Corte di Cassazione, Sez. 3, Sentenza n. 50144 del 2018, pubbl. il 7/11/2018


[…]

RITENUTO IN FATTO

Il Tribunale di Siena, con sentenza del 27 febbraio 2017, previa riqualificazione del
fatto originariamente contestato nel reato di cui all’articolo 44, lett. a) d.P.R.
380/2001, ha dichiarato […] e […] colpevoli del reato loro ascritto in concorso e li ha condannati alla pena dell’ammenda. Gli stessi erano chiamati a rispondere, la prima quale proprietario dell’immobile e committente dei lavori ed il secondo quale direttore dei lavori, della realizzazione, in assenza di titolo edilizio legittimante e comunque in spregio alle ordinanze comunali di sospensione, di lavori consistiti nella conclusione di opere interne (finiture di impianti) e nella conclusione di opere esterne (completamento tettoia per il ricovero veicoli ed installazione di una copertura di tavolato e di canniccio; realizzazione di una tettoia in adiacenza appoggiata su tre colonne in muratura e realizzazione della pavimentazione sottostante; realizzazione di un volume in adiacenza all’abitazione; realizzazione di un cancello in muratura e realizzazione di muretti di cm. 80 circa di altezza). Fatti commessi in […], in epoca antecedente e prossima al 21 febbraio 2014.
Avverso tale pronuncia i predetti propongono separati ricorsi per cassazione
tramite i rispettivi difensori di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei
limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att.
cod. proc. pen.
[…] deduce, con un primo motivo di ricorso, la violazione degli articoli
521 e 522 cod. pen., osservando che il giudice del merito avrebbe processato gli
imputati per fatti nuovi e diversi rispetto a quelli originariamente contestati.
Precisa, a tale proposito, che con l’ordinanza 110/2014, sulla quale sarebbe
strutturato il capo di imputazione, si ordinava la ricostituzione di due unità
abitative, circostanza invece non presente nella nuova e diversa ordinanza numero
160/2015, in cui si continua ad inserire un manufatto che era stato eliminato ben
8 mesi prima della sua emissione.
Con un secondo motivo di ricorso deduce la violazione di legge, osservando che il
Tribunale avrebbe comunque ritenuto erroneamente la sussistenza dell’elemento
oggettivo del reato come riqualificato in sentenza, in quanto non sarebbe stato
accertato in giudizio che le opere contestate violassero strumenti urbanistici e
regolamenti edilizi comunali, presupposto necessario ed indispensabile per
ritenere integrata la fattispecie di cui alla lett. a) dell’articolo 44 d.P.R. 380/01,
sicché una simile situazione non avrebbe potuto comportare l’applicazione di
sanzioni diverse da quelle amministrative ai sensi dell’articolo 37, comma 6 d.P.R.
380/2001.
Con un terzo motivo di ricorso deduce la violazione di legge, osservando che,
avendo il Tribunale proceduto alla riqualificazione dell’originaria imputazione con
un reato suscettibile di oblazione, le sarebbe stata preclusa la possibilità di
presentare istanza ai sensi dell’articolo 162 cod. pen.
Con un quarto motivo di ricorso denuncia il vizio di motivazione, rilevando che il
Tribunale non avrebbe considerato che la sua estraneità ai fatti contestati era stata
dimostrata in giudizio attraverso la testimonianza dell’agente della Polizia
Municipale che aveva proceduto i controlli, le cui dichiarazioni troverebbero
riscontro in una sentenza di divorzio, prodotta ed in atti, dalla quale risulterebbe
la piena assunzione di responsabilità, da parte del suo ex marito, per per i fatti
per cui è processo.
Con un quinto motivo di ricorso deduce la violazione di legge con riferimento alla
individuazione della data di consumazione del reato, in quanto il giudice del merito,
erroneamente valutando le risultanze processuali, non avrebbe dovuto dichiarare
la prescrizione del reato.
Con un sesto motivo di ricorso denuncia la violazione di legge, osservando che il
Tribunale, nonostante la riqualificazione del fatto, avrebbe erroneamente ordinato
la demolizione delle opere eseguite, che la legge non consente. Opere che,
peraltro, sarebbero soggette ad una domanda di sanatoria giurisprudenziale
ancora pendente presso la competente amministrazione comunale.
