Corte di Cassazione, Sez. 3, Sentenza n. 40541 del 2014, dep. il 01/10/2014

[…]

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Firenze, con sentenza emessa in data 11 febbraio 2013, ha confermato la pronuncia resa dal tribunale della rnedesima città, sezione distaccata di Empoli, con la quale […] e […] vennero ritenuti colpevoli dei reati loro ascritti, unificati dal vincolo dello continuazione, e, qualificato il reato di cui al capo b) come violazione degli artt. 110, 481 e 61 n.2 cod. pen., furono condannati, unitamente a […] dichiarato colpevole del solo reato a lui ascritto al capo a), alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi 6 di reclusione ciascuno, […] e […], e alla pena di mesi 3 di arresto ed C. 12.000 di ammenda, […].

1.2. Agli imputati erano contestati il reato (artt. 110 cod. pen., 29 e 44 lett. b) e comma 2 bis, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) per aver (il […] quale proprietario dell’immobile e committente dei lavori, il […] quale direttore dei lavori ed il […] quale rappresentante della ditta esecutrice dei lavori) realizzato (capo a) in località …, in totale difformità dal permesso di costruire n. 26 del 2006, opere tali da comportare nel complesso e funzionalmente la realizzazione di un edifico diverso e quindi un’evidente trasformazione urbanistica ed edilizia dei luoghi (rialzamento del piano di calpestio con conseguente aumento di volume; realizzazione di un locale seminterrato posto in adiacenza al fabbricato principale con conseguente aumento di volume dell’immobile concessionato; chiusura della loggia in progetto sul fronte principale del fabbricato;traslazione dell’intero edificio in costruzione rispetto a quanto rappresentato nella pratica edilizia n. 26 del 2006 e nella sanatorie n. 227 del 2009, fatto accertato il 21 ottobre 2009) nonché il reato (artt. 110, 481 e 483 e 61 n. 2 cod. pen.) per avere (capo b) il […] ed il […], in concorso tra loro e nelle qualità sopraindicate, attestato falsamente nella richiesta di permesso a costruire in sanatoria n. 227 del 2009 presentata al comune di […] la consistenza delle opere abusive realizzate e ciò omettendo di evidenziare e rappresentare la realizzazione del locale seminterrato e la traslazione dell’edificio (fatto commesso il 16 giugno 2009).

1.3. Nel pervenire alla suddetta conclusione, i Giudici del merito hanno ritenuto che il […] (proprietario del manufatto e committente dei lavori), […] (legale rappresentante dell’impresa che aveva eseguito le opere) ed il geom. […] (direttore dei lavori) avessero concorso nell’esecuzione delle opere edilizie indicate nell’imputazione realizzandole in totale difformità dal permesso di costruire n. 26 del 2006 che era stato rilasciato in funzione della trasformazione di una rimessa agricola in civile abitazione.

1.3.1. L’esecuzione delle opere in totale difformità dal permesso di costruire n. 26 rilasciato dal comune di […] il 20 luglio 2006 è stata ritenuta sul rilievo che: 1) il piano di calpestio del manufatto era stato rialzato (rispetto a quanto previsto dal permesso di costruire) di m. 1,40, così realizzando una maggiore volumetria rispetto a quanto assentito (volumetria che è stata poi stimata dall’arch. […], consulente dell’imputato […], in 71 mc); 2) era stato realizzato un locale seminterrato non previsto (difatti il permesso di costruire prevedeva soltanto la realizzazione di una cantina interrata posta esattamente sotto l’edificio principale, e quindi avente le dimensioni di questo, mentre sul posto era stato rilevato un ulteriore locale seminterrato, delle dimensioni di m. 3,00 X 5,90, posto a fianco di detta cantina e quindi esterno alla sagoma dell’edificio principale); 3) era stata, inoltre, “chiusa” una loggia esterna (la chiusura incideva sulle distanze dai confini, che risultavano essere inferiori al minimo prescritto); 4) infine l’intero edificio era stato traslato sul terreno, in definitiva venendo ad essere costruito in una posizione diversa rispetto a quanto rappresentato nella pratica edilizia del 2006 (seppure la traslazione era “di modesta entità” perché l’area di sedime coincideva con quella prevista all’origine in una misura di circa il 50%).

