Corte di Cassazione, Sez. 3, Sentenza n. 51219 del 2019, dep. il 19/12/2019

[…]

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 22 ottobre 2018, la Corte di appello di Lecce, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Lecce, per quanto di interesse in questa sede, ha: 1) confermato la dichiarazione di penale responsabilità di […], […], […] e […] per i reati di cui agli artt. 44, comma 1, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001 e 181, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004; 2) dichiarato la penale responsabilità per i medesimi reati di […], […] e […], assolti in primo grado da tali imputazioni; 3) dichiarato la penale responsabilità di […], […], […], e […], per il reato di falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in certificati o autorizzazioni amministrative; 4) confermato la pena di sei mesi di arresto e 35.000 euro di ammenda irrogata a […] e […]; 5) aumentato la pena nei confronti di […] e […] rideterminandola in complessivi sette mesi di reclusione; 6) inflitto a […] e […] la pena di sette mesi di reclusione e a […] la pena di sette mesi di arresto. A tutti gli imputati è stato negato il beneficio delle circostanze attenuanti generiche.
Secondo la sentenza impugnata, […] sono concorsi nei reati di cui agli artt. 44, comma 1, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001 e 181, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004, i primi due quali comproprietari e committenti dei lavori, il terzo ed il quarto quali progettisti (il quarto anche come direttore dei lavori), il quinto come titolare dell’impresa esecutrice dei lavori, il sesto quale responsabile del procedimento e del rilascio del permesso di costruire n. … del … marzo 2008, ed il settimo come responsabile del procedimento e del rilascio del permesso di costruire n. … del … novembre 2011. Detti reati sarebbero stati commessi, con condotta perdurante fino al giorno 11 novembre 2013, realizzando, nel Comune di …, su un lotto ubicato in zona di particolare pregio ambientale dichiarato di notevole interesse pubblico e in area agricola, con indice di fabbricabilità pari a 0,03 mc/mq, e sul quale sarebbe stato possibile realizzare una volumetria pari a circa 63,60 mc, una costruzione di volumetria pari a 128,35 mc utilizzando volumetria di altri fondi ubicati in area agricola distanti km. 3,4 e non “accorpabili”, sia per la distanza tra i fondi, inclusi in diversi fogli catastali, sia per la mancata correlazione delle opere con l’attività agricola, sia per l’insediamento dell’intervento in zona sottoposta a vincolo paesaggistico.
Sempre secondo la sentenza impugnata, […], […], […] e […] sarebbero concorsi nel reato di falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in certificati o autorizzazioni amministrative, i primi due quali comproprietari e committenti dei lavori, il terzo come progettista incaricato dai comproprietari ed il quarto quale responsabile del procedimento e del rilascio del permesso di costruire n. … del … novembre 2011. Detto reato sarebbe stato commesso mediante rilascio del permesso di costruire e del parere paesaggistico sulla base di relazione tecnica integrativa allegata alla domanda dei privati comproprietari del bene nella quale si attestava falsamente la compatibilità dell’intervento edilizio di cui si è detto in precedenza con le norme di legge e gli strumenti urbanistici regionali e locali.

2. Hanno presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe: a) gli imputati…; b)…; c) l’imputato ….

3. I ricorsi degli imputati … contenuti in un unico atto, sono articolati in sei motivi.

3.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., e vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale con riferimento al teste […], nonostante la riforma della sentenza di assoluzione in sentenza di condanna.
Si deduce che si era segnalato, anche con memoria difensiva, la necessità di riesaminare il teste … della polizia provinciale, il quale aveva riferito che le particelle oggetto di accorpamento distavano 3,4 km. tra loro ed erano ricomprese in distinti fogli catastali, e che su una di esse insisteva il vincolo cimiteriale, ed aveva inoltre escluso di aver verificato se il Programma di fabbricazione del Comune di … prevedesse la possibilità di trasferire oltre il limite di rispetto la cubatura relativa a terreni gravati da vincolo cimiteriale. Si precisa che il riesame del teste … era necessario perché la Corte d’appello, in modo diametralmente opposto rispetto al Tribunale, ha concluso che i fondi accorpati erano distanti tra di loro. Si aggiunge che la decisione di non riesaminare il teste non è stata nemmeno supportata da alcuna motivazione.

3.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 51 legge Regione Puglia 31 maggio 1980, n. 56, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta perdurante efficacia di tale previsione normativa.
Si deduce che l’art. 51, lett. g), legge Regione Puglia n. 56 del 1980, il quale concerne l’accorpamento di fondi ai fini della concentrazione di volumetria, e pone il limite dell’utilizzo di tale istituto alle sole aziende agricole, è ormai privo di efficacia perché in vigore «fino all’entrata in vigore dei Piani territoriali», e perché la Regione Puglia, con delibera n. 1748 del 15 dicembre 2000, ha adottato il Piano urbanistico tematico territoriale per il paesaggio (c.d. P.U.T.T.).
Si precisa che l’inefficacia sopravvenuta dell’art. 51 cit. è espressamente indicata nell’art. 7.05 delle Norme tecniche di attuazione del P.U.T.T. ed è stata riconosciuta dalla giurisprudenza di legittimità (si cita Sez. 3, n. 8635 del 27/02/2015) ed amministrativa (Cons. Stato, Sez. 4, n. 476 del 31/01/2012). Si aggiunge che il Programma di fabbricazione del Comune … prevede espressamente la possibilità di interventi residenziali anche in zona agricola.

3.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 35 e 36 del Programma di fabbricazione del Comune di …, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avendo riguardo alla trasferibilità della cubatura della superficie posta sotto vincolo cimiteriale.
Si deduce che la sentenza impugnata ha accentrato l’attenzione sui temi della vigenza dell’art. 51 legge Regione Puglia n. 56 del 1980, dell’accorpamento, della non contiguità dei fondi e dell’assenza della ruralità dell’intervento da eseguire, senza considerare che il Programma di fabbricazione del Comune di …, per effetto del combinato disposto degli artt. 35 e 36 (v. testo a p. 9 ricorso), ammette la trasferibilità della cubatura della superficie posta sotto vincolo cimiteriale oltre il limite di rispetto.

3.4. Con il quarto motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 429, comma 2, cod. proc. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., avendo riguardo al reato di falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in certificati o autorizzazioni amministrative.
Si deduce che il decreto che dispone il giudizio e la sentenza impugnata non indicano quali sono i dati falsi enunciati nel provvedimento amministrativo e che non vi è alcuna disposizione di legge che vieta la cessione di cubatura tra terreni aventi la stessa destinazione urbanistica e lo stesso indice di fabbricabilità.

3.5. Con il quinto motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., avendo riguardo al difetto della colpevolezza in relazione al reato di cui all’art. 480 cod. pen. Si deduce che non vi è alcuna prova del dolo con riferimento al reato di falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in certificati o autorizzazioni amministrative, perché nessun elemento specifico è addotto in proposito.

3.6. Con il sesto motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., avendo riguardo al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Si deduce che il diniego del beneficio è giustificato sulla base di una stringata formula di stile, senza considerare la complessità delle questioni giuridiche sottese alla condotta e la prassi amministrativa in materia.

