Corte di Cassazione, Sez. 3, Sentenza n. 48002 del 2014, dep. il 20/11/2014

[…]

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Lecce, con la sentenza indicata in epigrafe, ha riformato la pronuncia resa dal tribunale della medesima città, sezione distaccata di Casarano, riducendo ad Euro 5.000,00 la somma liquidata a titolo di risarcimento del danno cagionato al Comune di […]; concedendo a […] l’ulteriore beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale e confermando, per quanto qui interessa, la condanna […] per il reato previsto dall’art. 81 c.p., comma 2, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44, lett. c), D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181, perché realizzava, in qualità di proprietario, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, idrogeologico e faunistico, trattandosi di zona rientrante nel Parco Naturale […], in assenza di permesso di costruire e del nulla osta delle Autorità preposte alla tutela dei vincoli, un immobile di mq. 55 circa e me. 140,25 composto da tre vani ed un servizio, accorpato ad […].

2. Per la cassazione dell’impugnata sentenza, ricorre, tramite il difensore, […] che solleva tre motivi di gravame.

2.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), con riferimento all’art. 2 c.p., comma 1, per aver riconosciuto sussistente, in violazione del principio di irretroattività della legge penale, il reato di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, e, conseguentemente, per aver erroneamente qualificato il reato edilizio come quello previsto dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), invece di ritenere configurabile quello previsto dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b); lamenta altresì l’illogicità della motivazione con riferimento alla sussistenza del reato di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, sul rilievo che, nell’area dove è stato accertato l’abuso edilizio, il vincolo paesaggistico … è stato istituito con L.R. 28 maggio 2007, n. 13.
Assume il ricorrente che la Corte di appello, dopo aver ritenuto la sussistenza dell’abuso edilizio, ha riconosciuto anche quello ambientale in quanto la tipologia di reato permanente del primo, induceva a ritenere realizzato il danno ambientale anche anteriormente all’adozione del vincolo.
Si obietta che il tempus commissi delicti deve farsi risalire all’anno 2004 e che la Corte territoriale non ha ritenuto infondata questa circostanza, ma ha stabilito che la permanenza del reato edilizio e quello paesaggistico, sono cessati nel momento del loro accertamento. Se allora è vero che l’abuso edilizio è stato commesso a partire dal 2004 quando non era stata ancora promulgata la legge istitutiva del vincolo paesaggistico avvenuta nel 2007 con L.R. n. 23, e se è vero che i reati di abuso edilizio e ambientale sono reati istantanei, ne doveva discendere che il primo (quello edilizio) doveva farsi rientrare nell’ipotesi di cui alla lettera b) e il secondo, (quello paesaggistico), non sussisteva nel momento della sua realizzazione. Nè è possibile sostenere, ad avviso del ricorrente, che l’assenza di infissi interni e la necessità della pitturazione esterna potessero aggiungere offensività alla condotta già realizzata.
Se in relazione al reato urbanistico la lesione del bene giuridico potrebbe potenzialmente farsi scaturire anche da simili interventi, ciò non vale con riferimento al reato paesaggistico per il quale è la costruzione in sè ad arrecare danno al bene tutelato. Essendo stato il fabbricato completato a livello strutturale, la condotta aveva dunque già espresso la massima valenza offensiva. 2.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), con riferimento alla qualificazione giuridica del fatto nel reato di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, anziché in quello previsto dalla L. 6 dicembre 1991, n. 394, art. 30, (Legge-quadro sulle aree protette) sul rilievo che, in presenza di un’autonoma fattispecie di reato speciale rispetto a quella contesta, la qualificazione giuridica del fatto sarebbe all’evidenza erronea.

2.3. Con il terzo ed ultimo motivo il ricorrente lamenta inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), con riferimento al mancato riconoscimento dell’estinzione del reato per intervenuta prescrizione secondo il combinato disposto di cui all’art. 157 c.p., comma 1, e art. 158 c.p., comma 1, (erronea applicazione della legge penale con riferimento alla decorrenza del termine di prescrizione) nonché illogicità della motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), sul rilievo che, come emerso anche nel corso del dibattimento, la costruzione era stata ultimata nell’anno 2004.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato nei limiti e sulla base delle considerazioni che seguono.