1.3.2. La Corte territoriale ha ricordato che, nel corso del dibattimento, l’architetto […] (tecnico che, per incarico del proprietario dell’immobile […], aveva predisposto la pratica di sanatoria presentata nel 2011) aveva confermato tali difformità, che risultavano anche dalla documentazione acquisita.

1.3.3. Per rendere nuovamente legittimo il manufatto si era reso necessario presentare una nuova istanza di sanatoria (dopo quella del 16 giugno 2009 stimata ideologicamente falsa). A seguito di questa seconda istanza il Comune di […] aveva rilasciato il permesso di costruire in sanatoria n. 60 del 28 settembre 2011, permesso tuttavia condizionato alla realizzazione degli interventi di “modifica” del manufatto, modifiche previste proprio dall’architetto […]. Ciò rendeva evidente, secondo i Giudici del merito, che la sanatoria non avesse l’efficacia estintiva prevista dall’art. 45 d.P.R. 380 del 2001, perché faceva difetto il requisito della “doppia conformità” delle opere abusive realizzate. In sostanza per ottenere la sanatoria il […] aveva dovuto prevedere un insieme di opere di rimessione in pristino del manufatto: era stata prevista una diversa sistemazione esterna del piano di campagna, in modo da eliminare il rialzamento del piano dì calpestio dell’edificio; a ciò si aggiungeva la totale eliminazione del locale seminterrato non previsto nel progetto assentito con il permesso di costruire risalente al 2006; infine si era dovuta prevedere l’eliminazione dei muri già edificati al posto della loggia. Di fatto quasi tutte le opere abusivamente realizzate non erano state sanate, bensì completamente eliminate.

1.3.4. Le opere abusive, nei loro complesso, portavano, secondo i Giudici del merito, alla realizzazione di un edificio integralmente diverso da quello autorizzato con la concessione del 2006 (edificio più alto, con maggiore volumetria, con una sagoma diversa a causa della chiusura della loggia, con una diversa localizzazione sul terreno) con la conseguenza che era dunque integrata la fattispecie prevista dall’art. 44 lettera b) d.p.r. 380 del 2001 della quale tutti gli imputati, nelle loro rispettive qualità, dovevano rispondere.

1.3.5. Sussisteva, inoltre, il reato di falsità ideologica di cui al capo b). L’esame delle planimetrie allegate alla domanda di sanatoria presentata dal committente […] e dal tecnico geom. […] il 16 giugno 2006 rendeva evidente che in esse non veniva rappresentata la già avvenuta costruzione del locale seminterrato e neppure la traslazione del manufatto. La relazione allegata alle planimetrie dimostrava che tale omissione non era involontaria ma era voluta, dal momento che tali difformità non si menzionavano affatto e non se ne richiedeva la sanatoria, comportandosi come se esse non fossero presenti. Nella domanda di sanatoria gli imputati […] e […] avevano, dunque, autocertificato lo stato attuale dell’immobile in modo non veritiero. Rilevante era ritenuto anche il contenuto di un appunto sequestrato al geometra […] nel corso di una perquisizione disposta dai pubblico ministero ed effettuata in data 20 luglio 2009. […] scriveva ad un collaboratore dello studio, evidentemente incaricato di realizzare una serie di tavole progettuali, che nella richiesta di sanatoria «occorre anche far vedere il terreno pertinenziale con la strada privata di accesso al garage (anche se ora il garage non si fa vedere)». Lo scritto dimostrava, secondo i Giudici del merito, che l’omessa rappresentazione della volumetria seminterrata fosse frutto di una scelta consapevole.

2. Per l’annullamento della sentenza impugnata ricorrono per cassazione […], […] e […] deducendo: […] e […] tre motivi: 1) violazione degli artt. 36 e 45 TUE (art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen.) in punto di esclusione della estinzione del reato per intervenuta sanatoria; violazione degli artt. 22 e 32 TUE e dell’art. 133 L.R. Toscana n.1 del 2005 nonché manifesta illogicità della motivazione ed erronea valutazione delle risultanze istruttorie (art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.).

