Corte di Cassazione, Sez. 3, Sentenza n. 9887 del 2018, dep. il 05/03/2018

[…]

RITENUTO IN FATTO

1.Con ordinanza in data 16.6.2017 il Tribunale di Napoli, adito in funzione di G.E., ha rigettato il ricorso con cui […], destinatario di ordine di demolizione delle opere edilizie abusive per le quali era stata pronunciata nei suoi confronti sentenza penale di condanna da parte dello stesso Tribunale partenopeo in data 6.5.1998, divenuta irrevocabile il successivo 6.3.1999, aveva richiesto la revoca dell’ingiunzione demolitoria sul presupposto della sopravvenuta perdita della titolarità del bene e della sostituzione del preesistente manufatto con altro realizzato con differenti materiali e diversa conformazione.

Avverso il suddetto provvedimento l’imputato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione, articolando un unico motivo con il quale censura, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all’art.31, comma 9 DPR 380/2001 e al vizio motivazionale, la risposta data dal Tribunale alle proprie specifiche doglianze sia perché carente in relazione allo specifico profilo secondo cui l’ordine di demolizione doveva riguardare solo le opere accertate come illegittime nella sentenza di condanna in cui era contenuto, sia perché illogica atteso che pur riconoscendo la diversità del nuovo manufatto rispetto a quello preesistente, affermava, contraddittoriamente che le nuove opere dovevano seguire le sorti di quello abusivo. Deduce che essendo stato il preesistente fabbricato in legno sostituito con altro in muratura, sostituzione questa ascrivibile non all’imputato, nei confronti del quale soltanto era stata pronunciata sentenza di condanna per l’abuso edilizio, bensì a […], diventata la nuova proprietaria del bene, l’ordine dì demolizione non poteva avere esecuzione attesa la diversità del manufatto che avrebbe dovuto costituirne oggetto, costituito dalla sola opera che era stata accertata come abusiva con la pronuncia di condanna, cui accede l’ingiunzione demolitoria.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso deve ritenersi inammissibile attesa la manifesta genericità delle censure che, lungi dal confrontarsi con le diffuse e puntuali argomentazioni del giudice di merito, si risolvono nella pedissequa riproduzione delle contestazioni già svolte e disattese dall’ordinanza impugnata.

E’ pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che l’ordine di demolizione delle opere abusive emesso dal giudice penale ha carattere reale e natura di sanzione amministrativa a contenuto ripristinatorio e deve pertanto essere eseguito nei confronti di tutti i soggetti che sono in rapporto col bene e vantano su di esso un diritto reale o personale di godimento, anche se si tratti di soggetti estranei alla commissione del reato (Sez. 3^, n. 47281 del 21/10/2009 – dep. 11/12/2009, Arrigoni, Rv. 245403), il che rende irrilevante la eventuale cessione a qualunque titolo del manufatto che ne costituisce oggetto a terzi: costoro subiranno, infatti, le conseguenze della demolizione allo stesso modo in cui sono soggetti agli effetti della acquisizione gratuita del manufatto con la relativa area di sedime al patrimonio indisponibile del Comune, ex art. 31 DPR 380/2001, in quanto la natura pubblicistica dell’ordine che colpisce il bene abusivo in ragione della lesione arrecata all’ambiente, prescinde dalle vicende traslative di natura civilistica, con la sola conseguenza che l’acquirente, se estraneo all’abuso, potrà rivalersi nei confronti del venditore a seguito dell’avvenuta demolizione (Sez. 3, n. 16035 del 26/02/2014 -dep. 11/04/2014, Attardi, Rv. 259802; Sez. 3, n. 42699 del 07/07/2015 – dep. 23/10/2015, Curcio, Rv. 265193). Ugualmente priva di pregio è la circostanza che il manufatto abbia successivamente al disposto ordine di demolizione subito una radicale trasformazione, la quale, costituendo un post-factum rispetto alla sentenza di condanna, diventata irrevocabile, cui l’ingiunzione demolitoria accede, non riveste alcuna rilevanza rispetto all’esecutività dell’ordine accessorio, che, secondo la costante giurisprudenza di questa Suprema Corte, può essere revocato solo in seguito al sopravvenire di legittimi provvedimenti amministrativi che siano assolutamente incompatibili con l’ordine stesso (Sez. 3, n. 30016 del 14/07/2011 – dep. 27/07/2011, D’Urso, Rv. 251023; Sez. 3, n. 1104 del 25/11/2004 – dep. 19/01/2005, PG in proc. Calabrese, Rv. 230815; Sez. 3, n. 14329 del 10/01/2008 – dep. 07/04/2008, Iacono Ciulla, Rv. 239708, secondo cui è possibile la revoca dell’ingiunzione quando risulti assolutamente incompatibile con atti amministrativi della competente autorità, che abbia conferito all’immobile altra destinazione o si sia proceduto alla regolarizzazione postuma di opere che, pur non conformi alle norme urbanistico – edilizie ed alle previsioni degli strumenti di pianificazione al momento in cui vennero eseguite, lo siano divenute solo successivamente).

Privi di rilievo è pertanto l’operazione di radicale trasformazione del manufatto eccepita dal ricorrente posto che qualunque intervento eseguito su un immobile abusivo non ne elimina il carattere illecito che è stato a suo tempo accertato con la sentenza penale di condanna. Invero, secondo quanto già affermato da questa Corte l’ordine di demolizione del manufatto abusivo, previsto dall’art. 31, comma nono, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, riguarda l’edificio nel suo complesso, comprensivo di eventuali aggiunte o modifiche successive all’esercizio dell’azione penale e/o alla condanna, atteso che l’obbligo di demolizione si configura come un dovere di “restitutio in integrum” dello stato dei luoghi e, come tale, non può non avere ad oggetto sia il manufatto abusivo originariamente contestato, sia le opere accessorie e complementari nonché le superfetazioni successive, sulle quali si riversa il carattere abusivo dell’originaria costruzione. (Sez. 3, n. 6049 del 27/09/2016 – dep. 09/02/2017, Molinari, Rv. 268831 che ha ritenuto corretta la decisione con cui la Corte territoriale, in funzione di giudice dell’esecuzione, aveva respinto la richiesta, formulata dal proprietario del piano primo di un edificio, di revoca o modifica dell’ordine di demolizione del piano terreno, disposto con sentenza nei confronti del responsabile dell’abuso; Sez. 3, Sentenza n. 21797 del 27/04/2011 Cc., dep. 31/05/2011, Rv. 250389). In altri termini, a seguito dell’irrevocabilità della sentenza di condanna, l’ordine di demolizione si estende anche alle aggiunte o modifiche, quantunque radicali, successivamente eseguite non potendo consentirsi che “un qualunque intervento additivo, abusivamente realizzato, possa in qualche modo ostacolare l’integrale attuazione dell’ordine giudiziale di demolizione dell’opera cui accede e, quindi, impedire la completa restituito in integrum dello stato dei luoghi disposta dal giudice con sentenza definitiva”, finendo altrimenti con l’incentivarsi le più diverse forme di abusivismo, funzionali ad impedire o a ritardare a tempo indefinito la demolizione di opere in precedenza ed illegalmente eseguite (Sez. 3, Sentenza n. 2872 del 11/12/2008 Cc., dep. 22/01/2009, Rv. 242163).

Nel caso che ci occupa il Tribunale partenopeo, con una motivazione coerente e logica e rispondendo in maniera compiuta all’istanza dell’odierno ricorrente, ha operato una corretta applicazione dei sopra enunciati principi di diritto.

Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile.

[…]