[…]
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 10/5/2013 il Giudice della udienza preliminare presso il Tribunale di Milano dichiarava non luogo a procedere nei confronti di […], per non avere commesso il fatto, in relazione al reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro contestatogli per aver cagionato la morte di […], dipendente della […]. impiegato presso l’Unità Operativa di …, a causa di “lesioni scheletriche e viscerali multiple” conseguenti ad investimento da pala meccanica, con colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia ed inosservanza di norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro. Si contestava in particolare al […], nella sua qualità di amministratore delegato della […] e, quindi, di datore di lavoro: la violazione dell’art. 2087 c.p. e D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 29, comma 3, per aver omesso di prendere le misure necessarie per tutelare la sicurezza dei lavoratori occupati presso l’Unità Operativa … e, in specie, di rielaborare la valutazione dei rischi a seguito delle modifiche nella dislocazione delle zone operative delle pale gommate addette alla movimentazione dei materiali e delle zone di transito dei pedoni disposte in ragione dei lavori di scavo per opere fognarie intrapresi presso la suddetta unità operativa. Fatto avvenuto in … il …/2011.
1.1. In punto di fatto si ricava dalla sentenza impugnata che:
– in data …/2011, verso le 21:00 circa, presso il cantiere … ove erano in corso lavori di manutenzione sulla rete autostradale ed era in funzione una centrale di betonaggio per la produzione di conglomerato bituminoso ed erano altresì operative due pale gommate utilizzate per movimentare il materiale scarificato, si verificava un incidente del quale rimaneva vittima […], che svolgeva funzioni di conduzione della centrale di betonaggio agendo da una cabina posizionata a fianco della centrale. Tra l’officina e la centrale di betonaggio vi era uno spazio vuoto nel quale si trovava ammassato un cumulo di circa 2000 m3 di materiale scarificato;
– dalle informazioni raccolte circa la dinamica del sinistro, era emerso che il conducente di una pala gommata, nel caricare il materiale per poi scaricarlo nel cassone, effettuava una retromarcia; in quel momento, transitando dietro ad un camioncino parcheggiato nel retro dell’officina per dirigersi probabilmente alla cabina di comando cui era addetto, […] attraversava la zona interessata dalla manovra della pala gommata. Il conducente del mezzo non si avvedeva dell’impatto e solo l’arrivo di altro dipendente consentiva di constatare che […] era a terra con lo pneumatico appoggiato sul bacino e privo di sensi;
– nella relazione dell’Asl si evidenziava che verosimilmente […] non s’era accorto della manovra in atto, in quanto intento, con lo sguardo a terra, in un brevissimo lasso di tempo, a evitare le pozzanghere; ciò anche in ragione del frastuono dei mezzi che si confondeva con la pioggia battente e della oscurità che avvolgeva l’aria non dotata di illuminazione propria;
– si rimarca ancora nella sentenza impugnata che il documento di valutazione dei rischi prevedeva la disposizione di cumuli di materiale scarificato lungo il lato sinistro dell’ingresso del cantiere, opposto alla zona di pertinenza degli uffici e dell’officina; collocazione, questa, che permetteva una netta distinzione tra la zona operativa delle pale gommate addette alla movimentazione e la zona di transito degli operatori diretti alla cabina di comando della centrale di betonaggio;
– si afferma pertanto che “fattore determinante del sinistro è da individuare nella successiva modifica apportata a tale disposizione a seguito degli scavi relativi a opere fognarie. Tale modifica, posta in essere verosimilmente mesi prima rispetto al sinistro, ha fatto sì che nella medesima zona insistessero diverse attività tra cui sia la movimentazione mezzi che il transito di operatori, con promiscuità che ha notevolmente ampliato i fattori di rischio in assenza dì individuazione di percorsi pedonali esterni evidenziati“;
– si rileva ancora, in punto di fatto, che “alla modifica non ha fatto seguito un’integrazione al documento di valutazione dei rischi“.
