Corte di Cassazione, Sez. III, Sentenza n. 1938 del 1987, dep. il 24/02/1987

[…]

Svolgimento del processo

[…], proprietario di un fondo sito nel Comune di […], il 12 aprile 1984 conveniva dinanzi alla sezione specializzata agraria del Tribunale di Padova l’affittuario […], chiedendo che lo stesso venisse condannato al rilascio del fondo, previa dichiarazione di risoluzione del contratto di affitto, sul rilievo che era stata violata una serie di obblighi di fedeltà nell’esecuzione del contratto, concretante grave inadempimento.
Il […] infatti aveva chiesto all’Autorità comunale, a sua insaputa, l’autorizzazione a costruire un passo carraio falsificando la sua firma apposta in calce all’istanza.
Tala passaggio peraltro, creato mediante la costruzione di un accesso alla pubblica via, era stato costruito prima ancora della presentazione della domanda ed era stato accompagnato dalla eliminazione di una servitù di passaggio su di un fondo finitimo di proprietà altrui, mediante il quale si accedeva all’area pubblica per altra direzione.
Lungo i confini con detto fondo, infatti, era stato scavato un profondo fossato con diversa regolamentazione del corso delle acque.
Il […] infine, al termine dei lavori, gli aveva inviato il conto delle opere compiute, perché provvedessero al suo pagamento.
Il convenuto opponeva, che i lavori erano stati eseguiti con il preventivo consenso del proprietario, che gli stessi avevano apportato un miglioramento al fondo, che la firma era stata apposta in presenza del […], in sua rappresentanza, come evidenziato dal segno x che la precedeva.
Concludeva quindi per la condanna del ricorrente al pagamento di un congrua indennità per i miglioramenti eseguiti.
Il Tribunale con sentenza 17 settembre 1984 accoglieva la domanda, rigettando la riconvenzionale, la Corte di Appello di Venezia, giudicando il successivo 17 giugno 1985 sull’impugnazione del […], confermava integralmente la sentenza di primo grado, rilevando tra l’altro che il Tribunale aveva correttamente dedotto
dalle risultanze processuali la prova che il passo carraio era stato creato con lo specifico scopo di eliminare la servitù di passaggio sul fondo contiguo, dal […] recentemente acquistato e rivenduto a breve distanza di tempo, ad un prezzo notevolmente maggiorato, a seguito dell’eliminazione della servitù.
Il proprietario inoltre non era stato, affatto avvisato, né della costruzione del passo, né dell’allargamento del fosso scolmatore posto al confine.
La firma era infine apocrifa, e nessuna prova era emersa del preteso consenso del […], come attestato dal teste […], la cui dichiarazione costituiva valido elemento di convinzione.
La creazione del passo carraio, ben lungi dal migliorare la situazione del fondo, come sostenuto dall’affittuario, aveva arrecato danno, in quanto aveva modificato la sua conformazione e sacrificata una porzione non trascurabile di area coltivabile, essendosi resa necessaria la creazione di vari passaggi interni che in futuro avrebbero impedito la divisione del fondo in settori e la loro vendita separata per colture intensive specializzate.
Al contrario, la persistenza della servitù come sussisteva da tempo, avrebbe permesso ad ogni porzione del fondo uno sbocco autonomo sulla pubblica via.
L’art. 5 della legge n. 203-1982 sui contratti agrari, aggiungeva la Corte di merito, quanto parla di grave inadempimento contrattuale, sì da giustificare la risoluzione del contratto non contiene una enunciazione tassativa dei casi in cui la stessa può essere dichiarata, ma certamente abbraccia ogni violazione ritenuta grave, come l’ipotesi di violazione dell’obbligo di fedeltà di notevole rilevanza, da considerarsi commessa dal
[…], considerando che per fini di lucro era persino giunto a falsificare la firma del concedente.
Le risultanze del giudizio, conclude la sentenza, giustificano il rigetto della riconvenzionale diretta ad ottenere l’indennità per i pretesi miglioramenti.
Il […] invero aveva dedotto prova testimoniale allo scopo di provare che anche nell’interno del fabbricato colonico erano state eseguite varie opere di rifacimento, ma l’istanza non poteva essere accolta, essendo il relativo capitolo del tutto generico e riferito ad un arco di tempo di 10 anni, senza alcuna specificazione in ordine alle singole opere eseguite, alla loro entità e alle spese sostenute.
Contro la sentenza il […] ha proposto ricorso per cassazione, nel quale vengono enunciate tre censure, contestate dal […] nel controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 1074 cod.civ., per aver la sentenza ritenuto che l’apertura del passo carraio verso la provinciale, accompagnata dall’ampliamento del canale di scolo e dall’aratura del fondo finitimo abbiano comportato la soppressione della servitù e grave danno al fondo, giudizio questo erroneo in quanto, in virtù della citata norma, una servitù non viene meno per il solo fatto che non venga usata, se non quando è decorso il termine di prescrizione.
