Corte di Cassazione, Sez. 4, Sentenza n. 37738 del 2013, dep. il 13 settembre 2013

[…]

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il Tribunale di Varese ha affermato la responsabilità di […], […], […], […], […] in ordine al reato di omicidio colposo in danno della lavoratore […] .
Le condanne sono state confermate dalla Corte d’appello di Milano che, a seguito di impugnazione del procuratore della Repubblica, ha altresì affermato la concorrente responsabilità di […], […], […]. Sono state concesse attenuanti generiche equivalenti all’aggravante e la sospensione condizionale della pena nonché la non menzione della condanna. Secondo quanto ritenuto dei giudici di merito si era all’interno di un cantiere nel quale aveva corso la costruzione di due palazzine. La vittima, il lavoratore dipendente della […] Srl si recava sulla soletta del piano mansardato dello stabile in costruzione per recuperare attrezzi di lavoro che vi venivano regolarmente deposti. Sul pavimento si trovava altresì materiale sparso in modo incongruo. Il lavoratore inciampava in tale materiale e, perso l’equilibrio, finiva contro il parapetto di protezione che cedeva rovinosamente e determinava la caduta al piano sottostante. Nell’occorso il lavoratore riportava lesioni personali che, a distanza di qualche giorno, ne determinavano la morte. Si è ritenuto, all’esito dell’istruttoria dibattimentale, che il detto parapetto era stato malamente realizzato e fissato. Tale errore ne determinava il cedimento. Inoltre la collocazione sulla soletta di molto materiale sparso, di vario genere, determinava la perdita di equilibrio e la proiezione della vittima verso il parapetto medesimo. Committente dei lavori di costruzione delle due unità immobiliari era la […] s.r.l. il cui legale rappresentante […] era indicato come responsabile dei lavori ai sensi del D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 2, comma 1.
La […] appaltava l’esecuzione dei lavori all’impresa […] e […]. Quale direttore dei lavori veniva indicato l’architetto […] e quale coordinatore in fase di progettazione e di esecuzione l’architetto […]. Inoltre l’appaltatore indicava come direttore di cantiere l’ingegnere […]. Per conto dell’appaltatore lavoravano altresì il […] in qualità di assistente ed il Geometra S[…] in qualità di capo cantiere.
La […] subappaltava i lavori di carpenteria alla ditta […], il cui amministratore unico era […]. Nel contratto di subappalto era previsto che il responsabile del cantiere ingegner […] potesse sospendere i lavori qualora la […] non avesse adempiuto agli obblighi in tema di sicurezza sul lavoro contenuti nel piano di sicurezza e coordinamento.
La stessa […] subappaltava l’esecuzione dei lavori di copertura in legno degli edifici alla […] s.r.l. di cui era amministratore […]. Il contratto prevedeva che tale azienda fornisse i necessari ponteggi e mantenesse gli ambienti di lavoro sgombri da attrezzature e materiali. Il lavoratore deceduto lavorava per la detta […] s.r.l..
Ricorrono per cassazione gli imputati in epigrafe.
2. […] lamenta che la responsabilità è stata basata sul ruolo di assistente di cantiere senza individuare una condotta colposa eziologicamente rilevante. Si è trascurato che egli curava ben cinque cantieri e non era quindi in condizione di constatare con puntualità le modalità di realizzazione dei parapetti e la presenza di materiale gravante sulle solette, considerando che si era in presenza di situazioni in continuo movimento.
3. […], in termini in linea di principio sostanzialmente coincidenti, deduce che la veste di direttore tecnico del responsabile di commessa ha determinato l’imputazione in assenza di condotta colposa ed eziologica. L’addebito potrebbe essere semmai rivolto ad altri soggetti presenti nel cantiere, come il capo cantiere, il responsabile delle squadre dei lavoratori, il coordinatore per la sicurezza, il direttore dei lavori. L’imputato gestiva ben 15 cantieri nella veste di coordinatore tecnico con ruolo di supervisione sulle più importanti decisioni e non sugli accadimenti contingenti. La Corte d’appello ha omesso di considerare concretamente i ruoli e le responsabilità dei diversi soggetti agenti. I compiti più minuti erano stati affidati al capo cantiere.
4. […] lamenta che la responsabilità è stata basata sulla carica di amministratore unico della società appaltatrice e quindi nella veste di datore di lavoro, trascurando che nessun concreto ruolo poteva essere rivestito con riguardo alla realizzazione del parapetto ed alla collocazione di materiale sul piano delle solette. Si è tratto argomento dall’assenza di valida delega di fatto e si è trascurato il documento denominato manuale di gestione di qualità, che riguarda tutta la vita aziendale e quindi anche l’ambito della sicurezza, tanto che viene evocata espressamente la normativa in materia e si richiamano figure tipiche come il capo cantiere e l’assistente di cantiere. Si richiama altresì il documento di valutazione dei rischi che demanda al capo cantiere la verifica in ordine al rispetto della normativa sulla sicurezza. Si aggiunge che dalla documentazione prodotta emerge che l’amministratore unico aveva demandato la gestione dei diversi cantieri ad un soggetto, il direttore tecnico ingegner […], di qualificata e collaudata esperienza. Vi è quindi stata una delega di fatto che è stata anche formalizzata dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 81 del 2008. Tale dirigente era dotato poteri di spesa anche se nel caso in esame era in questione il mero irregolare allestimento del parapetto. Tale ruolo è stato con tutte evidenza accettato dal delegato.
Pure erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto che non si fosse in presenza di un’azienda di rilevanti dimensioni, trascurando che erano aperti 15 al 20 cantieri contemporaneamente. Insomma vi erano tutti i requisiti di una valida delega alla stregua della giurisprudenza dell’epoca dei fatti. Si è pure trascurato che, in ogni caso, il capo cantiere ha competenze proprie previste dalla legge, indipendentemente dalla delega.
5. […]: propone cinque motivi.
5.1 Con il primo motivo si lamenta che la Corte d’appello ha ribaltato la valutazione argomentatamente espressa dal primo giudice, aderendo acriticamente al tenore dell’impugnazione del pubblico ministero che ha addirittura riportato nel testo della pronunzia, senza minimamente prendere in considerazione i rilievi difensivi esposti in udienza. Tale modello di pronunzia non è conforme alla giurisprudenza di legittimità che richiede, in caso di ribaltamento della decisione, una analitica confutazione della ponderazione espressa nella prima sentenza.
5.2 Con il secondo motivo si deduce che, in violazione della legge, la sentenza ha sovrapposto indebitamente i compiti del committente e del coordinatore in fase di esecuzione. L’obbligazione di controllo dell’attività cantieristica grava sul coordinatore per l’esecuzione, mentre al committente è imposto, oltre all’obbligo previsto dal D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 3, (ora trasfuso nel più ampio D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 91), ai sensi delllo stesso D.Lgs. n. 494, art. 6 comma 2, (ora D.Lgs. n. 81, art. 93), di verificare l’adempimento dell’obbligo che l’art. 5 del testo normativo pone a carico dello stesso coordinatore. In tal senso si è espresso il Tribunale richiamando la giurisprudenza di legittimità. La conferma di questa interpretazione si desume anche dal fatto che mentre il coordinatore deve possedere specifici requisiti professionali, per il committente non è richiesta alcuna competenza particolare. In conclusione il committente deve solo vigilare sul corretto e puntuale svolgimento dei compiti assegnati al coordinatore.
