Corte di Cassazione, Sez. III pen., Sentenza n. 49991 del 2014, dep. il 1 dicembre 2014

[…]

RITENUTO IN FATTO

Il Tribunale di Genova, con sentenza del 23 gennaio 2013, ha condannato, unitamente a […], costoro nella rispettiva qualità di amministratore della ditta appaltatrice e di direttore dei lavori, […], in qualità di committente dei lavori, alla pena di Euro 2000,00 di ammenda per la violazione del D.Lgs. n. 380 del 2001, art. 44, lett. a), disponendo altresì la demolizione delle opere abusivamente realizzate, per avere fatto eseguire, presso un edificio di sua proprietà, dei lavori di demolizione di mura perimetrali, laddove il permesso a costruire consentiva esclusivamente l’esecuzione di lavori di ristrutturazione.
Avverso detta sentenza ha proposto appello la […], in proprio, peraltro deducendo motivi di gravame articolati ai sensi dell’art. 606 c.p.p..
Con provvedimento del 29 ottobre 2013 la Corte di appello di Genova, rilevato che la sentenza emessa dal Tribunale contemplava esclusivamente la condanna alla pena pecuniaria dell’ammenda, disponeva la conversione dell’appello in ricorso per cassazione, trasmettendo gli atti a questa Corte.
Il ricorso della […] si fonda su ben cinque motivi.
Col primo è dedotto il vizio di motivazione della impugnata sentenza con riferimento dimostrazione della sussistenza a carico della prevenuta dell’elemento soggettivo necessario ai fini della integrazione della penale responsabilità.
Con il secondo è dedotta la nullità della sentenza per la mancata assunzione di una prova decisiva, sollecitata ai sensi dell’art. 507 c.p.p., dalla difesa della ricorrente.
Col terzo motivo è, in sostanza, dedotta la omessa motivazione in ordine alla imputazione avente ad oggetto la realizzazione anche di una baracca con tettoia in legno.
Il quarto motivo ha ad oggetto il vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche, negate, sulla base della affermazione che per la loro concessione non è sufficiente il solo stato di incensuratezza, laddove, a dire della ricorrente, sussistevano altri elementi positivi per il loro riconoscimento.
Col quinto motivo è, infine, dedotta la violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, comma 9, per essere stata disposta la demolizione delle opere abusive; ciò in considerazione sia del fatto che nel caso di specie la abusività ha ad oggetto non un’edificazione ma, semmai, una demolizione, sia del fatto che in questo caso, sebbene in origine fosse stata contestata la violazione dell’art. 44, lett. b), del D.P.R. citato, in sentenza è stata riscontrata quella della lettera a), cioè di un abuso minore per il quale non è prevista detta sanzione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso, fondato nei limiti che saranno di seguito indicati, deve essere, pertanto, accolto per quanto di ragione.
Di tutta evidenza la inammissibilità del primo motivo; con esso, infatti, si intende sollecitare questa Corte a rivalutare la sussistenza in capo alla ricorrente dell’elemento soggettivo del reato contestato che, trattandosi di una contravvenzione, è rinvenibile nella mera colposità della condotta realizzata dalla imputata.
Ma, rileva il Collegio, siffatta indagine è monopolio dei giudici del merito e, se svolta in base a criteri immuni da vizi logici o giuridici, i suoi risultati non sono suscettibili di essere riesaminati in sede di legittimità; ne’ può convenirsi con la ricorrente, la quale ha affermato la assenza di motivazione sul punto controverso, avendo, viceversa, il Tribunale di Genova rilevato che la qualità della […], committente dei lavori abusivi e proprietaria dell’immobile sul quale essi erano stati eseguiti, era elemento idoneo a fondare il giudizio di sua penale responsabilità, in concorso con gli esecutori materiale di degli stessi.
Inammissibile è anche il secondo motivo di impugnazione; come, infatti, anche nel recente passato, rilevato da questa Corte, la mancata assunzione di una prova decisiva – quale motivo di impugnazione per cassazione – può, invero, essere dedotta solo in relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l’ammissione a norma dell’art. 495 c.p.p., comma 2, sicché il motivo non potrà essere validamente invocato nel caso in cui il mezzo di prova sia stato sollecitato dalla parte attraverso l’invito al giudice di merito ad avvalersi, come nella specie, dei poteri discrezionali di integrazione probatoria di cui all’art. 507 c.p.p., e ciò sia stato da questo ritenuto non necessario ai fini della decisione (Corte di cassazione, Sezione 2^ penale, 1 marzo 2013, n. 9763; idem Sezione 6^ penale, 5 agosto 2003, n. 33105).
Riguardo al terzo motivo, avente ad oggetto la asserita omessa motivazione su di un punto della rubrica contestata, la stessa ricorrente rileva come il Tribunale abbia riscontrato che, trattandosi di “opera meramente provvisionale”, la baracca in legno di cui al predetto punto della rubrica non necessitava per la sua realizzazione di alcun titolo autorizzativo; per cui per tale aspetto della contestazione la prevenuta è stata, ancorché la relativa pronunzia non sia stata formalmente esplicitata in dispositivo, evidentemente mandata assolta, come logicamente desumibile anche dalla avvenuta derubricazione del reato contestato, da violazione della lettera b) a violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. a).