Con un settimo motivo di ricorso lamenta la violazione di legge, osservando che il
giudice del merito non avrebbe tenuto conto della sussistenza dei presupposti per
una declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto ai sensi
dell’articolo 131-bis cod. pen.
Con un ottavo motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di
motivazione in relazione alla dosimetria della pena, che ritiene eccessiva in
considerazione del minimo edittale stabilito dalla legge.
[…] deduce anch’egli, con un primo motivo di ricorso, la violazione dell’articolo 521 cod. proc. pen. per la diversità del fatto contestato rispetto a quello ritenuto in sentenza ed aggiunge che la riqualificazione del fatto in sentenza l’avrebbe privato della possibilità di richiedere l’oblazione, consentita per il reato individuato dal giudice all’esito del dibattimento.
Con un secondo motivo di ricorso osserva che per i fatti ritenuti in sentenza non
poteva applicarsi la sanzione penale, bensì la sola sanzione amministrativa ai sensi
dell’articolo 37 d.P.R. 380/2001, non essendo stato accertato che le opere eseguite
fossero in contrasto con il regolamento edilizio o con lo strumento urbanistico.
Con un terzo motivo di ricorso deduce la mancata assunzione di una prova
decisiva, in quanto il giudice avrebbe omesso di procedere all’esame dell’imputato,
ritualmente richiesto dalla difesa ed ammesso e non avrebbe provveduto, ai sensi
dell’articolo 507 cod. proc. pen., all’acquisizione del provvedimento conclusivo del
procedimento amministrativo di sanatoria giurisprudenziale richiesta per le opere
oggetto di imputazione.
Con un quarto motivo di ricorso rileva il vizio di motivazione, osservando che il
Tribunale avrebbe testualmente dichiarato “non essere emerso con assoluta
certezza che gli imputati abbiano proseguito le specifiche opere oggetto di
sospensione” e, inoltre, “non potersi dire con certezza se le opere accertate nel
2014 si pongano in diretta correlazione con quelle sospese 2010 (potendosi
sostenere o, almeno, ipotizzare la loro reciproca autonomia)” e che, sempre nel
corpo del provvedimento impugnato, il giudice motivando in ordine al tempo di
commissione del reato, affermerebbe “che i lavori oggetto imputazione risultano
essere iniziati certamente nel corso dell’anno 2010 .. Incerta è, invece, la data
di ultimazione delle opere”. Osserva, in proposito, che tale ultima affermazione
sarebbe apertamente in contraddizione con la precedente conclusione e, cioè, che
le opere realizzate successivamente all’adozione delle due ordinanze di
sospensione lavori costituiscano autonomi illeciti edilizi e non siano prosecuzione
delle opere sospese. Ciò in quanto la tesi dell’autonomia degli illeciti edilizi
realizzati successivamente alle ordinanze di sospensione sarebbe antitetica, sul
piano della logica giuridica, alla tesi della continuità/unitarietà, ovvero della
prosecuzione/ultimazione delle opere iniziate nel 2010.
Osserva anche che la motivazione sarebbe carente nella parte in cui analizza il
ruolo da lui svolto nella vicenda e la sussistenza dell’elemento soggettivo.
Insistono, pertanto, per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Tutti i motivi di ricorso sono manifestamente infondati, fatta eccezione per il sesto
motivo di ricorso di […] che è invece fondato per le ragioni di seguito
specificate
Il primo motivo di entrambi i ricorsi è manifestamente infondato.
L’art. 521 cod. proc. pen., nello stabilire che il giudice possa dare al fatto una
diversa qualificazione giuridica, richiede che il fatto storico addebitato rimanga
identico per ciò che concerne la condotta, l’evento e l’elemento soggettivo.
In applicazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, la diversità del
fatto accertato rispetto a quello contestato si ha, dunque, quando il secondo si
pone, rispetto al primo, in un rapporto di completa eterogeneità.