5.3 Con il terzo motivo si censura la motivazione per la parte inerente alla valutazione dell’adempimento degli obblighi in materia di sicurezza. Secondo la ricostruzione dei fatti compiuta dal Tribunale, l’imputato aveva tenuto frequenti riunioni nel corso delle quali aveva discusso con il coordinatore i verbali di sopralluogo redatti, dai quali risultava il corretto l’adempimento di quanto richiesto. Il pubblico ministero nel suo atto di appello svilisce l’attività di verifica posta in essere ma non conforta tale svalutazione con un adeguato riferimento alle risultanze processuali, sicché l’addebito mosso all’imputato risulta privo di ogni un riscontro e giustificazione. Erroneamente si attribuisce la mancanza di sopralluoghi in cantiere che non rientravano nella sua sfera di competenza. L’interpretazione della normativa proposta dalla Corte d’appello, richiedendo una continua e pressante sorveglianza sul coordinatore, conduce inesorabilmente alla responsabilità oggettiva.
5.4 Con il quarto motivo si censura la ritenuta esistenza di nesso causale tra l’evento ed il comportamento omissivo addebitato all’imputato. L’adempimento degli obblighi ipotizzati ingiustificatamente dal giudice non avrebbe potuto comunque evitare l’evento posto che, come evidenziato dalla sentenza di primo grado, il parapetto posto a protezione del vano scala nel quale è precipitata la vittima era inidoneo non in quanto mancante o inadeguato ma in quanto realizzato in modo non corretto.
5.5 Con l’ultimo motivo si censura la determinazione della pena, identica a quella inflitta agli altri imputati, trascurando che la colpa ascritta all’imputato era sensibilmente meno grave di quella attribuita agli altri soggetti. Manca qualsiasi valutazione comparativa e qualunque motivazione sulla commisurazione della pena, determinata in misura doppia rispetto al minimo edittale. È pure mancata qualunque valutazione in ordine ai criteri che hanno guidato il bilanciamento delle circostanze. La Corte ha pure mancato di prendere in considerazione, per ritenere la prevalenza delle attenuanti, l’integrale risarcimento del danno subito dalla vittima. Le attenuanti generiche, in tale situazione, assumevano un peso preponderante rispetto all’aggravante contestata.
6. I ricorsi di […], […] e […] sono fondati. È invece infondato quello di […].
La complessità del caso, caratterizzato da una congerie di posizioni soggettive distinte e da divergenti valutazioni dei giudici di merito, impone la preliminare integrata lettura delle pronunzie di primo e secondo grado.
Il primo giudice ha escluso la responsabilità di […]i, amministratore dell’appaltatrice. Si è esaminato un documento aziendale denominato “sistema di gestione della qualità” che prevedeva l’organica ripartizione delle competenze. Un amministratore con ruolo economico e finanziario; un direttore tecnico con il compito di gestire le opere dal punto di vista tecnico e di verificare l’andamento della commessa, nonché di coordinare l’attività cantieristica nominando coadiutori ed assistenti di cantiere. Si è concluso che era stata predisposta una efficace struttura organizzativa a capo della quale si trovava il direttore tecnico ing. […], soggetto qualificato e dotato di poteri appropriati. Sì è aggiunto che l’evento non è stato conseguenza di scelte apicali ma solo della cattiva esecuzione del parapetto, della presenza di materiale d’ingombro, nonché del mancato uso del casco di protezione.
Si è ritenuto che nella fattispecie fosse operante una delega implicita, giustificata anche dalle rilevanti dimensioni dell’azienda. Se ne è desunto che la primaria responsabilità del sinistro fosse addebitabile al dirigente tecnico dell’azienda ing. […]. A costui spettava di assicurare la correttezza delle predisposizioni a tutela della sicurezza nel cantiere. […] e […] erano rispettivamente dirigente e preposto con compiti afferenti anche alla sicurezza ed erano quindi tenuti ad assicurare la regolarità delle impalcature e la regolare collocazione dei materiali appropriati sulla soletta del sottotetto. La responsabilità ad un livello non fa venire meno quella degli altri, poiché non è alternativa ma cumulativa. Concorre quindi la responsabilità di […], […] e […]. Di qui l’affermazione di responsabilità di tali imputati, confermata dalla Corte d’appello, essendosi ritenuto il loro ruolo di garanti e la presenza di condotte trascurate nella gestione del rischio di caduta. Datore di lavoro della […] s.r.l. era […]. A costui spettava di assicurare la corretta esecuzione delle carpenterie e quindi del parapetto crollato.
Datore di lavoro della […] s.r.l. era […]. Costui era tenuto a garantire la sicurezza delle lavorazioni dei suoi dipendenti, compresa la vittima, anche con riguardo al rischio di caduta. Egli era tenuto alla formazione e ad assicurare l’uso del casco che invece il lavoratore non indossava.
Il primo giudice ha escluso la responsabilità di […], legale rappresentante della committente […] e responsabile dei lavori per conto della stessa. Si è considerato che la sua responsabilità è connessa alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 6, comma 2, e quindi al controllo che i coordinatori per la progettazione e per la sicurezza adempiano ai loro compiti. Egli ha ottemperato a quanto richiesto, avendo verificato l’idoneità della ditta appaltatrice […], nominato i coordinatori per la progettazione e l’esecuzione riscontrandone il possesso dei requisiti tecnici richiesti, acquisito il piano di sicurezza e coordinamento. L’assenza di responsabilità emerge viepiù in considerazione del fatto che il parapetto non era macroscopicamente inadeguato. L’imputato ha inoltre ottemperato ai suoi compiti di controllo partecipando a riunioni nel corso delle quali si valutavano, sia pur genericamente, eventuali problemi afferenti alla sicurezza. Analoga valutazione assolutoria è stata espressa nei confronti del coordinatore per la sicurezza […], per l’assenza di specifici profili di colpa; la cui posizione, peraltro, qui non interessa.
7. Il Giudice d’appello, ribaltando la prima valutazione, ha ritenuto la responsabilità di […], […] ed […]. Quanto a […] si è ritenuto che il documento denominato “sistema di gestionè non costituisse una delega con efficacia liberatoria, in assenza dei necessari caratteri formali che consentissero una prova rigorosa, attesa l’assenza di accettazione e dell’indicazione specifica dei poteri. Lo stesso […] ha escluso l’esistenza di delega formale e di autonomia di spesa. Una delega del genere era anche priva di giustificazione, essendosi in presenza di impresa di medie dimensioni che non giustificava una capillare ripartizione dei ruoli. L’imputato era dunque personalmente tenuto all’adozione dei presidi antinfortunistici totalmente omessi in occasione dell’evento.
Quanto a […] la Corte di merito osserva che si trattava del committente e responsabile dei lavori quale amministratore della […]. Tale figura è titolare di posizione di garanzia che gli impone di attivarsi per far assicurare la predisposizioni dei presidi di sicurezza. Ai sensi del D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 6, comma 2, egli era tenuto a verificare l’applicazione da parte delle imprese esecutrici, delle disposizioni loro pertinenti. Nella fattispecie l’imputato si era recato in cantiere, aveva partecipato ad alcune riunioni, ma non si era concretamente accertato che il coordinatore adempisse ai suoi compiti. Si è soggiunto che il committente/responsabile dei lavori è il cardine del sistema prevenzionistico e massimo responsabile, unitamente al coordinatore, dell’andamento dell’intero cantiere.
