Corte di Cassazione. Sez. 3, Sentenza n. 5503 del 2016, dep. il 10/02/2016

[…]

RITENUTO IN FATTO

1. […] ricorre per cassazione impugnando la sentenza indicata in epigrafe con la quale la Corte d’appello di Palermo ha confermato quella emessa dal locale tribunale che aveva condannato il ricorrente alla pena di anni tre di reclusione ed euro 320,00 di multa per il reato previsto dall’articolo 349 del codice penale perché, proseguendo i lavori su un manufatto ubicato a […] (lavori consistiti nell’ultimazione e definizione dell’immobile in ogni sua parte, rendendo in tal modo abitabili le unità immobiliari abusive), violava i sigilli che l’autorità giudiziaria aveva apposto al predetto manufatto allo scopo di assicurare la conservazione e impedire che l’opera abusiva venisse portata a conclusione. Con l’aggravante di aver commesso il fatto nella qualità di custode dell’immobile. In […] sino al 16 dicembre 2009.

2. Per la cassazione dell’impugnata sentenza, il ricorrente, tramite il difensore, solleva i due seguenti motivi di impugnazione, qui enunciati ai sensi dell’articolo 173 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale, nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in ordine alla insussistenza del delitto previsto dall’articolo 349 del codice penale (articolo 606, comma 1, lettera e), codice di procedura penale).
Assume che, nell’ambito del giudizio di appello, era stata sollevata una doglianza circa la sussistenza del reato di violazione dei sigilli, tenuto conto del fatto che l’immobile, che si asseriva sottoposto a sequestro a seguito dell’attività di accertamento dell’opera abusiva, era stato dissequestrato con sentenza del 23 marzo 2009, divenuta irrevocabile il 21 settembre 2009 dal giudice monocratico presso il tribunale di Palermo nell’ambito del procedimento penale n. 7880 del 2007. Sul punto, la Corte del merito si sarebbe limitata ad affermare che l’immobile era stato restituito affinché l’imputato procedesse alla sua demolizione e non certamente perché proseguisse la costruzione e che la difesa si era limitata a chiedere l’acquisizione della sentenza, la quale avrebbe disposto il sequestro, senza produrla unitamente all’atto di appello e neppure nel corso del dibattimento. Obietta il ricorrente che, anche in assenza di produzione della sentenza da parte della difesa, il Collegio avrebbe potuto e dovuto acquisire autonomamente il provvedimento ai sensi dell’articolo 603, comma 3, codice di procedura penale. Peraltro era sfuggito al Collegio d’appello che il tribunale di Palermo non aveva affatto subordinato il dissequestro del manufatto alla demolizione delle opere abusive, ma aveva enunciato due statuizioni del tutto autonome: con la prima aveva disposto il dissequestro delle opere in giudiziale sequestro e con la seconda aveva ordinato la demolizione delle opere abusive indicate nel capo di imputazione. Viceversa, la questione è stata liquidata con un’argomentazione assolutamente illogica e contraddittoria, posto che i giudici del merito si sono limitati a sostenere che l’immobile era stato restituito solo affinché l’imputato procedesse alla sua demolizione e non certamente perché proseguisse i lavori abusivi. In ogni caso, la sentenza impugnata sarebbe meritevole di annullamento nella misura in cui ha illogicamente motivato in merito alla insussistenza del dolo, laddove non ha considerato che il ricorrente fosse convinto che l’immobile risultava dissequestrato, con la conseguenza che la prosecuzione dei lavori non poteva radicare il reato di violazione dei sigilli ma tutt’al più, essendo state le opere abusive ultimate attraverso la prosecuzione dei lavori, radicare un autonomo reato di abuso edilizio.

2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione della legge penale e difetto di motivazione (articolo 606, comma 1, lettere b) ed e), codice di procedura penale in relazione all’articolo 125 stesso codice e all’articolo 62-bis del codice penale). Sostiene che la sentenza sarebbe meritevole di annullamento avuto riguardo alla pretesa insussistenza delle circostanze attenuanti generiche di cui all’articolo 62-bis codice penale, che pure erano state invocate con l’atto di appello, con il quale si era lamentato che il completamento dei lavori non fosse attribuibile a condotta imputabile al ricorrente come era emerso nel corso dell’istruttoria dibattimentale, avendo i testi dell’accusa dichiarato di non aver trovato l’imputato sui luoghi, né che l’immobile fosse occupato dall’imputato stesso o dai suoi familiari. Invece, la Corte di appello, senza alcuna revisione critica rispetto alle precedenti determinazioni, ha confermato la statuizione del giudice di prime cure ritenendo la pena adeguata alla condotta contestata all’imputato che avrebbe dimostrato spregio nei confronti delle norme di legge.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato sulla base del primo motivo, che assorbe il secondo, nei limiti e sulla base delle considerazioni che seguono.

