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RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 7 Marzo 2019, la Corte d’appello di Napoli, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha respinto l’istanza presentata da […] volta ad ottenere la revoca dell’ordine di demolizione di un manufatto abusivo impartito, ex art. 31, comma 9, d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 (T.U.E.) con sentenza 15 Maggio 2008 (irrevocabile il 29 Luglio 2008) pronunciata dalla medesima Corte territoriale.
2. Avverso detta ordinanza, nell’interesse dell’istante, ha proposto ricorso il suo difensore, deducendo, con il primo motivo, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. a) e b), cod. proc. pen., che il giudice avrebbe esercitato una potestà riservata dalla legge agli organi amministrativi, applicando peraltro erroneamente l’art. 36 T.U.E. In particolare, sotto il primo profilo, si lamenta che l’ordinanza abbia ritenuto illegittimo (addirittura inesistente) il permesso di costruire n. … del … Maggio 2008 rilasciato dal comune di […] (peraltro impropriamente considerato in sanatoria); sotto il secondo profilo, che sia stato ritenuto necessario il rispetto del c.d. principio di doppia conformità benché le opere abusive oggetto di ordine di demolizione non avessero determinato alcun volume (trattandosi della realizzazione di un piano cantìnato con pareti in cemento armato e relativo solaio e di 10 pilastri parzialmente armati e non gettati, successivamente inglobati nel fabbricato edificato in forza del richiamato permesso di costruire).
3. Con il secondo motivo si lamentano violazione dell’art. 36 T.U.E. e vizio di illogicità e contraddittorietà della motivazione dell’ordinanza impugnata per essere stata affermata la mancanza del requisito della doppia conformità del suddetto permesso di costruire, utilizzando una consulenza tecnica al proposito effettuata, benché il provvedimento fosse stato ritenuto inesistente e senza considerare che la verifica doveva essere effettuata con riguardo allo strumento urbanistico vigente nel 2008 e non già a quello efficace nel 2004, quando furono eseguite le opere oggetto di condanna, che non avevano peraltro determinato volume e che quindi rientravano nelle previsioni urbanistiche all’epoca vigenti. Si rileva, poi, che l’eccedenza volumetrica evidenziata nella consulenza riguardava non già la volumetria complessiva concedibile, bensì quella destinata ad uso residenziale, pur potendo la stessa essere oggetto di una modifica di destinazione d’uso (nella specie, agricolo) che l’avrebbe resa conforme alle previsioni urbanistiche.
4. Con il terzo motivo si deducono i medesimi vizi di motivazione e violazione dell’art. 36 T.U.E. per essere stato scambiato per una mera dichiarazione favorevole al rilascio della sanatoria il provvedimento comunale dell’11 Gennaio 2019, che, invece, era un vero e proprio permesso di costruire in sanatoria dal quale risultava la verifica del requisito della doppia conformità con richiesta di documentazione integrativa. In ogni caso, si lamenta che si sarebbe dovuto concedere un termine per consentire alla parte di produrre la documentazione integrativa richiesta, non essendovi alcuna urgenza di dar corso alla demolizione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I primi due motivi di ricorso – da esaminarsi congiuntamente perché obiettivamente connessi – sono inammissibili per genericità e manifesta infondatezza. Rilevando l’inesistenza del permesso di costruire n. …/2008 – perché emesso da dipendente comunale non abilitato in quanto non funzionario, né munito di delega (circostanza, questa, che viene del tutto genericamente contestata in ricorso) – il giudice dell’esecuzione ha fatto buon governo delle norme di diritto che attribuiscono all’autorità giudiziaria penale, investita dell’istanza di revoca o sospensione dell’ordine di demolizione conseguente a condanna per costruzione abusiva, il potere-dovere di verificare la legittimità e l’efficacia del titolo abilitativo (in sanatoria o meno) successivamente emesso, sotto il profilo del rispetto dei presupposti e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio (Sez. 3, n. 55028 del 09/11/2018, B., Rv. 274135; Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014, Chisci e a., Rv. 260972; Sez. 3, n. 42164 del 09/07/2013, Brasiello, Rv. 256679). Del pari pacifico – e neppure genericamente contestato dal ricorrente – è che il controllo di legalità sostanziale e formale del provvedimento amministrativo che il giudice penale è abilitato a fare riguardi i tre profili tradizionali della violazione di legge, dell’eccesso di potere e della incompetenza (Sez. 1, n. 54841 del 17/01/2018, Sciara, Rv. 274555; Sez. 1, n. 11448 del 07/02/2012, Albera e a, Rv. 252916; Sez. 1, n. 28549 del 18/06/2008, Girola e a., Rv. 241084). Nessun effetto giuridico, dunque, può riconoscersi ad un permesso di costruire – indipendentemente dalla sua qualifica come sanatoria o meno – rilasciato da soggetto incompetente (o non abilitato, ciò che comunque integra gli estremi della violazione di legge), e ciò a prescindere dal fatto che il permesso fosse o meno illegittimo anche in relazione al profilo della mancanza del requisito della c.d. doppia conformità di cui all’art. 36 T.U.E., profilo, dunque, che con riguardo all’inesistente provvedimento n. …/2008 non viene neppure in considerazione, con conseguente assorbimento delle doglianze al proposito mosse dal ricorrente.
