RITENUTO IN FATTO
- Con ordinanza del 9.07.2018 il giudice dell’esecuzione presso il Tribunale di Agrigento in accoglimento della richiesta del Pubblico Ministero revocava il beneficio della sospensione condizionale della pena applicato in favore di […] con sentenza n. 96/2013 del 24.1.2013 emessa dal Tribunale di Agrigento e parzialmente riformata dala Corte di Appello in data 5.11.2014, divenuta definitiva il 28.4.2017, sul rilievo della mancata ottemperanza all’ordine di demolizione di un manufatto abusivo, cui il medesimo beneficio era stato subordinato.
- Avverso l’ordinanza del giudice dell’esecuzione […], tramite i propri difensori, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando due motivi.
- Con il primo, contesta ai sensi dell’art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. la mancata applicazione dell’art. 34 comma II DPR 380/01 deducendo che, a fronte di una condanna relativa ad un abuso commesso in parziale difformità, l’acclarata impossibilità di procedere alla demolizione delle parti difformi senza incidere, mediante la stessa attività, sulla parte eseguita legittimamente, avrebbe dovuto portare il giudice ad escludere la revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena, reputando non imputabile all’imputata l’omessa demolizione. A fronte di tale errore, censura anche il correlato vizio di carenza ed illogicità della motivazione del provvedimento impugnato
- Con il secondo motivo contesta, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen. la mancata ricognizione della natura di sanzione penale dell’ordine di demolizione e la mancata applicazione del regime della prescrizione della pena ex art. 173 c.p.p., a fronte dell’intervenuto decorso di oltre cinque anni dall’adozione della sentenza del giudice di primo grado (del 24.1.2013) e di oltre sette anni dalla data di commissione del fatto (del […]2011).
CONSIDERATO IN DIRITTO
- Il ricorso è infondato.
1.1 Preliminarmente, appare utile evidenziare la diversità delle nozioni di totale e parziale difformità di un immobile abusivo. Si tratta di nozioni tra loro antitetiche, da cui discende il diverso approccio valutativo e comparativo da seguire per pervenire all’individuazione delle due tipologie di difformità edilizia. La nozione della parziale difformità implica la sussistenza di un titolo abilitativo descrittivo di uno specifico intervento costruttivo, cui si pervenga all’esito della fase realizzativa seppure secondo caratteristiche in parte diverse da quelle fissate a livello progettuale. Il concetto di totale difformità presuppone, invece, un intervento costruttivo che, riguardato necessariamente nel suo complesso, sia qualificabile, ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. n. 380 del 2001, come «[….] un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso […]». In altri termini, come è stato utilmente osservato, l’art. 31, comma 1, TUE richiama un concetto di «totale difformità» ancorato, «più che al confronto tra la singola difformità e le previsioni progettuali dell’intervento edilizio, alla comparazione sintetica tra l’organismo programmato nel progetto assentito e quello che è stato realizzato con l’intervento edilizio scaturito dall’attività costruttiva, con la conseguenza che, mentre il metodo valutativo utilizzabile per definire il concetto di ‘parziale difformità’ ha carattere analitico, quello destinato ad accertare la ‘totale difformità’ si fonda su una valutazione di sintesi collegata alla rispondenza o meno del risultato complessivo dell’attività edilizia rispetto a quanto è stato rappresentato nelle previsioni progettuali, le uniche prese in considerazione in fase di assenso amministrativo» (cfr. Sez. 3, n. 40541 del 18/06/2014 Rv. 260652 Cinelli; Sez. 3, n. 11956 del 22/12/2010 (dep. 24/03/2011 ) Rv. 249774 Cadau Giannetto).