1.2. Poste tali premesse, il G.u.p. ha tuttavia ritenuto che il […], amministratore delegato della […], non rivestisse la qualità di datore di lavoro stante l’esistenza di valide e specifiche deleghe idonee a trasferire ad altri gli obblighi altrimenti connessi alla sua carica e la correlata posizione di garanzia presupposto per la riconduzione causale dell’evento di reato alla sua condotta omissiva.
Al riguardo ha in particolare evidenziato che, con procura speciale del …/2010, […] conferiva a […], individuato in base alla pregressa esperienza di responsabile della sicurezza e del servizio prevenzione e protezione, poteri e attribuzioni in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro “meglio specificati nella apposita delega di responsabilità“. In tale ultimo documento, registrato il …/2010, si specificava che erano trasferiti poteri propri del delegante inerenti “il potere di organizzazione, direzione, gestione e controllo del rispetto delle norme inerenti la sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro“; era demandata la sorveglianza del servizio di prevenzione e protezione; al punto p) era espressamente previsto che il delegato “aggiornerà le misure di prevenzione in relazione ai mutamenti organizzativi e produttivi che hanno una rilevanza ai fini della salute e della sicurezza sul lavoro“; al punto s) era demandato a […] il controllo e la verifica dell’osservanza delle misure di prevenzione individuate nel piano di sicurezza e successive modificazioni.
Il G.u.p. ha inoltre attribuito convergente rilievo anche alla “delega di funzioni” rilasciata dal […] a […] per atto notarile del …/2010, nel quale, premesso che “per la peculiarità dell’oggetto sociale, nonché la diffusività delle unità operative sull’intero territorio nazionale, l’amministratore procede a conferire deleghe ex art. 16 D.Lgs. n. 81 del 2008“, il […] viene qualificato dirigente di varie unità operative e, in particolare, di quella di … ed era altresì previsto che lo stesso, in collaborazione con lo […], desse attuazione a tutte le attività tese all’adempimento delle norme in materia di sicurezza del lavoro, essendo stati anche conferiti, per l’esecuzione dei doveri delegati, poteri di spesa.
Passando poi ad esaminare un passo dell’informativa redatta dall’Asl – nel quale si esprimeva il dubbio che l’avere il […] delegato il […] nonostante la valida ed efficace delega già conferita a […], rappresentasse una “evidente ingerenza, formale e sostanziale, nell’ambito della struttura di …” e comunque rendesse poco chiaro il rapporto tra lo Sci[…] e il […], ingenerando ambiguità nella individuazione delle responsabilità delegate – ha rilevato che, da un lato, non è rilevabile “alcuna ambiguità nella individuazione di […] quale dirigente preposto al cantiere di …, chiamato a collaborare con […]” (soggiungendo che, comunque, ove anche tale ambiguità sussistesse, essa avrebbe semmai comportato che entrambi i soggetti dovessero ritenersi tenuti ad attivarsi e non già che “l‘inattività di entrambi possa comportare un annullamento dell’efficacia delle deleghe con regressione del livello di responsabilità“) e che, dall’altro, è “incongruo ritenere che il datore di lavoro, per avere conferito deleghe, si sia ingerito nell’esercizio di poteri spettantigli per legge a monte e che, a condizione del rispetto di determinate condizioni, può delegare“. Rilevava dunque che, data l’esistenza di valide deleghe, “se c’è stata un’omissione (di) informativa utile a consentire la modifica del piano di sicurezza”, tale omissione non può farsi risalire “ai livelli apicali della società, atteso che il sistema delle deleghe … serve a consentire il reale controllo dei fattori di rischio“.
2. Avverso tale sentenza propone ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano deducendo inosservanza o erronea applicazione del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 17, lett. a), oltre che manifesta illogicità della motivazione, in quanto inconferente rispetto alle contestazioni mosse all’imputato.