La giurisprudenza di questa Corte ha peraltro rilevato, in più occasioni, che la
violazione di detto principio sia ravvisabile soltanto quando la modifica
dell’imputazione pregiudichi le possibilità di difesa dell’imputato (cfr. ex pl. Sez. 2,
n. 17565 del 15/3/2017, Beretti, Rv. 269569; Sez. 2, n. 34969 del 10/5/2013,
Caterino e altri, Rv. 257782; Sez. 6, n. 6346 del 9/11/2012 (dep. 2013), Domizi
e altri, Rv. 254888; Sez. 3, n. 41478 del 4/10/2012, Stagnoli, Rv. 253871; Sez.
3, n. 36817 del 14/6/2011, T. D. M., Rv. 251081; Sez. U, n. 36551 del 15/7/2010,
Carelli, Rv. 248051).
Nel considerare la questione in esame, inoltre, si è anche tenuto conto dei principi
stabiliti dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo (Corte Europea, 11 dicembre
2007, Drassich c. Italia; Corte Europea, 25 marzo 1999, Pellissier e Sassi c.
Francia) che questa Corte ha avuto modo di richiamare (Sez. 6, n. 20500 del
19/2/2010, Fadda, Rv. 247371) ricordando che “la Corte Europea dei diritti
dell’uomo ha affermato che la portata dell’art. 6, par. 3, lett. a) e b) della
Convenzione Europea dei diritti dell’uomo impone un concetto ampio del principio
del contraddittorio, che non si limita solo alla formazione della prova, ma che
proietta i suoi effetti anche alla valutazione giuridica del fatto. In sostanza,
l’imputato deve essere messo nelle condizioni di discutere in contraddittorio ogni
profilo dell’accusa che gli viene mossa, compresa la qualificazione giuridica dei
fatti addebitati. Il diritto ad essere informato dell’accusa e, quindi, dei fatti
materiali posti a suo carico e sui quali si fonda l’accusa stessa, implica il diritto
dell’imputato a preparare la sua difesa, sicché se il giudice ha la possibilità di
riqualificare i fatti, deve essere assicurata all’imputato la possibilità di esercitare il
proprio diritto alla difesa in maniera concreta ed effettiva: ciò presuppone che sia
informato, in tempo utile, sia dell’accusa, sia della qualificazione giuridica dei fatti
a carico”.
Sempre in applicazione di tali principi si è ulteriormente chiarito che la diversa
qualificazione giuridica del fatto non determina la violazione dell’art. 521 cod. proc.
pen. quando appaia come uno dei possibili epiloghi decisori del giudizio, secondo
uno sviluppo interpretativo assolutamente prevedibile e l’imputato ed il suo
difensore abbiano avuto, nella fase di merito, la possibilità di interloquire in ordine
al contenuto dell’imputazione, anche attraverso l’ordinario rimedio
dell’impugnazione (Sez. 2, n. 46786 del 24/10/2014, PG. PC. e Borile, Rv. 261052;
Sez. 5, n. 7984 del 24/9/2012 (dep. 2013), Jovanovic e altro, Rv. 254649. V. anche
Sez. 1, n. 9091 del 18/2/2010, Di Gati e altri, Rv. 246494).
Inoltre, nella decisione in precedenza richiamata (SS.UU. n. 36651\2010, cit.) le
Sezioni Unite hanno anche precisato che l’indagine finalizzata alla verifica della
violazione del principio di correlazione non deve esaurirsi nel pedissequo e mero
confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza, in quanto, vertendosi
in materia di garanzie e di difesa, non vi è violazione quando l’imputato, attraverso
lo sviluppo del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di
difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione.
Deve conseguentemente tenersi conto non soltanto del fatto descritto in
imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a
conoscenza dell’imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale
contestazione, in modo tale da porlo in condizione di esercitare le sue difese
sull’intero materiale probatorio valorizzato ai fini della decisione (Sez. 2, n. 17565
del 15/3/2017, Beretti, Rv. 269569, cit.; Sez. 6, n. 47527 del 13/11/2013, Di
Guglielmi e altro, Rv. 257278; Sez. III n. 15655, 16 aprile 2008 ed altre prec.
conf.).
