[…]
RITENUTO IN FATTO
1. […] e […] hanno proposto ricorso avverso la sentenza della Corte d’Appello di Lecce in data … 2016 che, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Lecce, ha dichiarato non doversi procedere per estinzione dovuta a prescrizione quanto al reato di cui agli artt. 30 e 44 lett. c) del d.P.R. n. 380 del 2001 per avere effettuato, in violazione degli strumenti urbanistici, la trasformazione di una precedente struttura dismessa … attraverso la realizzazione di uno stabilimento industriale per la produzione e commercializzazione di olii grezzi vegetali e … e ha condannato gli stessi per il reato di cui agli artt. 81, 476 e 479 cod. pen. per avere il primo, quale legale rappresentante della …, e il secondo, quale responsabile del settore urbanistica del Comune …, redatto la relazione istruttoria – pratica relativa alla domanda di permesso di costruire in sanatoria avanzata dalla … ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 contenente false affermazioni circa la compatibilità dell’intervento con le destinazioni di zona (capo b).
2. Con un primo motivo […] lamenta la nullità della sentenza per mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione in relazione alla prova della effettiva sussistenza dei reati contestati, essendo mancata, a fronte dell’esito assolutorio di primo grado, una motivazione rafforzata ed avendo inoltre omesso la Corte d’appello di riesaminare il teste … sulla cui deposizione è stato fondato il giudizio di responsabilità. In particolare, dopo avere premesso che in primo grado l’imputato era stato assolto dai reati contestati ai capi a) e b) rispettivamente perché il fatto non sussiste e perché il fatto non costituisce reato, sottolinea come il dato centrale rispetto alla valutazione dell’intera vicenda sia rappresentato dalla novità e complessità della questione sottoposta anche all’attenzione del giudice amministrativo con cui non può conciliarsi l’avere ritenuto che l’incompatibilità dell’impianto di trasformazione in oggetto accertata ex post con la destinazione di zona potesse costituire in sé la prova della commissione degli illeciti; in tale quadro si lamenta come sia venuta a mancare del tutto, da parte del giudice dell’appello, a fronte della sentenza assolutoria di primo grado, la necessaria elaborazione di un apparato giustificativo che desse puntualmente conto della diversa valutazione; la motivazione della sentenza impugnata con cui è stata totalmente ribaltata la prima decisione ha totalmente disatteso la necessità di dimostrare l’incompletezza ovvero l’incoerenza delle argomentazioni della sentenza di primo grado con rigorosa e penetrante analisi critica, essendosi la Corte territoriale limitata a sottoporre ad una generica critica la decisione senza inficiarne in alcun modo la tenuta argomentativa; segnatamente, mentre il Tribunale aveva ritenuto non configurabile la lottizzazione abusiva non essendo sufficiente il semplice accertamento della illegittimità dell’intervento edilizio ma essendo necessaria una vera e propria trasformazione urbanistica ed edilizia dei terreni, la motivazione elaborata dal giudice di appello si è limitata a dedurre l’incompatibilità con la destinazione agricola degli edifici e dell’area, ciò che non è necessariamente in contrasto con la mancanza della trasformazione indicata dalla sentenza di primo grado; ed anche con riferimento al reato di falso, a fronte di un contesto valutativo assai controverso, la sentenza impugnata avrebbe dovuto elaborare una argomentazione giustificativa capace di sostituirsi interamente a quella del Tribunale, avendo invece ritenuto di poter dedurre la prova del reato di falso dall’elemento soggettivo sotteso alla consumazione della contravvenzione di lottizzazione abusiva, pur potendo la lottizzazione essere integrata anche a titolo di sola colpa. Altresì, con riferimento alla dimostrazione della effettiva sussistenza del concorso nel reato ad opera dell’imputato, è mancata in sentenza alcuna argomentazione volta a indicare e descrivere specifiche condotte concorsuali nel senso del contributo dell’imputato in termini storico – fattuali certi. Il diverso esito del giudizio di appello rispetto a quello di primo grado appare essere stato fondato sul solo dato cronologico della celerità con cui la pratica amministrativa venne istruita, ritenuto dal giudice di primo grado sintomatico della mancanza di consapevolezza e da quello di appello, al contrario, compatibile con una qualche condivisione dell’illecito, dato ricavato dall’unica prova di natura dichiarativa riconducibile all’esame del teste … . Ciò avrebbe imposto il dovere di riesaminare lo stesso, essendo stato il ribaltamento operato a seguito della valutazione delle dichiarazioni di tale testimone senza che la Corte territoriale abbia avuto alcun diretto contatto con la stessa.
2.1. Con un secondo motivo lamenta la nullità della sentenza per l’erronea applicazione degli articoli 30 e 44, lett. c) del del d.P.R. n. 380 del 2001 e la erronea interpretazione e applicazione delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore di … nonché la manifesta illogicità della motivazione; deduce in particolare che la sentenza impugnata ha non correttamente applicato il canone giurisprudenziale volto a definire la distinzione tra un semplice abuso edilizio e la lottizzazione abusiva essendo lottizzazione quell’insieme di opere o di atti giuridici che comportano una trasformazione urbanistica o di edilizia di terreni a scopo edificatorio e ribadisce che la incompatibilità della destinazione ben poteva coesistere con l’assenza di una trasformazione che integri una lottizzazione abusiva.
2.2. Con un terzo motivo lamenta, con riferimento al reato di falso contestato al capo b), la violazione delle norme sostanziali, dovendo ritenersi che gli atti in questione integrassero non già l’ipotesi di cui agli artt. 476 e 479 cod. pen., bensì la meno grave ipotesi relativa alle certificazioni di cui agli artt. 477 e 481.
Deduce in particolare l’errore in cui è caduta la corte d’appello nel non uniformarsi alla consolidata giurisprudenza di legittimità che inquadra la fattispecie nell’alveo della falsità ideologica in certificati commessa da esercenti un servizio di pubblica necessità. In particolare richiamando il principio secondo cui le false attestazioni contenute nella relazione di accompagnamento alla dichiarazione di inizio di attività edilizie integrano il reato di falsità ideologica in certificati.