4. Il ricorso dell’imputato … è articolato in sei motivi.

4.1. Con il primo motivo, si denuncia esercizio da parte del giudice di una potestà riservata agli organi amministrativi, violazione di legge, in riferimento agli artt. 25, secondo comma, Cost., 1 cod. pen., 44, comma 1, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001, 5 d.l. n. 70 del 2011 e 51, lett. g), legge Regione Puglia n. 56 del 1980, nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. a), b) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta incompatibilità urbanistica dell’intervento edilizio in contestazione.
Si premette che il fondamento dell’affermazione di responsabilità per tutti i reati è ravvisato, dalla Corte d’appello, nella violazione della regola della necessaria contiguità tra i fondi agricoli accorpati ai fini della determinazione della volumetria massima assentibile, di matrice giurisprudenziale e non legislativa. Si osserva, inoltre, che la sentenza impugnata riconosce: a) l’omogeneità urbanistica dei due fondi, per identità di destinazione urbanistica El e di indice di fabbricabilità (0,03 mc/mq); b) la cessata vigenza dell’art. 51, lett. g), legge Regione Puglia n. 56 del 1980; c) l’esistenza di un vuoto normativo in materia di accorpamenti in zona agricola; d) la matrice giurisprudenziale della regola della necessaria contiguità tra i fondi agricoli accorpati ai fini della determinazione della volumetria massima assentibile.
Si deduce, a questo punto, che la regola appena indicata è ormai superata anche dalla giurisprudenza amministrativa. Si rappresenta che l’istituto dell’accorpamento è nato come il risultato di una prassi negoziale, sorta dopo l’entrata in vigore del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, che ha fissato gli standards di edificabilità delle aree, ma è stato disciplinato, per la prima volta, solo dall’art. 5 d.l. n. 70 del 2011, convertito con modificazioni dalla legge 12 luglio 2011, n. 106. Si segnala, poi, che la giurisprudenza amministrativa (si cita Cons. Stato, Sez. 6, n. 4861 del 21/11/2016) ha riconosciuto all’istituto dell’accorpamento la funzione di ridistribuzione della volumetria tra i fondi in zona omogenea, lasciando inalterata la densità territoriale complessiva, e, quindi, individuato come unico limite alla sua operatività quello del rispetto dell’indice territoriale dell’intera zona, salvo espressi divieti poste dalla legge regionale o dallo strumento urbanistico. Si evidenzia, ancora, che il requisito della contiguità tra i fondi non è stato positivizzato nemmeno dal d.l. n. 70 del 2011, tanto da indurre la giurisprudenza di merito a ritenere la sostanziale neutralità per il Comune della materiale collocazione dei fabbricati, in quanto unica esigenza è quella di assicurare la permanenza nei limiti fissati dal piano del rapporto tra area edificabile e volumetria realizzabile nella zona di riferimento (si cita App. Napoli, 10/02/2015). Si aggiunge che è inammissibile ritenere sussistente il requisito della contiguità tra i fondi sulla base dell’art. 51, lett. g), legge Regione Puglia n. 56 del 1980, perché questa disposizione è ormai inefficace dal 15 dicembre 2000, data di emanazione del Piano urbanistico territoriale tematico, come riconosce la stessa sentenza impugnata e la giurisprudenza di legittimità (si citano, tra l’altro, Sez. 3, n. 52605 del 17/11/2017, e Sez. 3, n. 35166 del 28/03/2017).
Si contesta, infine, che l’integrazione delle disposizioni incriminatrici con una regola di matrice esclusivamente giurisprudenziale viola i principi di legalità, di riserva di legge in materia penale, e di prevedibilità e determinatezza della norma penale, come conferma l’elaborazione della giurisprudenza costituzionale (si cita Corte cost., n. 230 del 2012, e Corte cost. n. 24 del 2017), ed invade arbitrariamente le prerogative e funzioni della Pubblica Amministrazione, in contrasto con i principi di cui agli artt. 25, secondo comma, e 101, secondo comma, Cost. Si precisa che questa conclusione vale, in particolare, quando, come nella specie, si procede all’accorpamento di fondi aventi identica destinazione di zona e identico indice edificatorio fondiario, e che, in tale ipotesi, il requisito della contiguità equivarrebbe ad una sostanziale abrogazione dell’istituto di cui all’art. 5 d.l. n. 70 del 2011.

4.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 44, comma 1, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001, nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta sussistenza dell’elemento psicologico del reato edilizio.
Si deduce che illegittimamente è stata ritenuta ravvisabile la colpa, posta la presenza di un quadro normativo quanto meno opinabile in tema di presupposti per l’accorpamento dei fondi ai fini della determinazione della volumetria massima assentibile, come dimostra la pluralità di giudizi penali pendenti per questa tipologia di vicende e la prassi amministrativa riconosciuta dal teste […].

4.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 181 d.lgs. n. 42 del 2004, nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta sussistenza dell’elemento oggettivo del reato paesaggistico.
Si deduce che l’eventuale violazione della regola dell’accorpamento tra fondi non incide ai fini delle valutazioni di conformità paesaggistica. Si precisa che, posto il dettato dell’art. 146, comma 7, d.lgs. n. 42 del 2004, il quale richiede il compimento di «accertamenti circa la conformità dell’intervento proposto con le prescrizioni contenute nei provvedimenti di dichiarazione di interesse pubblico e nei piani paesaggistici», le valutazioni di conformità paesaggistica sono del tutto indipendenti da eventuali violazioni urbanistiche.

4.4. Con il quarto motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 44 d.P.R. n. 380 del 2001, 181 d.lgs. n. 42 del 2004 e 110 cod. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta sussistenza del concorso del ricorrente, quale pubblico funzionario, nei reati edilizi e paesaggistici.
Si deduce che il concorso dei pubblici ufficiali, al più, si concretizza e cessa con il rilascio dei titoli autorizzatori.

4.5. Con il quinto motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 132 e 133 cod. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla determinazione della pena.
Si deduce che irragionevolmente ed ingiustificatamente il ricorrente, condannato per i soli reati urbanistici e paesaggistici, è stato sanzionato con la stessa pena inflitta ad imputati condannati oltre per tali reati anche per il delitto di cui all’art. 480 cod. pen.

4.6. Con il sesto motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Si deduce che la sentenza impugnata ha negato il beneficio senza motivare e senza considerare né la complessità delle questioni giuridiche sottese alla condotta, né la prassi amministrativa in materia.

5. Il ricorso dell’imputato … è articolato in otto motivi.

5.1. Con il primo motivo, si denuncia esercizio da parte del giudice di una potestà riservata agli organi amministrativi, violazione di legge, in riferimento agli artt. 25, secondo comma, Cost., 1 cod. pen., 44, comma 1, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001, 5 d.l. n. 70 del 2011 e 51, lett. g), legge Regione Puglia n. 56 del 1980, nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. a), b) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta incompatibilità urbanistica dell’intervento edilizio in contestazione.
Il motivo è identico al primo motivo del ricorso di ….

5.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 44, comma 1, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001, nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta sussistenza dell’elemento psicologico del reato edilizio.
Il motivo è identico al secondo motivo del ricorso di ….

5.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 181 d.lgs. n. 42 del 2004, nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta sussistenza dell’elemento oggettivo del reato paesaggistico.
Il motivo è identico al terzo motivo del ricorso di ….

5.4. Con il quarto motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 480 cod. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta sussistenza del reato di falso in relazione all’attestazione di conformità urbanistica.
Si deduce che non è configurabile una falsa attestazione in ordine alla conformità dell’intervento edilizio con le norme di legge e con gli strumenti urbanistici posto che il falso in valutazione è integrato da un giudizio in violazione di elementi normativamente certi e predeterminati o tecnicamente indiscussi, e che, nella specie, non vi sono elementi normativamente certi e predeterminati che vietano l’accorpamento di terreni distanti tra di loro, sia perché l’art. 51, lett. g), legge Regione Puglia n. 56 del 1980 non è più efficace, sia perché non può ritenersi elemento normativo certo e predeterminato un principio di matrice giurisprudenziale.

5.5. Con il quinto motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 480 cod. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di falso in relazione all’attestazione di conformità urbanistica.
Si deduce che non è configurabile il dolo del reato di cui all’art. 480 cod. pen., stante l’obiettiva incertezza del contesto normativo. Si aggiunge che, nella giurisprudenza di legittimità, è stata ritenuta corretta una decisione di proscioglimento per difetto di dolo in riferimento alla vigenza dell’art. 51, lett. g), legge Regione Puglia n. 56 del 1980, in quanto si è osservato che detta ipotesi costituisce «un caso nel quale si registra, nella migliore delle ipotesi per l’accusa, un contrasto nella giurisprudenza» (così Sez. 5, n. 16113 del 2017).

5.6. Con il sesto motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 480 cod. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta sussistenza dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato di falso in relazione all’attestazione di conformità paesaggistica.
Si deduce, innanzitutto, che il falso in valutazione, siccome è integrato da un giudizio in violazione di elementi normativamente certi e predeterminati o tecnicamente indiscussi, non ricorre nell’attestazione di conformità paesaggistica rilasciata nel caso in esame. Si osserva, infatti, che la compatibilità paesaggistica deve essere verificata sulla base di parametri diversi da quelli rilevanti ai fini del giudizio sulla compatibilità urbanistica, in quanto costituiti, posto il dettato dell’art. 146, comma 7, d.lgs. n. 42 del 2004, il quale richiede il compimento di «accertamenti circa la conformità dell’intervento proposto con le prescrizioni contenute nei provvedimenti di dichiarazione di interesse pubblico e nei piani paesaggistici», e che, nella specie, né i provvedimenti di dichiarazione di interesse pubblico, né i piani paesaggistici contengono parametri normativamente predeterminati o tecnicamente indiscussi a carattere vincolante.
Si deduce, in secondo luogo, che, in ogni caso, a fronte di norme particolarmente elastiche, deve escludersi la coscienza e volontà di rendere una falsa attestazione di compatibilità paesaggistica e, quindi, il dolo necessario ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 480 cod. pen.