2.1. Sotto il primo profilo rileva che con le esposte argomentazioni il G.u.p. incorre in inosservanza o erronea applicazione del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 17, lett. a), nella parte in cui dispone che “il datore di lavoro non può delegare (…) a) la valutazione di tutti i rischi con la conseguente elaborazione del documento previsto dall’art. 28“, con la conseguenza che la mancata valutazione del rischio, anche qualora di fatto delegata ad un terzo, rimane responsabilità del datore di lavoro. Principio questo che – si rimarca in ricorso – si estende necessariamente ai casi in cui venga omessa la rielaborazione dell’attività di valutazione tutte le volte in cui questa si imponga – ai sensi del D.Lgs. n. 81 del 2008, art.29, comma 3 – per il verificarsi di “modifiche del processo produttivo o della organizzazione del lavoro significative ai fini della salute e sicurezza dei lavoratori“: che è quanto per l’appunto si affermava in rubrica essersi nella specie verificato senza che vi facesse seguito la doverosa rielaborazione del D.V.R. da parte del datore di lavoro.
2.2. Sotto il secondo profilo rileva il ricorrente che, a differenza di quanto sembra considerare il G.u.p., non vengono in alcun modo messe in discussione la validità e l’efficacia delle deleghe in materia di sicurezza conferite a […] e […], tanto che anche a carico di questi ultimi è stata formulata l’imputazione proprio sul presupposto che quelle deleghe abbiano fatto sorgere effettive e concorrenti posizioni di garanzia in capo questi ultimi. Inoltre, si evidenzia che, diversamente da quanto erroneamente ritenuto in sentenza, l’imputazione a carico del […] non era fondata sulla sua presunta “ingerenza, formale e sostanziale” nell’attività dei delegati, quanto piuttosto sulla omessa rielaborazione del documento di valutazione dei rischi, compito proprio dell’amministratore delegato e non delegabile ad alcuno.
3. Il difensore del […] ha depositato memoria con la quale, nel contestare l’ammissibilità e la fondatezza dei motivi di ricorso, evidenzia in particolare che il G.u.p. “non motiva la propria sentenza … soltanto sulla base della effettività ed esaustività delle deleghe“, ma anche sulla “omissione informativa” che ha impedito di avere contezza delle modifiche intervenute nell’organizzazione interna al cantiere e di provvedere alla conseguente “rielaborazione della valutazione dei rischi… (alla) relativa modifica del piano di sicurezza“.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è fondato con riferimento ad entrambi i profili di censura, congiuntamente esaminabili.
Giusta quanto dedotto dal P.M. ricorrente, invero, le argomentazioni poste a carico della sentenza di non luogo a procedere non appaiono conferenti rispetto all’impostazione dell’accusa, essendo questa fondata non su una presunta ingerenza del […] nell’esecuzione delle attività delegate in materia di sicurezza ad altri, ne’ su eventuali ambiguità o equivoci interpretativi sul contenuto delle deleghe, ma piuttosto sulla identificazione degli obblighi di prevenzione e sicurezza che, avuto riguardo al fattore determinante del sinistro, devono ritenersi violati e, correlativamente, sulla individuazione del responsabile, anche avuto riguardo alla (in)suscettività di tali obblighi di formare oggetto di delega da parte del datore di lavoro. In tale erronea prospettiva le motivazioni finiscono dunque col porsi anche in contrasto con i principi elaborati dalla giurisprudenza e poi recepiti anche nel citato testo unico sulla sicurezza del lavoro in tema di allocazione delle responsabilità per la violazione delle norme antinfortunistiche.
