del reato, conseguente all’esito positivo della messa alla prova, non pregiudica l’applicazione delle sanzioni amministrative accessorie, ove previste dalla legge; pacifica essendo la natura di sanzione amministrativa accessoria dell’ordine di demolizione previsto dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 31, comma 9, (come riconosciuto dalla costante giurisprudenza del questa Corte di legittimità, per tutte Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015, Rv 265540), ne consegue l’obbligo, non adempiuto nella fattispecie, di disporre anche nel caso di esito positivo della messa alla prova la demolizione delle opere abusivamente realizzate, trattandosi di provvedimento obbligatorio per legge che prescinde da qualsiasi discrezionalità.
3. La difesa dell’imputato, chiedendo il rigetto del ricorso, ha depositato memoria nella quale reputa inconferente il richiamo giurisprudenziale operato dal PG ricorrente, contestando in particolare la pretesa di ottenere da questa Corte di legittimità, rispetto ad una statuizione estintiva dei reati ex art. 168 – ter c.p., una sentenza di annullamento senza rinvio additiva rispetto alla imposizione dell’ordine di demolizione.
La difesa invita a tenere conto proprio del dato normativo, secondo il quale il pronunciamento estintivo del giudice penale, per effetto dell’esito positivo del procedimento di sospensione con messa alla prova, non pregiudica l’applicazione delle sanzioni amministrative accessorie, “ove previste dalla legge”: il che equivale a dire, nel caso specifico, che la pronuncia di estinzione ex art. 168 – ter c.p., non impedisce l’attivazione del procedimento sanzionatorio da parte della competente autorità amministrativa titolare del governo urbanistico, ma non certo del giudice penale, titolare normativamente del potere di impartire, in funzione di supplenza, l’ordine di demolizione solo con la sentenza di condanna e non in caso di declaratoria di estinzione del reato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato, con le precisazioni che seguono.
2. L’art. 168 – ter c.p., comma 2, prevede espressamente che l’estinzione del reato per l’esito positivo della messa alla prova non pregiudica l’applicazione delle sanzioni amministrative accessorie, ove previste dalla legge.
Si tratta di una previsione necessaria, in quanto il nuovo istituto della messa alla prova – che può essere fatto rientrare, a pieno titolo, nella cause di estinzione del reato (come si ricava inequivocabilmente proprio dal tenore del comma citato, laddove la norma si riferisce agli effetti dell’esito positivo della prova) – si caratterizza, tuttavia, dalle altre cause di estinzione del reato per il suo carattere di strumento di composizione preventiva e pregiudiziale del conflitto penale, insorto con la formulazione dell’accusa verso l’imputato o con l’inizio dell’indagine da parte del PM. Il PG ricorrente sostiene che la disposizione è stata violata dal giudice di merito, nella misura in cui, registrato l’esito positivo della messa alla prova in relazione ai reati contestati al […], tra cui anche la contravvenzione di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 lett. c), ne ha dichiarato l’estinzione omettendo di emanare l’ordine di demolizione del manufatto abusivo di cui all’art. 31 dello stesso D.P.R..
La tesi non è condivisibile.
Come noto, l’ordine di demolizione (già previsto dalla L. n. 47 del 1985, art. 7, u.c.) costituisce l’esplicitazione di un potere sanzionatorio non residuale o sostitutivo, ma autonomo rispetto a quello dell’autorità amministrativa, attribuito dalla legge al giudice penale (per tutte, Sez. U, n. 15 del 1976/1996, Monterisi, Rv. 205336, a mente della quale l’ordine di demolizione adottato dal giudice ai sensi della L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 7, al pari delle altre statuizioni contenute nella sentenza definitiva, è soggetto all’esecuzione nelle forme previste da codice di procedura penale, avendo natura di provvedimento giurisdizionale, ancorchè applicativo di sanzione amministrativa).
Trattasi di una sanzione amministrativa di tipo ablatorio (non di una pena, principale o accessoria, nel senso individuato dalla giurisprudenza CEDU: cfr. da ultimo, Sez. 3, n. 41475 del 03/05/2016, Porcu, Rv. 267977; nè di una misura di sicurezza patrimoniale), caratterizzata dalla natura giurisdizionale dell’organo istituzionale al quale ne è attribuita l’applicazione, la cui catalogazione fra i provvedimenti giurisdizionali trova ragione giuridica proprio nella sua accessività alla “sentenza di condanna” (vedi Cass., Sez. U., Monterisi, cit.).