8. La valutazione delle posizioni di […] e […] può essere compiuta congiuntamente, essendo in discussione una comune questione, afferente all’individuazione della portata delle diverse posizioni di garanzia nell’ambito del sistema prevenzionistico della sicurezza del lavoro.
Il tema è stato di recente ripetutamente esaminato, con esiti consonanti, da questa Suprema Corte; e diffusamente esaminato in una recente sentenza (Cass., sez. 4^, 23 novembre 2009, Lovison, Rv. 254094) che, recando una complessiva disamina della delicata questione, deve essere qui analiticamente richiamata e riconsiderata. L’infortunio, come si è esposto, è stato determinato dalla cattiva realizzazione di una barriera di protezione e dal contingente irregolare accatastamento di materiale su un solaio. L’imputazione è stata elevata nei confronti di numerose figure di garanti ed ha condotto all’affermazione di responsabilità nei confronti di ben nove persone. Occorre dunque comprendere come si articoli, nel sistema della sicurezza del lavoro, la posizione di garanzia; come essa debba essere definita in linea di principio e come debba essere riconosciuta in concreto con riguardo all’organizzazione aziendale. La materia è stata parzialmente disciplinata sin dai primi atti normativi di settore ed è stata infine unitariamente trattata nel Testo unico sulla sicurezza del lavoro di cui al D.Lgs. n. 81 del 2008, peraltro recependo la sistemazione dell’istituto che si era
formata nel corso di una lunga giurisprudenza.
Come è noto, il sistema prevenzionistico è tradizionalmente fondato su diverse figure di garanti che incarnano distinte funzioni e diversi livelli di responsabilità organizzativa e gestionale. La prima e fondamentale figura è quella del datore di lavoro. Si tratta del soggetto che ha la responsabilità dell’organizzazione dell’azienda o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa. La definizione contenuta nel T.U. è simile a quella contenuta nella normativa degli anni 90 ed a quella fatta propria dalla giurisprudenza; e sottolinea il ruolo di dominus di fatto dell’organizzazione ed il concreto esercizio di poteri decisionali e di spesa. L’ampiezza e la natura dei poteri è ora anche indirettamente definita dall’articolo 16 che, con riferimento alla delega di funzioni, si occupa del potere di organizzazione, gestione, controllo e spesa.
Il dirigente costituisce il livello di responsabilità intermedio: è colui che attua le direttive del datore di lavoro, organizzando l’attività lavorativa e vigilando su di essa, in virtù di competenze professionali e di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli.
Infine, il preposto è colui che sovraintende alle attività, attua le direttive ricevute controllandone l’esecuzione, sulla base e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico.
Per ambedue le ultime figure occorre tener conto da un lato dei poteri gerarchici e funzionali che costituiscono base e limite della responsabilità; e dall’altro del ruolo di vigilanza e controllo. Si può dire, in breve, che si tratta di soggetti la cui sfera di responsabilità è conformata sui poteri di gestione e controllo di cui concretamente dispongono.
Queste definizioni di carattere generale subiscono specificazioni in relazione a diversi fattori, quali il settore di attività, la conformazione giuridica dell’azienda, la sua concreta organizzazione, le sue dimensioni. Ed è ben possibile che in un’organizzazione di qualche complessità vi siano diverse persone, con diverse competenze, chiamate a ricoprire i ruoli in questione. Queste considerazioni di principio evidenziano che nell’ambito dello stesso organismo può riscontrarsi la presenza di molteplici figure di garanti. Tale complessità suggerisce che l’individuazione della responsabilità penale passa non di rado attraverso una accurata analisi delle diverse sfere di competenza gestionale ed organizzativa all’interno di ciascuna istituzione. Dunque, rilevano da un lato le categorie giuridiche, i modelli di agente, dall’altro i concreti ruoli esercitati da ciascuno. Si tratta, in breve, di una ricognizione essenziale per un’imputazione che voglia essere personalizzata, in conformità ai sommi principi che governano Ì ordinamento penale; per evitare l’indiscriminata, quasi automatica attribuzione dell’illecito a diversi soggetti.
9. L’analisi dei ruoli e delle responsabilità viene tematizzata entro la categoria giuridica della posizione di garanzia. Si tratta, come è ben noto, di espressione che esprime in modo condensato l’obbligo giuridico di impedire l’evento che fonda la responsabilità in ordine ai reati commissivì mediante omissione, ai sensi dell’art. 40 cpv. c.p.. Questo classico inquadramento deve rivisitato.
In realtà il termine “garante” viene ampiamente utilizzato nella prassi anche in situazioni nelle quali si è in presenza di causalità commissiva e non omissiva; ed ha assunto un significato più ampio di quello originario, di cui occorre acquisire consapevolezza.
A tale riguardo, occorre preliminarmente considerare che la causalità condizionalistica (o dell’equivalenza causale) è caratterizzata dalla costitutiva, ontologica indifferenza per il rilievo, per il ruolo qualitativo delle singole condizioni, che sono tutte per definizione equivalenti. Ne discende l’esigenza di arginare l’eccessiva forza espansiva dell’imputazione del fatto determinata dal condizionalismo. Tale esigenza è alla base della causalità giuridica e si manifesta lungo il corso della plurisecolare storia del diritto penale moderno.
La necessità di limitare l’eccessiva ed indiscriminata ampiezza del’imputazione oggettiva generata dal condizionalismo è alla base di note elaborazioni teoriche: la causalità adeguata, la causa efficiente, la causalità umana, la teoria del rischio. Tale istanza si rinviene altresì nel controverso art. 41 cpv. c.p.. L’esigenza cui tali teorie tentano di corrispondere è sempre la medesima: tentare di limitare, separare le sfere di responsabilità, in modo che il diritto penale possa realizzare la sua vocazione ad esprimere un ben ponderato giudizio sulla paternità dell’evento illecito.
Il contesto della sicurezza del lavoro fa emergere con particolare chiarezza la centralità dell’idea di rischio: tutto il sistema è conformato per governare l’immane rischio, gli indicibili pericoli, connessi al fatto che l’uomo si fa ingranaggio fragile di un apparato gravido di pericoli. Il rischio è categorialmente unico ma, naturalmente, sì declina concretamente in diverse guise in relazione alla differenti situazioni lavorative. Dunque, esistono diverse aree di rischio e, parallelamente, distinte sfere di responsabilità che quel rischio sono chiamate a governare. Soprattutto nei contesti lavorativi più complessi, si è frequentemente in presenza di differenziate figure di soggetti investiti di ruoli gestionali autonomi a diversi livelli degli apparati; ed anche con riguardo alle diverse manifestazioni del rischio. Ciò suggerisce che in molti casi occorre configurare già sul piano dell’imputazione oggettiva, distinte sfere di responsabilità gestionale, separando le une dalle altre. Esse conformano e limitano l’imputazione penale dell’evento al soggetto che viene ritenuto “gestore” del rischio. Allora, si può dire in breve, garante è il soggetto che gestisce il rischio. Questa esigenza di delimitazione delle sfere di responsabilità è tanto intensamente connessa all’essere stesso del diritto penale quale scienza del giudizio di responsabilità, che si è fatta quasi inconsapevolmente strada nella giurisprudenza, attraverso lo strumento normativo costituito dall’art. 41 cpv. c.p.. Infatti, la diversità dei rischi interrompe, per meglio dire separa le sfere di responsabilità.