Giova al riguardo rammentare in premessa che, secondo affermazione consolidata nella giurisprudenza di questa Corte, il datore di lavoro – che, per altrettanto consolidato indirizzo, nelle società di capitali si identifica con l’intero consiglio di amministrazione (Sez. 4, n. 38991 del 4/11/2010, …, non mass. sul punto; Sez. 4, n. 6280 del 11/12/2007 – dep. 08/02/2008, …; Sez. 4, n. 988 del 11/07/2002 – dep. 14/01/2003 …) – è il primo e principale destinatario degli obblighi di assicurazione, osservanza e sorveglianza delle misure e dei presidi di prevenzione antinfortunistica. Ciò dovendosi desumere, anche a non voler considerare gli obblighi specifici in tal senso posti a carico dello stesso datore di lavoro dal D.Lgs. n. 81 del 2008, dalla “norma di chiusura” stabilita nell’art. 2087 c.c., che integra tuttora la legislazione speciale di prevenzione, imponendo al datore di lavoro di farsi tout court garante dell’incolumità del lavoratore.
Va, quindi, ancora una volta ribadito che il datore di lavoro, proprio in forza delle disposizioni specifiche previste dalla normativa antinfortunistica e di quella generale di cui all’art. 2087 c.c., è il “garante” dell’incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale del lavoratore, con la già rilevata conseguenza che, ove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, l’evento lesivo gli viene addebitato in forza del principio che “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo” (art. 40 c.p., comma 2). È bensì vero che nelle imprese di grandi dimensioni occorre un puntuale accertamento, in concreto, della gerarchia delle responsabilità all’interno dell’apparato strutturale, così da verificare la eventuale predisposizione di un adeguato organigramma dirigenziale ed esecutivo il cui corretto funzionamento esonera l’organo di vertice da responsabilità di livello intermedio e finale (così, Sez. 4, n. 4123 del 10/12/2008 – dep. 28/01/2009, …; Sez. 4, 9 luglio 2003 …; Sez. 4, 27 marzo 2001…, nonché Sez. 4, 26 aprile 2000 …). In altri termini, nelle imprese di grandi dimensioni non è possibile attribuire tout court all’organo di vertice la responsabilità per l’inosservanza della normativa di sicurezza, occorrendo sempre esaminare l’apparato organizzativo che si è costituito, sì da poter risalire, all’interno di questo, al responsabile di settore.
Altrettanto consolidato è però il principio che la delega non può essere illimitata quanto all’oggetto delle attività trasferibili. Invero, pur a fronte di una delega corretta ed efficace, non potrebbe andare esente da responsabilità il datore di lavoro allorché le carenze nella disciplina antinfortunistica e, più in generale, nella materia della sicurezza, attengano a scelte di carattere generale della politica aziendale ovvero a carenze organizzative e strutturali, rispetto alle quali nessuna capacità di intervento possa realisticamente attribuirsi al delegato alla sicurezza (v., tra le altre, Sez. 4, n. 4123 del 10/12/2008 – dep. 28/01/2009, …; Sez. 4, n. 12794 del 06/02/2007 …).
È da ritenere, quindi, senz’altro fermo l’obbligo per il datore di lavoro di intervenire rispetto a rischi connessi a scelte di carattere generale di politica aziendale ovvero a carenze strutturali o organizzative di fondo, rispetto alle quali nessuna capacità di intervento possa realisticamente attribuirsi al delegato alla sicurezza.
Tali principi hanno trovato conferma nel D.Lgs. n. 81 del 2008, che prevede, infatti, gli obblighi del datore di lavoro non delegabili, per l’importanza e, all’evidenza, per l’intima correlazione con le scelte aziendali di fondo che sono e rimangono attribuite al potere/dovere del datore di lavoro (art. 17). Trattasi: a) dell’attività di valutazione di tutti i rischi per la salute e la sicurezza al fine della redazione del documento previsto dal cit. D.Lgs., art. 28, contenente non solo l’analisi valutativa dei rischi, ma anche l’indicazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate; nonché b) della designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi (RSPP).
La sentenza impugnata – nel l’attribuire decisivo rilievo, ai fini in esame, alle deleghe conferite dal […] a terzi in materia di sicurezza – omette sostanzialmente di confrontarsi con tali fondamentali aspetti della disciplina in materia.