Con riferimento alla pretesa omessa motivazione della impugnata sentenza in punto di mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, rileva questa Corte che è metodologicamente errato contestare la motivazione di una sentenza, nella quale il giudice non abbia concesso all’imputato condannato le attenuanti generiche, lamentando sic et simpliciter la omissione delle ragioni per le quali non si è ritenuto di dover concedere tale beneficio.
In realtà, come correttamente fatto dal Tribunale di Genova nel caso di specie, la sussistenza delle predette attenuanti, non costituendo l’oggetto di una benevola e discrezionale concessione del giudice (Corte di cassazione, Sezione 6^ penale, 7 luglio 1999, n. 8668), non deve essere ritenuta laddove non vi siano motivi ostativi al loro riconoscimento – di tal che sarebbe onere motivazionale del giudice quello di rappresentare l’esistenza di siffatti motivi ostativi ed essendo, conseguentemente, difettiva la motivazione della sentenza che, laddove non siano state riconosciute le predette circostanze attenuanti, non dia adeguatamente conto delle ragioni per tale esclusione – ma la loro esistenza deve essere affermata in presenza di elementi positivi, ancorché non tipizzati dal legislatore e all’occorrenza rappresentati dalla parte che vi abbia interesse, che ne giustifichino il riconoscimento.
In tal senso appare, infatti, significativa la riforma dell’art. 62 bis c.p., intervenuta in sede di conversione con L. n. 125 del 2008, del D.L. n. 92 del 2008, con la quale, espressamente vietandosi che la concessione delle attenuanti generiche possa originare dal mero stato di incensuratezza del prevenuto, si è implicitamente chiarito come il riconoscimento delle attenuanti generiche consegua alla valutazione di specifici e dichiarati elementi di meritevolezza del prevenuto.
Deve, pertanto, ritenersi che debba essere l’affermazione delle sussistenza delle predette circostanze a costituire oggetto di motivazione, non la loro negazione, a meno che quest’ultima non faccia seguito ad una specifica richiesta in tale senso formulata dalla difesa del soggetto indicato, in ragione della quale, ove la stessa abbia allegato e ove necessario documentato specifiche ragioni che potrebbero, nella prospettazione difensiva, giustificare il loro riconoscimento, sorge il dovere in capo al giudice di dare adeguata risposta alla istanza defensionale a lui rivolta.
Laddove, invece, una tale richiesta o non sia proprio fatta ovvero, per la sua genericità e mancanza di concretezza, abbia le caratteristiche della mera formula di stile, non vi è la necessità di una sua puntuale confutazione, essendo sufficiente la mera negazione, anche implicita, della sussistenza degli elementi legittimanti la concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Non emergendo, nel caso che interessa, l’allegazione da parte della prevenuta di fronte al giudice del merito di alcuna effettiva ragione giustificatrice la loro affermazione, non è riscontrabile alcun vizio nella sentenza che ha escluso la riconoscibilità delle attenuanti generiche in favore della […].
È, viceversa, fondato il quinto motivo di doglianza.
Osserva, infatti, la Corte che il Tribunale di Genova, come già dianzi accennato, ha riqualificato il fatto attribuito alla […], derubricandolo da violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b), a violazione della lettera a) della medesima norma
di legge, essendo stata in tal senso qualificata la condotta relativa all’abbattimento di un muro perimetrale del quale era stata autorizzata la mera manutenzione.
Sulla base di tale rilievo deve osservarsi che il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, il quale prevede la ingiunzione alla demolizione delle opere abusive, riguarda gli “interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazione essenziali”; interventi questi puniti, in sede penale, ai sensi del medesimo D.Lgs. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. b) ovvero lett. c).
È, pertanto, evidente che il citato D.Lgs. n. 380, art. 31, comma 9, nell’imporre al giudice l’obbligo di ordinare, con la sentenza di condanna, la demolizione delle opere di cui al presente articolo si riferisce esclusivamente al tipo di abusi edilizi previsti dall’intitolazione dell’articolo medesimo, meglio descritti nel comma 1, con riferimento all’ipotesi della totale difformità dal permesso di costruire (interventi “che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche e di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l’esecuzione di voltimi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza o autonomamente utilizzabile”).
Non rientrano, pertanto, nella previsione normativa dell’art. 31, gli abusi minori, puniti ai sensi del D.Lgs. n. 380 del 2001, art. 44, lett. a). Per tali violazioni le sanzioni amministrative costituite dal ripristino dello stato dei luoghi o dalla irrogazione di una sanzione pecuniaria sostitutiva, ai sensi del predetto D.Lgs. n. 380, art. 34, restano di esclusiva competenza della pubblica amministrazione, mentre l’autorità giudiziaria può solo irrogare la pena dell’ammenda comminata dalla norma avente carattere penale (nel medesimo senso: Corte di cassazione, Sezione 3^ penale, 14 novembre 2011, n. 41423). La sentenza impugnata, pertanto, deve essere annullata senza rinvio limitatamente all’ordine di demolizione, che va eliminato […]