2.3. Con un quarto motivo deduce la nullità la sentenza per violazione degli artt. 581 e 591 cod. proc. pen. giacché il giudice avrebbe dovuto dichiarare immediatamente la inammissibilità dell’appello del pubblico ministero in considerazione della già maturata prescrizione del reato di cui al capo a) della rubrica. La maturata prescrizione a fronte di una sentenza di primo grado non di condanna, ma assolutoria, avrebbe inoltre dovuto impedire che il giudice di appello procedesse ad accertare comunque la sussistenza del reato di lottizzazione abusiva in tutti i suoi elementi soggettivi e oggettivi, tanto più non essendovi neppure stato un appello della parte civile che potesse giustificare la necessità di valutare il fatto alla luce di tale richiesta risarcitoria.
2.4. Con un quinto motivo lamenta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 44, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001 con riferimento al reato sub a) nella parte in cui la stessa ha disposto la confisca dell’area e dell’edificio adibito a stabilimento industriale su di esso realizzato in contrasto con l’art. 7 Convenzione edu nonostante il reato fosse prescritto già in epoca antecedente alla celebrazione del giudizio di appello, essendo mancata del tutto, in primo grado, una sentenza di condanna ed anzi essendo l’imputato stato assolto perché il fatto non sussiste, in tal modo non potendosi ritenere accertato lo stesso; richiama in proposito pronunce della Corte edu che hanno statuito la incompatibilità tra declaratoria di prescrizione e confisca; in ogni caso le decisioni richiamate dalla sentenza impugnata erano tutte relative a fattispecie nelle quali la dichiarazione di prescrizione era intervenuta a seguito di sentenza di condanna di primo grado e non, invece, di assoluzione come nella specie. In altri termini, l’unico legittimo accertamento nel merito della responsabilità dell’imputato è stato quello conclusosi nella specie con una sentenza di assoluzione per insussistenza del fatto mentre, ragionando come fatto dalla Corte d’appello, tale affermazione giudiziaria verrebbe superata da una motivazione sommaria adottata in via incidentale a fronte di sentenza di prescrizione.
2.5. Con un sesto motivo lamenta infine, quanto alle statuizioni civili connesse al reato di cui al capo a), la nullità della sentenza per violazione degli artt. 576 e 578 cod. proc. pen.. In particolare deduce, da un lato, che l’art. 578, ritenuto applicabile dalla sentenza impugnata, presuppone una pronuncia di condanna e non già di assoluzione come quella invece adottata nella specie con riferimento al reato sub a) (non avendo comunque chiarito la sentenza impugnata che la condanna al risarcimento fosse limitata al reato di cui al capo b) e, dall’altro, che in assenza dì una autonoma impugnazione delle parti civili, il giudice d’appello non avrebbe potuto disporre comunque in ordine al risarcimento dei danni.
3. Ha presentato ricorso altresì […].
Dopo avere riepilogato la successione degli eventi anche di carattere amministrativo, con un primo motivo lamenta la mancanza e illogicità della motivazione quanto alla prova dell’effettiva sussistenza dei reati contestati. In particolare deduce che la Corte territoriale, a fronte della sentenza assolutoria di primo grado, si è limitata ad operare una rivisitazione delle risultanze di causa senza preoccuparsi di argomentare in merito alla inadeguatezza, incoerenza e insostenibilità della motivazione della sentenza del Tribunale.
3.1. Con un secondo motivo lamenta la violazione degli artt. 30 e 44 cit., la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione quanto alla configurabilità del reato di lottizzazione abusiva sebbene prescritto, e la violazione degli artt. 129 e 578 cod. proc. pen. con riferimento alla decisione in ordine alle statuizione civili in mancanza di impugnazione delle parti civili e in relazione a un reato estinto per prescrizione. Denuncia che la Corte d’appello, anziché limitarsi a pronunciare sentenza di proscioglimento per prescrizione, si sia pronunciata sull’azione civile nonostante non vi fosse stata sentenza di condanna in primo grado (unico presupposto per potere valutare anche il merito) e nonostante la parte civile non abbia proposto appello, in tal modo ritenendo la sussistenza del reato. Nel merito deduce come il giudice di appello abbia ritenuto che dall’accertata incompatibilità delle opere con le prescrizioni urbanistiche sia automaticamente disceso il reato di lottizzazione abusiva, senza considerare la presenza o meno di trasformazione urbanistica o edilizia dei terreni. In particolare rileva come l’immobile preesistente, opificio industriale ove venivano lavorati ingenti quantitativi di pomodori, non ha certamente perso né poteva perdere la propria destinazione d’uso industriale per effetto della dismissione dell’attività, giacché solo una variante della strumentazione urbanistica poteva determinare una variazione della destinazione di zona. Sicché ove la … avesse voluto riavviare l’attività dell’opificio, avrebbe potuto farlo senza necessità di mutarne la destinazione poiché essa era già industriale. Conseguentemente l’intervento eseguito, anche a ritenerlo fondato su un atto illegittimo, non può avere comportato un mutamento di destinazione urbanistica né alcun aumento di carico urbanistico con conseguente inconfigurabilità del reato di lottizzazione abusiva. Deduce, infine, il ragionamento tautologico a conforto della ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato fondato sulla illegittimità dell’intervento realizzato, peraltro accertata solo successivamente a seguito delle pronunce del giudice amministrativo, e la mancanza di motivazione in ordine all’effettiva sussistenza del concorso di persone in particolare in relazione al contributo causale fornito.
3.2. Con un terzo motivo lamenta la violazione degli artt. 476 e 479 cod. pen. e la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione in relazione alla configurabilità del reato di falso ideologico. La sentenza impugnata, sostenendo che il ricorrente avrebbe inserito false dichiarazioni sulla compatibilità dell’intervento, sulla natura di attività connessa all’agricoltura, sull’esenzione dall’autorizzazione paesaggistica e sulla piena conformità agli strumenti urbanistici, ha omesso di considerare che dette dichiarazioni esprimevano giudizi valutativi fondati sull’interpretazione della normativa di riferimento ed espressi in buona fede dal dirigente la cui erroneità è emersa solo a seguito della complessiva disamina della fattispecie da parte del massimo organo della giustizia amministrativa come dimostrato dalla complessità della questione affrontata dal Consiglio di Stato. Ciò anche in relazione all’elemento in definitiva determinante dato dalla qualificazione della sansa vergine quale sottoprodotto agricolo e non quale prodotto agricolo. A tutto concedere, dunque, si sarebbe trattato di un errore sulla legge extrapenale o, comunque, di errore sulla legge penale certamente scusabile senza che vi sia alcun elemento che consenta di ritenere esistente qualsivoglia previo accordo tra gli imputati. Il tempo di trattazione della pratica avrebbe poi una valenza assolutamente neutra mentre l’elemento psicologico del reato di falso non potrebbe certamente farsi discendere dalla consumazione della contravvenzione di cui al capo a).