5.7. Con il settimo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 44 d.P.R. n. 380 del 2001, 181 d.lgs. n. 42 del 2004 e 110 cod. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta sussistenza del concorso del ricorrente, quale pubblico funzionario, nei reati edilizi e paesaggistici.
Si deduce che il concorso dei pubblici ufficiali, al più, si concretizza e cessa con il rilascio dei titoli autorizzatori.

5.8. Con l’ottavo motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Il motivo è identico al sesto motivo del ricorso di .…

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La sentenza deve essere annullata senza rinvio per prescrizione nei confronti di … per tutti i reati al medesimo ascritti, ossia quelli di cui agli artt. 44, comma 1, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001 e 181, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004 e nei confronti di …., …, … e … limitatamente al reato di falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in certificati o autorizzazioni amministrative.
I ricorsi di …, …, … e … sono da dichiarare inammissibili nel resto, con conseguente trasmissione degli atti alla Corte d’appello di Lecce per la rideterminazione della pena con riguardo ai residui reati.
I ricorsi di … e … debbono essere dichiarati inammissibili.

2. Nell’analisi delle questioni, si esamineranno, in primo luogo, le censure concernenti la violazione dell’obbligo di rinnovazione istruttoria in appello di cui all’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., formulate nel primo motivo dei ricorsi di …, …, …, … e ….
Si approfondiranno, poi, le censure relative alla configurabilità delle violazioni edilizie e paesaggistiche, esposte: a) con riguardo al profilo oggettivo, nel secondo e nel terzo motivo dei ricorsi di …, …, …, … e …, nel primo e nel terzo motivo del ricorso di …, e nel primo e nel terzo motivo del ricorso di …; b) con riguardo al profilo soggettivo, nel secondo motivo dei ricorsi di … e di …; c) con riguardo alla specifica responsabilità dei funzionari pubblici, nel quarto motivo del ricorso di … e nel settimo motivo del ricorso di ….
Si tratteranno, quindi, le censure relative alla configurabilità del reato di falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in certificati o autorizzazioni amministrative, esposte: a) con riguardo alla validità della contestazione ed al profilo oggettivo, nel quarto motivo dei ricorsi di …., …, …., …. e …; b) con riguardo al profilo oggettivo, nel quarto e nel sesto motivo del ricorso di …; c) con riguardo al profillo soggettivo, nel quinto motivo dei ricorsi di …, …, …, … e …, e nel quinto e (ancora) nel sesto del ricorso di ….
Si valuteranno, infine, le censure relative al trattamento sanzionatorio, esposte nel sesto motivo dei ricorsi di …, …., …, … e …, nel quinto e nel sesto motivo del ricorso di …, e nell’ottavo motivo del ricorso di …..

3. Manifestamente infondate sono le censure concernenti la violazione dell’obbligo di rinnovazione istruttoria in appello di cui all’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., formulate nel primo motivo dei ricorsi di … , con riferimento all’esame del teste … della polizia provinciale.

3.1. A norma dell’art. 603, comma 3-bis, cod. pen., vigente già al momento della proposizione dell’atto di gravame contro la sentenza di primo grado, «Nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale».
Nella giurisprudenza di legittimità, anche delle Sezioni Unite, si evidenzia ormai costantemente: «l’espressione utilizzata dal legislatore nella nuova disposizione di cui al comma 3-bis, secondo cui il giudice deve procedere, nell’ipotesi considerata, alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, non equivale infatti alla introduzione di un obbligo di rinnovazione integrale dell’attività istruttoria – che risulterebbe palesemente in contrasto con l’esigenza di evitare un’automatica ed irragionevole dilatazione dei tempi processuali -, ma semplicemente alla previsione di una nuova, mirata, assunzione di prove dichiarative ritenute dal giudice d’appello “decisive” ai fini dell’accertamento della responsabilità, secondo i presupposti già indicati da questa Corte nella sentenza …. Coordinando la locuzione impiegata dal legislatore nell’art. 603, comma 3-bis («il giudice dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale») con quelle – del tutto identiche sul piano lessicale – già utilizzate nei primi tre commi della medesima disposizione normativa, deve ritenersi che il giudice d’appello sia obbligato ad assumere nuovamente non tutte le prove dichiarative, ma solo quelle che – secondo le ragioni puntualmente e specificamente prospettate nell’atto di impugnazione del pubblico ministero – siano state oggetto di erronea valutazione da parte del giudice di primo grado e vengano considerate decisive ai fini dello scioglimento dell’alternativa “proscioglimento-condanna”» (così Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272431, § 7.2; cfr., nello stesso senso, Sez. 2, n. 5231 del 13/12/218, dep. 2019, Prundaru, Rv. 276050-01, e Sez. 1, n. 12928 del 07/11/2018, dep. 2019, P., Rv. 276318-01).
È importante aggiungere che l’obbligo di rinnovazione istruttoria, anche alla luce della complessiva elaborazione giurisprudenziale precedente alla entrata in vigore della riforma (cfr., per tutte, Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267487-01, e, ancor più marcatamente, Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, Rv. 269785-01, nonché Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272431-01) discende non dal principio di immediatezza, ma da quello dell’ammissibilità dell’affermazione della colpevolezza solo in caso di superamento di ogni ragionevole dubbio.
In linea con queste indicazioni, è da ritenere insussistente un obbligo di rinnovazione di una prova dichiarativa, quando il giudice di secondo grado, fermo restando il giudizio sull’attendibilità e sull’efficacia dimostrativa della stessa, si limiti a trarre dagli elementi di conoscenza acquisti attraverso di essa conseguenze giuridiche diverse. Invero, in tal caso, la rinnovazione istruttoria non sembra assicurare alcuna utilità ai fini dell’attuazione del principio dell’al di là del ragionevole dubbio: quando il contributo di una fonte di prova è apprezzato allo stesso modo da entrambi i giudici di merito con riguardo al profilo della ricostruzione del fatto, e la divergenza attiene esclusivamente alle conseguenze giuridiche ricollegabili al suo contenuto, la reiterazione dell’atto istruttorio risulta del tutto inidonea ad apportare elementi utili a confermare o modificare la precedente valutazione.

3.2. Nella specie, la prova di cui si richiede la rinnovazione, la testimonianza del …, nella parte valorizzata dalla sentenza impugnata per pronunciare la condanna in riforma dell’assoluzione, attiene alla descrizione di una situazione di fatto incontestata anche nella decisione di primo grado.
Invero, entrambe le pronunce di merito desumono dalle dichiarazioni del teste … dati identici.
Innanzitutto, sia il Tribunale, sia la Corte d’appello affermano che la distanza intercorrente tra i due fondi “accorpati” ai fini dell’incremento della volumetria utilizzabile per uno di essi è pari a circa 3,4 km., e che i fondi sono inclusi in fogli catastali diversi. Semplicemente, la sentenza di primo grado ha ritenuto che «il requisito di “reciproca prossimità” non va limitato all’ipotesi di contiguità dei fondi, potendosi estendere anche all’ipotesi in esame a fronte della complessiva omogeneità dei parametri urbanistici della zona» (cfr. p. 7). La sentenza di appello, invece, precisa: «Gli interventi edilizi autorizzati prevedevano l’accorpamento in zona qualificata E1 (verde agricolo produttivo) di fondi collocati alla rilevante distanza di circa 3,4 km (fuor di luogo appare l’assunto del primo giudice secondo cui si verterebbe nel caso di specie in un’ipotesi di reciproca prossimità) e – non a caso – siti in fogli diversi della mappa catastale pur con identico indice di fabbricabilità: in particolare i lotti di terreno da accorpare a quello interessato dal progetto edilizio erano siti al Foglio di mappa 12, mentre questo era al Foglio 21».
Allo stesso modo, il vincolo cimiteriale è stato ritenuto esistente in entrambe le sentenze; al più, se ne sono tratte diverse conseguenze giuridiche. Invero, nella decisione di primo grado, detto vincolo è stato genericamente indicato come elemento che «ha sicuramente influito sull’accorpamento», senza ulteriori specificazioni; la sentenza impugnata ha invece precisato che da tale vincolo non può discendere la legittimità di un “accorpamento” al di là del requisito di “reciproca prossimità”.

3.3. Di conseguenza, deve escludersi che, a norma dell’artt. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., fosse necessario un nuovo esame del teste ….
Invero, i fatti storici riferiti dal precisato dichiarante sono stati ritenuti esistenti sia dal Tribunale, sia dalla Corte d’appello: i due giudici, piuttosto, fermi restando i fatti accertati (anche) attraverso il richiamato esame testimoniale, e cioè la distanza dai fondi e l’esistenza del vincolo cimiteriale, sono pervenuti a conclusioni diverse soltanto per una differente valutazione della rilevanza giuridica attribuibile a tali circostanze.