Da quanto precede, e dalla lettera del citato art. 31, discende allora che tale ordine richiede comunque la pronuncia di una sentenza di condanna (o ad essa equiparata, come la sentenza di applicazione di pena concordata), non risultando a ciò sufficiente l’avvenuto accertamento della commissione dell’abuso, come nel caso di sentenza di estinzione per prescrizione (da ultimo, Sez. 3, n. 50441 del 27/10/2015, Franchi, Rv. 265616; tra le altre, Sez. 3, n. 756 del 2/12/2010, Sicignano, Rv. 249154; Sez 3, n. 8409 del 28/2/2007, Muggianu, non massimata; Sez. 3, n. 10/2/2006, Cirillo, Rv. 233673).
In conseguenza di quanto esposto, e contrariamente a quanto argomentato dal PG ricorrente, l’ordine di demolizione del manufatto abusivo, pur avendo natura di sanzione amministrativa, non può essere applicato in conseguenza della declaratoria di estinzione per esito positivo del procedimento di sospensione con messa alla prova, pronuncia che – per i motivi sopra esposti riguardo al carattere del nuovo istituto di strumento di composizione preventiva e pregiudiziale del conflitto penale, che non sembra prevedere un preventivo accertamento di penale responsabilità ben difficilmente può essere equiparata alla “sentenza di condanna” richiesta come presupposto dall’art. 31 del T.U.E. (argomenti, sul punto, si traggono da Sez. 2, n. 53648 del 05/10/2016, M., Rv. 268635, secondo cui “la sentenza di proscioglimento per esito positivo della messa alla prova, di cui all’art. 464 – septies c.p.p., non è idonea ad esprimere un compiuto accertamento sul merito dell’accusa e sulla responsabilità, sicchè essa non può essere posta alla base di un contrasto di giudicati tra coimputati per il medesimo reato che abbiano diversamente definito la loro posizione processuale”; si veda anche Sez. 3, n. 14750 del 20/01/2016, Genocchi, Rv. 266387, secondo cui “L’ordinanza di sospensione del procedimento con messa alla prova, di cui all’art. 464 quater c.p.p., non determina l’incompatibilità del giudice nel giudizio che prosegua con le forme ordinarie nei confronti di eventuali coimputati, trattandosi di decisione adottata nella medesima fase processuale che non implica una valutazione sul merito dell’accusa ma esclusivamente una delibazione sull’inesistenza di cause di proscioglimento immediato ai sensi dell’art. 129 c.p.p., nonchè una verifica dell’idoneità del programma di trattamento e una prognosi favorevole di non recidiva”).
Ciò non vuol dire, evidentemente, che l’ordine di demolizione, in quanto tale, rimanga irrimediabilmente precluso dall’intervenuta estinzione del reato, perchè anzi, proprio in forza dell’espressa previsione dell’art. 138 – ter c.p., esso potrà e dovrà essere irrogato, ricorrendone i presupposti di legge, dalla autorità amministrativa preposta; significando solo che non ricorrono le condizioni di legge per la concorrente impartizione da parte del giudice penale, in ragione del particolare esito processuale che non consente l’integrazione del presupposto processuale (sentenza di condanna) previsto dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31.
D’altra parte – e conclusivamente sul punto – tale approdo interpretativo pare trovare indiretta conferma nella giurisprudenza (Sez. 4, n. 29639 del 23/06/2016, Conti, Rv. 267880; Sez. 4, n. 40069 del 17/09/2015, Pettorino, Rv. 264819; Sez. 4, n. 39107 del 08/07/2016, Rossini, Rv. 267608) espressa da questa Corte su una fattispecie – guida in stato in ebbrezza – che sembra presentare tratti di somiglianza con quella in esame per la previsione di un potere giurisdizionale sussidiario di irrogazione di sanzione amministrativa, laddove si è affermato che il giudice che dichiari l’estinzione del reato di cui all’art. 189 C.d.S., per l’esito positivo della messa alla prova, ai sensi dell’art. 168 – ter c.p., non può applicare la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida, di competenza del Prefetto ai sensi dell’art. 224 C.d.S., comma 3; e ciò proprio in considerazione della sostanziale differenza tra l’istituto della messa alla prova, che prescinde dall’accertamento di penale responsabilità, e le ipotesi di applicazione della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, di cui all’art. 186 C.d.S., comma 9 bis, e art. 187 C.d.S., comma 8 bis, motivo per il quale non può trovare applicazione la disciplina – ivi prevista – che lascia al giudice, in deroga al predetto art. 224, la competenza ad applicare la sanzione amministrativa accessoria.
3. Chiarito tale profilo – e rigettato dunque il motivo di ricorso del PG su di esso concentrato la questione appare in realtà mal posta, e costringe questa Corte a soffermarsi, al fine di evitare fraintendimenti, sul tema del rapporto tra reati edilizi e messa alla prova.