3.3. Con un quarto motivo lamenta la violazione degli artt. 576 e 578 cit. nonché la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione posto che, in assenza di impugnazione delle parti civili, la Corte territoriale non avrebbe potuto disporre in ordine al risarcimento dei danni con riferimento al reato prescritto a fronte di sentenza di assoluzione di primo grado non essendovi elementi per ritenere che la condanna al risarcimento sia stata emessa unicamente con riferimento al reato di falso e non anche a quello di lottizzazione.
3.4. Con un quinto motivo denuncia la violazione degli artt. 62 bis, 81 e 133 cod. pen. e la mancanza e illogicità della motivazione posto che all’imputato avrebbero dovuto essere riconosciute le circostanze attenuanti generiche in ragione della reale portata dei fatti e dell’atteggiamento processuale tenuto dall’imputato incensurato mentre nella specie non è dato riscontrare una specifica e analitica valutazione degli elementi favorevoli dedotti dall’imputato né degli elementi per i quali il giudicante ha ritenuto di escludere le predette circostanze; in ragione di ciò la pena avrebbe dovuto anche essere ricondotta a misura più mite.
4. In data … 2017 la parte civile… ha presentato memoria.
5. In data … 2019 […] ha presentato motivi nuovi di cui il primo ripropositivo delle censure del primo originario motivo, il secondo del quinto originario motivo, lamentandosi anche la intervenuta confisca (già in sé illegittima, pur dopo la sentenza Gienn contro Italia della Corte edu, in assenza dì sentenza di condanna in primo grado) dell’intero opificio e dell’area relativa, senza commisurarla alle sole opere ritenute esorbitanti rispetto a quelle regolarmente autorizzate, e il terzo del terzo originario motivo, a cui si aggiungono censure in ordine alla motivazione circa l’elemento soggettivo del reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi proposti da […] e […] si caratterizzano, come ben si può rilevare dal riepilogo sopra effettuato, per la sostanziale identità delle questioni poste, quand’anche a volte trattate con differenti sfumature
I primi due motivi del ricorso di […] e i primi due motivi del ricorso […], esaminabili congiuntamente quanto al comune aspetto della affermazione della sussistenza delle componenti del reato di lottizzazione, tuttavia non esitata in sentenza di condanna stante la presa d’atto della intervenuta prescrizione, appaiono, su detto punto, inammissibili. Un tale giudizio impone, tuttavia, per ragioni logiche, la necessaria anticipazione della trattazione del tema posto dal ricorrente […] con il sesto motivo e dal ricorrente […] con il secondo, laddove da entrambi si è dedotta la nullità della sentenza impugnata quanto alle statuizioni civili in essa contenute sul presupposto della erronea applicazione, da parte della Corte d’appello, della previsione dell’art. 578 cod. proc. pen.; tale presupposto, infatti, correttamente evidenziato dal ricorrente, spiegando già qui la ragione per la quale la sentenza impugnata non avrebbe potuto estendere la propria valutazione dei fatti al di là del canone della insussistenza di evidenti ragioni per pervenire ad un proscioglimento nel merito ex art. 129 cpv. cod. proc. pen., rende anche conto, allo stesso tempo, del fatto che i ricorsi avrebbero dovuto farsi carico di evidenziare esattamente la emersione di elementi tali da imporre, con evidenza, l’assoluzione nel merito per inconfigurabilità del reato, solo così potendosi superare la declaratoria di improcedibilità adottata dai giudici di appello.
Come già spiegato sopra, infatti, la sentenza impugnata ha, quanto al reato di lottizzazione di cui al capo a) d’imputazione, ed in riforma della sentenza assolutoria per insussistenza del fatto pronunciata in primo grado, dichiarato la improcedibilità, nei confronti di entrambi gli imputati, per estinzione dovuta a prescrizione.
Ha poi giustificato, ciononostante, la prosecuzione del giudizio al di là dell’apprezzamento delle sole cause giustificanti con evidenza il proscioglimento nel merito secondo il canone rappresentato dall’art. 129 cpv. cod. proc. pen., affermando l’inapplicabilità di quest’ultimo nei casi in cui, a fronte dì sentenza di condanna e di presenza della parte civile, l’art. 578 cod. proc. pen. imporrebbe di pronunciarsi sull’azione civile (testualmente, a pag. 16 : «Nel caso in esame l’accertamento pieno del reato di lottizzazione abusiva in tutti i suoi elementi soggettivi ed oggettivi non è di certo impedito dalla declaratoria di estinzione del reato per prescrizione. Infatti il canone di economia processuale che impone la declaratoria della causa di proscioglimento quando la prova della innocenza non risulti ictu oculi, previsto dall’art. 129 c.p.p., non trova applicazione quando vi sia la presenza della parte civile e di una condanna in primo grado che impone, ai sensi dell’art. 578 cod. proc. pen., di pronunciarsi sull’azione civile»).
Sennonché, come esattamente lamentato con i già menzionati motivi di entrambi i ricorsi, sia pure ai fini della dedotta illegittimità delle statuizioni civili adottate, la previsione dell’art. 578 cod. proc. pen. è stata, nella specie, erroneamente applicata posto che, in primo grado, gli imputati vennero, come già detto, entrambi assolti e non già condannati (v. tra le altre, infatti, nel senso che la decisione sulle restituzioni e sul risarcimento del danno può essere adottata solo nel caso in cui nel precedente grado di giudizio sia stata affermata, con la sentenza di condanna, la responsabilità dell’imputato, Sez. 4, n.33778 del 20/06/2017, Casilli, Rv. 270992).