4. Manifestamente infondate sono le censure relative alla configurabilità, sotto il profilo oggettivo, della fattispecie di cui all’art. 44, comma 1, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001, esposte nel secondo e nel terzo motivo dei ricorsi di …, nel primo motivo del ricorso di …, e nel primo motivo del ricorso di …, le quali deducono, in sintesi, che non vi è alcuna disposizione normativa da cui inferire la giuridica necessità, ai fini dell’aumento delle volumetrie assentibili sulla singola particella mediante “accorpamento” dei fondi, del requisito della “reciproca prossimità” tra gli stessi, almeno quando la cessione di cubatura avviene tra terreni aventi la stesa destinazione urbanistica e lo stesso indice di fabbricabilità, e che, comunque, una regola del genere, se anche esistente, siccome di “creazione giurisprudenziale”, non è idonea ad integrare il precetto penale di cui all’art. 44 d.P.R. n. 380 del 2001.

4.1. È utile una premessa di carattere generale.
Secondo l’insegnamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, condiviso dal Collegio, in tema di reati edilizi, la contravvenzione di esecuzione di lavori sine titulo sussiste anche nel caso in cui il permesso di costruire, pur apparentemente formato, sia illegittimo per contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia di fonte normativa o risultante dalla pianificazione (cfr., per tutte, Sez. 3, n. 56678 del 21/09/2018, Iodice, Rv. 275565-01, e Sez. 3, n. 12389 del 21/02/2017, Minosi, Rv. 271170-01, ma anche Sez. 3, n. 3979 del 21/09/2018, dep. 2019, Cerra srl, mass. per altro, contraddistinta da una ricostruzione estremamente approfondita, e, proprio in ordine alla violazione derivante da inappropriate cessioni di cubatura, Sez. 3, n. 8635 del 18/09/2014, dep. 2015, Manzo, Rv. 262512-01, nonché, ancora, in precedenza, con riferimento all’art. 20, primo comma, lett. a), legge 28 febbraio 1985, n. 47, Sez. U, n. 11635 del 12/11/1993, Borgia, Rv. 195359-01).

4.2. Posta questa premessa, deve valutarsi se sia illegittima per contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia l’opera di volumetria eccedente quella specificamente prevista per il singolo lotto interessato dall’edificazione, anche quando detta eccedenza sia giustificata sulla base dell’accorpamento” di fondi omogenei per destinazione urbanistica ed indice di fabbricabilità, ma in difetto del requisito della “reciproca prossimità”.
Il Collegio condivide il costante insegnamento della giurisprudenza penale ed amministrativa, secondo cui il requisito della “reciproca prossimità” tra i fondi è condizione in ogni caso necessaria per effettuare un legittimo “accorpamento” tra i medesimi ai fini dell’incremento di volumetria assentibile per uno di essi.
Invero, in disparte da ogni valutazione circa l’attuale vigenza dell’art. 51, lett. g), legge Regione Puglia 31 maggio 1980, n. 56, secondo la consolidata elaborazione della giurisprudenza penale, deve escludersi la legittimità della “cessione di cubature” tra terreni tra loro distanti, anche in caso di destinazione omogenea e di identità di indice di edificabilità, perché si tratta di operazione che potrebbe determinare una situazione di “affollamento edilizio” nelle zone dove sono ubicati i fondi cessionari e una contrapposta situazione di carenza nei luoghi di insediamento dei fondi cedenti, con evidente pregiudizio per l’attuazione dei complessivi criteri di programmazione edilizia contenuti negli strumenti urbanistici. Questo principio è stato ripetutamente affermato dalla giurisprudenza penale di legittimità, sia in linea generale (cfr., tra le tante, Sez. 3, n. 46228 del 09/07/2018, S., Rv. 274673-01, e Sez. 3, n. 8635 del 18/09/2014, dep. 2015, Manzo, Rv. 262512-01), sia proprio con riferimento alle opere edificate nel Comune di … (cfr., tra le tante: Sez. 3, n. 27758 del 17/05/2019, Sennhauser, non massimata; Sez. 3, n. 11519 del 23/01/2019, Micheli, non massimata; Sez. 3, n. 26714 del 14/01/2015, Tedoldi, non massimata). Può anche aggiungersi che alcune pronunce affrontano in modo espresso il tema dell’assenza di un formale divieto e rilevano che ciò non impedisce, all’interprete e quindi al giudice, di individuare nel sistema il requisito della “reciproca prossimità” tra i fondi quale condizione indispensabile per un valido “accorpamento” dei medesimi ai fini dell’incremento di volumetria di uno di essi; in particolare, si osserva che il presupposto indicato deve essere ricollegato all’esigenza di evitare che l’utilizzo dello strumento negoziale della cessione di cubatura «sia grossolanamente volto, appunto, alla elusione dei principi e delle regole in materia di pianificazione edilizia» (così Sez. 3, n. 26714 del 2015, Tedoldi, cit.).
Anche la giurisprudenza amministrativa ritiene desumibile dal sistema il divieto di “accorpamento” di fondi non caratterizzati da reciproca prossimità (cfr., per tutte: Cons. Stato, Sez. 5, n. 400 del 01/04/1998; Cons. Stato, Sez. 5, n. 1172 del 03/03/2003; Cons. Stato, Sez. 5, n. 6734 del 30/10/2003; Tar Campania-Salerno, Sez. 2, n. 1675 del 19/07/2016; Tar Sicilia-Palermo, Sez. 3, n. 1254 del 01/06/2018). In particolare, i giudici amministrativi tendono a sottolineare che la contiguità dei fondi è requisito necessario per la legittimità dell’accorpamento” «in quanto, se così non fosse, nella zona in cui viene aggiunta cubatura potrebbe determinarsi un superamento della densità edilizia massima consentita dallo strumento urbanistico» (così Tar-Campania, n. 1675 del 2016, cit., e Tar-Sicilia, n. 1254 del 2018, cit.).