Tenuto conto dei condivisibili principi dianzi richiamati, occorre rilevare che, nella
fattispecie in esame, il giudice del merito ha diversamente qualificato il fatto
storico originariamente contestato, dando atto in sentenza che tale riqualificazione
veniva effettuata, “in via prudenziale”, in adesione ad alcune tesi sostenute della
difesa, dando atto del fatto che, secondo i tecnici escussi nel corso del giudizio,
non vi sarebbe stata certezza circa il titolo abilitativo necessario per la
realizzazione degli interventi (permesso di costruire o SCIA) e rilevando, sulla base
del tempo trascorso dalla emissione delle ordinanze di sospensione, che le opere
potevano ragionevolmente considerarsi autonome e non eseguite in prosecuzione
dei lavori sospesi.
L’ordinanza n. 160/2010, richiamata dai ricorrenti (alla quale questa Corte non ha
accesso), per quanto emerge dalla sentenza impugnata è stata presa
inconsiderazione dal giudice, in particolare per la ricostruzione del complesso iter
amministrativo relativo alle opere per cui è processo che la stessa contiene.
Si tratta, dunque, di una decisione, peraltro favorevole agli imputati, fondata sugli
esiti dell’istruzione dibattimentale e che non evidenzia alcuna lesione del diritto di
difesa, avendo potuto costoro interloquire su tutte le questioni trattate.
Manifestamente infondate sono anche le censure, riguardanti la mancata
possibilità di accedere all’oblazione ed ottenere l’estinzione del reato così come
qualificato all’esito del giudizio, formulate nel primo motivo di ricorso del
[…] e nel terzo motivo di ricorso della […].
Occorre a tale proposito ricordare come le Sezioni Unite di questa Corte abbiano
avuto modo di affermare che, quando la contestazione elevata nei confronti
dell’imputato è riferita ad un reato per il quale non è consentita né l’oblazione
ordinaria di cui all’art. 162 cod. pen., né quella speciale di cui all’art. 162-bis cod.
pen., se l’imputato ritiene non corretta la relativa qualificazione giuridica del fatto
e intende sollecitare una diversa qualificazione che ammetta il procedimento di
oblazione di cui all’art. 141 disp. att. cod. proc. pen., è suo onere formulare istanza
di ammissione all’oblazione in rapporto alla diversa qualificazione che
contestualmente sollecita al giudice di definire, con la conseguenza che, in difetto
di tale richiesta, il diritto a fruire della oblazione stessa resta precluso qualora il
giudice provveda di ufficio, a norma dell’art. 521, comma 1, cod. proc. pen., ad
assegnare al fatto la diversa qualificazione che consentirebbe l’applicazione del
beneficio, con la sentenza che definisce il giudizio (Sez. U, n. 32351 del 26/6/2014,
Tamborrino, Rv. 259925).
Nel caso di specie emerge dalla sentenza impugnata che nessuna richiesta di
ammissione all’oblazione risulta formulata dagli imputati.
Anche l’infondatezza del secondo motivo di entrambi i ricorsi è di macroscopica
evidenza.
Come affermano i ricorrenti, la giurisprudenza di questa Corte, ha chiarito che
l’esecuzione in assenza o in difformità degli interventi subordinati a SCIA comporta
l’applicazione della sanzione penale prevista dall’art. 44, lett. a) d.P.R. 380/01 se
gli stessi non sono conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei
regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia in vigore, mentre soltanto
in caso di interventi eseguiti in assenza o difformità dalla SCIA, ma conformi alla
citata disciplina, è applicabile la sanzione amministrativa prevista dall’art. 37 d.P.R.
380\01 (Sez. 3, n. 952 del 7/10/2014 (dep. 2015), Parisi, Rv. 261783; Sez. 3, n.
9894 del 20/1/2009, Tarallo, Rv. 243099; Sez. 3, n. 41619 del 22/11/2006,
Cariello, Rv. 235413).