Ne consegue che la Corte territoriale, una volta preso atto della maturata prescrizione (sulla cui data di effettiva maturazione, addirittura anteriore alla pronuncia della sentenza di primo grado, si veda oltre sub § 1.3.) e dato altresì atto della insussistenza di elementi fondanti con evidenza il proscioglimento nel merito, avrebbe dovuto non condurre oltre la propria valutazione del merito in applicazione del principio sul punto posto da Sez. U., Sez. U., n. 35490 del 28/05/2009, …. Va infatti tenuto conto della funzione attribuibile alla disposizione dell’art. 129 cit. che opera con carattere di pregiudizialità nel corso dell’intero iter processuale, inteso come giudizio in senso tecnico, quello cioè di primo grado, di appello o di cassazione, fasi queste in cui si instaura la piena dialettica processuale tra le parti e il giudice ha piena capacità cognitiva per scegliere la formula liberatoria più opportuna, nel rispetto delle legittime aspettative dell’imputato (v. Sez. U. n. del 29/12/2001, PG …). Due sono, infatti, secondo quanto affermato in particolare da Sez. U., n. 17179 del 27/02/2002, …, le funzioni fondamentali che assolve tale norma: «la prima è quella di favorire l’imputato innocente (o comunque da prosciogliere o assolvere), prevedendo l’obbligo dell’immediata declaratoria di cause di non punibilità “in ogni stato e grado del processo”, la seconda è quella di agevolare in ogni caso l’exitus del processo, ove non appaia concretamente realizzabile la pretesa punitiva dello Stato; implicita a tali funzioni ve n’è una terza, consistente nel fatto che l’art. 129 c.p.p. rappresenta, sul piano processuale, la proiezione del principio di legalità stabilito sul piano del diritto sostanziale dall’art. 1 c.p.. In sostanza, l’art. 129 si muove nella prospettiva di troncare, allorché emerga una causa di non punibilità, qualsiasi ulteriore attività processuale e di addivenire immediatamente al giudizio, anche se fondato su elementi incompleti ai fini di un compiuto accertamento della verità da un punto di vista storico».
Non può inoltre trascurarsi, secondo quanto sempre affermato dalle Sezioni Unite, l’ulteriore fine, perseguito dalla norma, di contemperamento dell’interesse dell’imputato ad una più ampia possibilità di vedere proseguire l’attività processuale in vista di un auspicato proscioglimento con formula liberatoria di merito, «con l’aspetto, non meno rilevante, dell’exitus del processo quale obiettivo da perseguire, la cui importanza non può certamente sottovalutarsi, posto che la disciplina d’impulso alla sollecita definizione del processo tutela un fondamentale interesse di carattere costituzionale (art. 111, comma 2, Cost.: ragionevole durata del processo) che non può essere considerato aprioristicamente di rango inferiore ad altri interessi pur apprezzabili e, in ogni caso, sempre tutelabili. Il principio dell’immediata operatività della causa estintiva e, quindi, della priorità di essa anche rispetto alle questioni di nullità assoluta, fatto salvo il limite dell’evidente innocenza dell’imputato (art. 129 cpv. c.p.p.), è frutto di una scelta legislativa che trova la sua ratio nell’intento di evitare la prosecuzione infruttuosa di un giudizio e nella finalità di assicurare la pronta definizione dello stesso, evitando così esasperati, dispendiosi e inutili formalismi».
1.1. Così delineati, dunque, i limiti fisiologici che si ponevano alla cognizione del giudice di appello, tali, tra l’altro, da rendere ininfluente, come meglio si spiegherà oltre, la affermazione della ritenuta sussistenza del reato quanto alle operate statuizioni inerenti la confisca e il risarcimento del danno, la sentenza impugnata, ben spiegando le ragioni per le quali il reato di lottizzazione doveva ritenersi sussistente (pur non potendo a ciò seguire alcuna affermazione di responsabilità giacché estinto per intervenuta prescrizione), ha, per ciò stesso, come evidente, a fortiori implicitamente chiarito anche come nessuna questione di prevalenza di proscioglimento nel merito rispetto alla declaratoria di estinzione per prescrizione poteva, evidentemente, porsi. E’ incontestato in fatto che, sull’area agricola contrassegnata dal foglio 2 part.41, sub. 1, 2 e 3, e sulla quale in precedenza era stato realizzato un conservificio di grandi dimensioni della …, in esercizio al momento dell’approvazione del nuovo strumento urbanistico, venne successivamente realizzato attraverso la sua ristrutturazione, dell’ opificio ormai da tempo dismesso, un nuovo complesso immobiliare essenzialmente dedito alla produzione e commercializzazione di ohi grezzi vegetali e di nocciolino di sansa, assentito con il permesso di costruire in sanatoria n. … del 2008 (poi annullato, così come tutti gli atti presupposti, in sede di giudizio amministrativo culminato con la sentenza del 16/02/2010 del Consiglio di Stato).
A fronte, dunque, dell’intervenuto insediamento, sull’area in oggetto, tipizzata dallo strumento urbanistico già in vigore come “E2”, ovvero “a destinazione agricola e connesse” o a “destinazioni d’uso compatibili con quella agricola”, di uno stabilimento industriale di secondo livello (in quanto utilizzante, secondo quanto stabilito anche dal Consiglio di Stato nella già citata sentenza resa nell’ambito del parallelo contenzioso di natura amministrativa, un sottoprodotto di una lavorazione tale da recidere il rapporto di connessione con l’attività agricola…senza alcuna connessione con la chiusura del ciclo produttivo), la sentenza impugnata ha coerentemente qualificato l’intervento operato come tale da avere comportato una modifica della destinazione d’uso rilevante anche dal punto di vista strettamente urbanistico in quanto appunto determinante l’assegnazione dell’area interessata dall’edificazione ad una categoria funzionale (ovvero industriale) diversa da quella prevista dalla pianificazione vigente (ovvero agricola o rurale) cui è tra l’altro conseguito un incremento inevitabile degli standard urbanistici.
1.2. Il percorso logico-giuridico seguito dalla sentenza impugnata, e appena sopra sintetizzato, non appare minimamente posto in crisi dalle doglianze del ricorrente, essenzialmente incentrate sulla mancanza di “trasformazione urbanistica ed edilizia dei terreni” (argomento, questo, sostanzialmente già utilizzato dal Tribunale per pervenire ad assoluzione) nonché sulla pretesa corretta “lettura” dell’art. 9.2. delle Nta, che, in un’ottica di conservazione dell’originaria destinazione d’uso, avrebbe dovuto imporre, contrariamente alle conclusioni dei giudici di appello, di considerare come legittima la realizzazione del nuovo stabilimento.
Quanto al primo aspetto, l’assunto difensivo trascura di considerare che la “trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni” di cui al dettato dell’art. 30 del d.P.R. n. 380 del 2001 ben si realizza anche laddove, come nella specie, attraverso la condotta di trasformazione dello stabilimento, si ponga appunto in essere una modifica della destinazione d’uso dell’area, che, da agricola, viene in fatto mutata in industriale, così pregiudicandosi la programmazione territoriale impressa dallo strumento urbanistico.