4.3. Le conclusioni indicate non risultano inficiate dai rilievi dei ricorrenti, ivi compresi quelli concernenti la trasferibilità della cubatura per il vincolo cimiteriale, o il riconoscimento legislativo dell’istituto della cessione di cubatura, o i segnalati mutamenti della giurisprudenza amministrativa, o la violazione della riserva di legge in materia penale.
Innanzitutto, privo di rilevanza è il riferimento alla disciplina riguardante la trasferibilità della cubatura per il vincolo cimiteriale, dettata dagli artt. 35 e 36 del Piano di fabbricazione del Comune di …, trascritta a pag. 9 dei ricorsi di …, …, …, … e …. In effetti, questa disciplina si limita prevedere che «la cubatura relativa alla superficie posta sotto vincolo può essere trasferita oltre il limite di rispetto» (art. 35 cit.), ma nulla dice in ordine al requisito della “reciproca prossimità” tra i fondi. Né sembra persuasivo ritenere che una indicazione del Programma di Fabbricazione, del tutto generica, e volta ad evitare semplicemente che «il limite di rispetto» per motivi stradali (art. 35 cit.) o cimiteriali (art. 36 cit.) sacrifichi la realizzabilità di cubatura riconosciuta al fondo, sia idonea ad incidere su un istituto completamente diverso, quello concernente l’accorpamento dei fondi, e a determinare il totale superamento di un requisito, quello della “reciproca prossimità”, il quale, secondo la costante interpretazione della giurisprudenza penale ed amministrativa, risponde alla generale esigenza di evitare un pregiudizio per l’attuazione dei complessivi criteri di programmazione edilizia contenuti negli strumenti urbanistici.
Anche le osservazioni concernenti la previsione per legge dell’istituto della cessione di cubatura, recata dall’art. 5 d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito con modificazioni dalla legge 12 luglio 2011, n. 106 non assumono concreta influenza ai fini in esame. Invero, questa disposizione si limita a prevedere, al comma 1, lett. c), la «tipizzazione di un nuovo schema contrattuale diffuso nella prassi: la “cessione di cubatura”», e, al comma 3, l’inserimento all’art. 2643 cod. civ., della lett. 2bis), nella quale si indicato «i contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori comunque denominati, previsti da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale». Ora, posto che le citate indicazioni normative nulla stabiliscono in ordine alle condizioni che legittimano il ricorso allo strumento negoziale in discorso (non solo con riguardo al requisito della “reciproca prossimità” tra i fondi), non sembra ragionevole ritenere che le stesse determinino il superamento di qualunque limite in materia e, quindi, la possibilità di utilizzare l’istituto della cessione di cubatura anche in pregiudizio dell’attuazione dei complessivi criteri di programmazione edilizia contenuti negli strumenti urbanistici.
Non condivisibili, ancora, sono i richiami ad un asserito mutato orientamento della giurisprudenza. Si sono citate in precedenza le recentissime decisioni della giurisprudenza penale ed amministrativa che confermano l’esistenza del requisito della “reciproca prossimità” tra i fondi come condizione per consentire un legittimo “accorpamento” degli stessi ed una valida cessione di cubatura. Va solo aggiunto che anche la citazione della sentenza Cons. Stato, Sez. 6, n. 4861 del 21/11/2016 non risulta pertinente. Invero, come emerge dal testo della motivazione di tale pronuncia, il giudice amministrativo di secondo grado si è preoccupato di precisare che la cessione di cubatura da esso valutata deve ritenersi legittima anche per la strettissima vicinanza dei fondi interessati, osservando, tra l’altro, che «dalla documentazione catastale (v. “visura catastale particelle validate”, in atti) emerge che le p.ed. 714 e 1544 confinano con la p.ed. 1782 e che, in particolare, la p.m. 10 della p.ed. 1782 è frapposta tra le due particelle da cui proviene la cubatura trasferita, sicché gli immobili devono ritenersi tra di loro contigui per gli effetti urbanistici, essendo anche tali lotti ubicati nella medesima zona servita dalle medesime opere di urbanizzazione, e avendo gli stessi la medesima destinazione residenziale (impressa alla p.m. 10 dalle gravate concessioni)».
Infine, non convincenti sono i rilievi riferiti alla violazione della riserva di legge in materia penale ed alla prevedibilità e determinatezza della norma penale. Si è già rilevato che, secondo l’insegnamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, in tema di reati edilizi, la contravvenzione di esecuzione di lavori sine titulo sussiste anche nel caso in cui il permesso di costruire, pur apparentemente formato, sia illegittimo per contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia di fonte normativa o risultante dalla pianificazione (v. supra § 4.1.). Ora, nella specie, viene in rilievo un permesso di costruire relativo a cubatura superiore a quella assentibile, la cui realizzazione è giustificata in forza di un asservimento di un fondo ad un altro in assenza dei requisiti necessari per assicurare il rispetto dei principi e delle regole di pianificazione del territorio. In altri termini, la condotta ritenuta penalmente illecita dalla sentenza impugnata è quella di aver edificato un volume non consentito per il lotto interessato in forza delle previsioni di legge e degli strumenti urbanistici, con un superamento dei limiti che non può essere giustificato invocando una deroga per la quale non sussistono i presupposti, e precisamente per una cessione di cubatura effettuata in violazione dei principi di pianificazione del territorio. Deve quindi escludersi che la Corte d’appello, nella specie, abbia sottoposto a sanzione penale la violazione di una norma di matrice giurisprudenziale, come suggestivamente prospettato nei ricorsi di … e ….

5. Manifestamente infondate sono anche le censure relative alla configurabilità, sotto il profilo soggettivo, della fattispecie di cui all’art. 44, comma 1, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001, esposte nel secondo motivo dei ricorsi di …. e di …., le quali contestano l’affermazione della colpevolezza per l’opinabilità del quadro normativo e la diffusa prassi amministrativa.
La giurisprudenza di legittimità, con riferimento al reato di cui all’art. 44, comma 1, lett. b) e c), d.P.R. n. 380 del 2001 commesso mediante esecuzione di lavori sulla base di permesso di costruire illegittimo, ha precisato che la “macroscopica illegittimità” del permesso di costruire, da un lato, rappresenta un significativo indice sintomatico della sussistenza dell’elemento soggettivo dell’illecito, e, dall’altro, non costituisce nemmeno una condizione essenziale per l’oggettiva configurabilità del reato (così Sez. 3, n. 56678 del 21/09/2018, Iodice, Rv. 275565-01, nonché, in termini sostanzialmente identici, Sez. 3, n. 3979 del 21/09/2018, dep. 2019, Cerra srl, Rv. 275850-01, la quale ha puntualizzato che, in caso di non macroscopica illegittimità del titolo abilitativo, il giudice deve procedere, stante la presenza di un atto autorizzativo della Pubblica Amministrazione, ad un accertamento più approfondito dell’elemento soggettivo del reato).
Nella specie, la sentenza impugnata ha ravvisato la sussistenza «dei reati edilizio e paesaggistico a fronte dell’evidente illegittimità dei permessi di costruire».
Si tratta di conclusione immune da vizi, a maggior ragione se si considera che l’illegittimità del ricorso all’istituto della cessione di cubatura per difetto del requisito della “reciproca prossimità” tra i fondi, già all’epoca del rilascio dei permessi di costruire, tra il 2008 ed il 2011, era stata ripetutamente affermata dalla giurisprudenza amministrativa (si richiamano le decisioni già citate: Cons. Stato, Sez. 5, n. 400 del 01/04/1998; Cons. Stato, Sez. 5, n. 1172 del 03/03/2003; Cons. Stato, Sez. 5, n. 6734 del 30/10/2003).

6. Manifestamente infondate, ancora, sono le censure relative alla configurabilità, sotto il profilo oggettivo, della fattispecie di cui all’art. 181, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004, esposte nel terzo motivo dei ricorsi di … e di …, le quali contestano l’affermazione della colpevolezza in ordine a tale reato sul rilievo che le valutazioni di conformità paesaggistica sono del tutto indipendenti da eventuali violazioni urbanistiche.

6.1. È opportuno muovere da alcuni punti fermi in ordine al reato di opere eseguite in assenza di autorizzazione paesaggistica o in difformità da essa, risultanti dall’elaborazione giurisprudenziale.
In primo luogo, costituisce principio consolidato, condiviso dal Collegio anche per la sua immediata aderenza al dettato normativo, quello in forza del quale la violazione dell’art. 181, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004 è integrata da lavori di qualsiasi genere, eseguiti sui beni muniti di tutela paesaggistica, in assenza della prescritta autorizzazione o in difformità da essa, senza che assuma rilievo la distinzione tra le ipotesi di difformità parziale o totale, rilevante, invece, nella disciplina urbanistica (cfr., tra le tante, Sez. 3, n. 31287 del 11/04/2019, Maniaci, Rv. 276593-01, e Sez. 3, n, 3655 del 17/12/2013, dep. 2014, Alimonti, Rv. 258491-01).
In secondo luogo, poi, altrettanto consolidato è l’insegnamento secondo cui, tra le contravvenzioni previste dall’art. 44 d.P.R. n. 380 del 2001 e dall’art. 181, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004 è configurabile un’ipotesi di concorso formale di reati, con la conseguente inapplicabilità del divieto del bis in idem stabilito dall’art. 649 cod. proc. pen., attesa la diversa obiettività giuridica e la diversa condotta punita che va individuata, nel reato edilizio, nella esecuzione di un’opera senza permesso di costruire posta a prevalente tutela dell’assetto urbanistico e, nel secondo, senza la autorizzazione della competente sovrintendenza prevista a tutela, prevalentemente, del patrimonio artistico, storico e archeologico (così, ad esempio, Sez. 3, n. 18494 del 08/03/2016, Pepe, Rv. 266942-01, e Sez. 3, n. 50620 del 18/06/2014, Urso, Rv 261914-01).
Ancora, si è detto in precedenza che, in tema di reati edilizi, la contravvenzione di esecuzione di lavori sine titulo sussiste anche nel caso in cui il permesso di costruire, pur apparentemente formato, sia illegittimo per contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia di fonte normativa o risultante dalla pianificazione (v. supra § 4.1). Lo stesso principio, di recente, è stato affermato anche con riferimento al reato di cui all’art. 181, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004, evidenziandosi che, in tema di reati paesaggistici, «analogamente a quanto si ritiene per i reati urbanistici», il giudice penale ha il potere-dovere di verificare in via incidentale la legittimità della autorizzazione paesaggistica, senza che ciò comporti l’eventuale “disapplicazione” dell’atto amministrativo ai sensi dell’art. 5 della legge 20 marzo 1865 n. 2248, allegato E, in quanto il suo esame riguarda solo l’integrazione o meno della fattispecie penale con riferimento all’interesse sostanziale tutelato, e rispetto a tale fattispecie «gli elementi di natura extra-penale convergono organicamente, assumendo una valenza descrittiva» (così Sez. 3, n. 38856 del 04/12/2017, dep. 2018, Schneider, Rv. 273703-01).