3.1. Ed invero l’assunto, evidentemente sotteso alla riferita lettura della fattispecie da parte del giudice di merito, secondo cui tali deleghe siano da considerare idonee ad esonerare il datore di lavoro delegante d’ogni compito e responsabilità connessi al fattore di rischio individuato ad origine dell’evento letale si rivela insufficientemente motivato, trascurando di considerare che trattavasi di aspetto non contingente dell’organizzazione del lavoro all’interno del cantiere (sia perché determinata dall’esigenza di operare degli scavi per la realizzazione di opere fognarie, sia perché comunque risalente, come chiaramente detto in sentenza, a “mesi prima rispetto ai sinistro”).
Ciò del resto è confermato dalla circostanza, pure contraddittoriamente evidenziata in altra parte della motivazione, che l’organizzazione del cantiere, con la individuazione delle zone di pertinenza degli uffici, dell’officina e delle aree dove dislocare il materiale scarificato – dislocazione concepita in modo tale da assicurare distanze di sicurezza tra le aree percorse dei dipendenti operanti presso gli uffici e quelle invece attraversate dei mezzi impegnati nei lavori di scarificazione – costituiva aspetto espressamente considerato nel documento di valutazione dei rischi, tanto che fattore determinante del sinistro è stato individuato in sentenza “nella successiva modifica apportata a tale disposizione a seguito degli scavi relativi a opere fognarie“, modifica alla quale “non ha fatto seguito un’integrazione al documento di valutazione dei rischi“.
Il fatto stesso, dunque, che si trattasse di aspetto dell’organizzazione ricompreso nel documento di valutazione dei rischi avrebbe dovuto condurre ad escludere che i compiti e le responsabilità connesse al suo governo potessero formare oggetto di valida ed efficace delega a terzi, alla luce del testuale disposto dell’art. 17 T.U. cit. che, come detto, espressamente esclude la delegabilità della valutazione di tutti i rischi e della elaborazione del relativo documento (previsto dall’art. 28):
attività che, come correttamente rimarca il P.M. ricorrente, ai sensi dell’art. 29, comma 3, deve essere “immediatamente” nuovamente eseguita “in occasione di modifiche del processo produttivo o della organizzazione del lavoro significative ai fini della salute e sicurezza dei lavoratori”.
In tale prospettiva nessun rilievo potrebbe ovviamente assumere l’esistenza di “omissioni informative” da parte dei collaboratori del datore di lavoro, non valendo queste comunque ad esonerare da responsabilità il datore di lavoro per la condotta omissiva di per sè riferibile anche alla mancata predisposizione di canali informativi adeguati e idonei a far emergere con la dovuta tempestività la sopravvenienza di circostanze incidenti sulla valutazione dei rischi (responsabilità tanto più predicabile in presenza di mutamenti risalenti “mesi prima rispetto al sinistro”).
3.2. Giova peraltro rammentare che la delega di funzioni, anche nei casi in cui essa è ammessa, non esclude comunque, siccome espressamente previsto dall’art. 16, comma 3, del T.U. citato, l’obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite: obbligo che può intendersi assolto in caso di adozione ed efficace attuazione del modello di verifica e controllo di cui all’art. 30, comma 4, del medesimo testo normativo.
Anche in relazione a tale sussidiario profilo si rivela non perspicua l’osservazione contenuta in sentenza secondo cui “la vigilanza sul modello organizzativo di cui … (all’art. 30 d.lgs. n. 81/2008) … attiene il profilo di organizzazione aziendale complessa più direttamente dipendente dalle figure apicali e non, come nel caso di specie, le modifiche che attengono al variare di elementi connessi alla operatività del singolo cantiere“.
Tale inciso sembra sovrapporre i due piani, ossia: da un lato, la riferibilità della violazione identificata ad origine dell’evento dannoso a doveri e responsabilità suscettibili di delega da parte del datore di lavoro; dall’altro, sul presupposto di una risposta positiva a tale primo quesito, l’assolvimento di residuali doveri di vigilanza comunque permanenti in capo al datore di lavoro delegante.