2) Erronea qualificazione giuridica del fatto e sussistenza degli elementi per ritenere l’abuso edilizio sussumibile nella fattispecie prevista dalla lettera a) dell’art. 44 TUE; violazione degli artt. 22 e 32 TUE e dell’art. 133 L.R. Toscana n.1 del 2005 (art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen.);

3) Insussistenza del reato di falso ideologico e carenza dell’elemento psicologico. Erronea applicazione dell’art. 82 L.R. Toscana n. 1 del 2005 (art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen.); Contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato e dagli atti del processo. Travisamento dei fatti e delle risultanze istruttorie tradottesi in vizio logico della sentenza desumibile dal testo della stessa (art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.).

[…] due motivi: 1) violazione degli artt. 36 e 45 TUE (art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen.) in punto di esclusione della estinzione del reato per intervenuta sanatoria; violazione degli artt. 22 e 32 TUE e dell’art. 133 L.R. Toscana n.1 del 2005 nonché manifesta illogicità della motivazione ed erronea valutazione delle risultanze istruttorie (art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.).

2) Erronea qualificazione giuridica del fatto e sussistenza degli elementi per ritenere l’abuso edilizio sussumibile nella fattispecie prevista dalla lettera a) del’art. 44 TUE; violazione degli artt. 22 e 32 TUE e dell’art. 133 L.R. Toscana n.1 del 2005 (art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen.).

3. Con memoria depositata in data 30 maggio 2014 […] e […] eccepiscono la prescrizione del reato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono inammissibili per manifesta infondatezza.

2. Quanto al primo ed al secondo motivo di gravame, comune a tutti i ricorrenti, essi possono essere congiuntamente esaminati essendo tra loro strettamente collegati. Per entrambi, le ragioni della doglianza fondano su un ritenuto travisamento delle risultanze istruttorie e l’evidente erronea applicazione della normativa di settore.

2.1. Si assume come, da un lato, la sanatoria non sia affatto passata attraverso la completa eliminazione di quasi tutte le opere difformi (posto peraltro che anche la realizzazione dell’autorimessa interrata era consentita dagli strumenti urbanistici vigenti nella zona attinta dall’intervento edilizio e che il progetto di sanatoria ne aveva previsto la demolizione, non anche la sanatoria, soltanto per ragioni di opportunità e, in particolare, per non affrontare le difficoltà relative all’impatto estetico ambientale della rampa di accesso) con la conseguenza che la Corte territoriale avrebbe errato nel non riconoscere l’effetto estintivo ex art. 45 TUE e come, dall’altro, l’esame delle singole difformità contestate, pur senza voler eludere il principio della valutazione unitaria dell’intervento edilizio, avrebbe dovuto portare alla conclusione che, tenuto conto della proiezione finalistica nella quale si sarebbero dovuti valutare taluni interventi, le singole difformità non fossero tali da comportare la realizzazione di un edificio integralmente diverso da quello assentito, con la conseguenza che gli interventi stessi avrebbero dovuto essere valutati, anche alla luce della legislazione regionale, come variazioni non essenziali del progetto e suscettibili, come tali, di integrare, a tutto concedere, la fattispecie di cui alla lettera a) dell’art. 44 TUE.