6.2. Tenendo conto di quanto precisato, risulta ragionevole affermare la configurabilità del reato di cui all’art. 181, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004 in relazione alla edificazione di opere in relazione alle quali l’autorizzazione paesaggistica sia stata rilasciata per un intervento edilizio la cui realizzazione determina un volume superiore a quello consentito dalla disciplina urbanistica.
Invero, da un lato, appare persuasivo ritenere che il reato di cui all’art. 181, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004, analogamente a quello di cui all’art. 44, comma 1, lett. b) e c), d.P.R. n. 380 del 2001, è configurabile non solo quando i lavori sono eseguiti senza autorizzazione paesaggistica, ma pure quando i lavori sono eseguiti sulla base di un’autorizzazione paesaggistica illegittima.
Dall’altro, poi, sembra corretto affermare che autorizzazione paesaggistica illegittima è anche quella che permette di realizzare, su beni paesaggistici, opere le quali non potevano essere consentite neppure sotto il profilo edilizio ed urbanistico, come, appunto, avviene nel caso di edificazione di immobili caratterizzati da volumi assentibili solo in conseguenza di un illegittimo “accorpamento” di fondi. Ed infatti, se l’art. 146, comma 7, d.lgs. n. 42 del 2004 prevede che «l’amministrazione effettua gli accertamenti circa la conformità dell’intervento proposto con le prescrizioni contenute nei provvedimenti di dichiarazione di interesse pubblico e nei piani paesaggistici», l’art. 145 del medesimo d.lgs. stabilisce lo stretto coordinamento tra la pianificazione paesaggistica e quella urbanistica, con prevalenza cogente della prima sulla seconda in caso di eventuale difformità, così attribuendo anche a quest’ultima una funzione di tutela del paesaggio.

7. Manifestamente infondate, inoltre, sono le censure riguardanti il concorso dei pubblici ufficiali nel reato edilizio e nel reato paesaggistico, esposte nel quarto motivo del ricorso di …. e nel settimo motivo del ricorso di …, le quali contestano sia la configurabilità della responsabilità concorsuale per detti reati a carico dei soggetti responsabili del rilascio del permesso di costruire, sia l’affermazione della persistenza della condotta illecita dei medesimi anche dopo il momento del rilascio di tale titolo autorizzatorio.

7.1. In primo luogo, occorre evidenziare che, secondo la giurisprudenza di legittimità, è sicuramente configurabile il concorso del pubblico ufficiale che emette il provvedimento amministrativo illegittimo nel reato di cui all’art. 44, comma 1, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001.
Invero, è controverso se sia ammissibile, nel caso di rilascio di un permesso di costruire illegittimo, una responsabilità ex art. 40 cod. pen. per il reato edilizio di cui all’art. 44, comma 1, lett. b) e c), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, in capo al dirigente o responsabile dell’ufficio urbanistica del Comune in quanto titolare di una posizione di garanzia e dunque dell’obbligo di impedire l’evento (cfr., per la soluzione affermativa, Sez. 3, n. 4911 del 14/07/2016, dep. 2017, Scarpa, Rv. 269260-01, e Sez. 3, n. 19566 del 25/03/2004, D’Ascanio, Rv. 228888-01, nonché, per la tesi opposta, Sez. 3, n. 5439 del 25/10/2016, dep. 2017, Colasante, Rv. 269247-01, e Sez. 3, n. 9281 del 26/01/2011, Bucolo, Rv. 249785-01).
Tuttavia, anche le decisioni contrarie alla configurabilità di una responsabilità omissiva del dirigente o responsabile dell’ufficio urbanistica del Comune, ritengono giuridicamente corretta l’ipotesi del concorso commissivo del medesimo pubblico ufficiale nella fattispecie di cui all’art. 44, comma 1, lett. b) e c), d.P.R. n. 380 del 2001, qualora si accerti che «l’extraneus abbia apportato, nella realizzazione dell’evento, un contributo causale rilevante e consapevole (sotto il profilo del dolo o della colpa)» (così, testualmente, sia Sez. 3, n. 5439 del 2017, Colasante, cit., sia Sez. 3, n. 9281 del 2011, Bucolo, cit.; cfr. ancora, nel senso della configurabilità del concorso commissivo del pubblico ufficiale nel reato “proprio” di cui all’art. 44 d.P.R. n. 380 del 2001, Sez. 3, n. 42105 del 19/06/2019, D’Alterio, con riferimento ad un componente della commissione edilizia).

7.2. In secondo luogo, poi, deve ritenersi corretta anche l’affermazione della permanenza del pubblico ufficiale nel reato di cui all’art. 44, comma 1, lett. b) e c), d.P.R. n. 380 del 2001, fino al compimento dell’attività edificatoria.
A tal fine, va premesso che, secondo un principio assolutamente consolidato nella giurisprudenza di legittimità, la permanenza del reato urbanistico cessa con l’ultimazione dei lavori del manufatto, in essa essendo comprese le rifiniture, ovvero al momento della desistenza definitiva dagli stessi, da dimostrare in base a dati obiettivi ed univoci (così, tra le tante, Sez. 3, n. 13607 del 08/02/2019, Martina, Rv. 275900-01, e Sez. 3, n. 29974 del 06/05/2014, Sullo, Rv. 260498-01).
Va poi rilevato che il concorrente nel reato permanente, almeno quando dà impulso alla commissione della fattispecie, risponde dell’intero fatto costituente l’illecito penale, posto che la responsabilità concorsuale, a norma dell’art. 110 cod. pen., è fondata sul principio di causalità. Significativamente, infatti, la Relazione al progetto definitivo del codice penale prevede: «Anche nell’ipotesi che il fatto sia oggetto dell’attività di più persone, l’evento deve essere messo a carico di tutti i concorrenti che con la propria azione contribuirono a determinarlo: il legame, invero, che avvince l’attività dei vari concorrenti, si realizza in una associazione di cause coscienti, alle quali è dovuto l’evento e, perciò, a ciascuno dei compartecipi deve essere attribuita la responsabilità dell’intero».
In questo senso, del resto, è orientata, in linea generale, la giurisprudenza di legittimità, come si evince, paradigmaticamente, dalle soluzioni accolte con riguardo al reato di lottizzazione abusiva. Non solo, infatti, secondo l’indirizzo più rigoroso, il momento consumativo del reato di lottizzazione abusiva “mista” si individua, per tutti coloro che concorrono o cooperano nel reato, nel compimento dell’ultimo atto integrante la condotta illecita, che può consistere nella stipulazione di atti di trasferimento, nell’esecuzione di opere di urbanizzazione o nell’ultimazione dei manufatti che compongono l’insediamento; con la conseguenza, per tutti i concorrenti, ai fini del calcolo del tempo necessario per la prescrizione, della irrilevanza del momento in cui è stata tenuta la condotta di partecipazione, e della rilevanza, invece, di quello di consumazione del reato, pur potendo quest’ultimo intervenire anche a notevole distanza di tempo (Sez. 3, n. 48346 del 20/09/2017, Bortone, Rv. 271330-01, e Sez. 3, n. 35968 del 14/07/2010, Rusani, Rv. 248483-01). Anche secondo la tesi opposta, il concorso del venditore lottizzatore permane sino a quando continua l’attività edificatoria eseguita dagli acquirenti nei singoli lotti, siccome lo stesso, avendo dato causa alla condotta edificatoria dei concorrenti, risponde, a norma dell’art. 41 cod. pen., dell’evento, e soltanto per i singoli acquirenti che non hanno dato causa alla lottizzazione ex art. 41 cod. pen., la permanenza cessa con la conclusione della attività da ognuno di essi posta in essere sul proprio lotto (cfr. in questo senso, in particolare, Sez. 3, n. 20671 del 20/03/2012, D’Alessandro, Rv. 252914-01, e Sez. 3, n. 1966 del 05/12/2001, dep. 2002, Venuti, Rv. 220853-01).
Di conseguenza, ove si ravvisi il concorso commissivo del pubblico ufficiale nel reato edilizio per aver dato colpevolmente causa all’attività edificatoria con il rilascio di un permesso di costruire illegittimo, è ragionevole affermare che anche nei suoi confronti la consumazione del reato si verificherà alla data dell’ultimazione dei lavori indebitamente assentiti, ovvero al momento della desistenza definitiva dagli stessi.

