Corte di Cassazione, Sez. 3, Sentenza n. 53640 del 2018, dep. il 29/11/2018

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RITENUTO IN FATTO

1. Il Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Asti ricorre per cassazione impugnando la sentenza indicata in epigrafe con la quale il tribunale ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’imputato per essere il reato a lui ascritto estinto per esito positivo della messa alla prova in relazione ad una abuso edilizio previsto dall’articolo 44, comma 1, lettera b), del d.p.r 6 giugno 2001, n. 380 per avere, in qualità di esecutore delle opere abusive, realizzato due spallette in mattoni di altezza 1,15 m circa e lunghezza di 2 m circa cadauna di chiusura del fabbricato esistente. Alla declaratoria di estinzione del reato, il giudice del merito non ha fatto seguire l’emanazione dell’ordine di demolizione delle opere abusive.

2. Per l’annullamento dell’impugnata sentenza il ricorrente articola un unico, complesso, motivo di gravame, qui enunciato, ai sensi dell’articolo 173 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale, nei limiti strettamente necessari per la motivazione.

Con esso il ricorrente deduce l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale in relazione agli articoli 168-ter del codice penale e 31, comma 9, d.p.r. 380 del 2001 (articolo 606, comma 1, lettera b), del codice di procedura penale).

Sostiene che, a norma dell’articolo 168-ter del codice penale, l’esito positivo della prova estingue il reato per cui si procede ma l’estinzione del reato non pregiudica l’applicazione delle sanzioni amministrative accessorie, ove previste dalla legge. Sulla base di ciò, pur essendo avvertito del fatto che l’articolo 31, comma 9, d.p.r. 380 del 2001 richiede l’emanazione di una sentenza di condanna affinché il giudice possa impartire l’ordine di demolizione, il Procuratore ricorrente ribadisce, invece, come l’articolo 168-ter del codice penale abbia invece espressamente statuito l’applicazione delle sanzioni amministrative accessorie previste dalla legge, tra le quali pacificamente rientra l’ordine di demolizione dei manufatti abusivi.

3. Il Procuratore Generale presso questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha ricordato l’orientamento, in proposito, già espresso dalla giurisprudenza di legittimità secondo il quale l’emanazione dell’ordine di demolizione presuppone necessariamente un accertamento della responsabilità che, nel caso di estinzione del reato per esito favorevole della messa alla prova, non è intervenuto ed ha pertanto concluso per l’inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non è fondato.

2. Il Collegio non ha motivo per discostarsi dall’orientamento già espresso dalla giurisprudenza di legittimità ed al quale va data continuità in base al quale l’ordine di demolizione dell’opera edilizia abusiva, previsto dall’art. 31, comma 9, d.P.R. n. 380 del 2001, presuppone la pronuncia di una sentenza di condanna, alla quale non può essere equiparata la declaratoria di estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova, ai sensi dell’art. 168-ter cod. pen., che prescinde da un accertamento di penale responsabilità, ferma restando la competenza dell’autorità amministrativa ad irrogare la predetta sanzione (Sez. 3, n. 39455 del 10/05/2017, La Barbera, Rv. 271642 ).

Nel pervenire a tale conclusione, la corte di legittimità ha chiarito che l’ordine di demolizione (già previsto dall’art. 7, ultimo comma, legge n. 47 del 1985) costituisce l’esplicitazione di un potere sanzionatorio non residuale o sostitutivo, ma autonomo rispetto a quello dell’autorità amministrativa, attribuito dalla legge al giudice penale (per tutte, Sez. U, n. 15 del 27/07/1996, Monterisi, Rv. 205336), ribadendo che trattasi di una sanzione amministrativa di tipo ablatorio, caratterizzata dalla natura giurisdizionale dell’organo istituzionale al quale ne è attribuita l’applicazione, la cui catalogazione fra i provvedimenti giurisdizionali trova ragione giuridica proprio nella sua accessività alla “sentenza di condanna” (v. Sez. U., n. 15 del 24/07/1996, Monterisi, cit.).

Da ciò, e dalla lettera del citato art. 31, è stato tratto argomento per ritenere che tale ordine richiede comunque la pronuncia di una sentenza di condanna (o ad essa equiparata, come la sentenza di applicazione di pena concordata), non risultando a ciò sufficiente l’avvenuto accertamento della commissione dell’abuso, come nel caso di sentenza di estinzione per prescrizione (da ultimo, Sez. 3, n. 50441 del 27/10/2015, Franchi, Rv. 265616; tra le altre, Sez. 3, n. 756 del 2/12/2010, Sicignano, Rv. 249154; Sez 3, n. 8409 del 28/2/2007, Muggianu, non massimata; Sez. 3, n. 10/2/2006, Cirillo, Rv. 233673).

In conseguenza di quanto esposto, e contrariamente a quanto argomentato dal PG ricorrente, l’ordine di demolizione del manufatto abusivo, pur avendo natura di sanzione amministrativa, non può essere applicato in conseguenza della declaratoria di estinzione per esito positivo del procedimento di sospensione con messa alla prova, pronuncia che – avuto riguardo al carattere del nuovo istituto di strumento di composizione preventiva e pregiudiziale del conflitto penale che non richiede un preventivo accertamento di penale responsabilità – non può essere equiparata alla “sentenza di condanna” richiesta come presupposto dall’art. 31 del T.U.E.

Ciò non vuol dire, evidentemente, che l’ordine di demolizione, in quanto tale, rimanga irrimediabilmente precluso dall’intervenuta estinzione del reato, perché anzi, proprio in forza dell’espressa previsione dell’art. 138-ter cod. pen., opportunamente richiamata dal Procuratore ricorrente, esso potrà e dovrà essere irrogato, ricorrendone i presupposti di legge, dalla autorità amministrativa preposta; significando solo che non ricorrono le condizioni di legge perché il provvedimento possa essere impartito, sia pure in via concorrente, da parte del giudice penale, in ragione del particolare esito processuale che non consente l’integrazione del presupposto processuale (sentenza di condanna) previsto dall’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001.

Peraltro, tale approdo interpretativo, come ha sottolineato il Procuratore Generale nella sua requisitoria, ha trovato indiretta conferma nella giurisprudenza di legittimità (Sez. 4, n. 29639 del 23/06/2016, Conti, Rv. 267880; Sez. 4, n. 40069 del 17/09/2015, Pettorino, Rv. 264819; Sez. 4, n. 39107 del 08/07/2016, Rossini, Rv. 267608) su una fattispecie – guida in stato in ebbrezza – che sembra presentare tratti di somiglianza con quella in esame per la previsione di un potere giurisdizionale sussidiario di irrogazione di sanzione amministrativa, laddove si è affermato che il giudice che dichiari l’estinzione del reato di cui all’art. 189 C.d.s. per l’esito positivo della messa alla prova, ai sensi dell’art. 168-ter cod. pen., non può applicare la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida, di competenza del Prefetto ai sensi dell’art. 224, comma terzo, C.d.s.; e ciò proprio in considerazione della sostanziale differenza tra l’istituto della messa alla prova, che prescinde dall’accertamento di penale responsabilità, e le ipotesi di applicazione della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, di cui agli artt. 186, comma nono-bis, e 187, comma ottavo-bis, C.d.s., motivo per il quale non può trovare applicazione la disciplina – ivi prevista – che lascia al giudice, in deroga al predetto art. 224, la competenza ad applicare la sanzione amministrativa accessoria.

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