2. Detto profilo va invece considerato in relazione al terzo motivo di ricorso, che è tuttavia inammissibile con riguardo ad entrambi gli aspetti dedotti.
2.1. Quanto al fatto che il giudice di merito avrebbe travisato la natura e gli effetti dell’atto del Comune dell’11 Gennaio 2019 – ritenendo erroneamente trattarsi di una mera dichiarazione con cui si attestava il possibile rilascio di un permesso di costruire in sanatoria, piuttosto che di un vero e proprio provvedimento di sanatoria – si tratta di doglianza del tutto generica, posto che, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, non viene in esso riprodotto (né allegato) il suddetto provvedimento onde consentire a questa Corte di apprezzare il lamentato travisamento.
2.2. Quanto al fatto che il giudice dell’esecuzione avrebbe in ogni caso dovuto accordare un rinvio al fine di consentire di integrare la documentazione richiesta dal Comune e così ottenere il rilascio della richiesta sanatoria, previa modifica della destinazione d’uso per rendere il manufatto conforme alle vigenti previsioni urbanistiche, il Collegio condivide il consolidato orientamento secondo cui in tema di reati edilizi, la revoca o la sospensione dell’ordine di demolizione delle opere abusive, di cui all’art. 31, comma 9, T.U.E., in conseguenza della presentazione di una istanza di condono o sanatoria successivamente al passaggio in giudicato della sentenza di condanna, presuppone l’accertamento da parte del giudice dell’esecuzione della sussistenza di elementi che facciano ritenere plausibilmente prossima la adozione da parte della autorità amministrativa competente del provvedimento di accoglimento (Sez. 3, n. 9145 del 01/07/2015, Manna, Rv. 266763; Sez. 3, n. 47263 del 25/09/2014, Russo, Rv. 261212), sempre che – per quanto sopra osservato – lo stesso possa dirsi conforme alla disciplina normativa. Or bene, l’ordinanza impugnata si è attenuta a tale principio, negando rilevanza alla dichiarazione proveniente dal Comune circa il presumibile esito favorevole della pratica di sanatoria sull’assorbente rilievo che nessun legittimo provvedimento potrebbe essere rilasciato proprio per la mancanza del requisito della doppia conformità delle opere abusive eseguite alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento di realizzazione delle stesse ed al momento della presentazione della domanda. In particolare, il provvedimento attesta che secondo la consulenza tecnica effettuata dall’ing. […], al momento dell’esecuzione delle opere il P.R.G. del Comune prevedeva una minor volumetria concedibile, in relazione all’ampiezza dell’area agricola in questione, e che nessun rilievo poteva attribuirsi all’art. 4 n. att. al medesimo P.R.G. nella parte in cui dispone che la legittimità delle opere debba essere valutata soltanto al momento di rilascio della sanatoria, trattandosi di norma secondaria illegittima perché contrastante con l’art. 36 T.U.E. Si dà atto, inoltre, che lo stesso consulente tecnico della difesa aveva convenuto circa l’eccedenza volumetrica dell’opera rispetto all’indice di fabbricabilità consentito anche al momento della domanda – sì che neppure in tale momento il manufatto era compatibile alle previsioni urbanistiche – tanto da aver proposto una serie di soluzioni, tra cui la modifica della destinazione d’uso che, come detto, pure in ricorso viene evocata.