7.3. In terzo luogo, ancora, identiche conclusioni sono da affermare in relazione al concorso del pubblico ufficiale nel reato di cui all’art. 181, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004.
Innanzitutto, non sembra vi siano ostacoli alla configurabilità del concorso del pubblico ufficiale che emette colpevolmente atti amministrativi illegittimi costituenti antecedente causale della valutazione di conformità paesaggistica nel reato di cui all’art. 181, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004. Anche in questo caso, infatti, quando si accerta che il soggetto, sebbene extraneus rispetto al reato, abbia apportato, nella realizzazione dell’evento, un contributo causale rilevante e consapevole, sotto il profilo del dolo o della colpa, sono applicabili gli ordinari principi in tema di responsabilità concorsuale ex art. 110 cod. pen.
Va poi osservato che anche il reato di cui all’art. 181, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004, secondo l’assolutamente consolidata giurisprudenza di legittimità, ha natura permanente e si consuma con l’esaurimento della condotta, o con il sequestro del bene ovvero, in mancanza, con la sentenza di primo grado, quando la contestazione è di natura “aperta” (cfr., tra le tantissime, Sez. 3, n. 43173 del 05/07/2017, Zanella, Rv. 271336-01, e Sez. 3, n. 30130 del 30/03/2017, Dinnella, Rv. 270254-01).
Va quindi rilevato che, anche con riferimento a detta figura contravvenzionale, non vi sono ragioni per derogare all’applicazione del principio generale secondo cui il concorrente nel reato permanente, almeno quando dà impulso alla commissione della fattispecie, risponde dell’intero fatto costituente l’illecito penale.

7.4. Facendo applicazione dei principi indicati, corretta risulta l’affermazione di responsabilità penale degli imputati … e … per i reati di cui all’art. 44, comma 1, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001 e di cui all’art. 181, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004, con permanenza della condotta fino all’ultimo momento di realizzazione dei lavori.
Invero, dalla sentenza impugnata si evince che: a) i due imputati hanno rilasciato i permessi di costruire illegittimi sulla cui base è stato realizzato un edificio del volume di 128,35 metri cubi; b) l’illegittimità dei permessi di costruire discende dall’accorpamento” di fondi distanti 3,4 km. in violazione del requisito della “reciproca prossimità” tra gli stessi, ma anche dalla mancata correlazione delle opere assentite con l’attività agricola e dall’insediamento dell’intervento in zona sottoposta a vincolo paesaggistico; c) l’illegittimità derivante dall’abusivo “accorpamento” dei fondi ha consentito di realizzare un edificio del volume di 128,35 metri cubi invece che del volume di 63,60 metri cubi; d) l’illegittimità del permesso di costruire a causa dell’accorpamento” di fondi non in rapporto di “reciproca prossimità” era «evidente» (cfr. supra § 5., dove si cita la giurisprudenza amministrativa che già all’epoca dei fatti aveva più volte affermato tale principio); e) la condotta di realizzazione delle opere illegittimamente assentite si è protratta fino al giorno 11 novembre 2013.

8. Fondate, invece, nei limiti di seguito precisati, sono le censure riguardanti la configurabilità, sotto il profilo oggettivo, del reato di falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in certificati o autorizzazioni amministrative, formulate nel quarto motivo dei ricorsi di …, …, …i, … e …, e nel quarto e nel sesto motivo del ricorso di …, nella parte in cui deducono la mancata indicazione dei dati falsi enunciati nei permessi di costruire.

8.1. Secondo un orientamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di falso ideologico in autorizzazioni amministrative, se l’atto da compiere trova il proprio fondamento, anche implicito, in previsioni normative che dettano criteri di valutazione, piuttosto che essere assolutamente libero nei parametri di giudizio, si è in presenza di un esercizio di discrezionalità tecnica, che vincola la valutazione del pubblico ufficiale ad una verifica della conformità della situazione fattuale a detti criteri, potendo, pertanto, risultare falso, se essi non sono rispettati (così Sez. 3, n. 46239 del 12/07/2018, Morciano, Rv. 274207-01, con riguardo a fattispecie concernente autorizzazione paesaggistica contenente l’attestazione della conformità urbanistica e della compatibilità ambientale delle opere da edificare; nello stesso senso, in tema di configurabilità di un reato di falso, cfr., tra le altre, Sez. 3, n. 46228 del 09/07/2018, Strambace, Rv. 274673-01, e Sez. 3, n. 42064 del 30/06/2016, Quaranta, Rv. 268083-01).
Secondo altro orientamento, però, non è configurabile il reato di falsità ideologica in atto pubblico, con riferimento al contenuto valutativo di un documento che contenga un giudizio di conformità alla normativa di settore, formulato con riguardo non già a situazioni di fatto costituenti il presupposto dell’atto, bensì alla mera interpretazione della normativa stessa (così Sez. 5, n. 7879 del 16/01/2018, Daversa, Rv. 272457-01, nonché Sez. 5, n. 19384 del 12/02/2018, De Micheli, non massimata, e Sez. 5, n. 1944 del 09/11/2018, dep. 2019, Morciano, non massimata).
Come efficacemente segnalato dal Presidente Aggiunto della Corte di cassazione, con provvedimento di restituzione degli atti a norma dell’art. 172 disp. att. cod. proc. pen., adottato a seguito di ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite adottata da Sez. 5, n. 10304 del 11/12/2018, dep. 2019, De Salvo, tra i due orientamenti «non sembra emergere un evidente contrasto su questioni giuridiche dal momento che entrambi gli orientamenti escludono che la falsità ideologica possa riguardare un enunciato valutativo che sia fondato su un giudizio di conformità legale. Peraltro, vi è coincidenza nel ritenere la sussistenza del reato nell’ipotesi in cui l’attestazione di conformità alla normativa dell’intervento oggetto del provvedimento abilitativo si fondi su una falsa attestazione circa l’esistenza degli elementi di fatto che devono integrare il presupposto dell’atto amministrativo».

8.2. Ad avviso del Collegio, le indicazioni del Presidente Aggiunto appena richiamate offrono l’indicazione di un criterio pienamente persuasivo, rilevante nel caso di specie.
Invero, l’art. 480 cod. pen. ha ad oggetto la falsa attestazione di «fatti», così come tutti gli altri delitti di falso previsti dal Capo III del Titolo VII del Libro Secondo del Codice Penale. Ora, la giurisprudenza delle Sezioni Unite, nell’affermare la configurabilità della falsità ideologica anche con riferimento agli atti c.d. “dispositivi” o “negoziali”, quali sono i provvedimenti amministrativi, ha sempre precisato che la stessa ricorre in relazione all’attestazione, non conforme a verità, dell’esistenza di una data situazione di fatto costituente il presupposto indispensabile per il compimento dell’atto, ma non ha mai fatto cenno ad enunciati valutativi fondati su giudizi di conformità alla disciplina giuridica (così, Sez. U, n. 1827 del 03/02/1995, Proietti, Rv. 200117-01, in ordine a fattispecie relativa a verbale di esame di laurea e a rilascio di diploma di laurea, per l’attestazione implicita di “verità” dell’avvenuto superamento di esami di profitto in realtà mai sostenuti, e Sez. U, n. 35488 del 28/06/2007, Scelsi, Rv. 236867-01, con riguardo a falsa attestazione in un verbale di gara e nella proposta di aggiudicazione di un appalto dell’iscrizione di due imprese nell’Albo Nazionale dei Costruttori in data anteriore al 24 novembre 1999). E pure quelle decisioni che hanno ritenuto la configurabilità del falso con riferimento ad enunciati valutativi, come in relazione al reato di false comunicazioni sociali (cfr. Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, …, Rv. 266803-01), hanno avuto ad oggetto fattispecie in cui l’apprezzamento è operazione diretta alla descrizione della realtà, e non costituisce un mero giudizio di conformità legale, privo di qualunque funzione di rappresentazione di fatti.
Inoltre, una conferma dell’assunto secondo cui la falsità ideologica deve essere esclusa in relazione ad enunciati valutativi fondati su giudizi di conformità legale, mentre ricorre quando l’attestazione di conformità alla normativa sia basata su una falsa asseverazione circa l’esistenza degli elementi di fatto che devono integrare il presupposto dell’atto amministrativo, è individuabile anche, e proprio con riguardo alla materia dell’edilizia e dell’urbanistica, nella disciplina di cui all’art. 20 d.P.R. n. 380 del 2001, come modificato dall’art. 5, comma 2, d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito dalla legge 12 luglio 2011, n. 106.
In effetti, l’art. 20 cit., al comma 1, secondo periodo, prevede che la domanda per il permesso di costruire deve essere «accompagnata da una dichiarazione del progettista abilitato che asseveri la conformità del progetto agli strumenti urbanistici approvati ed adottati, ai regolamenti edilizi vigenti, e alle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e, in particolare, alle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienicosanitarie nel caso in cui la verifica in ordine a tale conformità non comporti valutazioni tecnico-discrezionali, alle norme relative all’efficienza energetica». Il medesimo art. 20, poi, al comma 13, primo periodo, dispone: «Ove il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, nelle dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni di cui al comma 1, dichiara o attesta falsamente l’esistenza dei requisiti o dei presupposti di cui al medesimo comma è punito con la reclusione da uno a tre anni».
Ponendo a raffronto queste due disposizioni, si può osservare che, anche in materia di attestazioni rilevanti ai fini di ordinato sviluppo del territorio, il legislatore ha previsto l’applicazione della sanzione penale per la falsa dichiarazione o attestazione avendo riguardo non alla asseverazione di conformità del progetto alla disciplina urbanistica, prevista dall’art. 20, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001, nella sua globalità, ma, specificamente, alla dichiarazione o attestazione, contenuta nell’asseverazione, sulla «esistenza dei requisiti o dei presupposti» rilevanti a norma del medesimo art. 20, comma 1, cit.