La diversità delle due tipologie di abuso spiega anche le diverse scelte sanzionatorie operate dal legislatore mediante la previsione incondizionata della demolizione in caso di interventi realizzati «in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo ovvero con variazioni essenziali» (art. 31 comma 2 DPR 380/01) piuttosto che mediante la previsione di un ordine di demolizione destinato a non trovare esecuzione per abusi realizzati in parziale difformità, «quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità [..]» (cfr. art. 34 comma 2 DPR 380/01). - Con riguardo ‘al caso in esame va in particolare evidenziato come sia per l’ipotesi di abuso in “totale difformità” che per quella di realizzazione di un’opera in “difformità parziale” si richieda l’avvenuta adozione di un titolo abilitativo rilasciato dall’autorità amministrativa, di originario assenso alla realizzazione di un programmato intervento edilizio. Circostanza che, tuttavia, non riguarda l’abuso per cui è intervenuta la condanna della […], laddove la stessa difesa sostiene che trattasi di un «innalzamento e realizzazione della copertura del preesistente […]» immobile legittimamente realizzato (siccome risalente agli anni ’60). Si tratta, in altri termini, di un abuso intervenuto in mancanza di titolo abilitativo, atteso che esso non rientra in una delle esposte nozioni di parziale e totale difformità dal titolo, la cui configurazione presuppone in ogni caso l’autorizzazione di una progettazione edilizia originaria, rispetto alla quale confrontare gli esiti della successiva fase esecutiva, da valutare peraltro entro i limiti cronologici di realizzazione previsti per legge.
Questa Corte ha infatti precisato che «laddove ci si riferisce a parziale o totale difformità fra quanto eseguito e quanto assentito deve essere preso in considerazione esclusivamente il corpus delle opere oggetto di attuale intervento; nel senso che non integra certamente un’ipotesi di parziale difformità, costituendo, viceversa, un intervento in assenza di permesso, la realizzazione (quale parrebbe essere stata operata nel caso che ora interessa) di un manufatto del tutto nuovo, ancorché esso sia innestato su di una preesistente struttura di per sé conforme agli strumenti ed alle prescrizioni urbanistiche» (cfr. Sez III n. 16548 del 16 giugno 2016, Rv. 269624, Porcelli).
2.1. Pertanto, a fronte di un immobile già realizzato, seppur legittimamente, gli ulteriori, successivi interventi realizzati su di esso, in assenza di nuovo titolo abilitativo, quand’anche non stravolgano l’organismo edilizio non possono qualificarsi come opere realizzate in “parziale difformità”, stante l’assenza del necessario parametro, costituito dal titolo abilitativo che abbia autorizzato l’intervento e cui comunque deve riconnettersi la parte parzialmente difforme.
2.2. Appurato che l’opera abusivamente realizzata dalla ricorrente non rientra nella tipologia degli abusi in “parziale difformità”, deve rilevarsi come non trovi applicazione l’invocata fattispecie di cui all’art. 34 comma 2 del D.P.R. 380/01, dovendosi piuttosto valutare l’ordine di demolizione, cui è stato subordinato il beneficio della sospensione condizionale della pena, alla luce dell’art. 31 del D.P.R. 380/01. Rispetto a tale tipologia di ordine, la giurisprudenza consolidata di questa Corte sostiene che l’impossibilità tecnica di demolire un manufatto abusivo, nel caso in cui la sospensione condizionale della pena sia subordinata alla sua demolizione, rileva come causa di revoca del beneficio solo se non dipenda da causa imputabile al condannato. In particolare la Corte, a fronte del tentativo di giustificare la mancata demolizione di un manufatto abusivo posto in sopraelevazione in quanto tecnicamente impedita dalla presenza di un piano sottostante non abusivo, ha precisato che la dedotta impossibilità era imputabile alla condannata per aver realizzato, o comunque tollerato, l’esecuzione di una sopraelevazione in violazione della normativa urbanistica e del vincolo cautelare (cfr. Sez. 3, n. 19387 del 27/04/2016 Rv. 267108, Di Dio.; cfr. Sez. 3, n. 35972 del 22/09/2010, Lembo, Rv. 248569).