2.2.1. Ciò premesso, va innanzitutto osservato come sia del tutto generica, e concerna comunque un accertamento in fatto non sindacabile in questa sede, la doglianza secondo cui l’opera abusiva oggetto dell’ordine di demolizione non avrebbe ecceduto la volumetria consentita all’epoca della sua edificazione nell’anno 2004.
2.2.2. Quanto alla deduzione – che, peraltro, sconfessa quella poco sopra riportata – secondo cui, effettivamente, anche il consulente della difesa aveva rilevato un’eccedenza della volumetria destinata ad uso residenziale anche al momento della richiesta di sanatoria a cui, tuttavia, si sarebbe potuto ovviare con una modifica di destinazione d’uso (in tesi, par di capire, connessa alla richiesta integrazione di documentazione da parte del Comune), rileva il Collegio come il ricorrente evochi, sul punto, il possibile rilascio di un provvedimento di sanatoria c.d. “atipico”, che sancisca la compatibilità ex post con le previsioni urbanistiche di un manufatto che non era invece conforme alla disciplina vigente al momento della sua realizzazione. Benché la legittimità di tali provvedimenti sia stata in passato affermata dalla giurisprudenza amministrativa, sì che questa Corte – sia pur non attribuendo loro effetti estintivi del reato urbanistico per la mancanza del requisito della doppia conformità richiesto dal combinato disposto di cui agli artt. 36 e 45, comma 3, T.U.E. – ne aveva affermato la rilevanza ai fini di escludere l’adozione (o l’esecuzione) dell’ordine di demolizione previsto dall’art. 31, comma 9. T.U.E. (cfr. Sez. 3, n. 14329 del 10/01/2008, Iacono Ciulla, Rv. 239708; Sez. 3, n. 40969 del 27/10/2005, Olimpio, Rv. 232371), l’orientamento in parola può dirsi oggi certamente superato.
2.2.3. Ed invero, proprio con riguardo al problema in esame, postosi in sede di giudizio di esecuzione dell’ordine di demolizione del manufatto abusivo impartito con la sentenza di condanna, questa Corte ha già affermato che la sanatoria, non ammettendo termini o condizioni, deve riguardare l’intervento edilizio nel suo complesso e può essere conseguita solo qualora ricorrano tutte le condizioni espressamente indicate dall’art. 36 T.U.E. e, precisamente, la doppia conformità delle opere alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della realizzazione del manufatto, che al momento della presentazione della domanda di sanatoria, dovendo escludersi la possibilità di una legittimazione postuma di opere originariamente abusive che, solo successivamente, in applicazione della cosiddetta sanatoria “giurisprudenziale” o “impropria”, siano divenute conformi alle norme edilizie ovvero agli strumenti di pianificazione urbanistica (Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014, Chisci e a., Rv. 260973). Nella motivazione della richiamata decisione si pone in luce come, a far tempo dalla seconda metà del decennio scorso, la giurisprudenza amministrativa (si cita Cons. St. Sez. 4, n. 4838 del 17 settembre 2007) abbia escluso l’ammissibilità della sanatoria giurisprudenziale sul presupposto che la sua applicazione contrasta con il principio di legalità, dal momento che non vi è stata alcuna espressa previsione di tale istituto allorquando l’art. 36 T.U.E. ha riproposto la corrispondente disciplina contenuta nella I. 47/1985, avendo il legislatore delegato, nella redazione del d.P.R. 380/2001, disatteso il parere del 29 marzo 2001 con cui l’Adunanza generale del Consiglio di Stato ne aveva sollecitato l’introduzione nell’emanando testo unico in materia edilizia. Lo stesso giudice amministrativo – si rimarca, citando Cons. St. Sez. 4, n. 6784 del 2 novembre 2009 – ha poi ritenuto che l’art. 36 T.U.E., in quanto norma derogatoria al principio per il quale i lavori realizzati sine titulo sono sottoposti alle prescritte misure ripristinatorie e sanzionatorie, non è suscettibile di applicazione analogica né di interpretazione riduttiva e (cfr. Cons. St. Sez. 5, n. 3220 del 11 giugno 2013) che la sanatoria giurisprudenziale non può ritenersi applicabile in quanto introduce un atipico atto con effetti provvedimentali, al di fuori di qualsiasi previsione normativa non potendosi ritenere ammessi nell’ordinamento, caratterizzato dal principio di legalità dell’azione amministrativa e dal carattere tipico dei poteri esercitati dall’Amministrazione, secondo il principio di nominatività, poteri non previsti dalla legge e non surrogabili in via giudiziaria. Ancora, la citata decisione di questa Corte osservava come il Consiglio di Stato avesse ulteriormente confermato la propria posizione in tema d’illegittimità della sanatoria giurisprudenziale sul rilievo che il divieto legale di rilasciare un permesso in sanatoria anche quando dopo la commissione dell’abuso vi sia una modifica favorevole dello strumento urbanistico sia giustificato della necessità di «evitare che il potere di pianificazione possa essere strumentalizzato al fine di rendere lecito ex post (e non punibile) ciò che risulta illecito (e punibile)» oltre che dall’esigenza di «disporre una regola senz’altro dissuasiva dell’intenzione di commettere un abuso, perché in tal modo chi costruisce sine titulo sa che deve comunque disporre la demolizione dell’abuso, pur se sopraggiunge una modifica favorevole dello strumento urbanistico» (Cons. St. Sez. 5, n. 1324 del 17 marzo 2014; conf. Cons. St. Sez. 5, n. 2755 del 27 maggio 2014).