L’ordine di idee cui si fa cenno si rinviene ampiamente e con alta significatività nell’intera giurisprudenza di legittimità. Così, ad esempio, nel caso di abusiva introduzione notturna da parte del lavoratore nel cantiere irregolare, si è distìnto implicitamente tra rischio lavorativo e rischio da ingresso abusivo ed è stata annullata la pronunzia di condanna anche se il datore di lavoro aveva violato le prescrizioni antinfortunistiche (Sez. 4^, 25 settembre 2001, Intrevado, Rv. n. 221149). La vittima è occasionalmente un lavoratore, ma la situazione pericolosa nella quale si è verificato l’incidente non è riferibile al contesto della prestazione lavorativa, sicché non entrano in questione la violazione della normativa antinfortunistica e la responsabilità del gestore del cantiere. Al momento dell’incidente non era in corso un’attività lavorativa. Pertanto il caso andava esaminato dal differente punto di vista delle cautele che devono essere approntate dal responsabile del sito per inibire la penetrazione di estranei in un’area pericolosa come un cantiere edile. Nello stesso senso, in contesto non molto dissimile, Sez. 4^, 7 maggio 1985, Bernardi, Rv. 171215.
Ancora, il tema dell’interruzione del nesso causale ricorre con insistenza nell’ambito di processi inerenti ad infortuni sul lavoro. L’effetto interruttivo è stato riconosciuto in rari ma significativi casi. Un operaio addetto ad una pala meccanica che si era improvvisamente bloccata era sceso dal mezzo senza spegnere il motore e, sdraiatosi sotto di essa tra i cingoli, aveva sbloccato a mano la frizione difettosa sicché il veicolo, muovendosi, lo aveva travolto. La Corte suprema (Sez. IV, 10 novembre 1999, Addesso, Rv. 183633) ha annullato con rinvio la pronunzia di condanna del titolare dell’impresa in ordine al reato di omicidio colposo, al fine di valutare se il comportamento del lavoratore di disinserire la frizione senza curarsi di spegnere il motore della macchina presentasse il carattere di fattore sopravvenuto atipico, interruttivo della serie causale precedente. La Corte ha pure affermato il principio che la responsabilità dell’imprenditore deve essere esclusa allorché l’infortunio sì sia verificato a causa di una condotta del lavoratore inopinabile ed esorbitante dal procedimento di lavoro cui è addetto, oppure a causa di inosservanza di precise disposizioni antinfortunistiche. Ai sensi dell’art. 41 cpv., il nesso eziologico può essere interrotto da una causa sopravvenuta che si presenti come atipica, estranea alle normali e prevedibili linee di sviluppo della serie causale attribuibile all’agente e costituisca, quindi, un fattore eccezionale.
La possibilità d’interruzione del nesso causale è stata altresì ravvisata dalla Corte suprema (Sez. 4^, 25 settembre 1995, Dal Pont) in un caso in cui un lavoratore, addetto ad una macchina dotata di fresatrice, con il compito di introdurvi manualmente degli elementi di legno, aveva inserito (“eseguendo una manovra tanto spontanea quanto imprudente”) la mano all’interno dell’apparato per rimuovere residui di lavorazione, subendone l’amputazione. L’imputazione riguardava il reato di cui all’art. 590 c.p., in relazione al D.P.R. n. 547 del 1955, art. 68, per la mancata adozione di idonei dispositivi di sicurezza. La Corte d’appello aveva affermato la responsabilità del titolare della ditta e del preposto ai lavori. La Corte di cassazione ha invece annullato con rinvio al giudice di merito perché verificasse se l’incongruo intervento del lavoratore fosse stato richiesto da particolari esigenze tecniche, osservando che l’operazione compiuta era rigorosamente vietata; che la macchina era dotata di idoneo strumento aspiratore; che il lavoratore era perfettamente consapevole che la fresatrice era in movimento; che qualunque accorgimento tecnico volto ad obbligare l’operatore a tenere ambo le mani impegnate per far andare la macchina avrebbe dovuto fare i conti con il tipo di lavorazione, nel quale la manualità dell’operatore era totalmente assorbita nell’introduzione del legno nell’apparato. Nell’occasione è stato ribadito il noto principio che le norme dettate in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro perseguono il fine di tutelare il lavoratore persino in ordine ad incidenti derivati da sua negligenza, imprudenza ed imperizia, sicché la condotta imprudente dell’infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l’evento quando sia comunque riconducibile all’area di rischio inerente all’attività svolta dal lavoratore ed all’omissione di doverose misure antinfortunistiche da parte del datore di lavoro; ma si è aggiunto che il datore di lavoro è esonerato da responsabilità quando il comportamento del dipendente presenti i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive organizzative ricevute. Anche qui compare la classica evocazione dell’eccezionalità della condizione sopravvenuta, costituita dalla condotta incongrua del lavoratore. Tuttavia, al fondo, anche la pronunzia in questione trae ispirazione dalla considerazione della riconducibilità o meno dell’evento e della condotta che vi ha dato causa all’area di rischio propria della prestazione lavorativa: linea argomentativa che viene del resto espressamente enunciata a fianco di quella tradizionale afferente – appunto – all’eccezionalità ed abnormità della condotta del lavoratore.
Si tratta di impostazione che non è del resto dissimile da quella esposta in diverse altre pronunzie nelle quali la Corte suprema, pur senza ritenere l’interruzione del nesso causale, ha affermato che le norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro hanno la funzione di evitare che si verifichino eventi lesivi dell’incolumità fisica intrinsecamente connaturali all’esercizio di talune attività lavorative, anche nell’ipotesi in cui siffatti rischi siano conseguenti ad eventuale imprudenza e disattenzione dei lavoratori subordinati, la cui incolumità deve essere sempre protetta con appropriate cautele. La condotta del lavoratore può tuttavia determinare l’interruzione del nesso causale quando sia del tutto anomala, inopinabile in quanto esorbitante dal procedimento di lavoro cui egli è addetto, oppure si concreti nell’inosservanza di precise norme antinfortunistiche. In tale caso la condotta colposa del lavoratore esclude la responsabilità dell’imprenditore, dei dirigenti e dei preposti (Sez. 4^, 8 novembre 1989, Dell’oro, Rv, 183199). Il caso riguardava il ribaltamento di alcuni pesanti rotoli di filo di ferro incongruamente accatastati. In altre sentenze il principio è stato ribadito e si è altresì sottolineato che la condotta esorbitante deve essere incompatibile con il sistema di lavorazione (Sez. 4^, 11 febbraio 1991, Lapi, Rv. 188202; Sez. 4^, 18 marzo 1986, Amadori, Rv. 174222); in altre che l’inopinabilità può essere desunta o dalla estraneità al processo produttivo o dall’estraneità alle mansioni attribuite (Sez. 4^, 14 giugno 1996, Ieritano, Rv. 206012); o dal carattere del tutto anomalo della condotta del lavoratore (Sez. 4^, 13 novembre 1984, Accettura, Rv. 172160).