Si è pervenuti a tali conclusioni osservando che l’art. 22 d.P.R. 380/01 stabilisce
espressamente che sono realizzabili mediante SCIA (e, in precedenza, a DIA) gli
interventi descritti ai commi 1 e 2 che siano anche conformi alle previsioni degli
strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia
vigente e che solo ricorrendo tale condizione è possibile applicare la disposizione
dell’art. 37 che prevede la sola sanzione amministrativa per gli interventi realizzati
in assenza o in difformità.
In caso di interventi che, invece, non sono conformi alle previsioni degli strumenti
urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente, la
loro realizzazione, sempre che non si tratti di interventi per i quali è richiesto il
permesso di costruire, comporta l’applicazione della sanzione penale di cui all’art.
44, lett. a), in quanto tale disposizione sanziona “l’inosservanza delle norme,
prescrizioni e modalità esecutive previste dal presente titolo, in quanto applicabili,
nonché dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dal permesso di
costruire”.
Il principio richiamato è pienamente condiviso dal Collegio, che intende ribadirlo,
ma, nel fare ciò, deve però rilevarsi che nella sentenza impugnata risulta accertato
in fatto che le opere erano state realizzate “…in parte in assenza di titolo ed in
parte in difformità dalla DIA n.322/2010, nonché in violazione degli strumenti
urbanistici ed edilizi vigenti al momento del fatto presso il Comune di […]”.
A fronte di tale affermazioni, entrambi i ricorsi si limitano alla apodittica
affermazione della conformità delle opere espressamente smentita dal giudice del
merito, con le conclusioni del quale neppure si confrontano.
Non merita miglior sorte il quarto motivo di ricorso della […], la cui posizione,
diversamente da quanto affermato in ricorso, è stata puntualmente analizzata dal
giudice del merito con argomenti in fatto supportati da congrua motivazione e,
come tali, non censurabili in questa sede.
Osserva il Tribunale che l’imputata, proprietaria dell’immobile interessato dai
lavori, risulta anche committente degli stessi, titolare della DIA che li assentiva,
aveva presenziato ai sopralluoghi ed era interlocutrice degli artigiani presenti in
cantiere.
Anche in questo caso, alle precise affermazioni del Tribunale la ricorrente non
replica, limitandosi ad affermare, con argomenti in fatto non valutabili in questa
sede, che responsabile degli interventi è l’ex marito.
Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi con riferimento al terzo motivo di ricorso
del […], ove si afferma che, non avendo il Tribunale proceduto all’esame
dell’imputato, precedentemente ammesso, questi avrebbe reso spontanee
dichiarazioni, lamentando, conseguentemente, la mancata assunzione di una
prova decisiva.
Va ricordato, a tale proposito, che l’esame dell’imputato, risolvendosi in una
diversa prospettazione valutativa nell’ambito della normale dialettica tra le
differenti tesi processuali, non è un mezzo di prova che può assumere valore
decisivo ai fini del giudizio, con la conseguenza che la sua mancata assunzione
non costituisce motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606, comma
primo, lett. d) cod. proc. pen. (così, Sez. 2, n. 44945 del 11/10/2013, Mazzaferro,
Rv. 257311. Conf. Sez. 1, n. 17844 del 26/3/2003, Milesi e altro, Rv. 224800).
Va anche rammentato, con riferimento alla medesima censura di mancata
assunzione di una prova decisiva, concernente l’acquisizione, disposta ai sensi
dell’art. 507 cod. proc. pen., del provvedimento conclusivo del procedimento
amministrativo di “sanatoria giurisprudenziale” richiesta per le opere oggetto di
imputazione, che nel giudizio di legittimità la mancata assunzione di una prova
decisiva può essere dedotta solo con riferimento ai mezzi di prova di cui sia stata
chiesta l’ammissione a mente dell’articolo 495, secondo comma cod. proc. pen.,
mentre non può essere validamente invocata quando il mezzo di prova sia stato
sollecitato invitando il giudice di merito all’esercizio dei poteri discrezionali di
integrazione probatoria di cui all’articolo 507 cod. proc. pen., e da questi sia stato
valutato come non necessario ai fini della decisione (Sez. III n. 24259, 24 giugno
2010; Sez. I n. 16772, 3 maggio 2010; Sez. VI n. 33105, 5 agosto 2003; Sez. VI
n. 12539, 1 dicembre 2000; Sez. I n. 4464, 12 aprile 2000. V. anche Sez. 5, n.
