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RITENUTO IN FATTO
1. — Con ordinanza del 10 febbraio 2015, il Tribunale di Catania, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato la richiesta di revoca o sospensione dell’ingiunzione a demolire emessa in relazione all’ordine di demolizione contenuto in una sentenza di applicazione di pena su richiesta delle parti, ritenendo che lo stesso rimanga eseguibile anche nel caso di estinzione del reato in conseguenza decorso del termine di cui all’art. 445, comma 2, cod. proc. pen. e rilevando la mancanza di prova dell’esistenza di prevalenti interessi pubblici al mantenimento in essere dell’opera.
2. – Avverso l’ordinanza gli interessati hanno proposto, tramite il difensore e con unico atto, ricorsi per cassazione.
Con un primo motivo di doglianza si contesta la qualificazione giuridica dell’ordine di demolizione affermata dal giudice. Secondo la prospettazione difensiva, tale ordine andrebbe qualificato come “pena, secondo i principi affermati dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, avendo le caratteristiche della “pertinenzialità”, della “gravità” e della “finalità repressiva”. Ne consegue – sempre secondo la difesa – che troverebbe applicazione il disposto degli artt. 172 e 173 cod. pen.; con la conseguenza che la stessa si sarebbe estinta, perché non portata ad esecuzione nel termine quinquennale.
In secondo luogo, si contesta l’affermazione contenuta nell’ordinanza impugnata secondo cui non vi sarebbe prova dell’esistenza di prevalenti interessi pubblici al mantenimento dell’opera. Il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto – secondo la prospettazione difensiva – accertare, atteso il notevole lasso di tempo trascorso, quale valutazione avesse espresso l’autorità amministrativa in ordine alla demolizione o all’acquisizione dell’opera abusiva ed avrebbe dovuto indagare sulle ragioni del ritardo nella trattazione della pratica amministrativa e sulla sussistenza in concreto delle condizioni previste dalle delibere comunali in materia.
In terzo luogo, si prospetta la carenza di motivazione per la mancata considerazione del fatto che il Consiglio comunale era in procinto di emettere un provvedimento definitivo in ordine all’esistenza o meno dei prevalenti interessi pubblici al mantenimento delle opere abusive, in applicazione delle delibere n. 51 del 21 febbraio 2001 e n. 8 del 29 febbraio 2008, con le quali aveva fissato le condizioni per la sussistenza degli interessi pubblici all’acquisizione del bene e per la locazione degli immobili costruiti abusivamente ed acquisiti al patrimonio comunale. La conferma dell’ordine di demolizione rappresenterebbe, in tale quadro, un’interferenza della giurisdizione penale sull’autonomia della pubblica amministrazione.
Con una quarta censura, si lamenta la mancanza di motivazione in ordine alla richiesta di sospensione dell’ordine demolizione, non essendo stata considerata, a tal fine, la pendenza del procedimento amministrativo di cui sopra.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è infondato.
3.1. – Quanto al primo motivo di doglianza, deve rilevarsi che lo stesso è infondato, perché la demolizione del manufatto abusivo, anche se disposta dal giudice penale ai sensi dell’art. 31, comma 9, del d.P.R. n. 380 del 2001 qualora non sia stata altrimenti eseguita, ha natura di sanzione amministrativa che assolve ad un’autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso, configura un obbligo di fare, imposto per ragioni di tutela del territorio, non ha finalità punitive ed ha carattere reale, producendo effetti sul soggetto che è in rapporto con il bene, indipendentemente dall’essere stato o meno quest’ultimo l’autore dell’abuso. Per tali sue caratteristiche la demolizione non può ritenersi una “pena” nel senso individuato dalla giurisprudenza della Corte EDU e non è soggetta alla prescrizione stabilita dall’art. 173 cod. pen. (ex multis, sez. 3, 07 luglio 2015, n. 36387, rv. 264736; sez. 3, 10 novembre 2015, n. 49331, rv. 265540). Analoghe considerazioni valgono per l’ordine di demolizione impartito con sentenza di applicazione di pena su richiesta delle parti, il quale resta eseguibile anche in caso di estinzione del reato conseguente al decorso del termine di cui all’art. 445, comma 2, cod. proc. pen. proprio perché, in quanto sanzione amministrativa, non può essere soggetto alle norme relative all’estinzione della pena o del reato, nemmeno per effetto di un’applicazione analogica delle medesime (ex multis, sez. 3, 10 novembre 2015, n. 49331, rv. 265540; sez. 3, 23 marzo 2011, n. 18533; sez. 3, 8 settembre 2010, n 32952). Nel caso in esame, dunque, l’ordine di demolizione è stato correttamente ritenuto eseguibile, nonostante il decorso del tempo.