2.3. Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi dunque nel caso in esame: come emerge dalla relazione tecnica prodotta dalla ricorrente in sede di incidente di esecuzione e come sostenuto dalla difesa nel presente ricorso, il pericolo di cedimenti strutturali sulla parte legittima del manufatto è insorto proprio in ragione dell’inizio dell’attività demolitoria dell’abuso, per cui deve ricondursi necessariamente alla responsabilità della […] per avere la stessa realizzato o comunque tollerato l’esecuzione dell’intervento abusivo dalla cui demolizione discende il pericolo paventato. - Quanto al secondo motivo di impugnazione, è opportuna la seguente premessa. Questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015 Rv. 265540 Delorier) ha escluso la natura sanzionatoria dell’ordine di demolizione sulla base di una un’articolata disamina della relativa disciplina di cui al D.P.R. 380/01. Da essa si è evinto che la demolizione dell’abuso edilizio è stata disegnata dal Legislatore come un’attività avente finalità ripristinatorie dell’originario assetto del territorio imposta all’autorità amministrativa, la quale deve provvedervi direttamente nei casi previsti dall’art. 27, comma 2 del TUE o attraverso la procedura di ingiunzione. Si tratta, dunque, di sanzioni amministrative che prescindono dalla sussistenza di un danno e dall’elemento psicologico del responsabile, in quanto applicabili anche in caso di violazioni incolpevoli; come tali sono rivolte non solo alle persone fisiche, ma anche alle persone giuridiche ed agli enti di fatto e sono generalmente trasmissibili nei confronti degli eredi del responsabile e dei suoi aventi causa che a lui subentrino nella disponibilità del bene (cfr. anche. Consiglio di Stato, Sez. 4, n.2266 del 12\4\2011; Consiglio di Stato, Sez. 4, n. 6554 del 24\12\2008. V. anche Cass. Sez. 3, n. 48925 del 22/10/2009, Viesti, Rv. 245918). E’ stato in tal senso valorizzato anche il dato per cui, considerato il complesso delle disposizioni integranti la disciplina citata, i provvedimenti finalizzati alla demolizione dell’immobile abusivo adottati dall’autorità amministrativa risultano autonomi rispetto alle eventuali statuizioni del giudice penale e, più in generale, alle vicende del processo penale. Sempre questa Corte, nella sentenza in principio citata e con specifico riferimento alla demolizione ordinata dal giudice penale ai sensi dell’art. 31, comma 9 d.P.R., 380\01, ha osservato, in primo luogo, che la disposizione si pone in continuità normativa con il previgente art. 7 della legge 47/1985 (cfr. Sez. 3, n. 32211 del 29/5/2003, Di Bartolo, Rv. 225548) e costituisce atto dovuto del giudice penale, esplicazione di un potere autonomo e non alternativo a quello dell’autorità amministrativa, con il quale può essere coordinato nella fase di esecuzione (cfr. da ultimo Sez. 3, n. 55295 del 22/09/2016 Rv. 268844 Fontana).
Sulla base di queste premesse ha concluso nel senso che l’ordine in parola integra una sanzione amministrativa che assolve ad un’autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso, impone un obbligo di fare imposto per ragioni di tutela del territorio ed ha carattere reale. E’ per tali ragioni che l’ordine di demolizione impartito dal giudice può essere revocato dallo stesso giudice che lo ha emesso quando risulti incompatibile con un provvedimento adottato dall’autorità amministrativa, indipendentemente dal passaggio in giudicato della sentenza (Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014, Chisci, Rv. 260972; Sez. 3, n. 3456 del 21/11/2012 (dep.2013), Oliva, Rv. 254426; Sez. 3, n. 25212 del 18/1/2012, Maffia, Rv. 253050 Sez. 3, n. 73 del 30/4/1992, Rizzo, Rv. 190604; Sez. 3, n. 3895 del 12/2/1990, Migno, Rv. 183768).
