Corte di Cassazione, Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 24769 del 2018, dep. il 08/10/2018

[…]

FATTO E DIRITTO

1.- […], […] e la s.n.c […] ricorrono per cassazione nei confronti di […], articolando tre motivi avverso la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Catanzaro in data 28 novembre 2016.
Confermando integralmente quanto deciso nel primo grado del giudizio dal Tribunale di Catanzaro con pronuncia n. 994/2010, la Corte calabrese ha, per quanto qui ancora interessa, ritenuto che la liquidazione della quota del socio di società in nome collettivo vada determinata mediante applicazione del metodo c.d. misto, intermedio cioè tra quello reddituale e quello patrimoniale; e dunque tenendo conto anche della redditività prospettica e dell’avviamento. Sempre in conformità a quanto stabilito dal giudice del primo grado, la Corte territoriale ha pure provveduto a liquidare la residua quota di utili spettanti per esercizio 2000 al socio […] (dalla società per l’appunto escluso con delibera del 23 dicembre 2000).
[…] resiste con controricorso.
2.- Il primo motivo di ricorso risulta intestato «violazione ed errata applicazione di norma di diritto (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) – violazione dell’art. 2289 cod. civ.».
Lo stesso censura la pronuncia della Corte calabrese, là dove questa ha ritenuto corretto metodo di valutazione della quota del socio uscente quello c.d. misto. Tale criterio viola – così si assume – la norma del comma 2 dell’art. 2289 cod. civ., posto che questa fa inequivoco riferimento alla «situazione patrimoniale della società». Perciò, l’unico criterio valutativo utilizzabile per la liquidazione della quota è quello rappresentato dal metodo patrimoniale c.d. secco.
3.- Il motivo è infondato.
La giurisprudenza di questa Corte è costante nel ritenere che, ai fini della valutazione della quota sociale ex art. 2289 cod. civ., occorre comunque tenere conto anche del valore dato dall’avviamento; nonché, e più in generale, della previsione – condotta, naturalmente, secondo una stima di ragionevole prudenza – della futura redditività dell’azienda della società: al punto da avvertire la forte esigenza che, nel ricorrere di una tale evenienza, sia predisposto un «bilancio straordinario» ad hoc. Su questi temi si vedano, tra le altre, già Cass., 23 luglio 1069, n. 2772; più di recente, Cass., 16 gennaio 2009, n. 1036; Cass., 3 settembre 2009, n. 19132; Cass., 18 marzo 2015, n. 5449.
Al fondo di tale orientamento sta la constatazione che la valutazione di cui alla norma dell’art. 2289 cod. civ. non fa riferimento a un mero compendio statico – e tendenzialmente disaggregato – di beni. Fa riferimento, per contro, a un’azienda che, al tempo della valutazione in discorso, si trova tipicamente in attività e che è destinata, in quanto tale, a proseguire tale attività pure nel futuro. Com’è reso evidente dal fatto che il fenomeno per l’appunto si inscrive nell’ambito dello «scioglimento del rapporto sociale limitatamente a un socio» e, per ciò stesso, nel contesto della continuazione dell’attività sociale. Si tratta, pertanto, di una valutazione che non può prescindere dall’«organismo produttivo» di cui allo svolgimento dell’attività di impresa e che, in via correlata, deve confrontarsi con le caratteristiche proprie di tale attività: compresa, per quanto qui specificamente interessata, quella della sua fisiologica, naturale propensione verso il futuro.
4.- Il secondo motivo di ricorso è intestato «violazione ed errata applicazione di norma di diritto (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) – violazione dell’art. 2697 cod. civ. – violazione ed errata applicazione degli artt. 2, 3 e 4 della legge n. 443/1985».
Con questo motivo, i ricorrenti assumono l’erroneità della sentenza della Corte calabrese che – ai fini della valutazione della quota ex art. 2289 cod. civ. – ha ritenuto, sulla scia dell’elaborato reso dal CTU, che la s.n.c. […] sia definibile come una «normale impresa industriale».
Ad avviso dei ricorrenti, quella in questione è, per contro, un’impresa funzionante «per il prevalente (anzi esclusivo) apporto manuale dei soci».
Tale rilevazione viene dedotta, in modo segnato, da ciò che «i signori […] e […] hanno svolto attività lavorativa quasi come dipendenti e che il signor […] ha svolto anche il ruolo di direttore tecnico»; e che «il […] ha dato il suo apporto mediante lo svolgimento del ruolo di amministratore».
Per la natura industriale dell’impresa – nota ancora il motivo – non basta quanto scritto nell’oggetto sociale, come per contro ha ritenuto la sentenza impugnata (che ha valorizzato l’indicazione di «progettazione, realizzazione, montaggio, manutenzione di compattatore contenitore per la raccolta dei rifiuti solidi urbani»): «per espressa previsione legislativa (art. 3, comma 1, legge n. 443/85)» pure le società che abbiano come «scopo la produzione di beni, anche semilavorati», possono raggiungere la qualifica di impresa artigiana.
5.- Il motivo è inammissibile.
Lo stesso infatti propone una censura di fatto, come relativa alle caratteristiche dell’attività di impresa specificamente svolta dalla s.n.c. […].
D’altro canto, la motivazione effettuata in proposito dalla Corte di Appello appare ragionevole e plausibile, alle indicazioni fornite dall’oggetto sociale la stessa aggiungendo che «non risultano elementi di sorta … che possano consentire di ritenere fondata la tesi secondo la quale si sarebbe al cospetto di mera attività manuale dei singoli soci». Non si vedono ragioni, in effetti, per stimare prettamente «manuale» il genere di attività prestata dall’amministratore di società ovvero da un direttore tecnico d’impresa; in ogni caso, il motivo in esame non ne adduce a supporto di una simile prospettiva.
L’indicazione di lavoratore «quasi dipendente» si manifesta, del resto, sin troppo generica.
6.- Il terzo motivo di ricorso risulta intestato «omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.) – omessa valutazione dei documenti e degli atti comprovanti le anticipazioni sugli utili dell’esercizio del 2000 già trattenute dal […]».
Con questo motivo, i ricorrenti assumono, in buona sostanza, che la Corte ha omesso di prendere in considerazione – al fine di valutare la somma di utili residui spettanti a […] – «una sentenza penale di assoluzione … depositata dal […]» … da cui è emerso che i movimenti di danaro fatti dal […] dopo la sua esclusione erano da considerare imputabili a una anticipazione della ripartizione degli utili. Precisamente, dal partitario relativo al mese di gennaio 2001 … emerge una serie di prelevamenti in contanti dal conto della società».
7.- Il motivo è inammissibile.
In relazione al tema della sentenza penale di assoluzione, il motivo difetta, prima di ogni altra cosa, del necessario requisito della completezza (art. 366 cod. proc. civ.). Non vengono riportati, in particolare, gli estremi di questa pronuncia penale; né il dispositivo o la parte motivazionale che verrebbe in interesse nella presente sede. Neppure vengono indicati i luoghi specifici e i modi in cui tale sentenza sarebbe stata introdotta nel processo svoltosi avanti ai giudici del merito.
Quanto poi ai dati contabili del gennaio 2001, pure va rilevato (al di là del giudizio di «inidoneità» degli stessi, come espresso dalla sentenza impugnata) che di tale documentazione non vengono trascritti i contenuti, né indicati luoghi e modi specifici dell’introduzione in giudizio.
8.- In conclusione, il ricorso deve essere rigettato […]