3.2. – Il secondo motivo di censura – con cui si contesta l’affermazione contenuta nell’ordinanza impugnata secondo cui non vi sarebbe prova dell’esistenza di prevalenti interessi pubblici al mantenimento dell’opera – è inammissibile perché formulato in modo non specifico. Va premesso che n giudice dell’esecuzione ha l’obbligo di revocare l’ordine di demolizione del manufatto abusivo impartito con la sentenza di condanna o di patteggiamento, ove sopravvengano atti amministrativi con esso del tutto incompatibili, ed ha, invece, la facoltà di disporne la sospensione quando sia concretamente prevedibile e probabile l’emissione, entro breve tempo, d’ atti amministrativi incompatibili (ex plurímis, sez. 3, 24 marzo 2010, n. 24273, rv. 247791). In particolare, il giudice dell’esecuzione, investito della richiesta di revoca o di sospensione dell’ordine di demolizione delle opere abusive di cui all’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001 in conseguenza della presentazione di una istanza di condono o sanatoria successiva al passaggio in giudicato della sentenza di condanna, è tenuto a esaminare: a) il prevedibile risultato dell’istanza e la sussistenza di eventuali cause ostative al suo accoglimento; b) la durata necessaria per la definizione della procedura, che può determinare la sospensione dell’esecuzione solo nel caso di un suo rapido esaurimento (ex plurimis, sez. 3, 25 settembre 2014, n. 47263, rv. 261212; sez. 3, 17 ottobre 2007, n. 42978, rv. 238145). Deve anche ricordarsi che l’ordine di demolizione impartito dal giudice con la sentenza di condanna è suscettibile di revoca quando risulti assolutamente incompatibile con atti amministrativi che abbiano conferito all’immobile una diversa destinazione o ne abbiano sanato l’abusività, fermo restando il potere-dovere del giudice dell’esecuzione di verificare la legittimità dell’atto concessorio sotto il duplice profilo della sussistenza dei presupposti per la sua emanazione e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio (ex plurimis, sez. 3, 21 ottobre 2014, n. 47402, rv. 260972). In tale quadro, è onere della parte richiedente prospettare la sussistenza dei presupposti per la revoca o la sospensione dell’ordine di demolizione, con riferimento all’avvenuta emanazione o alla probabile futura emanazione di atti amministrativi incompatibili. Un tale onere non è stato soddisfatto nel caso in esame, in cui non vi sono istanze di condono o sanatoria e si è sostanzialmente ammesso che l’amministrazione non ha emanato atti amministrativi incompatibili con l’ordine di demolizione, perché ci si è limitati a richiamare un elemento, quale il notevole lasso di tempo trascorso, che non lascia presumere alcunché circa la futura emanazione di atti amministrativi. Né il giudice dell’esecuzione ha l’onere di provvedere d’ufficio all’esame delle ragioni per le quali i procedimenti amministrativi eventualmente pendenti sono ancora in corso o alla verifica della sussistenza di condizioni ostative alla demolizione che non siano dedotte dagli interessati.
3.3. – Del tutto generici sono, per queste stesse ragioni, anche il terzo e il quarto motivo di doglianza, con i quali si lamenta, sotto ai diversi fini della revoca e della sospensione dell’ordine di demolizione, la mancata considerazione del fatto che il Consiglio comunale era in procinto di emettere un provvedimento definitivo in ordine all’esistenza o meno dei prevalenti interessi pubblici al mantenimento delle opere abusive. Si tratta, con tutta evidenza, di mere congetture del tutto sfornite di puntuali riferimenti alla documentazione prodotta di fronte al giudice dell’esecuzione, che è costituita essenzialmente dalle delibere n. 51 del 21 febbraio 2001 e n. 8 del 29 febbraio 2008, con le quali nulla si era stabilito in relazione all’immobile in questione, ma si erano semplicemente fissate le condizioni per la sussistenza degli interessi pubblici all’acquisizione del bene e per la locazione degli immobili costruiti abusivamente ed acquisiti al patrimonio comunale. E la difesa non ha neanche prospettato che nel caso di specie l’immobile potesse soddisfare tali condizioni.
4. – I ricorsi devono essere, dunque, rigettati […]