2. Il primo ed il terzo motivo di gravame, essendo tra loro connessi, possono essere congiuntamente esaminati.

2.1. Con logica ed adeguata motivazione, pertanto non censurabile in sede di legittimità, la Corte di appello ha evidenziato come il teste […] (udienza 11 aprile 2012) geometra impiegato presso l’Ufficio Tecnico …, autore del sopralluogo, specificamente interpellato sulla questione se fosse o meno recente la costruzione, ha riferito che, anche in base alla documentazione fotografica, il fabbricato si presentava come relativamente nuovo, intonacato esternamente, ma non finito, poiché mancante delle finiture interne (in particolare infissi, impianti elettrici e l’imbiancatura).
La Corte del merito, con specifico riferimento alla prospettazione difensiva circa la data di realizzazione dell’abuso collocata nell’anno 2004, si è fatta carico di ritenere, con congrua motivazione neppure censurata sul punto, inattendibile la versione fornita al dibattimento dal teste a discarico, […], sull’esatto rilievo che la deposizione fosse assai generica, avendo il testimone riferito di essersi recato a raccogliere le olive su un fondo vicino ed ebbe modo di notare la presenza del fabbricato nel quale non aveva fatto comunque ingresso, costituito più o meno da un paio di stanze, di forma rettangolare, situato a pochi metri da un trullo, e non rammentando altro.
Sulla base di tale ricostruzione la Corte salentina ha correttamente ritenuto di collocare la data di inizio della condotta (non anche, come si vedrà, quella di cessazione della permanenza) in data prossima a quella dell’accertamento del reato (4 novembre 2010), precisando che il ricorrente non aveva allegato alcun elemento oggettivo che consentisse dì collocare l’opera in un momento successivo alla istituzione del parco ne’ di dimostrare che la costruzione, per il carico di incidenza sull’assetto ambientale, fosse stata ultimata, nelle condizioni accertate al momento del sopralluogo, prima del 2007 ossia anteriormente alla data di istituzione del parco.
In buona sostanza, la Corte territoriale ha ritenuto che la condotta (sia con riferimento al reato urbanistico e sia con riferimento a quello paesaggistico) fosse iniziata in epoca prossima al 2010 e certamente successiva al 2007, ritenendo perciò che la natura permanente di entrambi i reati ostasse, in ogni caso, a ritenere integrata la fattispecie estintiva della prescrizione, espressamente invocata ex adverso.
Nel pervenire a tale conclusione i Giudici del merito hanno fatto buon governo dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, avendo questa Corte anche recentemente ribadito che, in tema di prescrizione, grava sull’imputato, che voglia giovarsi di tale causa estintiva del reato, l’onere di allegare gli elementi in suo possesso dai quali poter desumere la data di inizio del decorso del termine, diversa da quella risultante dagli atti (Sez. 3, n. 27061 del 05/03/2014, Laiso, Rv. 259181).

2.2. La Corte distrettuale è poi giunta a ritenere, con riferimento ad entrambi i reati (sia urbanistico che paesaggistico), non integrata la prescrizione anche in considerazione di un ulteriore aspetto costituito della natura permanente dei reati contestati e sul rilievo che l’attività criminosa fosse tuttora in corso non essendo stato ancora l’immobile ultimato.
Ed infatti questa Corte, con riferimento al reato urbanistico, ha già affermato che, in tema di reato di realizzazione di manufatto abusivo, deve ritenersi ultimato solo l’edificio concretamente funzionale che possegga tutti i requisiti di agibilità o abitabilità (Sez. 3, n. 40033 del 18/10/2011, Cappello, Rv. 250826) al punto che anche l’uso effettivo dell’immobile, se pure accompagnato dall’attivazione delle utenze e dalla presenza di persone al suo interno, non è sufficiente al fine di ritenere “ultimato” l’immobile abusivamente realizzato, coincidendo l’ultimazione con la conclusione dei lavori di rifinitura interni ed esterni, quali gli intonaci e gli infissi (Sez. 3, n. 39733 del 18/10/2011, Ventura, Rv. 251424).
Nel caso di specie, è pacifico e non controverso che l’immobile non fosse completato essendo mancante degli infissi, degli impianti elettrici e dell’imbiancatura.
Si tratta di un principio affermato anche con riferimento al reato previsto dal D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181, comma 1, qualora la fattispecie sia realizzata, come nella specie, attraverso una condotta che si protrae nel tempo, come nel caso di realizzazione di opere edilizie in zona sottoposta a vincolo, trattandosi di reato che ha natura permanente e che si consuma con l’esaurimento totale dell’attività o con la cessazione della condotta per qualsiasi motivo. (Sez. 3, n. 28934 del 26/03/2013, Borsani, Rv. 256897).
Il ricorrente obietta che egli aveva cessato qualsiasi attività e che dunque il reato fosse ampiamente consumato.
Tuttavia spettava, in tal caso, al ricorrente dimostrare il proposito di aver voluto lasciare definitivamente l’opera nello stato in cui è stata rinvenuta, potendosi solo ravvisare nel caso di specie l’intento di sospendere l’attività edilizia; proposito peraltro smentito dall’uso riscontrato del bene sicché, a maggior ragione, il ricorrente avrebbe dovuto plausibilmente spiegare il motivo per il quale avesse deciso di rinunciare a compiere opere così decisive per l’uso, quali l’impianto elettrico, gli infissi interni e la tinteggiatura.
Infine, la ritenuta commissione del fatto in epoca prossima all’accertamento dei reati (2010), assorbe la questione circa la data di istituzione del parco, con la conseguenza che l’epoca di inizio della consumazione del reato paesaggistico, e dunque la realizzazione del reato stesso, è stata correttamente collocata allorquando il ricorrente era ratione temporis pienamente soggetto alla legislazione vincolistica.

3. Anche il secondo motivo è infondato.
Questa Corte ha già affermato il principio, ai quale occorre dare continuità, che per la realizzazione di interventi, opere e costruzioni in aree protette (parchi nazionali, regionali e riserve naturali) occorrono tre distinti ed autonomi provvedimenti: il permesso di costruire, l’autorizzazione paesaggistica e, ove previsto, il nulla osta dell’Ente parco. Questi ultimi due atti amministrativi possono essere attribuiti dalla legge regionale anche ad un organo unico, che è comunque chiamato a compiere una duplice valutazione, mantenendo la loro autonomia ad ogni effetto, ivi compreso quello sanzionatorio) (Sez. 3, n. 20738 del 11/03/2003, Fechino, Rv. 225298) e ciò in considerazione della pluralità degli interessi presidiati dalle rispettive norme penali e della piena autonomia, rispetto a quella paesaggistica ed urbanistica, della normativa sulle aree protette, che non ha per oggetto la sola tutela del paesaggio o del territorio, ma quella più ampia dei valori ambientali complessivi dell’ecosistema.
Ne consegue che possono concorrere tra loro i reati previsti dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), quello previsto dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, e quello previsto dagli artt. 13 e 30 legge n. 394 del 1991, che richiede il rilascio del nulla osta dell’Ente Parco per la realizzazione di interventi, opere e costruzioni in aree protette.

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