L’argomento sollevato sembrerebbe infatti evocare l’orientamento che, in una remota pronuncia di questa Sezione, aveva condotto ad affermare che il mutamento di destinazione d’uso non poteva considerarsi idoneo ad integrare il reato di lottizzazione abusiva giacché una corretta interpretazione dell’allora art.18 della I. n. 47 del 1985 (antecedente dell’attuale art.30 del d.P.R. n. 380 del 2001) non poteva consentire di intravedere il reato di lottizzazione se non in caso di modifica dei terreni e non degli edifici già esistenti (Sez. 3, n. 6094 del 08/05/1991, …). Sennonché un tale iniziale indirizzo ha trovato costante smentita in tutta la successiva giurisprudenza di questa Corte che non ha mai dubitato, sino ad oggi, del fatto che ben possa la trasformazione di cui all’art. 30 cit. realizzarsi anche per il tramite del mutamento di destinazione d’uso nel caso in cui venga alterato il complessivo assetto del territorio comunale attuato mediante lo strumento urbanistico al quale è affidata la pianificazione delle diverse destinazioni d’uso del territorio e l’assegnazione a ciascuna di esse di determinate quantità e qualità di servizi (v. tra le altre, Sez. 3, n. 24096 del 13/06/2008, …; specialmente in relazione al mutamento di destinazione d’uso da alberghiera a residenziale, poi, Sez. 3, n. 17865 del 29/04/2009, Quarta e altri, Rv. 243748; Sez. 3, n. 27289 de1 10/07/2012, …).
E non può certo dubitarsi del fatto che detta esegesi risponda alla ratio della normativa relativa, che è quella di sanzionare le condotte che compromettono la scelta di destinazione e di uso riservata alla competenza pubblica e, in definitiva, qualsiasi attività che oggettivamente comporti anche solo il pericolo di una urbanizzazione non prevista o diversa da quella programmata.
Quanto al secondo profilo, comunque connesso al primo, va ricordato che l’art.9.2. della N.t.a. del Comune […] stabilisce, per le zone E.2., “tutte le destinazioni d’uso compatibili con quella agricola, ivi compresa la costruzione di complessi produttivi agricoli e di opifici industriali purché strettamente connessi con la trasformazione dei prodotti agricoli e con la zootecnia”, mentre “per gli edifici industriali esistenti al momento di adozione del PRG”, prevede che “in caso di cessazione di attività industriali esistenti non correlate con l’attività agricola gli edifici relativi dovranno essere destinati esclusivamente all’attività agricola o ad essa connessa”.
E tale previsione appare essere stata correttamente interpretata dalla sentenza impugnata laddove ha affermato essere la stessa volta a mantenere nella zona agricola E.2 gli insediamenti produttivi esistenti anche con destinazione diversa da quella agricola fino alla loro dismissione e di consentire invece, per il futuro, una volta cessata detta attività, unicamente impianti produttivi strettamente connessi con la trasformazione dei prodotti agricoli e con la zootecnia, da qui dunque derivando l’esclusione in toto, una volta dismessi gli originari, antecedenti alla approvazione delle nuove norme, di impianti aventi, come quello della …, una destinazione puramente industriale.
E che l’attività, esercitata nel nuovo opificio, di lavorazione di sanse vergini, sia una vera e propria attività industriale di secondo livello è dimostrato, come affermato anche a pag.35 della sentenza del Consiglio di Stato in data 16/02/2010, dal processo tecnologico della stessa, consistente nella estrazione, mediante particolari strutture di essicazione ad aria calda, del nocciolino di sansa, da utilizzare come combustibile; e la utilizzazione di residui derivanti dalla lavorazione dell’oliva provenienti da opifici operanti su una vasta area territoriale e in cui la precedente lavorazione ne ha spezzato la diretta derivazione dalla produzione agricola in quanto tale, è ulteriore conferma della natura industriale dell’attività esercitata.
Sicché, contrariamente a quanto opinato dagli stessi ricorrenti, anche in sede di giudizio amministrativo si è potuto concludere nel senso della preclusione, per la … , anche della possibilità «di recupero delle attività industriali già esistenti contemplata dalle N.t.a.», neppure potendo assumere «alcun rilievo la circostanza che in precedenza negli edifici venisse svolta attività di pomodorificio, essendo detta attività cessata da moltissimi anni» (pag. 36 della sentenza del Consiglio di Stato).
In definitiva, dunque, i giudici dell’appello, motivatamente argomentando in ordine alle ragioni di ritenuta configurabilità del reato di lottizzazione, hanno, già solo per ciò, giustificato, a fronte della sentenza di assoluzione in primo grado, la declaratoria di improcedibilità per intervenuta estinzione del reato stesso per prescrizione, sia pure a fronte, come si spiegherà meglio oltre, a proposito del reato di falso, di una condotta solo colposa e non dolosa, come ritenuto dalla sentenza impugnata, sul punto dovendosi allora rettificare la motivazione relativa ai sensi dell’art. 619 cod. proc. pen., che, come già chiarito da questa Corte, non contemplando come tassativi i casi ivi previsti al comma 1, rende suscettibile di rettificazione ogni altro erroneo enunciato contenuto nella sentenza impugnata, del quale sia palese e pacifica la riconoscibilità, qualora non comporti la necessità dell’annullamento (Sez. 1, n.35423 del 18/06/2014, Ortolano, Rv. 260279).
E tali motivate argomentazioni non sono state per nulla contrastate dal ricorrente che, tanto più dovendo, come già chiarito, farsi riferimento, nella specie, per valutare la decisività degli argomenti addotti, al criterio regolatore dell’art. 129 cpv. cod. proc. pen., si è limitato a proporre una lettura dell’art. 44 cit. palesemente diversa da quella costantemente fatta propria dalla giurisprudenza e a dare una interpretazione dell’art. 9.2. delle N.t.a. chiaramente contrastante con il testo dello stesso.