4672 del 24/11/2016 (dep. 2017), Fiaschetti e altro, Rv. 269270).
Nel caso di specie, peraltro, l’acquisizione era stata disposta dal giudice senza
sollecitazione delle parti e, come si rileva dalla motivazione della sentenza, il
Tribunale aveva preso atto del fatto che il relativo procedimento non era definito
e che, anzi, l’amministrazione comunale lo aveva sospeso “per dubbi di legittimità
vista anche la pendenza di indagini giudiziarie in merito”.
Va peraltro ricordato come la “sanatoria giurisprudenziale” sia stata ritenuta dalla giurisprudenza di questa corte improduttiva di effetti (Sez. 3, n. 47402 del
21/10/2014, Chisci e altro, Rv. 260973).
Anche il quarto motivo di ricorso del […] è manifestamente infondato,
poiché la denunciata contraddittorietà della motivazione, peraltro attraverso
l’estrapolazione di singoli brani della motivazione, non risulta affatto desumibile
dal testo del provvedimento, dal quale emerge chiaramente che il Tribunale ha, da
un lato, optato, nel riqualificare il fatto, come si è già detto, per la soluzione
ritenuta, nel dubbio, più favorevole agli imputati, ritenendo non sufficientemente
dimostrato che gli interventi per cui è processo fossero stati eseguiti in violazione
dell’ordine di sospensione, mentre nell’individuare la data del commesso reato ha
preso in considerazione singoli elementi di fatto, giungendo alla conclusione che il
termine massimo di prescrizione non risultava, al momento, spirato.
Quanto alle censure sul ruolo dell’imputato nella vicenda per cui è processo, le
stesse sono articolate in fatto e prospettano una nuova ed autonoma valutazione
delle emergenze processuali inammissibile in questa sede.
Sempre con riferimento alla prescrizione del reato, manifestamente infondato
risulta anche il quinto motivo di ricorso della […], proponendo anch’esso una
valutazione alternativa dei fatti con richiamo ad atti e documenti la cui disamina è
preclusa nel giudizio di legittimità.
Manifestamente infondato è anche il settimo motivo di ricorso della […],
perché, per quanto è dato rilevare dalla sentenza impugnata e dal ricorso,
l’imputata ed il suo difensore non hanno prospettato al giudice del merito la
questione della particolare tenuità del fatto e, secondo quanto già affermato da
questa Corte, quando la sentenza di merito è successiva alla vigenza della nuova
causa di non punibilità, la questione dell’applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen.
non può essere posta per la prima volta nel giudizio di legittimità come motivo di
violazione di legge, né può affermarsi, in assenza di specifica richiesta, che nella
fattispecie il giudice avesse l’obbligo di pronunciarsi comunque (cfr. Sez. 3, n.
19207 del 16/3/2017, Celentano, Rv. 269913; Sez. 6, n. 20270 del 27/4/2016,
Gravina, Rv. 266678; Sez. 7, n. 43838 del 27/5/2016, Savini, Rv. 268281).
Quanto, poi, all’ottavo motivo di ricorso della stessa ricorrente, va ancora una volta
rilevata la manifesta infondatezza della censura, considerata la sua genericità e
comunque avendo il giudice, attraverso il richiamo ai criteri direttivi di cui all’art.
133 cod. pen. e previa concessione delle attenuanti generiche in ragione della
“contenuta gravità del fatto”, irrogato una pena (euro 3.000,00 di ammenda) ben
distante dal massimo edittale, con argomentazioni, quindi, del tutto sufficienti a
giustificare il corretto esercizio del potere discrezionale di determinazione della
pena.
Fondato è, invece, il sesto motivo di ricorso della […].
Invero, a fronte della riqualificazione del fatto nella meno grave contravvenzione
di cui all’art. 44, lett. a) d.P.R. 380\01, il Tribunale ha comunque disposto la
demolizione delle opere eseguite, erroneamente richiamando l’art. 31, comma 9
d.P.R. 380\01.