Il giudice di merito affronta entrambi i temi con l’unico argomento secondo cui, se ben si comprende, il fattore determinante del sinistro – costituito dalla sopra descritta modifica dell’organizzazione del cantiere di … – non investirebbe un “profilo di organizzazione aziendale complessa più direttamente dipendente dalle figure apicali” ma piuttosto rappresenterebbe una variazione di “elementi connessi alla operatività del singolo cantiere“.
Tale argomento, oltre ad apparire in sè non persuasivo per le ragioni sopra illustrate, non è comunque spendibile in entrambi i sensi.
L’attinenza del fattore di rischio ad aspetti non relativi a scelte di fondo dell’organizzazione aziendale – quand’anche effettivamente riscontrabile nel caso concreto (cosa della quale può fortemente dubitarsi alla luce dei superiori rilievi) – può valere infatti a consentire il trasferimento degli obblighi propri del datore di lavoro e la connessa posizione di garanzia ad altri soggetti attraverso valide deleghe, nel rispetto dei requisiti previsti dall’art. 16, ma non esonera comunque, come detto, il delegante dall’obbligo di vigilanza, controllo ed intervento sostitutivo.
Quantunque si tratti, come è stato condivisibilmente evidenziato, di una vigilanza “alta”, distinta da quella gravante sullo stesso delegato, che riguarda precipuamente la correttezza della complessiva gestione del rischio da parte del delegato medesimo e non impone il controllo, momento per momento, delle modalità di svolgimento delle lavorazioni (v. Sez. 4, n. 10702 del 01/02/2012, …), cionondimeno l’assunto secondo cui il relativo obbligo non verrebbe nella specie in rilievo si rivela sostanzialmente immotivato, sembrando la riportata affermazione postularne in radice l’inoperativita piuttosto che argomentarne in concreto l’irrilevanza in rapporto alla natura ed alle cause del fattore di rischio che ha determinato l’evento (motivazione tanto più necessaria in considerazione dell’anteriorità della collocazione temporale delle modifiche dell’organizzazione del cantiere in altra parte della sentenza indicate come risalenti a “mesi prima rispetto ai sinistro”).
Nè a dimostrare l’assolvimento del detto obbligo residuo di vigilanza in capo al datore di lavoro possono bastare il mero riferimento allo stesso sistema di deleghe di cui si è detto e la considerazione, sostanzialmente tautologica, che “se c’è stata un’omissione informativa utile a consentire la modifica del piano di sicurezza“, essa “e la connessa dovuta vigilanza, non possa farsi risalire fino ai livelli a picali della società, atteso che il sistema delle deleghe … serve a consentire il reale controllo dei fattori di rischio, assicurando che la prevenzione si attui mediante un più pregnante controllo strutturato sin dalla base dell’organizzazione aziendale“.
È agevole difatti di contro rilevare che si dà in tal modo per dimostrato quel che occorreva invece dimostrare, ossia che il funzionamento e l’efficacia di tale sistema di deleghe sia stato sottoposto alle dovute verifiche da parte del datore di lavoro delegante, in particolare secondo il modello organizzativo prefigurato dal già citato art. 30 del testo unico sulla sicurezza del lavoro (dimostrazione tanto più, ripetersi, necessaria a fronte del dato temporale sopra riferito).
4. Sotto entrambi i profili evidenziati dunque – anzitutto, quello preliminare e assorbente, della delegabilità a terzi dei compiti di governo del fattore di rischio che ha nella specie determinato il sinistro; in subordine quello, sussidiario, della ipotizzata violazione degli obblighi di vigilanza e intervento sostitutivo comunque gravanti sul datore di lavoro – la sentenza impugnata si rivela insufficientemente e contraddittoriamente motivata ed incorre nei denunciati vizi. […]