E’ stato alfine osservato che «l’intervento del giudice penale si colloca a chiusura di una complessa procedura amministrativa finalizzata al ripristino dell’ originario assetto del territorio alterato dall’intervento edilizio abusivo, nell’ambito del quale viene considerato il solo oggetto del provvedimento (l’immobile da abbattere), prescindendo del tutto dall’individuazione di responsabilità soggettive, tanto che la demolizione si effettua anche in caso di alienazione del manufatto abusivo a terzi estranei al reato, i quali potranno poi far valere in altra sede le proprie ragioni. L’intervento del giudice penale, inoltre, non è neppure scontato, dato che egli provvede ad impartire l’ordine di demolizione se la stessa ancora non sia stata altrimenti eseguita».
Tali considerazioni dunque, incidono senza alcun dubbio, secondo questa Corte, sulla natura – di sanzione amministrativa – dell’ordine di demolizione impartito dal giudice, con ulteriori riflessi anche in tema di estinzione dell’ordine medesimo per il decorso del tempo. Sempre con la sentenza sopra richiamata (Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015 Rv. 265540 Delorier) si è evidenziato, infatti, che l’ordine impartito dal giudice non è soggetto alla prescrizione quinquennale stabilita per le sanzioni amministrative dall’art. 28 della I. 689\81, che riguarda le sanzioni pecuniarie con finalità punitiva (cfr. anche Sez. 3, n. 36387 del 07/07/2015 Cc. (dep. 09/09/2015 ) Rv. 264736 Formisano; Sez. 3, n. 16537 del 18/2/2003, Filippi, Rv. 227176) e, stante la sua natura di sanzione amministrativa, non si estingue neppure per il decorso del tempo ai sensi dell’art. 173 cod. pen. (cfr. anche Sez. 3, n. 36387 del 7/7/2015, Formisano cit.; Sez. 3, n. 19742 del 14/4/2011, Mercurio e altro, Rv. 250336; Sez. 3, n. 43006 del 10/11/2010, La Mela, Rv. 248670), atteso che quest’ultima disposizione si riferisce alle sole pene principali (Sez. 3, n. 39705 del 30/4/2003, Pasquale, Rv. 226573).
Da queste complessive considerazioni discende il principio di diritto stabilito con la sentenza richiamata per cui “la demolizione del manufatto abusivo, anche se disposta dal giudice penale ai sensi dell’art. 31, comma 9, qualora non sia stata altrimenti eseguita, ha natura di sanzione amministrativa che assolve ad un’autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso, configura un obbligo di fare, imposto per ragioni di tutela del territorio, non ha finalità punitive ed ha carattere reale, producendo effetti sul soggetto che è in rapporto con il bene, indipendentemente dall’essere stato o meno quest’ultimo l’autore dell’abuso.
3.1. La suesposta ricostruzione interpretativa è stata anche valutata in rapporto alle decisioni della Corte EDU in tema di definizione del concetto di “pena”, osservandosi che «..Per tali sue caratteristiche la demolizione non può ritenersi una «pena» nel senso individuato dalla giurisprudenza della Corte EDU e non è soggetta alla prescrizione stabilita dall’art. 173 cod. pen.” (cfr. (Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015 Rv. 265540 Delorier cit; e ancora Sez. 3, n. 41475 del 03/05/2016 Rv. 267977 Porcu). Si configura in altri termini una sanzione che tende alla riparazione effettiva di un danno e non è rivolta nella sua essenza a punire per impedire la reiterazione di trasgressioni a prescrizioni stabilite dalla legge.
Si tratta di principi pienamente condivisi dal Collegio, che ad essi intende dare continuità.
3.2. Alla luce delle considerazioni sopra svolte deve dunque pervenirsi alla conclusione che l’ordine di demolizione dell’immobile abusivo impartito dal giudice penale ai sensi dell’art. 31, comma 9 D.P.R. 380/01 integra una sanzione amministrativa di carattere ripristinatorio, come tale non rientrante nell’ambito di operatività dell’art. 173 c.p. né soggetta alla prescrizione stabilita dall’art. 28 della legge n. 689 del 1981 che attiene alle sole sanzioni pecuniarie con finalità punitiva. Le censure formulate dalla difesa al riguardo, non hanno quindi pregio. - Il ricorso dev’essere, dunque, dichiarato inammissibile […]