2.2. I riassunti rilievi, formulati nei medesimi termini con l’atto di appello, sono stati disattesi dalla Corte territoriale avendo l’istruttoria dibattimentale dimostrato come il manufatto fosse stato realizzato in modo del tutto diverso, per caratteristiche planovolumetriche rispetto a quanto previsto dal permesso di costruire rilasciato dall’autorità amministrativa nel 2006.
Ciò è stato ritenuto in considerazione del fatto che il rialzamento del piano di calpestio ha comportato, di per sé stesso, un consistente incremento volunnetrico, rispetto a quanto assentito dal Comune, incremento esattamente quantificato in circa metri cubi 71 (per la precisione mc. 70,96), pari al 40 0/0 del volume assentito (volume oggetto di concessione: mc. 168,56; volume realizzato: mc. 239,52) ed il dato probatorio è stato acquisito anche attraverso la deposizione dell’arch. […], tecnico incaricato dal proprietario […] di predisporre una seconda pratica di sanatoria, dopo quella del 16 giugno 2009, dalla quale è scaturita l’imputazione di falsità ideologica ex art. 481 cod. pen. A questa difformità, conne emerso sempre dalla deposizione dell’arch. […], va aggiunta quella relativa alla realizzazione dell’autorimessa seminterrata, estranea al permesso di costruire, consistente in un locale esterno alla sagoma del fabbricato, autonomamente accessibile (attraverso una rampa carrabile), che aveva una superficie di circa 17 mq. per una altezza di m. 2,50 con conseguente ulteriore volumetria non assentita di circa 40 mc. Altra difformità è stata desunta dalla chiusura della loggia prevista sul fronte principale del fabbricato, chiusura che ha inciso, secondo la Corte territoriale, non soltanto sulla disciplina delle distanze ma anche sulla sagoma e sui prospetti dell’immobile in corso di realizzazione, prospetti che con detta trasformazione sono stati modificati in modo sensibile.
Infine, è stara ritenuta pacifica la difformità relativa alla realizzazione del manufatto in una posizione diversa, sia pure di pochi metri, da quella prevista nel permesso di costruire del 2006.

2.3. Al cospetto di tali complete valutazioni, pienamente logiche e conformi alle risultanze di causa, supportate da una doppia conforme decisione, la doglianza dei ricorrenti circa l’illogicità della motivazione per travisamento delle risultanze istruttorie difetta di qualsiasi fondamento e ignora, per questa parte, che il giudizio di legittimità rappresenta lo strumento di controllo della corretta applicazione della legge sostanziale e processuale e non può costituire un terzo grado di giudizio diretto alla ricostruzione dei fatti oggetto di contestazione.
Peraltro i vizi logici devono essere manifesti, non potendo essere ravvisati nel fatto che il ricorrente abbia ritenuto non soddisfacenti le argomentazioni con le quali la sentenza impugnata ha risposto ai rilievi formulati nei motivi di gravame.
Questa Corte ha affermato che può aversi vizio di travisamento della prova quando l’errore sia in grado di disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione e che questo può avvenire solo nei casi in cui si introduce in motivazione un’informazione rilevante che non esiste nel processo, oppure si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della decisione (Sez. 2, n. 23419 del 23/05/2007, P.G. in proc. Vignaioli, RV 236893; Sez. 1, n. 24667 del 15/06/2007, Musumeci, RV 237207). Nulla di tutto ciò è riscontrabile nell’apparato argomentativo della Corte territoriale la cui motivazione si segnala anche per la corretta applicazione della legge sostanziale.

2.4. Sul punto, quanto alla doglianza circa la negata valenza del permesso in sanatoria come causa estintiva del reato urbanistico, la Corte di appello si è attenuta alla giurisprudenza di questa Corte secondo la quale non determina l’estinzione del reato edilizio, ai sensi del combinato disposto degli artt. 36 e 45 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria con effetti temporanei o relativo soltanto a parte degli interventi abusivi realizzati o, ancora, subordinato all’esecuzione di opere, atteso che ciò contrasta ontologicamente con gli elementi essenziali dell’accertamento di conformità, i quali presuppongono la già avvenuta esecuzione delle opere e la loro integrale conformità alla disciplina urbanistica (Sez. 3, n. 19587 del 27/04/2011, Montini ed altro, Rv. 250477). Nella specie, il permesso di costruire in sanatoria è stato concesso con specifiche prescrizioni, è poi pacifico che l’autorimessa seminterrata, ipoteticamente sanabile, sia stata esclusa dalla sanatoria stessa, essendone stata prevista la demolizione e, a dimostrazione dell’inammissibilità di una sanatoria parziale o condizionata alla demolizione di una parte degli interventi, la Corte di appello ha anche correttamente rilevato come, dall’esame della pratica di sanatoria, anche altre opere siano state sottratte all’accertamento dì conformità essendo stata prevista anche l’eliminazione dei muri di chiusura della loggia e la risistemazione esterna del terreno, così da incidere sull’altezza del piano di calpestio del fabbricato rispetto al piano di campagna.