2. La Corte del merito – al cospetto di un’eccezione secondo la quale l’imputato rivendicava l’insussistenza del fatto di reato sul rilievo che il bene era stato dissequestrato con sentenza, che chiedeva fosse acquisita – ha rigettato la richiesta di acquisizione, ha implicitamente escluso un dovere di acquisizione d’ufficio del documento ed ha affermato, sulla base del certificato penale, che il bene era stato dissequestrato esclusivamente perché l’imputato procedesse a demolire le opere abusive.

A parte che quest’ultima affermazione è destituita di fondamento non risultando dal certificato penale che il dissequestro fosse stato disposto ai soli fini della demolizione delle opere, va ricordato il principio di diritto secondo il quale il reato di violazione di sigilli, di cui all’art. 349 cod. pen., non si configura allorché la ripresa dell’attività edilizia sia avvenuta prima della rimozione dei sigilli, ma successivamente alla revoca del sequestro da parte dell’autorità giudiziaria, atteso che il fine di assicurare la conservazione ed identità della cosa risulta superato dalla nuova statuizione del giudice (Sez. 3, n. 8668 del 12/01/2007, P.M. in proc. Di Massa e altro, Rv. 235956) e, quindi, a maggior ragione se l’attività edilizia sia stata ripresa dopo la materiale esecuzione del provvedimento di dissequestro.

Perciò, se la Corte d’appello ha ritenuto, sulla base del certificato penale, che il dissequestro era stato disposto, sebbene per un fine che non risultava dall’atto processuale richiamato, avrebbe dovuto disporre, anche d’ufficio, l’acquisizione della sentenza con la quale era stato ordinato il dissequestro dei beni.

3. Sul punto, va osservato che l’efficacia del decreto di sequestro preventivo cessa con l’emanazione della sentenza di primo grado, anche se di condanna. Le coordinate dirette a supportare tale affermazione sono state recentemente sviluppate funditus da un arresto di questa Sezione, che è sufficiente richiamare e che ha dettato, proprio in materia di reati edilizi, il principio di diritto secondo il quale, in tema di sequestro preventivo, la misura perde efficacia qualora venga pronunciata una sentenza di condanna senza che sia disposta la confisca dei beni sequestrati, che devono essere restituiti all’avente diritto (Sez. 3, n. 32714 del 16/04/2015, Alvino, Rv. 264472). Piuttosto v’è da osservare che, al momento dell’esecuzione del provvedimento di dissequestro contenuto nella sentenza di condanna in primo grado per reati edilizi, l’avente diritto alla restituzione può non essere ed anzi il più delle volte non deve essere colui al quale le cose sono state sequestrate.

Questo perché – quando è stata emessa l’ordinanza di ingiunzione a demolire, che costituisce un atto dovuto (art. 31, comma 2, d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380) e sia decorso il termine di novanta giorni dalla notificazione dell’ingiunzione stessa – l’inottemperanza da parte dell’ingiunto alla demolizione comporta l’automatica acquisizione e l’immediato trasferimento dell’immobile, dell’area di sedime e delle pertinenze urbanistiche, al patrimonio del comune (art. 31, comma 3, d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380), sempre che il proprietario non sia incolpevole o estraneo all’abuso (Sez. 3, n. 711 del 20/02/1997, Lieto, Rv. 207057), situazione nella specie non ricorrente.

Questa disciplina è stata rafforzata a seguito dell’introduzione dei commi 4- bis, 4-ter e 4-quater nella struttura dell’art. 31 d.p.r. 380 del 2001 ad opera dell’articolo 17, comma 1, lettera q-bis), del D.L. 12 settembre 2014, n. 133 , convertito con modificazioni dalla Legge 11 novembre 2014 n. 16. Per cui – dopo l’accertamento dell’inottemperanza all’ingiunzione a demolire, nel termine di cui al comma 3 dell’art. 31 TUE, accertamento che, previa notifica all’interessato, costituisce titolo per l’immissione nel possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari, che deve essere eseguita gratuitamente (art. 31, comma 4, TUE) – l’autorità competente, constatata l’inottemperanza, irroga una sanzione amministrativa pecuniaria di importo compreso tra 2.000 euro e 20.000 euro, salva l’applicazione di altre misure e sanzioni previste da norme vigenti. La sanzione, in caso di abusi realizzati sulle aree e sugli edifici di cui al comma 2 dell’articolo 27, ivi comprese le aree soggette a rischio idrogeologico elevato o molto elevato, è sempre irrogata nella misura massima. La mancata o tardiva emanazione del provvedimento sanzionatorio, fatte salve le responsabilità penali, costituisce elemento di valutazione della performance individuale nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente (art. 31, comma 4-bis) ed i proventi delle sanzioni di cui al comma 4-bis spettano al comune e sono destinati esclusivamente alla demolizione e rimessione in pristino delle opere abusive e all’acquisizione e attrezzatura di aree destinate a verde pubblico (art. 31, comma 4-ter), con la precisazione che, ferme restando le competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano, le regioni a statuto ordinario possono aumentare l’importo delle sanzioni amministrative pecuniarie previste dal comma 4-bis e stabilire che siano periodicamente reiterabili qualora permanga l’inottemperanza all’ordine di demolizione (art. 31, comma 4-quater). A prescindere dall’inapplicabilità ratione temporis delle nuove misure sanzionatorie al caso di specie, si tratta di prendere atto dell’esistenza di un sistema originariamente predisposto, e successivamente rafforzato, per impedire lo scempio del territorio attraverso la violazione sistematica delle leggi urbanistiche: sistema del quale si deve pretendere la concreta attuazione e l’effettività, sicché la questione non si pone nei termini con i quali è stata processualmente governata e probabilmente gestita con la impropria restituzione del bene al ricorrente, se ciò è avvenuto.

4. Ciò precisato, l’eccezione formulata dall’imputato circa l’avvenuto dissequestro del bene (e dunque circa l’insussistenza del fatto addebitatogli) costituisce – nel quadro delineato dallo stesso testo della sentenza impugnata, che assume infatti avvenuto detto dissequestro sulla base del certificato penale dal quale tuttavia non emerge che fosse condizionato alla demolizione – una mera difesa, come tale, idonea a ritenere osservato un onere di allegazione in senso ampio, escludendo che a carico dell’imputato vi fosse un onere di prova che, per essere osservato, richiedeva la produzione, da parte sua, della sentenza di primo grado, come erroneamente preteso dalla Corte territoriale con la sentenza impugnata.

In materia, va condiviso l’orientamento, al quale va dato continuità, secondo il quale, nell’ordinamento processuale penale, non è previsto un onere probatorio a carico dell’imputato, modellato sui principi propri del processo civile, ma è, al contrario, prospettabile un onere di allegazione, in virtù del quale l’imputato è tenuto a fornire all’ufficio le indicazioni e gli elementi necessari all’accertamento di fatti e circostanze ignoti che siano idonei, ove riscontrati, a volgere il giudizio in suo favore (Sez. 5, n. 32937 del 19/05/2014, Stanciu, Rv. 261657). Quindi, il giudice d’appello doveva procedere, anche d’ufficio, ad acquisire il provvedimento richiesto, posto che l’imputato, nell’atto di impugnazione (pag. 2), aveva indicato analiticamente gli estremi della sentenza, peraltro irrevocabile e quindi iscritta nel certificato penale esistente agli atti del processo e, infine, facilmente acquisibile perché pronunciata da un giudice incardinato nella stessa sede giudiziaria, senza che fosse necessaria una riapertura dell’istruzione dibattimentale in quanto, nel giudizio di appello, l’acquisizione di una prova documentale, in quanto prova precostituita, non comporta la necessità che sia emanata una formale ordinanza di rinnovazione dell’istruzione ma presuppone che la prova richiesta sia rilevante e decisiva rispetto al quadro probatorio esistente, restando comunque ineludibile che il documento venga legittimamente acquisito al fascicolo per il dibattimento nel contraddittorio fra le parti (Sez. 5, n. 36422 del 17/05/2011, Bellone, Rv. 250933).

5. A ciò dovrà porre riparo il giudice del rinvio che si atterrà ai principi di diritto in precedenza enunciati, acquisendo la sentenza richiesta dal ricorrente […]