In sintesi, si può cogliere in tale orientamento della giurisprudenza l’implicita tendenza a considerare interruttiva del nesso di condizionamento la condotta abnorme del lavoratore quando essa si collochi in qualche guisa al di fuori dell’area di rischio definita dalla lavorazione in corso. Tale comportamento è “interuttivo” (per restare al lessico tradizionale) non perché “eccezionale” ma perché eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare. Tale eccentricità renderà magari in qualche caso (ma non necessariamente) statisticamente eccezionale il comportamento ma ciò è una conseguenza accidentale e non costituisce la reale ragione dell’esclusione dell’imputazione oggettiva dell’evento.
Riconosciuta la sfera di rischio come area che designa l’ambito in cui si esplica l’obbligo di governare le situazioni pericolose che conforma l’obbligo del garante, ne discende altresì la necessità di individuare concretamente la figura istituzionale che può essere razionalmente chiamata a governare il rischio medesimo e la persona fisica che incarna concretamente quel ruolo.
Questa enunciazione richiede, tuttavia, di essere chiarita: occorre guardarsi dall’idea irrealistica ed ingenua che la sfera di responsabilità di ciascuno possa essere sempre definita e separata con una rigida linea di confine; e che questa stessa linea crei la sfera di competenza e responsabilità di alcuno escludendo automaticamente quella di altri. In realtà le cose sono spesso assai più complesse. L’intreccio di obblighi che spesso coinvolgono diverse figure e diversi soggetti nella gestione di un rischio rende chiaro quanto delicata sia l’individuazione di aree di competenza pienamente autonome che giustifichino la compartimentazione della responsabilità penale; tanto più in un contesto come quello del diritto penale del lavoro imperniato, comprensibilmente, sulla figura del datore di lavoro che è gravato da una pervasiva “posizione di garanzia”. Lo scopo del diritto penale, tuttavia, è proprio quello di tentare di governare tali intricati scenari, nella già indicata prospettiva di ricercare responsabilità e non capri espiatori.
10. Le considerazioni sopra esposte trovano fondamento in alcune norme del T.U. che ripercorrono arresti della giurisprudenza ed aiutano a capire come nasce e si conforma la posizione di garanzia, id est la responsabilità gestoria che, in caso di condotte colpose, può fondare la responsabilità penale. Di grande interesse è l’articolo 299: l’acquisizione della veste di garante può aver luogo per effetto di una formale investitura, ma anche a seguito dell’esercizio in concreto di poteri giuridici riferiti alle diverse figure.
Un’ulteriore indicazione normativa per individuare in concreto i diversi ruoli deriva dall’art. 28, relativo alla valutazione dei rischi ed al documento sulla sicurezza, che costituisce una sorta di statuto della sicurezza aziendale. La valutazione riguarda solo “tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori”. Dunque non è possibile inferire dal sistema prevenzionistico delineato dal Testo unico indicazioni direttamente cogenti per ciò che attiene all’obbligo di governare altri rischi presenti nell’organizzazione. Il documento deve contenere la valutazione dei rischi per i lavoratori, l’individuazione di misure di prevenzione e protezione, l’individuazione delle procedure, nonché dei ruoli che vi devono provvedere, affidati a soggetti muniti di adeguate competenze e poteri. Si tratta quindi di una sorta di mappa dei poteri e delle responsabilità cui ognuno dovrebbe poter accedere per acquisire le informazioni pertinenti.
Mettendo insieme le indicazioni che pervengono dalle norme fin qui indicate che, come si è già accennato, recepiscono indirizzi della prassi ed attingono alla sfera della sensatezza, si può concludere che ruoli, competenze e poteri segnano le diverse sfere di responsabilità gestionale ed al contempo definiscono la concreta conformazione, la latitudine delle posizioni di garanzia, la sfera di rischio che deve essere governata.
La sfera di responsabilità organizzativa e giuridica così delineata è per così dire originaria. Essa è generata dall’investitura formale o dall’esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di garanti. Nell’individuazione del garante, soprattutto nelle istituzioni complesse, occorre partire dalla identificazione del rischio che si è concretizzato, del settore, in orizzontale, e del livello, in verticale, in cui si colloca il soggetto che era deputato al governo del rischio stesso, in relazione al ruolo che questi rivestiva. Ad esempio, semplificando nel modo più banale, potrà accadere che rientri nella sfera di responsabilità del preposto l’incidente occasionato dalla concreta esecuzione della prestazione lavorativa; in quella del dirigente il sinistro riconducibile al dettaglio dell’organizzazione dell’attività lavorativa; in quella del datore di lavoro, invece, l’incidente derivante da scelte gestionali di fondo. Naturalmente, il quadro proposto è molto semplificato ed idealizzato e diviene non di rado assai più complesso nella realtà; come sì è sopra segnalato.
11. Per completezza, occorre aggiungere che l’investitura del garante può essere non solo originaria ma derivata. Anche qui recependo gli orientamenti della prassi, l’art. 16 del T.U. ha chiarito che la delega deve essere specifica, deve conferire poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa ben definiti, ad un soggetto qualificato per professionalità ed esperienza.
La materia della delega richiede un chiarimento di fondo piuttosto importante. È diffusa l’opinione che i poteri e le responsabilità del dirigente e del preposto nascano necessariamente da una delega. Al contrario, le figure dei garanti hanno una originaria sfera di responsabilità che non ha bisogno di deleghe per essere operante, ma deriva direttamente dall’investitura o dal fatto. La delega, è invece qualcosa di diverso: essa, nei limiti in cui è consentita dalla legge, opera la traslazione dal delegante al delegato di poteri e responsabilità che sono proprie del delegante medesimo. Questi, per così dire, si libera di poteri e responsabilità che vengono assunti a titolo derivativo dal delegato. La delega, quindi, determina la riscrittura della mappa dei poteri e delle responsabilità. Residua, in ogni caso, tra l’altro, come l’art. 16 del T.U. ha chiarito, un obbligo di vigilanza “alta”, che riguarda il corretto svolgimento delle proprie funzioni da parte del soggetto delegato.
12. Alla luce di tali principi discende pianamente la valutazione dei motivi di ricorso di […] e […].
In verità i principi erano stati correttamente applicati, sia pure per implicito, già dal primo giudice a proposito della posizione di […]. Come si è visto, si era rimarcato che costui era amministratore con ruolo economico e finanziario, ed era affiancato da una qualificata struttura tecnica diretta dall’ing. […]. Si era aggiunto che l’infortunio dovuto alla non corretta esecuzione del parapetto, non era riconducibile in alcun modo a censurabili scelte aziendali di fondo che potessero coinvolgere l’amministratore. Tale valutazione è corretta. Il rischio di caduta deve essere evidentemente governato con la predisposizione di procedure conformi alle codificate regole tecniche; e ciascuna azienda deve prevedere ed attuare procedure virtuose al riguardo. L’attuazione di tali codificate procedure ha poi un momento esecutivo che deve evidentemente attualizzare, concretizzare le procedure. Per sceverare le diverse responsabilità, si tratta in primo luogo di comprendere se siano riscontrabili erronee scelte di fondo nella gestione del rischio. In una tale situazione, evidentemente, la responsabilità del garante per eccellenza, cioè del datore di lavoro, è fuori discussione.