1.3. Il primo motivo del ricorso di […] (cui corrisponde il primo motivo nuovo) e il terzo motivo del ricorso […] appaiono invece fondati con riferimento alla affermazione di responsabilità per il reato di falso sulla base della dedotta mancanza dell’elemento soggettivo. Va anzitutto precisato che, così come richiesto con il terzo motivo del ricorso […] (cui corrisponde il terzo motivo nuovo), il reato continuato in contestazione, rapportato agli artt. 476 e 479 cod. pen., deve in realtà, più correttamente, essere ricondotto alle previsioni di cui agli artt. 477 e 481 cod. pen. a fronte della natura di certificazione, e non già di atto pubblico, attribuibile, per costante indirizzo di questa Corte, alla relazione finalizzata al rilascio di permesso di costruire in sanatoria. Si è infatti chiarito, anche da ultimo, che commette il delitto di falsità ideologica in certificati, previsto dall’art. 481 cod. pen., il professionista che redige la relazione tecnica, allegata alla domanda di rilascio del permesso di costruire in accertamento di conformità, falsamente attestante la conformità dell’intervento alla normativa edilizia ed urbanistica, in quanto tale attestazione, provenendo da soggetto qualificato, ha la funzione di fornire un’esatta informazione alla pubblica amministrazione, pur non trattandosi di un’attestazione obbligatoriamente prevista dal procedimento amministrativo di riferimento, destinata a provare la verità di quanto in essa rappresentato (Sez. fer., n. 39699 del 02/08/2018, …; vedi anche, sia pure con riguardo alla d.i.a, Sez. 5, n. 21159 del 30/11/2016, … e Sez. 3, n. 3067/17 del 08/09/2016, ..).
Ciò posto, va allora ritenuto che non solo la motivazione non offra una puntuale disamina delle ragioni poste a fondamento della ritenuta sussistenza del dolo, quale elemento soggettivo necessario ai fini della configurabilità del reato, ma non consenta comunque, in ogni caso, tenuto conto dei dati fattuali esposti nella sentenza impugnata, la formulazione di un giudizio in tali termini.
La sentenza infatti ha fondato, a pag.18, la motivazione, da un lato, sulla operata qualificazione, «contro ogni evidenza, del sansificio come impianto industriale connesso con l’attività agricola allocabile in zona E 2 nonostante la risalente dismissione del precedente impianto beneficiario di norma di piano derogatoria», e, dall’altro, sui tempi estremamente rapidi di trattazione della pratica di sanatoria, interpretati come sintomo di «piena condivisione delle soluzioni adottate negli atti amministrativi…sulla scorta di affermazioni consapevolmente e volutamente false al fine di favorire rapidamente ed a tutti costi il progetto imprenditoriale di […]». Sennonché, quanto al primo argomento, appare giuridicamente incongrua nonché illogica una affermazione che, a ben vedere, tragga la prova dell’elemento soggettivo del reato di falso da quella che è, sul piano oggettivo, la qualificazione della natura dell’attività dell’opificio quale presupposto per ritenere mutata la destinazione d’uso e, dunque, integrato il reato di lottizzazione, tanto più potendo, tale fattispecie contravvenzionale, essere addebitata, per costante giurisprudenza, oltre che a titolo di dolo, anche solo a titolo di colpa. Appare, in altri termini, erroneo un processo valutativo che, ai fini di ritenere provato l’elemento soggettivo del reato di falso in certificazioni, faccia leva sulla difformità tra realtà effettiva e realtà attestata, rimanendo in tal modo del tutto inesplorato, salvo a far coincidere inammissibilmente l’elemento oggettivo del reato con quello soggettivo, il tema dell’atteggiamento psicologico necessariamente doloso dell’autore del fatto.
E questa Corte ha del resto già affermato che l’elemento soggettivo richiesto per l’integrazione del reato di falso è il dolo generico, il quale, tuttavia, non può essere considerato in re ipsa, in quanto deve essere rigorosamente provato, dovendosi escludere il reato quando risulti che il falso deriva da una semplice leggerezza ovvero da una negligenza dell’agente, poiché il sistema vigente non incrimina il falso documentale colposo (Sez.3, n. 30862 del 14/05/2015, …).
Quanto poi al secondo argomento, la sentenza ha in realtà offerto una diversa lettura rispetto a quella data sul punto dalla sentenza di primo grado, di per sé inidonea ad offrire una adeguata ragione, sul piano della necessaria motivazione “rafforzata”, del ribaltamento delle conclusioni assolutorie assunte dal Tribunale, tanto più avendo trascurato di contrastare gli elementi che il giudice di primo grado aveva motivatamente addotto a conforto della insignificanza in peius della tempestività di adozione dei provvedimenti amministrativi (tra le tante, infatti, nel senso che la sentenza di appello di riforma totale del giudizio assolutorio di primo grado deve confutare specificamente, pena altrimenti il vizio di motivazione, le ragioni poste dal primo giudice a sostegno della decisione assolutoria, dimostrando puntualmente l’insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti della sentenza di primo grado, anche avuto riguardo ai contributi eventualmente offerti dalla difesa nel giudizio di appello, e deve quindi corredarsi di una motivazione che, sovrapponendosi pienamente a quella della decisione riformata, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati, Sez. 6, n. 6221 del 20/04/2005, …).
Oltre a porre logicamente in rilievo che, in ogni caso, onde ricollegare a tale circostanza un significato sfavorevole sarebbe stato necessario verificare che una pari sollecitudine fosse mancata in casi analoghi, la sentenza di primo grado aveva infatti posto in rilievo che l’emissione dei titoli edilizi da parte dell'[…] era avvenuta quando ormai la gran parte dell’iter istruttorio in ordine all’istanza del .. 2017 era già stata sostanzialmente completata posto che, con nota del .. 2008, l’imputato aveva già comunicato alla … che l’originaria istanza volta a conseguire il rilascio del permesso di costruire aveva trovato favorevole accoglimento ed inoltre che le violazioni riscontrate il … 2008 non avevano riguardato minimamente la complessa questione della violazione della norma di piano ma, sostanzialmente, il ben più semplice profilo dell’anticipato avvio dei lavori “edilizi”.
Sicché, in definitiva, la motivazione della sentenza impugnata, i cui contenuti sul punto sono stati appena sopra riassunti, appare in realtà dare giustificazione semplicemente di un mero atteggiamento colposo degli imputati e del loro inadempimento rispetto ad un dovere di diligenza “rafforzato” di rispettare la legge ed i regolamenti che regolano l’attività edilizia gravante su chi, come nella specie […], sia professionalmente inserito in un settore collegato alla materia disciplinata dalla norma integratrice del precetto penale e su chi, come nella specie […], in ragione dell’attività imprenditoriale svolta, abbia l’onere di una adeguata informazione. Sennonché, come evidente, attesa la natura delittuosa del reato, il mero atteggiamento di negligenza non è idoneo ad integrare il dolo richiesto, prevalendo dunque la valutazione di tale aspetto, idonea a condurre ad una assoluzione nel merito dell’imputato, sulla prescrizione del reato maturata in data .. 2016 (a fronte di dies a quo del … 2008) stante la presenza, nel giudizio, delle parti civili che impone, secondo i principi enunciati da Sez. U., n. 35490 del 28/05/2009, .. , e nel rispetto della previsione dell’art. 578 cod. proc. pen., la valutazione del compendio probatorio anche al di là dei limiti rappresentati dall’art. 129 cpv. cod. proc. pen..