Va premesso che è da escludere, a dispetto dell’incompiutezza della disposizione normativa (art. 168 – bis c.p.) che, in presenza dei reati inclusi nella forbice edittale prevista, l’imputato possa esercitare un diritto alla messa alla prova, restando al giudice il solo sindacato di verifica della ricorrenza dei presupposti formali: al contrario, la concessione del beneficio della sospensione del procedimento con messa alla prova, ai sensi dell’art. 168 bis c.p., è infatti rimessa al potere discrezionale del giudice e postula un giudizio volto a formulare una prognosi positiva riguardo all’efficacia riabilitativa e dissuasiva del programma di trattamento proposto e alla gravità delle ricadute negative sullo stesso imputato in caso di esito negativo (Sez. 4, n. 9581 del 26/11/2015, dep. 08/03/2016, Quiroz, Rv. 266299); la pretesa funzione deflattiva non costituisce, infatti, lo scopo della probation, la quale, senza incidere sul rilievo penale del fatto e senza troncare il processo, al fine di favorire il recupero alternativo dell’autore del reato, avvia un sub-procedimento, che seguendo da presso l’esperimento della prova, nel caso auspicabile di buon esito, si conclude con la declaratoria di estinzione del reato.
Escluso dunque ogni automatismo, va ancora considerato che secondo la testuale previsione dell’art. 168 – bis c.p., la messa alla prova comporta la prestazione di condotte volte alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonchè, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato; l’istituto a messa prevede altresì l’affidamento dell’imputato al servizio sociale, per lo svolgimento di un programma che può implicare, tra l’altro, attività di volontariato di rilievo sociale, ovvero l’osservanza di prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale o con una struttura sanitaria, alla dimora, alla libertà di movimento, al divieto di frequentare determinati locali.
La lettura della disposizione evidenzia chiaramente – come dimostra la posizione attribuita nel comma e il successivo uso del termine “altresì” – che il legislatore ha inteso assegnare rilievo prioritario, e pregiudiziale rispetto all’affidamento dell’imputato al servizio sociale, alla “eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato”: deve essere allora chiaro che la mera eventuale prestazione delle attività in senso al servizio sociale non esplica alcuna efficacia, ai fini del positivo superamento della messa alla prova, in assenza di condotte teleologicamente volte, e concretamente ed univocamente idonee, alla eliminazione del danno o del pericolo derivante dal reato.
Da quanto detto deriva – per venire alla materia che occupa – che la praticabilità della sospensione con messa alla prova nei reati edilizi, formalmente ricompresi nella cornice edittale che consente l’applicazione dell’istituto, passa obbligatoriamente per l’eliminazione delle conseguenze dannose dei reati in questione, “idest” per la preventiva e spontanea demolizione dell’abuso edilizio ovvero per la sua riconduzione alla legalità urbanistica ove ricorrano i presupposti per la cd. sanatoria di (doppia) conformità.
Tali condotte sono come detto pregiudiziali (in senso logico, ma non necessariamente cronologico) rispetto all’affidamento dell’imputato in prova al servizio sociale e alla verifica del suo positivo esito, ed impongono pertanto al giudice di operare un corretto controllo, anche mediante le opportune e necessarie verifiche istruttorie, sul puntuale e integrale raggiungimento dell’obiettivo della eliminazione delle conseguenze del reato edilizio, non potendosi ammettere -come pare essere avvenuto nella fattispecie in esame, senza però che tale profilo, in difetto di impugnazione sul punto, possa essere oggetto di censura da parte di questa Corte – che venga dichiarata l’estinzione del reato, per compiuta e positiva probation, in presenza di un abuso non completamente demolito o non integralmente sanato (ricorrendone le condizioni) sul piano urbanistico.
In tal senso, dunque, la questione è, come già detto, mal formulata, nella misura in cui, nella materia edilizia, la corretta applicazione, da parte del giudice, della sospensione del processo con messa alla prova passa, doverosamente, per la preventiva verifica della avvenuta effettuazione, da parte dell’imputato, di condotte atte a ripristinare l’assetto urbanistico violato con l’abuso, o mediante la sua piena e integrale demolizione ovvero mediante la sua riconduzione, ove possibile, alla legalità attraverso il rilascio di un legittimo (e dunque non condizionabile all’esecuzione di futuri interventi) titolo abilitativo in sanatoria; di modo che tale verifica rende, almeno nella normalità dei casi, implicitamente superata la problematica – erroneo bersaglio dell’odierna impugnazione – del potere/dovere del giudice di ordinare la demolizione anche a seguito di sentenza ex art. 168 – ter c.p., nella misura in cui, secondo il descritto fisiologico decorso delle cadenze procedimentali, tale ordine giudiziale non dovrebbe infatti avere più ragion d’essere una volta accertata l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato […]