Corte di Cassazione, Sez. 4, Sentenza n. 2814 del 2011, dep. il 27/01/2011

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Fatto e diritto
Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Napoli confermava quella di primo grado che aveva ritenuto la responsabilità di […] per il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione della normativa antinfortunistica in danno del lavoratore […] ( fatto del … settembre 2006). Le circostanze di tempo e di luogo dell’infortunio sono rimaste incontestate: il […], dipendente della […] s.p.a, alla guida di un trattore agricolo, utilizzato ordinariamente per la movimentazione dei vagoni ferroviari all’interno dello stabilimento sopra indicato, mentre compiva la manovra in retromarcia all’ingresso del capannone n. 14- manovra necessaria per accedere al capannone n. 10, ove doveva essere posizionata una carrozza ferroviaria- cadeva lateralmente in una fossa di ispezione posta lungo tutto il capannone, lasciata aperta, e così sbalzato al di fuori della cabina, cadeva in tale fossa, ove rimaneva schiacciato dalle ruote del trattore. Il […], era stato chiamato a risponderne, quale responsabile del servizio prevenzione e protezione della società […], essendosi ravvisati a suo carico profili di colpa generica e specifica, non avendo lo stesso valutato adeguatamente i rischi connessi alle mansioni che gli operai dovevano svolgere durante le operazioni di movimentazione della carrozze, rischi derivanti in particolare dalla presenza delle fosse di lavorazione non protette al fine di evitare la caduta accidentale di uomini e i mezzi. Avverso la predetta decisione propone ricorso per cassazione l’imputato articolando due motivi. Con il primo motivo lamenta la manifesta illogicità della motivazione che aveva addebitato all’imputato la responsabilità per la mancata predisposizione di adeguate misure di protezione alla fossa di lavorazione presente nel capannone n. 14, sulla scorta delle affermazioni di un teste, smentita dal ricorrente, secondo il quale per accedere al capannone n. 10 si doveva obbligatoriamente entrare in quello n. 14 nonché sulla affermata inidoneità dei sistemi di protezione (paletti di recinzione e catenelle di sicurezza da apporre alle fosse in assenza di attività lavorativa). Tale ultima valutazione trascurerebbe la circostanza che il documento di valutazione dei rischi prendeva in considerazione esclusivamente i luoghi nei quali si poteva svolgere attività lavorativa e che il […] aveva segnalato al datore di lavoro la necessità di tenere rigorosamente chiuso il capannone n. 14, in cui non si svolgeva alcuna attività lavorativa e non competeva certamente al responsabile del servizio di prevenzione e protezione l’obbligo di sovrintendere le attività lavorative, controllandone lo svolgimento. Ciò soprattutto tenuto conto che dalla documentazione in atti emergeva che i capannoni, compreso quello n. 14 rimanevano chiusi proprio in ossequio alle indicazioni impartite dal […]. Con il secondo motivo, strettamente connesso, si duole della manifesta illogicità della motivazione laddove la Corte di merito aveva trascurato i limiti del potere si intervento spettante al responsabile del servizio di prevenzione e protezione, a cui compete segnalare tempestivamente al datore di lavoro la situazione di pericolo, così come era stato puntualmente fatto dall’imputato, e non adottare le misure antinfortunistiche e di controllo dello svolgimento delle attività lavorative, spettante al datore di lavoro.
Il ricorso è infondato giacchè le argomentazioni del giudicante con riferimento al profilo della colpevolezza dell’imputato sono convincenti ed in linea con la giurisprudenza di questa Corte.
Premesso che la chiusura dei capannoni, tra cui il 14, non era effettiva, risultando spesso le porte aperte ovvero normalmente apribili da parte degli operai, e che l’operazione posta in essere dalla vittima, comportava necessariamente l’invasione con il trattore a marcia indietro del detto capannone posto di fronte a quello dove doveva essere introdotto il materiale rotabile, i giudici di merito affermano che la responsabilità dell’imputato risiede nella negligente sottovalutazione dei rischi, collegati alla presenza nei capannoni di ampie fosse, aventi la lunghezza dei capannoni, e nella imperizia dimostrata dallo stesso attraverso l’indicazione nel documento di valutazione dei rischi di rimedi del tutto inidonei ( paletti di recinzione e catenelle di sicurezza da apporre alla fosse quando non vi era attività lavorativa)ad affrontare la situazione di pericolo.
Da questa premesse in fatto, non sindacabili in questa sede, la sentenza fa discendere la responsabilità del […], che, nella qualità di responsabile del servizio di prevenzione e protezione era tenuto non solo a segnalare l’effettività del rischio ma anche a proporre concreti ed idonei sistemi di prevenzione e protezione per evitare gli eventi, come quello verificatosi.
Tale conclusione non contrasta, come sostiene il difensore con i principi consolidati di questa Corte, correttamente richiamati anche nel ricorso, senza però trarne coerente interpretazione.
In proposito, si rileva che la sentenza non pone in discussione il principio che il responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP) che non è titolare di alcuna posizione di garanzia rispetto all’osservanza della normativa antinfortunistica e che lo stesso opera, piuttosto, quale “consulente” in tale materia del datore di lavoro, il quale è [e rimane] direttamente tenuto ad assumere le necessarie iniziative idonee a neutralizzare le situazioni di rischio.
In effetti, la “designazione” del RSPP, che il datore di lavoro è tenuto a fare a norma dell’articolo 31 del decreto cit. [individuandolo, ai sensi del successivo articolo 32, tra persone i cui requisiti siano “adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative”], non equivale a “delega di funzioni” utile ai fini dell’esenzione del datore di lavoro da responsabilità per la violazione della normativa antinfortunistica, perché gli consentirebbe di “trasferire” ad altri — il delegato- la posizione di garanzia che questi ordinariamente assume nei confronti dei lavoratori. Posizione di garanzia che, come è noto, compete al datore di lavoro in quanto ex lege onerato dell’obbligo di prevenire la verificazione di eventi dannosi connessi all’espletamento dell’attività lavorativa.
Dalla ricostruzione dei compiti del RSPP discende, coerentemente, che il medesimo è privo di capacità immediatamente operative sulla struttura aziendale, spettandogli solo di prestare “ausilio” al datore di lavoro nella individuazione e segnalazione dei fattori di rischio delle lavorazioni e nella elaborazione delle procedure di sicurezza nonché di informazione e formazione dei lavoratori (cfr. articolo 33 del decreto cit.). Il datore di lavoro, quindi, è e rimane il titolare della posizione di garanzia nella subiecia materia, poiché l’obbligo di effettuare la valutazione dei rischi e di elaborare il documento contenente le misure di prevenzione e protezione, appunto in collaborazione con il RSPP, fa pur sempre capo a lui, tanto che la normativa di settore, mentre non prevede alcuna sanzione penale a carico del RSPP, punisce direttamente il datore di lavoro già per il solo fatto di avere omessa la valutazione dei rischi e non adottato il relativo documento. Quanto detto, però, non esclude che, indiscussa la responsabilità del datore di lavoro che rimane persistentemente titolare della “posizione di garanzia”, possa profilarsi lo spazio per una (concorrente) responsabilità del RSPP. Anche il RSPP, che pure è privo dei poteri decisionali e di spesa [e quindi non può direttamente intervenire per rimuovere le situazioni di rischio], può essere ritenuto (cor)responsabile del verificarsi di un infortunio, ogni qualvolta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l’obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere che alla segnalazione avrebbe fatto seguito l’adozione, da parte del datore di lavoro, delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare detta situazione (Sezione IV, 13 marzo 2008, Reduzzi ed altro; Sezione IV, 15 febbraio 2007, Fusilli; Sezione IV, 20 aprile 2005, Stasi ed altro; di recente, cfr. Sezione IV, 2 febbraio 2010, Proc. Rep. Trib. Gorizia in proc. Visintin ed altro). Il RSPP, quindi, non può essere chiamato a rispondere per il solo fatto di non avere svolto adeguatamente le proprie funzioni di verifica delle condizioni di sicurezza, proprio perché come si visto, difetta una espressa sanzione nel sistema normativo. Il fatto, però, che la normativa di settore escluda la sanzionabilità penale o amministrativa di eventuali comportamenti inosservanti dei componenti del servizio di prevenzione e protezione, non significa che questi componenti possano e debbano ritenersi in ogni caso totalmente esonerati da qualsiasi responsabilità penale e civile derivante da attività svolte nell’ambito dell’incarico ricevuto. Infatti, occorre distinguere nettamente il piano delle responsabilità prevenzionali, derivanti dalla violazione di norme di puro pericolo, da quello delle responsabilità per reati colposi di evento, quando, cioè, si siano verificati infortuni sul lavoro o tecnopatie. Ne consegue che il responsabile del servizio di prevenzione e protezione qualora, agendo con imperizia, negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi e discipline, abbia dato un suggerimento sbagliato o abbia trascurato di segnalare una situazione di rischio, inducendo, così, il datore di lavoro ad omettere l’adozione di una doverosa misura prevenzionale, risponderà insieme a questi dell’evento dannoso derivatone, essendo a lui ascrivibile un titolo di colpa professionale che può assumere anche un carattere addirittura esclusivo (Sezione IV, 15 luglio 2010, Scagliarini).
Tra i compiti del RSPP, dettagliati dalla richiamata normativa, rientra anche l’obbligo dell’individuazione dei fattori di rischio e delle misure da adottare per la sicurezza e la salubrità dell’ambiente di lavoro. Secondo le regole generali, il RSPP può essere tenuto a rispondere — proprio perché la sua inosservanza si pone come concausa dell’evento – dell’infortunio in ipotesi verificatosi proprio in ragione dell’inosservanza colposa dei compiti di prevenzione attribuitigli dalla legge.
In altri termini, relativamente alle funzioni che la normativa di settore attribuisce al RSPP, l’assenza di capacità immediatamente operative sulla struttura aziendale non esclude che l’eventuale inottemperanza a tali funzioni — e segnatamente la mancata o erronea individuazione e segnalazione dei fattori di rischio delle lavorazioni e la mancata elaborazione delle procedure di sicurezza nonché di informazione e formazione dei lavoratori- possa integrare una omissione rilevante per radicare la responsabilità tutte le volte in cui un sinistro sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa ignorata o male considerata dal responsabile del servizio.
Ciò perché, in tale evenienza, l’omissione colposa al potere-dovere di segnalazione in capo al RSPP, impedendo l’attivazione da parte dei soggetti muniti delle necessarie possibilità di intervento, finirebbe con il costituire (con)causa dell’evento dannoso verificatosi in ragione della mancata rimozione della condizione di rischio: con la conseguenza, quindi, che, qualora il RSPP, agendo con imperizia, negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi e discipline, abbia dato un suggerimento sbagliato o abbia trascurato di segnalare una situazione di rischio, inducendo, così, il datore di lavoro ad omettere l’adozione di una doverosa misura prevenzionale, ben potrebbe [rectius, dovrebbe] essere chiamato a rispondere insieme a questi [in virtù del combinato disposto degli articoli 113 e 41, comma 1, c.p.] dell’evento dannoso derivatone.
La decisione impugnata è, pertanto, in linea con i principi sopra indicati, avendo la Corte di merito apprezzato che l’incidente mortale si verificò per evidenti carenza dell’apparato prevenzionale e per l’utilizzo di una metodica di lavoro pericolosa che non era stata per tempo evidenziata dal responsabile del servizio di prevenzione e protezione.
Non è pertanto dubitabile, la posizione di garanzia in cui si trovava il […], nella qualità di responsabile della sicurezza, in ragione dei propri compiti all’interno dell’azienda, che gli imponevano di attivarsi positivamente per organizzare le attività lavorative in modo sicuro, provvedendo alla individuazione e valutazione dei fattori di rischio, all’obbligo di formazione e di vigilanza dei lavoratori finalizzato proprio ad evitare incidenti come quello verificatosi in occasione dell’attività di movimentazione della carrozza ferroviaria.
In questa ottica, le considerazioni del difensore degli imputati che vorrebbero mettere in discussione il giudizio di responsabilità sostenendo che il […], aveva adempiuto agli obblighi allo stesso spettanti, prescrivendo la chiusura dei capannoni e proponendo le misure di prevenzione, mentre spettava al datore di lavoro, imporre ai lavoratori il rispetto di tali prescrizioni e l’adozione concreta dei sistemi di protezione, non colgono nel segno, in quanto non tengono conto della corretta definizione di “ambiente di lavoro” e del concreto contenuto degli obblighi gravanti sul responsabile del servizio di prevenzione e protezione, come sopra delineati. Sotto il primo profilo, vale la pena di ribadire, come già affermato in altre sentenze, che in tema per “ambiente di lavoro” deve intendersi tutto il luogo o lo spazio in cui l’attività lavorativa si sviluppa ed in cui, indipendentemente dall’attualità dell’attività, coloro che siano autorizzati ad accedere nel cantiere e coloro che vi accedano per ragioni connesse all’attività lavorativa, possono recarsi o sostare anche in momenti di pausa, riposo o sospensione del lavoro.
Correttamente, pertanto la Corte di merito ha sottolineato che l’ambiente di lavoro era dato da tutti i locali ove di fatto si svolgevano le operazioni ed avrebbe dovuto essere reso sicuro in tutti gli ambiente nei quali gli operai potessero comunque accedere, per qualsiasi motivo, e, pertanto, da esso non erano esclusi i capannoni per i quali era stata disposta la chiusura (disposizione, peraltro, rimasta del tutto disattesa, anche per motivi tecnici, per avere lo spazio necessario per la movimentazione delle carrozze). In questa prospettiva non assume rilievo la circostanza, evidenziata dalla difesa, secondo la quale l’imputato, stabilendo il divieto di accesso in determinati capannoni, tra cui quello n. 14, non era tenuto a predispone alcuna misura di prevenzione perché non erano luoghi di lavoro, dimostrando così anche di ignorare le modalità con cui gli operai addetti alla movimentazione delle carrozze svolgevano tale mansione, per eseguire la quale era necessario entrare a marcia indietro nel capannone. Quanto alla assenza di poteri di intervento dell’imputato, diretti all’adozione di misure prevenzionali ed al rispetto delle stesse da parte dei lavoratori, in quanto di esclusiva competenza del datore di lavoro, le cui conseguenze non sarebbero pertanto ascrivibili all’imputato, i giudici di merito hanno esattamente evidenziato che la responsabilità del […] non si fonda su tali profili ma sulla inadeguatezza delle misure suggerite e sulla ignoranza per negligenza del ciclo produttivo. Affermazione che si inquadra perfettamente nel quadro normativo sopra delineato che riconduce la responsabilità del RSPP, tra l’altro, alla mancata o erronea individuazione e segnalazione dei fattori di rischio delle lavorazioni e la mancata elaborazione delle procedure di sicurezza nonché di informazione e formazione dei lavoratori. […]