Di qui, dunque, l’annullamento in parte qua della sentenza impugnata senza rinvio a norma dell’art. 620 lett. I) cod. proc. pen., non offrendo il contesto fattuale esposto dalla stessa sentenza impugnata elementi che rendano necessari ulteriori accertamenti e, quindi, a tal fine, il rinvio del giudizio.
1.4. Il quarto motivo del ricorso di […] non è fondato.
Va anzitutto premesso che, effettivamente, il reato di lottizzazione abusiva risulta prescritto non solo prima della proposizione dell’atto di appello da parte del Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Lecce, ma, ancor prima, anteriormente alla stessa pronuncia della sentenza di primo grado in data 04/05/2016. Assunto infatti, come affermato dalla stessa sentenza impugnata, il dies a quo del 18/06/2010 coincidente con la data di consumazione del reato di lottizzazione, e considerati i periodi di sospensione segnatamente costituiti dai rinvii delle udienze dal … al … per adesione del Difensore all’astensione dalle udienze (calcolato in giorni quarantanove), dal … sempre per adesione all’astensione (calcolato in giorni centosessantacìnque) e dal … per legittimo impedimento (calcolato non interamente, come fatto dalla sentenza impugnata, ma per soli giorni sessanta come prescritto dall’art. 159, comma 1, n. 3) cod. pen.), il termine di prescrizione, pari complessivamente ad anni cinque, mesi nove e giorni quattro, risulta essere maturato il 22/03/2016.
Ciò posto, se è vero che, secondo quanto costantemente affermato da questa Corte, è inammissibile per difetto di interesse il ricorso per cassazione del pubblico ministero avverso la sentenza di assoluzione per insussistenza del fatto qualora, al momento della pronuncia della sentenza impugnata, fosse già maturata la prescrizione del reato, salvo che emerga un interesse concreto del pubblico ministero alla dichiarazione della causa di estinzione del reato rispondente a una ragione esterna al processo obiettivamente riconoscibile (da ultimo, Sez. 6, n. 2025/19 del 12/12/2018, …), nella specie appare comunque ugualmente ravvisabile, nonostante la maturata prescrizione, l’ interesse concreto del pubblico ministero appellante laddove lo stesso, nel proprio atto di gravame, rammentando la possibilità di operare la confisca dell’area lottizzata pur a fronte di maturata prescrizione, invocava, in senso opposto al dictum del primo giudice, la sussistenza materiale del fatto di lottizzazione quale necessario presupposto per potere operare, appunto, detta confisca.
Non può dubitarsi, infatti, che una tale prospettazione fosse idonea a qualificare un concreto interesse del pubblico ministero al gravame.
Né a diverse conclusioni può condurre il fatto che, comunque, come meglio si chiarirà oltre, la confisca invocata non avrebbe potuto essere disposta, essendo mancata un rituale accertamento del reato, quale necessario presupposto della misura, ed essendo tamquam non esset, a tali fini, la valutazione funditus del fatto, nelle sue componenti oggettive e soggettive, operata dalla Corte distrettuale nonostante la rilevata prescrizione.
Ciò che conta, infatti, ai fini della valutazione della sussistenza dell’interesse all’impugnazione, è unicamente la prospettazione della stessa : come infatti chiarito da questa Corte a Sezioni Unite, la predetta valutazione dell’interesse ad impugnare, sussistente allorché il gravame sia in concreto idoneo a determinare, con l’eliminazione del provvedimento impugnato, una situazione pratica più favorevole per l’impugnante, va operata con riferimento alla prospettazione rappresentata nel mezzo di impugnazione e non alla effettiva fondatezza della pretesa azionata (Sez. U., n. 28911 del 28/03/2019, ..).
1.5. Il quinto motivo del ricorso […] (cui corrisponde il secondo motivo nuovo) è, come preannunciato sopra, fondato.
Va premesso che, in ordine alla vexata quaestio della compatibilità della pronuncia di confisca delle aree lottizzate con la dichiarata prescrizione del reato di lottizzazione abusiva, l’indirizzo cui questa Corte è pervenuta è ormai nel senso affermativo : un significativo impulso in tal senso, e sulla scia di una impostazione che, per vero, già in precedenza, ed in senso sostanzialmente incontroverso, aveva condotto all’affermazione della possibilità di disporre la confisca pur in presenza di estinzione del reato per prescrizione, purché lo stesso venisse, nell’ambito di un giudizio contrassegnato dal contraddittorio delle parti, fatto oggetto di accertamento nelle sue componenti oggettive e soggettive (per tutte, Sez.3, n. 39078 del 13/07/2009, …; Sez. 3, n. 17066 del 04/02/2013, …; Sez. 3, n. 15888 del 08/04/2015, …), è stato rappresentato dalla decisione della Corte edu Grande Camera, G.i.e.m. S.r.l. contro Italia del 28/06/2018 che, “rivedendo” il precedente contrario orientamento espresso nella sentenza Varvara contro Italia del 23/10/2013, ha ravvisato, sia pure a determinate condizioni, la compatibilità, con i principi della Carta edu, della confisca non conseguente a pronuncia di condanna (da ultimo, tra le altre, Sez. 3, n.14743 del 20/02/2019, …; Sez. 3, n. 8350 del 23/01/2019, …).
Ciò che infatti, secondo la pronuncia della Grande Camera rileva, quale presupposto imprescindibile nell’ottica della tutela convenzionale, è infatti soltanto che i giudici del merito agiscano nel pieno rispetto dei diritti della difesa sanciti dall’articolo 6 della Convenzione e constatino che sussistano tutti gli elementi – oggettivi e soggettivi – del reato di lottizzazione abusiva, pur pervenendo ad una pronuncia di non luogo a procedere, ad esempio, soltanto a causa della prescrizione; ha precisato la Corte edu che “tali constatazioni, in sostanza, costituiscono una condanna nel senso dell’articolo 7, che in questo caso non è violato”.
Ciò che tuttavia osta, nella specie, alla confisca, è la circostanza che nessun accertamento del fatto nelle sue componenti oggettive e soggettive è stato effettuato nel giudizio di primo grado, conclusosi, anzi, nel senso, del tutto opposto, della insussistenza del reato di lottizzazione contestato.