Quando, invece, il rischio si sia concretizzato per così dire a valle, nella fase esecutiva, si tratta di valutare se esso sia pur sempre riconducibile al datore di lavoro o, invece, coinvolga, eventualmente anche in via esclusiva, altre figure di garanti.
A tal fine, alla luce dei principi sopra esposti, occorre individuare il livello dell’attività nel quale il rischio si è concretizzato ed i soggetti chiamati a governarlo.
Il problema è stato esaminato in fatto dal Tribunale che lo ha correttamente inquadrato e risolto, rilevando l’assenza di errori apicali che, cioè, coinvolgessero le strategie di fondo dell’azienda; ed ha conseguentemente adottato pronunzia assolutoria nei confronti dell’amministratore […]. A costui non sono in effetti addebitabili scelte “apicali” erronee, ne’ si è mostrato il suo coinvolgimento nella minuta attività esecutiva. Infatti, l’azienda aveva un articolato apparato tecnico ed operativo che partiva dalla figura di vertice costituita dall’ing. […] e che, nel caso di specie, coinvolgeva anche figure di rango inferiore: il direttore dei lavori […], il coordinatore in fase esecutiva […], l’assistente […], il capo cantiere […]. Non è emerso che alcuno di tali soggetti fosse non qualificato al suo ruolo e che vi fosse, dunque, culpa in eligendo. È di tutta evidenza, dunque, che essendosi il sinistro verificato nella fase esecutiva, per il già evocato errore nella realizzazione del parapetto, la figura dell’amministratore finanziario dell’azienda appaltatrice è completamente fuori da ogni responsabilità. Il suo ruolo di garante non si estendeva sino alla gestione di minute operazioni esecutive affidate ad una articolata struttura tecnica. Tale ambito esecutivo era governato, oltre che dalle figure della sopra menzionate, anche dagli amministratori delle aziende che operavano in subappalto: […], amministratore della […] che eseguiva le carpenterie e […], responsabile della […] s.r.l. che eseguiva la copertura dell’edificio. Tutti tali soggetti sono stati indistintamente ritenuti responsabili per l’evento letale, che trova la sua scaturigine, come si è ripetutamente esposto, nella fase esecutiva delle lavorazioni. La stessa indiscriminata estensione del novero dei responsabili rende già intuitivamente chiaro che l’apprezzamento del giudice d’appello non sì è basato sulla selettiva analisi dei rischi e dei ruoli cui si è fanno riferimento sopra, ed ha determinato un’indisciminata censura nei confronti di tutti i garanti che vulnera i principi dell’ordinamento penale in tema di responsabilità personale colpevole.
Tale valutazione giustifica l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato, non riscontrandosi la violazione di alcuna regola cautelare riconducibile all’ambito segnato dalla indicata posizione di garanzia. La soluzione qui adottata trova riscontro nella giurisprudenza di questa corte (Cass., sez. 4^, 8 maggio 2012, n. 17074, Moncada), in un caso analogo nel quale era in questione la non corretta esecuzione delle pedane di un ponteggio, con conseguente letale caduta di un lavoratore. Era stata elevata imputazione sia nei confronti del tecnico responsabile di cantiere, sia nei confronti del datore di lavoro. La Corte, dopo avere delineato la cruciale importanza della figura di garante costituita dal datore di lavoro, ha aggiunto che tale posizione di garanzia “non è tuttavia di ampiezza e di natura tali da consentire che il medesimo possa essere ritenuto penalmente responsabile di ogni infortunio che avvenga al lavoratore, quasi a voler ricavare dal fatto che l’infortunio si è verificato la dimostrazione di una qualche mancanza nelle maglie della protezione. Occorre anche in questo caso, come sempre avviene per la responsabilità colposa, che venga individuato uno specifico inadempimento, da parte del soggetto tenuto alla protezione, agli obblighi di protezione previsti, cioè che sia possibile e sia stato formulato nei suoi confronti un addebito colposo”.
La Corte, dopo aver condiviso la valutazione compiuta dal giudice di merito in ordine alla sicura responsabilità del tecnico responsabile del cantiere, ha aggiunto che “un altrettanto pressante controllo non può invece ritenersi dovuto da parte dell’altro imputato, atteso che il datore di lavoro che nomina un responsabile dei lavori può legittimamente fare affidamento sulla circostanza che il medesimo sorvegli lo svolgimento degli stessi, in particolare nella situazione concreta di cui trattasi, e cioè di un normale e routinario lavoro manuale quale è l’allestimento del ponteggio e l’assicurazione dei piolini, attività rispetto alla quale la posizione di garanzia del datore di lavoro che abbia nominato un responsabile di cantiere non può estendersi fino a comprendere l’obbligo della diretta e continua sorveglianza del lavoratore, come sembra invece evocare il capo di imputazione; tanto più che nessun’altra inosservanza di obblighi, di formazione, informazione, fornitura dell’attrezzatura…. o altro, è stata contestata al medesimo e che non risulta e neppure è stato contestato che la irregolare modalità di fissaggio delle pedane metalliche fosse un comportamento abitualmente tenuto dagli operai, conosciuto o conoscibile da parte del datore di lavoro e come tale a lui imputabile”.
Tale soluzione interpretativa può essere agevolmente trasposta al caso in esame con riguardo alla posizione del […].
13. Peraltro il principio rileva anche quanto alla posizione dell’ing. […]. Egli era al vertice della complessa organizzazione aziendale in riferimento agli aspetti tecnici. Le sentenze di merito non individuano alcuna condotta colpevole che sia riconducibile a tale elevato livello di responsabilità: nessun errore nell’analisi dei rischi o nelle predisposizioni occorrenti ad evitarli; nessun errore nella valutazione delle competenze dei soggetti che, all’interno del cantiere operavano in concreto. La pronunzia si limita ad evocare genericamente il carattere cumulativo delle responsabilità, il ruolo di ‘capo dell’intera area tecnica’, la possibilità di operare o delegare i necessari controlli. Si trascura di considerare la natura del rischio concretizzatosi, afferente alla predisposizione delle opere provvisionali, la presenza in cantiere di diverse figure qualificate alla gestione di tale rischio esecutivo, la stessa condanna di tali soggetti. Pure la prima sentenza si muove in questa direzione, senza individuare, al di là di espressioni di stile, un concreto, oggettivo nucleo di responsabilità nella gestione dello specifico rischio. Dunque, pure nei suoi confronti la sentenza va annullata senza rinvio perché il fatto non costituisce reato: nessuna violazione di cautele ascrivibili a quel garante.
14. Gli argomenti sopra esposti chiariscono pure le ragioni che rendono immune da censure l’affermazione di responsabilità di […]. Egli era assistente di cantiere e, dunque, proprio su di lui incombeva il compito di curare che il parapetto fosse realizzato in modo appropriato. Nè la circostanze che egli operasse anche in altri cantieri vale, evidentemente, a determinare esonero da responsabilità. Il ricorso deve essere conseguentemente rigettato. Segue per legge la condanna al pagamento delle spese processuali.