Invero, l’art. 31, comma 9 d.P.R. 380/01 dispone che “per le opere abusive di cui
al presente articolo, il giudice, con la sentenza di condanna per il reato di cui
all’articolo 44, ordina la demolizione delle opere stesse se ancora non sia stata
altrimenti eseguita”.
Il richiamo è chiaro e l’articolo in questione riguarda gli “interventi eseguiti in
assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali” e
non altri, con la conseguenza che, come è stato già condivisibilmente affermato,
il giudice, ove pronunci condanna per il reato di cui all’art. 44, comma primo, lett.
a), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 non può ordinare la demolizione delle opere
abusive (Sez. 3, n. 41423 del 29/9/2011, Tucci e altri, Rv. 251326. Conf. Sez. 3,
n. 49991 del 30/4/2014, Pazmino, Rv. 261595).
La sentenza impugnata deve conseguentemente essere annullata senza rinvio sul
punto nei confronti di […], eliminando l’ordine di demolizione
illegittimamente impartito, dichiarando nel resto inammissibile il ricorso della
stessa.
Va altresì dichiarato inammissibile il ricorso di […].
Resta da osservare che il Tribunale, sulla base delle emergenze processuali ha
individuato una data di commissione del reato diversa da quella indicata nel capo
di imputazione ed ha altresì individuato come termine massimo di prescrizione la
data del […]2017, ormai spirato.
Va a tale proposito considerato che l’inammissibilità del ricorso per cassazione per
manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di
impugnazione e, pertanto, preclude la possibilità di dichiarare le cause di non
punibilità di cui all’art. 129 cod. proc. pen., ivi compresa la prescrizione intervenuta
nelle more del procedimento di legittimità (Sez. 2, n. 28848 del 8/5/2013, Ciaffoni,
Rv. 256463, Sez. 4, n. 18641 del 20/1/2004, Tricomi, Rv. 228349; Sez. U, n. 32
del 22/11/2000, D. L, Rv. 217266).
Quanto al diverso esito relativo al motivo di ricorso ritenuto fondato, ritiene il
Collegio, anche alla luce di quanto affermato dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 6903
del 27/5/2016 (dep. 2017), Aiello e altro, Rv. 268966), che la questione della
demolizione indebitamente ordinata per il reato di cui all’art. 44, lett. a) d.P.R.
380/01 che non la prevede, non costituisca un punto della decisione relativo al
trattamento sanzionatorio.
Si è infatti ripetutamente affermato che la demolizione del manufatto abusivo,
anche se disposta dal giudice penale ai sensi dell’art. 31, comma 9, qualora non
sia stata altrimenti eseguita, ha natura di sanzione amministrativa che assolve ad
un’autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso, configura un obbligo
di fare, imposto per ragioni di tutela del territorio, non ha finalità punitive ed ha
carattere reale, producendo effetti sul soggetto che è in rapporto con il bene,
indipendentemente dall’essere stato o meno quest’ultimo l’autore dell’abuso. Per
tali sue caratteristiche, la demolizione non può ritenersi una «pena» nel senso
individuato dalla giurisprudenza della Corte EDU, tanto che non è soggetta alla
prescrizione stabilita dall’art. 173 cod. pen. (Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015, P.M.
in proc. Delorier, Rv. 265540, con richiami ai prec.).
A conclusioni analoghe si è peraltro pervenuti, sempre considerando la richiamata
decisione delle Sezioni Unite, con riferimento alla demolizione indebitamente
disposta dal giudice del merito di opere in relazione alle quali non era stata
contestata l’inosservanza delle norme tecniche, bensì degli obblighi di carattere
formale di cui agli artt. 93 e 94 d.P.R. 380/2001, disponendone la revoca e
dichiarando, nel resto, l’inammissibilità del ricorso (Sez. 3, n. 56040 del 5/7/2017,
D’Alessio, non massimata).
Analoga decisione deve, pertanto, adottarsi nella fattispecie in esame, ritenendo
formato il giudicato sul capo della sentenza relativo al reato attribuito all’imputata,
con conseguente irrevocabilità della decisione sulla condanna che impedisce il
rilievo della prescrizione nel frattempo maturata […]