Quanto poi all’accertamento svolto dal giudice di appello, lo stesso, una volta chiarito che detto giudice, come già spiegato sopra, avrebbe necessariamente dovuto prendere atto della prescrizione ai sensi dell’art. 129 cpv. cod. proc. pen. non potendo fare applicazione, come invece erroneamente ritenuto, della previsione dell’art. 578 cod. proc. pen., non potrebbe che valere nei limiti di “constatazione” contenuti nel canone di cui all’art. 129 cpv. cod. proc. pen., e sottolineati dalle Sezioni Unite Tettamanti già ricordate sopra sub § 1.3.
Del resto, anche a volere ritenere condivisibile l’orientamento, enunciato in alcune decisioni di questa Corte, secondo cui la previsione di cui all’art. 129 cpv. cit. non impedirebbe che il giudizio possa, ed anzi, secondo alcune letture, debba proseguire per accertare il reato ai soli fini della confisca, va precisato che lo stesso ha sempre, o esplicitamente, o anche solo implicitamente, riferito una tale potere-dovere o al giudice di primo grado, o a quello di appello laddove la confisca sia stata già disposta in primo grado, escludendosi dunque che lo stesso possa ricorrere allorquando, come nella specie, il giudizio di primo grado si sia risolto in sentenza assolutoria nel merito (tra le altre, Sez. 3, n. 22034 del 11/04/2019, …; Sez.3, n. 5936 del 27/02/2019, …; Sez. 3, n. 43630 del 25/06/2018, … ; Sez. 3, n. 53692 del 13/7/2017… ; conf. Sez. 3, n. 15126 del 5/4/2018, … non mass.).
Ciò che è, del resto, confermato dal riferimento che, nell’ambito di detto orientamento, alcune pronunce hanno operato, a riscontro della coerenza sistematica dell’impostazione, relativamente all’art. 578 bis cod. proc. pen. nel quale si contempla, infatti, quale presupposto logico-cronologico del potere del giudice di appello, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione o amnistia, di decidere sull’impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell’imputato, che sia già in precedenza stata ordinata la confisca (v., tra le altre, Sez.3, n. 31282 del 27/03/2019, …; Sez.3, n. 5936 del 27/02/2019, …).
E del resto, sotto altro profilo, ove si accolga l’impostazione seguita dalla Corte edu che, nel non rilevare ostacoli ad una adozione di confisca pur a fronte di prescrizione, ha, allo stesso tempo, tenuto a rimarcare la natura sanzionatoria della misura in oggetto, è allora inevitabile l’applicazione dei principi operati dalle Sezioni Unite, n. 31617 del 26/06/2016, .., che, proprio sul presupposto della natura sanzionatoria della confisca di cui all’art. 240, comma 2, n. 1, cod. pen., hanno affermato che il giudice, nel dichiarare l’estinzione del reato per prescrizione, può disporre la confisca del prezzo o del profitto del reato a norma dell’art. 240, comma 2, n. 1 cit. a condizione che vi sia stata una pronuncia di condanna e che l’accertamento relativo alla sussistenza del reato, alla penale responsabilità dell’imputato e alla qualificazione del bene da confiscare come prezzo o profitto rimanga inalterato nel merito nei successivi gradi di giudizio
Sicché, in definitiva, l’esistenza di una pronuncia di condanna, quanto meno in primo grado, rappresenterebbe il requisito minimo ed indifferibile per potersi proseguire nei successivi gradi di impugnazione anche al limitato fine di disporre la confisca nonostante l’intervenuta prescrizione del reato.
Conclusivamente, dunque, la sentenza impugnata non poteva disporre la confisca dell’area e dell’edificio interessati dalla lottizzazione, potendosi estendere tale conclusione anche […] in considerazione della natura non esclusivamente personale del motivo di ricorso.
1.6. Il sesto ed ultimo motivo […] e il secondo in parte qua e quarto di […] sono infine fondati quanto alla condanna al risarcimento dei danni operata relativamente al reato di lottizzazione.
Come già anticipato sopra, la Corte territoriale ha fatto erronea applicazione dell’art. 578 cod. proc. pen. laddove, ritenuta la prescrizione del reato di lottizzazione, ha, pur in presenza di sentenza di assoluzione in primo grado, ugualmente statuito in ordine alle conseguenze civilistiche, condannando l’imputato al risarcimento dei danni in favore delle parti civili.
Va ancora una volta richiamata l’affermazione di questa Corte, confermativa di un costante indirizzo sul punto che si fonda sul dato inequivoco dell’art. 578 cod. proc. pen., secondo cui, infatti, è illegittima la condanna dell’imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile pronunciata in sede di appello con sentenza che, su impugnazione del pubblico ministero, dichiari la sopravvenuta estinzione del reato per prescrizione, in riforma della sentenza di assoluzione di primo grado, in quanto la decisione sulle restituzioni e sul risarcimento del danno può essere adottata solo nel caso in cui nel precedente grado di giudizio sia stata affermata, con la sentenza di condanna, la responsabilità dell’imputato (Sez. 4, n. 33778 del 20/06/2017, …; v. anche, in precedenza, Sez. 4, n. 14014 del 04/03/2015, …).
Quanto alle statuizioni civili invece pronunciate in ordine al reato di falso (che il risarcimento si riferisca anche a quest’ultimo, lo si trae dalla affermazione della sentenza a pag. 19 secondo cui «le condotte illecite sin qui accertate, tanto quella di cui al capo a) quanto quella di cui al capo b), hanno cagionato danni risarcibili alle parti civili da liquidarsi in sede civile»), ogni possibile questione resta assorbita dall’annullamento della sentenza perché detto fatto non costituisce reato.
1.7. Resta infine assorbito il quinto motivo del ricorso […] in ordine al trattamento sanzionatorio.
2. In definitiva, ed in conseguenza di quanto sin qui esposto, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, con riferimento ad entrambi gli imputati, in relazione al reato di lottizzazione abusiva di cui al capo a) limitatamente alle disposta confisca e alla condanna al risarcimento del danno, nonché in relazione al reato di cui agli artt. 477 e 481 cod. pen., così riqualificato, di cui al capo b), perché il fatto non costituisce reato, con conseguente revoca delle statuizioni civili disposte con la sentenza impugnata. I ricorsi vanno infine rigettati nel resto […]