8.3. La sentenza impugnata ha ritenuto la sussistenza del reato di falso in relazione ai permessi di costruire emessi nel 2008 dal tecnico comunale … e nel 2011 dal tecnico comunale … per la affermazione, contenuta nelle relazioni tecniche allegate alle istanze dei privati, circa la «legittimità dell’operazione di accorpamento di fondi distanti al fine esclusivo di aumentare la volumetria da assentire con i permessi di costruire».
Non risulta, però, precisato come nelle citate relazioni tecniche, costituenti presupposto dei permessi di costruire ritenuti falsi, sia stato descritto il rapporto tra i fondi.
In particolare, non è spiegato se i fondi sono stati indicati come contigui, o se, invece, è stata esposta in termini corretti la situazione di fatto, e poi affermata la legittimità dell’operazione di “accorpamento” o pretermettendo qualunque valutazione in ordine al requisito della “reciproca prossimità” o affermando che detto requisito non è normativamente richiesto.

8.4. In considerazione dei principi giuridici precedentemente indicati in ordine alla configurabilità del reato di falso, le omissioni rilevate nella ricostruzione del fatto integrano una decisiva lacuna motivazionale.
In effetti, la mancata indicazione di quali siano i dati falsi enunciati nei permessi di costruire, ed il riferimento, anzi, alla dichiarazione, evincibile nelle relazioni tecniche, concernente la «legittimità dell’operazione di accorpamento di fondi distanti», determinerebbero la necessità di un nuovo giudizio di merito per una più completa ricostruzione dei fatti, e, in particolare, per accertare come sia stato descritto il rapporto tra i fondi sotto il profilo della vicinanza. Se, infatti, la situazione fattuale dei fondi fosse correttamente descritta, l’affermazione della legittimità dell’accorpamento dei fondi costituirebbe un giudizio di conformità legale, ma non implicherebbe una falsa rappresentazione della realtà.
Un nuovo giudizio per effettuare tale accertamento, però, non è più consentito, perché, nelle more, e precisamente alla data del 29 maggio 2019, è decorso il termine di prescrizione del reato di cui all’art. 480 cod. pen.
Costituisce, infatti, principio assolutamente consolidato in giurisprudenza quello secondo cui, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l’obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva (così, per tutte, Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244275-01, nonché, per citare la più recente massimata, Sez. 2, n. 2545 del 16/10/2014, dep. 2015, Riotto, Rv. 262277-01).

9. Il rilievo della prescrizione del reato di falso in certificazioni amministrative preclude l’esame delle censure, esposte nel quinto motivo dei ricorsi di …, …, …, … e …, e nel quinto e nel sesto motivo del ricorso di …, che contestano l’affermazione della sussistenza dell’elemento psicologico in ordine a tale reato da parte della sentenza impugnata.
Ed infatti, da un lato, il profilo della colpevolezza non può essere compiutamente esaminato se deve prima essere definito il giudizio sull’accertamento del fatto storico. Dall’altro, comunque, le censure indicate non sono tali da evidenziare che il fatto non è previsto dalla legge come reato, e, quindi, da imporre una pronuncia di proscioglimento sul merito a norma dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen.

10. Manifestamente infondate e, in parte diverse da quelle consentite, sono le censure concernenti il diniego delle circostanze attenuanti generiche, esposte nel sesto motivo dei ricorsi di …, …, …, … e …, nel sesto motivo del ricorso di … e nell’ottavo motivo del ricorso di …, che deducono la natura meramente apparente della motivazione e la mancata considerazione della complessità delle questioni giuridiche in tema di “accorpamento” dei fondi.
La sentenza impugnata ha escluso la concedibilità del beneficio di cui all’art. 62-bis cod. pen. per «l’obiettività dei fatti accertati e la loro pluralità», nonché per precedenti della stessa indole a carico di …, … e ….
Le indicazioni appena indicate, lungi dall’essere “di stile”, risultano sintetiche, ma efficaci. In particolare, è corretto considerare che la condotta criminosa si è articolata nel tempo, ha dato luogo ad una pluralità di reati, ed ha comportato la realizzazione di volumi edificati pari al doppio, se non a qualcosa di più, di quelli consentiti. Non va trascurato, inoltre, che …, …, … e … sono stati dichiarati colpevoli, con statuizione sul punto non impugnata in questa sede, per ulteriori abusi commessi nella fase esecutiva dei lavori mediante la realizzazione di opere (un piazzale, un basamento in cemento, un ampliamento di un pozzo luce con aperture di luci e vedute) mai assentite e non contenute in alcun elaborato progettuale. Non decisivo è il mancato apprezzamento della prassi amministrativa e della complessità delle questioni giuridiche sottese alla vicenda; anzi, si è più volte evidenziato come il divieto di “accorpamento” di fondi in difetto del requisito della “reciproca prossimità” era stato già ripetutamente affermato dalla giurisprudenza amministrativa in epoca anteriore al rilascio dei permessi di costruire sulla cui base è stata compiuta l’attività edificatoria (v. supra, § 4.2. e 5.).

11. Non manifestamente infondate, invece, sono le censure relative alla determinazione della pena formulate nel quinto motivo del ricorso di …, il quale contesta di essere stato assoggettato senza alcuna ragione al medesimo trattamento sanzionatorio degli altri imputati condannati anche per il reato di cui all’art. 480 cod. pen.
Invero, …. è stato condannato alla pena di sette mesi di arresto per le violazioni sanzionate dagli artt. 44, comma 1, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001, e 181, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004, con una pena parificata a quella degli altri imputati condannati anche per il reato di falso in autorizzazioni amministrative e superiore a quella irrogata agli imputati condannati esclusivamente per le precisate contravvenzioni, senza alcuna motivazione.
La non manifesta infondatezza del ricorso sul punto del trattamento sanzionatorio, essendo lo stesso riferito ad entrambi i reati per i quali … è stato dichiarato penalmente responsabile, impone di rilevare l’estinzione degli stessi per intervenuta prescrizione, maturata in data 11 novembre 2018.

12. In conclusione, con riferimento a … la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio per tutti i reati a lui ascritti per essere gli stessi estinti per prescrizione.
Con riferimento a …, …, … e …, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente al reato di falso in autorizzazioni amministrative di cui al capo D), per essere lo stesso estinto per prescrizione.
In relazione ai precisati …, …, … e … resta invece irrevocabile l’affermazione di penale responsabilità per i reati di cui agli artt. 44, comma 1, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001, e 181, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004. Invero, deve farsi applicazione del principio, enunciato anche dalle Sezioni Unite, secondo cui, in caso di ricorso avverso una sentenza di condanna cumulativa, che riguardi più reati ascritti allo stesso imputato, l’autonomia dell’azione penale e dei rapporti processuali inerenti ai singoli capi di imputazione impedisce che l’ammissibilità dell’impugnazione per uno dei reati possa determinare l’instaurazione di un valido rapporto processuale anche per i reati in relazione ai quali i motivi dedotti siano inammissibili, con la conseguenza che per tali reati, nei cui confronti si è formato il giudicato parziale, è preclusa la possibilità di rilevare la prescrizione maturata dopo la sentenza di appello (così Sez. U, n. 6903 del 27/05/2016, dep. 2017, Aiello, Rv. 268966-01).
Da quanto precedentemente indicato discende la necessità di rideterminare la pena nei confronti di …, …, … e …, applicandola esclusivamente per i reati di cui agli artt. 44, comma 1, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001, e 181, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004. Non sussistendo i presupposti perché questa Corte possa decidere in proposito a norma dell’art. 620, comma 1, lett. I), cod. proc. pen., si rende doverosa la trasmissione degli atti alla Corte d’appello di Lecce affinché sia la stessa a procedere a tale operazione.
I ricorsi di … e di …, infine, debbono essere dichiarati inammissibili […]