15. Il ricorso di […] coglie la questione della sfera di responsabilità del committente. Le censure esposte impongono di analizzare le diverse figure di garanti all’interno delle attività esercitate nei cantieri edili, alla luce del D.Lgs. n. 494 del 1996;
con la precisazione che la normativa di settore è stata trasposta in termini coincidenti nel Testo unico per la sicurezza del lavoro di cui al D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81. La disamina ripercorre l’itinerario interpretativo già delineato da questa Corte (Cass., sez. 4^, 20 novembre 2009, Fumagalli e Terraneo, rv. 246302). La disciplina è stata parzialmente innovata dal D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106, che, tuttavia, ha mantenuto l’impostazione del sistema prevenzionistico nella materia in questione, pur manifestando la tendenza a limitare e separare le sfere di responsabilità dei diversi soggetti. Le considerazioni che seguono si riferiscono, dunque, alla situazione normativa esistente al momento del fatto. Il D.Lgs. n. 626 del 1994, contiene il nucleo centrale ed i principi guida della disciplina della sicurezza del lavoro. Tuttavia ad esso si affiancano discipline di settore, che in parte derogano o integrano quel nucleo del sistema. Una delle discipline di settore è costituita dal Decreto legislativo 494 del 1996 relativo ai cantieri temporanei o mobili. Tale corpo normativo reca disposizioni riferite a figure tradizionali del sistema, come il datore di lavoro delle imprese esecutrici dell’opera (artt. 8, 9, 20), il dirigente ed il preposto (artt. 8 e 20). Il dato di maggior rilievo è tuttavia costituito dalla individuazione di ulteriori figure di garanti: il committente, il responsabile dei lavori, il coordinatore per la progettazione, il coordinatore per l’esecuzione.
Il committente è definito (art. 2) come il soggetto per conto del quale l’intera opera viene realizzata. L’individuazione di tale peculiare figura è coerente con la complessiva configurazione del sistema di protezione di cui si parla, che tende a connettere la sfera di responsabilità con il ruolo esercitato da alcune figure che tipicamente intervengono nell’ambito delle attività lavorative. Normalmente la figura di vertice della sicurezza è costituita dal datore di lavoro che, come è noto, è individuato non solo nel titolare del rapporto di lavoro, ma anche nel soggetto che ha la responsabilità dell’impresa, ed è quindi chiamato a compiere le più importanti scelte di carattere economico, gestionale ed organizzativo e ne porta le connesse responsabilità. È quindi razionale che nel diverso contesto dell’attività cantieristica di cui si parla emerga anche la figura del committente, che è il soggetto che normalmente concepisce, programma, progetta, finanzia l’opera. Tale ruolo giustifica l’attribuzione di una sfera di responsabilità per ciò che riguarda la sicurezza e la conseguente assegnazione del ruolo di garante. La Legge, infatti, gli attribuisce alcuni obblighi sia nella fase progettuale che in quella esecutiva, destinati ad interagire e ad integrarsi con quelli delle altre figure di garanti legali.
La normativa, peraltro, prevede ragionevolmente la possibilità che il committente non possa o non voglia gestire in proprio tale ruolo. È quindi possibile che egli designi il responsabile dei lavori che viene definito (articolo 2) come il soggetto che può essere incaricato dal committente ai fini della progettazione, dell’esecuzione o del controllo dell’esecuzione dell’opera. L’intreccio tra il richiamato art. 2 e l’art. 6 relativo alla sfera di responsabilità del committente rende chiaro che l’incarico al responsabile dei lavori può assumere diverse configurazioni: può riguardare in tutto o in parte la fase progettuale, quella esecutiva o quella di vigilanza. L’esonero da responsabilità del committente è commisurato alla sfera dell’incarico conferito.
Ne discende in primo luogo che l’incarico in questione, che lo si voglia o meno tratteggiare come una forma di delega, per assumere rilevanza giuridica deve comunque presentare una chiara evidenza formale, di guisa che sia possibile inferire quale sia l’ambito del trasferimento di ruolo e di responsabilità. Naturalmente, il conferimento di tale incarico sostitutivo implica altresì il conferimento dei poteri decisori, gestionali e di spesa occorrenti. Il Decreto n. 494 coglie due momenti afferenti alle opere di cui si discute: quello progettuale e quello esecutivo. Ciascuno di tali ambiti implica conoscenze tecniche elevate. È quindi naturale che il committente, o il responsabile dei lavori in sua vece, si avvalga della cooperazione di soggetti qualificati, che sono espressamente individuati dall’articolo 2: si tratta delle figure del coordinatore in materia di sicurezza e di salute durante la progettazione dell’opera (denominato coordinatore per la progettazione) e del coordinatore in materia di sicurezza e salute durante la realizzazione dell’opera (denominato coordinatore per l’esecuzione dei lavori).
Tali figure professionali devono essere dotate di particolari requisiti (art. 10) ed assolvono compiti delicati, come redigere il piano di sicurezza e di coordinamento ed il fascicolo delle informazioni per la prevenzione e la protezione dai rischi (art. 4);
coordinare e controllare l’applicazione, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni loro pertinenti contenute nel piano di sicurezza e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro; verificare l’idoneità del piano operativo di sicurezza redatto dal datore rilievo di lavoro dell’impresa esecutrice; organizzare la cooperazione ed il coordinamento delle attività all’interno del cantiere; infine segnalare al committente o al responsabile dei lavori le inosservanze delle disposizioni di legge riferite ai datori di lavoro o ai lavoratori autonomi (art. 5). La presenza dei due coordinatori di cui si parla è obbligatoria nei cantieri con più imprese di maggiori dimensioni o con rischi più elevati (art. 3). Il committente o il responsabile dei lavori possono assumere su di sè le funzioni di coordinatore per la progettazione o per l’esecuzione dei lavori, purché in possesso dei requisiti professionali previsti dalla legge (art. 3).
La designazione delle indicate figure di coordinatore può esonerare da responsabilità il committente o il responsabile dei lavori, tranne che per ciò che riguarda la redazione del piano di sicurezza e del fascicolo per la protezione dai rischi cui si è già fatto cenno; nonché per ciò che attiene alla vigilanza sul coordinatore in ordine allo svolgimento dell’attività di coordinamento e controllo circa l’osservanza delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento (articolo 6).