Si rilevava – da ultimo – come questo consolidato orientamento del giudice amministrativo avesse trovato conferma nella decisione con cui la Corte Costituzionale (sent. 22-29/05/2013, n. 101), esaminando la compatibilità costituzionale della legislazione adottata dalla Regione Toscana in materia di governo del territorio e rischio sismico, aveva affermato che il principio fondamentale della legislazione statale in materia di provvedimento di sanatoria delle opere abusive ricavabile dall’art. 36 T.U.E., che esige il rispetto del requisito della doppia conformità, «risulta finalizzato a garantire l’assoluto rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia durante tutto l’arco temporale compreso tra la realizzazione dell’opera e la presentazione dell’istanza volta ad ottenere l’accertamento di conformità» (Corte cost., sent. n. 101/2013). Richiamando l’orientamento del giudice amministrativo che esclude la legittimità di provvedimenti atipici di sanatoria che prescindano da tale doppia conformità, nella citata decisione la Corte costituzionale ha ulteriormente osservato che, diversamente dal condono, la sanatoria ordinaria «è stata deliberatamente circoscritta dal legislatore ai soli abusi “formali”, ossia dovuti alla carenza del titolo abilitativo, rendendo così palese la ratio ispiratrice della previsione della sanatoria in esame, “anche di natura preventiva e deterrente”, finalizzata a frenare l’abusivismo edilizio, in modo da escludere letture “sostanzialiste” della norma che consentano la possibilità di regolarizzare opere in contrasto con la disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della loro realizzazione, ma con essa conformi solo al momento della presentazione dell’istanza per l’accertamento di conformità» (Corte cost., sent. n. 101/2013).
2.2.4. Queste argomentazioni e conclusioni – con cui il ricorrente in alcun modo si confronta – sono integralmente condivise dal Collegio, dovendosi inoltre osservare come il citato orientamento del giudice amministrativo abbia trovato in questi ultimi anni ulteriori, ripetute, conferme tanto da potersi oramai considerare ius receptum nella giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr., da ultimo: Sez. IV, sent. n. 1874 del 21 marzo 2019; Sez. VI, sent. n. 5319 del 11 settembre 2018; Sez. VI, sent. n. 2496 del 24 aprile 2018; Sez. VI, sent. n. 1087 del 20 febbraio 2018; Sez. VI, sent. n. 3018 del 21 giugno 2017; Sez. VI, sent. n. 3194 del 18 luglio 2016).
Superandosi definitivamente il contrario precedente indirizzo di questa Corte, deve, pertanto, ribadirsi il principio, più recentemente affermato, secondo cui, essendo illegittimi i provvedimenti di sanatoria “atipica” che prescindano dal requisito della doppia conformità, il giudice penale non può attribuire ad essi alcun effetto, non soltanto con riguardo all’estinzione del reato urbanistico, ma pure rispetto alla non irrogazione dell’ordine di demolizione dell’opera abusiva previsto dall’art. 31, comma 9, T.U.E., ovvero alla revoca dello stesso qualora il provvedimento amministrativo contra legem sia eventualmente stato emanato successivamente al passaggio in giudicato della sentenza.
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