2.5. Corretto deve ritenersi anche l’approdo cui i Giudici dell’appello sono pervenuti nel ritenere configurata la fattispecie della difformità totale procedendo ad valutazione concernente l’opera nel suo insieme e stigmatizzando il contrario approccio pronosticato dai ricorrenti e diretto a valutare singolarmente le varie difformità parcellizzando l’esame critico degli interventi. Dalla valutazione unitaria dell’immobile realizzato, la Corte ha tratto corretto e logico argomento per desumere la realizzazione di un organismo integralmente diverso da quanto previsto nell’atto di assenso sul rilievo del macroscopico incremento volumetrico comportante la realizzazione di un immobile di dimensioni molto più ampie, traslato sul terreno, con un’autorimessa seminterrata non prevista dal permesso di costruire. Il concetto della totale difformità è antitetico rispetto a quello della parziale difformità e ciò giustifica il diverso approccio valutativo e comparativo per la riconoscibilità, che deve essere eseguita su base normativa, dell’una o dell’altra tipologia di difformità edilizia. La nozione della parziale difformità evoca un intervento costruttivo, specificamente individuato, che, quantunque contemplato dal titolo abilitativo, venga tuttavia realizzato secondo modalità diverse da quelle fissate a livello progettuale. Il concetto di totale difformità presuppone invece un intervento costruttivo che esclude una valutazione frammentaria di esso e che perciò va riguardato unitariamente e nel suo complesso posto che l’art. 31, d.P.R. n. 380 del 2001 descrive le opere eseguite in totale difformità dal permesso di costruire come quelle “che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso…”. Come è stato esattamente evidenziato, l’art. 31, comma 1, TUE richiama un concetto di “totale difformità” ancorato, più che al confronto tra la singola difformità e le previsioni progettuali dell’intervento edilizio, alla comparazione sintetica tra l’organismo programmato nel progetto assentito e quello che è stato realizzato con l’intervento edilizio scaturito dall’attività costruttiva, con la conseguenza che, mentre il metodo valutativo utilizzabile per definire il concetto di “parziale difformità” ha carattere analitico, quello destinato ad accertare la “totale difformità” si fonda su una valutazione di sintesi collegata alla rispondenza o meno del risultato complessivo dell’attività edilizia rispetto a quanto è stato rappresentato nelle previsioni progettuali, le uniche prese in considerazione in fase di assenso amministrativo. A tale significativa conclusione era infatti già pervenuta la giurisprudenza di questa Corte quando, nel previgente e non antitetico assetto normativo, aveva chiarito che si ha difformità totale di un manufatto edilizio allorché i lavori riguardino un’opera diversa da quella prevista dall’atto di concessione: diversa per conformazione, strutturazione, destinazione, ubicazione; mentre si configura la difformità parziale quando le modificazioni incidano su elementi particolari e non essenziali della costruzione e si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell’opera (Sez. 3, n. 1060 del 07/10/1987, dep. 30/01/1988, Ferrali Rv. 177490).

2.6. A questo punto, appare chiaro come sia del tutto irrilevante il richiamo nelle doglianze dei ricorrenti alla legislazione regionale per desumere, rispetto alle singole difformità e non alle anomalie nel loro complesso, il carattere di variazione non essenziale dei singoli interventi (come ad esempio dell’autorimessa) e ciò sulla base del disposto dell’art. 32 TUE e del rinvio alla legislazione regionale integrativa.
Nel caso di specie, attesa la clausola di salvezza posta in apertura delle disposizione, l’art. 32 TUE non è applicabile stante la natura totale delle difformità edilizie unitariamente riguardate e di conseguenza alcun effetto giuridico produce la legislazione regionale nella determinazione integrativa delle variazioni essenziali in presenza appunto di conclamate totali difformità.