In conclusione, il committente, o il responsabile dei lavori in sua vece, ha un peculiare ruolo in tema di alta vigilanza sulla sicurezza del cantiere, che può essere delegato ai coordinatori per la sicurezza, con le limitazioni che si sono accennate. Tale impostazione della disciplina rende dunque chiaro che, per ciò che attiene alla sicurezza, il committente si trova in un ruolo critico-dialettico nei confronti del datore di lavoro dell’impresa esecutrice che, naturalmente, è a sua volta portatore di plurimi obblighi in tema di sicurezza. Ciò giustifica il tenore dell’art. 2, lett. f), che, nel definire la figura del coordinatore per l’esecuzione dei lavori, dispone che si tratti di soggetto diverso dal datore di lavoro dell’impresa esecutrice. È infatti naturale che venga esclusa la possibilità che soggetto controllante e soggetto controllato si identifichino, A maggior ragione è da escludere che il sovraordinato ruolo di responsabile dei lavori (cui, come si è prima esposto, può essere assegnato dal committente un ineludibile ruolo di alta vigilanza sulla sicurezza del cantiere), possa essere attribuito al datore di lavoro dell’impresa esecutrice. Con maggiore precisione, è da escludere che la delega in tema di sicurezza possa essere attribuita dal committente ad un responsabile dei lavori individuato nel datore di lavoro dell’impresa esecutrice. Una tale eventualità, infatti, riprodurrebbe ad un più alto livello di responsabilità, l’inconcepibile identificazione tra controllore e soggetto controllato per ciò che riguarda la sicurezza del cantiere. La conclusione qui enunciata discende, come si vede, in modo obbligato sia dalla logica dell’intreccio degli enunciati testuali; sia dalla conformazione del sistema di protezione che, come si è accennato, esclude la sovrapposizione, in capo allo stesso soggetto, dei ruoli di controllore e di controllato. Ne discende che pure il coordinatore, designato dal committente, assume l’indicato ruolo critico dialettico nei confronti del datore di lavoro dell’impresa appaltatrice.
Alle figure cui si è sin qui fatto cenno si aggiungono le figure tradizionali del sistema prevenzionistico e quindi il soggetto che riveste la qualità di datore di lavoro nell’ambito dell’impresa esecutrice delle opere; il dirigente; il preposto. Di particolare rilievo il D.Lgs. n. 494, artt. 8 e 9, che recano disciplina assai dettagliata che, coerentemente con la complessiva configurazione del sistema, attribuisce al datore di lavoro una responsabilità primaria per ciò che attiene agli aspetti operativi dell’attività che si svolge nel cantiere. A tale fine egli redige il piano operativo di sicurezza ai sensi del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4; documento distinto rispetto al piano di sicurezza e coordinamento di cui si è sopra parlato.
In tale complesso contesto, che vede l’interazione tra diversi soggetti, il Decreto legislativo n. 494 presta (prestava) speciale attenzione alle situazioni nelle quali si configura la presenza, nel medesimo cantiere, di più imprese. Esso prevede, in alcuni casi, la presenza già nella fase progettuale, della figura del coordinatore per la progettazione. Analogamente, sempre nel caso di compresenza di più imprese, nella fase esecutiva è prevista la figura del coordinatore per l’esecuzione dei lavori. Come si è accennato, lo stesso Decreto dettagliatamente definisce agli artt. 4 e 5, i compiti di tali figure, imponendo particolarmente, nella fase esecutiva che qui interessa, obblighi di coordinamento della cooperazione tra i diversi soggetti coinvolti nel cantiere.
La particolare attenzione al tema della coordinamento dell’azione delle imprese operanti nel cantiere, al fine di fronteggiare i rischi risultanti dalla eventuale presenza simultanea o successiva, è altresì rimarcata nel D.Lgs. n. 494, art. 12. Tale disciplina costituisce specificazione di quella generale contenuta nel D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7, che pone l’obbligo di cooperazione e di coordinamento tra i datori di lavoro operanti in caso di contratto di appalto.
In conclusione, il legislatore ha mostrato particolare consapevolezza dei rischi derivanti dall’azione congiunta di diverse organizzazioni e ne ha disciplinato la prevenzione, imponendo un penetrante reciproco obbligo di tutti i soggetti coinvolti di coordinarsi e di interagire con gli altri in modo attento e consapevole, affinché risulti sempre garantita la sicurezza delle lavorazioni. Di particolare interesse, ai fini della comprensione del sistema, è l’analisi della figura del coordinatore per la sicurezza nella fase esecutiva, collaboratore del committente. La lettura della specifica sfera di gestione del rischio affidata a tale soggetto discende per un verso dalla funzione di generale, alta vigilanza che la legge demanda al committente; e per l’altro dalla disciplina di cui al più volte evocato D.Lgs. n. 494, art. 5. Tale disciplina conferma che la funzione di vigilanza è “alta” e non si confonde con quella operativa demandata al datore di lavoro ed alla figure che da esso ricevono poteri e doveri: il dirigente ed il preposto. Tanto è vero che il coordinatore articola le sue funzioni in modo formalizzato: contestazione scritta alle imprese delle irregolarità riscontrate per ciò che riguarda la violazioni dei loro doveri “tipici”, e di quelle afferenti all’inosservanza del piano di sicurezza e di coordinamento; indi segnalazione al committente delle irregolarità riscontrate. Solo in caso di imminente e grave pericolo direttamente riscontrato è consentita la immediata sospensione dei lavori. Appare dunque chiara la rimarcata diversità di ruolo rispetto al datore di lavoro delle imprese esecutrici: un ruolo di vigilanza che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni e non la puntuale stringente vigilanza, momento per momento, demandata alle figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto). Da tale ruolo discende che il committente responsabile di lavori che abbia nominato un coordinatore per l’esecuzione trasferisce a tale figura tecnica le competenze e le responsabilità in ordine alla “vigilanza alta” di cui si è detto e rimane portatore di un limitato ruolo che, per quel che qui interessa, come si è visto, attiene alla verifica che il tecnico nominato adempia al suo compito di generale, formalizzato controllo delle lavorazioni. È dunque erroneo pensare che il responsabile dei lavori debba comunque personalmente interessarsi, con attività ispettiva, della situazione del cantiere. La vigilanza, giova ripeterlo ancora, attiene solo al rispetto, da parte del coordinatore per l’esecuzione, del compito tecnico affidatogli. Alla luce della disamina della disciplina legale traspare l’errore giuridico commesso dalla Corte d’appello. Il primo giudice aveva assolto, avendo rilevato che il […] aveva nominato tecnici qualificati, non si era disinteressato dei lavori, aveva partecipato a diverse riunioni sulla sicurezza, aveva vigilato sullo svolgimento da parte del coordinatore per la sicurezza dei compiti demandatigli dalla legge. La Corte di merito ritiene, come si è sopra esposto, che vada comunque affermata la responsabilità. Si assume che egli era portatore di una posizione di garanzia cruciale e che non abbia ottemperato compiutamente all’obbligo di controllo demandatogli, trascurando di fare dei “giri” in cantiere in compagnia del coordinatore per la sicurezza, nonché di compiere “la benché minima attività di diretta e competente verifica del rispetto delle norme antinfortunistiche”, e di vigilare sull’operato del coordinatore per l’esecuzione.
È evidente che il giudice di merito non ha per nulla colto le peculiarità del ruolo del responsabile dei lavori, nel caso in cui abbia nominato un tecnico responsabile che assuma il ruolo di coordinatore per l’esecuzione. Egli ha, lo si vuoi ripete, un compito di vigilanza che attiene al solo rispetto, da parte del coordinatore, dell’incarico ricevuto. Tale limitata vigilanza è stata posta in essere, posto che, come ampiamente evidenziato dal giudice di merito, il […] era intervenuto in più momenti ed in diverse guise. In tale situazione, non essendosi riscontrata alcuna violazione dei residuali doveri cautelari demandatigli dalla legge, la sentenza va annullata senza rinvio perché il fatto non costituisce reato. […]