3. Anche il terzo motivo di gravame, comune ai soli ricorrenti […] e […], è manifestamente infondato. Secondo i ricorrenti, la Corte territoriale avrebbe errato nel non ritenere la grossolanità e/o l’innocuità del falso contestato nonostante la presentazione delle integrazioni successive alla domanda di sanatoria del giugno 2009, integrazione che rendeva ormai del tutto inoffensiva la condotta per la sua evidente riconoscibilità, da un lato, e per la sua assoluta inidoneità, dall’altro, a ledere l’interesse protetto dall’incriminazione. Tuttavia i ricorrenti, nell’esporre la propria tesi, ancora una volta ed inammissibilmente invitano il giudice di legittimità a rileggere diversamente gli atti di causa per pervenire ad una ricostruzione dei fatti diversa da quella posta, senza vizi logici e giuridici, a base del convincimento del giudice del merito. Il quale ha spiegato come il reato di falso fosse già consumato prima del deposito delle variazioni integrative alla domanda di sanatoria ideologicamente falsa e come dette variazioni fossero state significativamente prodotte solo dopo la perquisizione del 20 luglio 2009 nel corso della quale presso lo studio professionale del […] fu sequestrato l’appunto che comprovava, sia dal punto di vista dell’elemento oggettivo che di quello soggettivo del reato, la falsità contestata. Né poteva assumere alcun rilievo l’eventuale conoscibilità dello stato dei luoghi da parte dell’autorità comunale che, in precedenza, aveva effettuato un accesso in loco nel mese di marzo 2009. Nel pervenire a tale conclusione la Corte territoriale ha fatto buon governo dei principi affermati da questa Corte che ha ritenuto che per potersi parlare di “falso innocuo”, occorre (nel falso ideologico) che l’infedele attestazione sia del tutto irrilevante ai fini del significato dell’atto (ex multis, Sez. 5, n. 2809 del 17/10/2013, dep. 21/01/2014, Ventriglia, Rv. 258946), mentre il falso è grossolano quando sia immediatamente percepibile da chiunque e dunque inidoneo a ledere il bene giuridico protetto, occorrendo che la immutatio veri risulti riconoscibile “ictu oculi”, ovvero in base alla mera disamina dello stesso (Sez. 2, n. 5687 del 06/12/2012, dep. 05/02/2013, P.G. in proc. Rahman Ataur, Rv. 255680).
Nella specie la Corte territoriale ha correttamente ritenuto l’insussistenza delle predette condizioni, attenendo la falsa attestazione, da un lato, al contenuto essenziale dell’atto (posto che la finalità della certificazione richiesta nel presentare la domanda di sanatoria è proprio quella di garantire l’esatta indicazione della consistenza del manufatto, a prescindere da ogni eventuale verifica) e non potendosi sostenere, dall’altro, che il falso potesse definirsi grossolano soltanto perché sarebbe stato possibile rilevare la falsità comparando il contenuto della domanda di sanatoria con quanto risultava all’autorità comunale dall’accertamento effettuato in loco nel precedente mese di marzo 2009, ovvero dalla variante in corso d’opera depositata dal […] nell’ottobre 2008 e successivamente respinta (posto che il fatto stesso di dover ricorrere ad una comparazione tra atti esclude la grossolanità del falso per non essere l’immutatio veri immediatamente riconoscibile dalla semplice disamina del documento oggetto di falsità).

4. L’inammissibilità dei ricorsi esclude che possa dichiararsi la prescrizione del reato urbanistico perché, tenuto conto dell’evento sospensivo del corso della prescrizione (dal 5 luglio 2011 al 13 ottobre 2011 per un rinvio richiesto dai difensori), la causa estintiva sarebbe maturata dopo la pronuncia della sentenza impugnata e i ricorsi, stante la loro inammissibilità, non hanno perciò instaurato un valido rapporto giuridico processuale di un nuovo grado di giudizio e ciò impedisce il vaglio, anche ufficioso ex articolo 129 cod. proc. pen., della prescrizione maturata tra la pronuncia della sentenza impugnata e la definizione del gravame (ex multis, Sez. U, 22/11/2000, n. 32, De Luca, Rv. 217266).

5. […]