Nella specie poi il […] non aveva neanche la giuridica possibilità di provocare l’estinzione del diritto reale, essendo egli mero affittuario, e quindi carente di ogni legittimazione a produrre un qualsiasi effetto sull’ambito dei poteri spettanti al titolare.
Al contrario dovevasi ritenere che il nuovo accesso aveva comportato una migliore utilizzazione del fondo. In ogni caso l’esistenza della servitù poteva esser affermata con opportuna azione a tutela del possesso e provata con deduzione di testi.
La censura del secondo motivo-violazione dell’art. 360 n. 3 c.p.c. per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia – aggiunge che la sentenza, nel definire il […] autore di una “fraudolenta manovra speculativa”, aveva collegato fatti tra di loro lontani e distinti, senza dedurre alcuna argomentazione idonea a dimostrare su basi logiche la esistenza di un effettivo nesso,
indispensabile per ritenere l’unicità dell’intento.
Soltanto quest’ultimo poteva costituire l’indispensabile e logico presupposto di una “manovra” diretta a liberare il fondo dalla servitù ed ottenere un lucro dalla conseguente vendita del terreno ad un prezzo maggiore, a causa dell’aumentato suo valore.
Né la Corte aveva colto il reale valore dell’apposizione della firma apocrifa, frutto di una “ingenuità” non idonea a danneggiare il locatore, né ad integrare il grave inadempimento richiesto dall’art. 5 della legge n. 203-1982 sui contratti agrari, tale da giustificare la risoluzione del contratto di affitto.
Su tali censure, da valutare nel loro complesso in considerazione della stretta connessione logica delle argomentazioni ivi svolte, va considerato che la Corte di Venezia, dopo aver ampiamente riassunto il comportamento dell’affittuario specificando le modificazioni apportate ai luoghi, ha precisato che il […] ha sempre agito all’insaputa del […], il quale non aveva data alcuna autorizzazione, né era
stato avvisato, direttamente per interposta persona.
Lo stesso ricorrente, oltre ad ammettere le circostanze di fatto descritte, riconosce esplicitamente di aver agito senza che il concedente fosse stato preventivamente informato, ed è logico che la lunga serie di iniziative da lui assunte possa aver avuta rilevanza tale da giustificare la risoluzione del contratto.
All’affittuario vengono indubbiamente concessi poteri di iniziativa diretti ad adattare l’ordinamento colturale del fondo alle esigenze che di anno in anno possono mutare (giurisprudenza costante di questa Corte), ma ogni potere di iniziativa trova un limite nel rispetto della buona tecnica agraria e nella conformità alla destinazione culturale ed ambientale impressa dal concedente, i cui interessi possono esser lesi anche in
modo grave, da iniziative dell’affittuario tali da pregiudicare l’intera economia del contratto, quando le opere compiute giungano, come nella specie, a modificare le possibilità d’uso del terreno e le stesse prospettive della sua futura utilizzazione.
La determinazione dell’ambito e delle modalità di utilizzazione del fondo, spetta in ogni caso al concedente, e la sua vanificazione costituisce una indubbia fonte di danno, in quanto fa venir meno aspettative di natura economica, anche di notevole rilievo, nella specie valutate e ritenute apprezzabili con ampia e corretta
motivazione.
La giurisprudenza da tempo pone l’accento sulla fedele esecuzione del contratto, annoverandola tra gli essenziali obblighi gravanti sull’affittuario, e non par dubbio che le profonde modificazioni da lui ottenute secondo la ricostruzione operata dai giudici del merito, ricorrendo persino alla falsificazione della firma, costituiscono sul piano logico una evidente espressione della volontà di porsi al di fuori di ogni vincolo e limitazione, quindi di violare gli obblighi di fedeltà derivanti dalla natura del contratto.
Si assume invero che fatti anche lontani nel tempo sono stati arbitrariamente ricollegati per trarre l’unicità dell’intento, ma è pur vero che per la sentenza impugnata i singoli comportamenti costituiscono tutti, sul piano logico, indispensabili presupposti del risultato finale, nella specie individuato nella vendita del fondo
finitimo ad un prezzo maggiorato. Non può quindi censurarsi la Corte di merito per aver dedotto l’unicità dell’intento, motivata del resto con argomentazioni corrette e conseguenziali, rientranti nell’ambito dei suoi poteri di apprezzamento.
E’ realtà quindi che la sentenza impugnata ha esaminato aspetti soggettivi ed obiettivi, con valutazione specifica e globale delle circostanze emerse, giungendo a conclusioni che si sottraggono alle censure di un giudizio di legittimità.
Alla luce di tali premesse, appaiono irrilevanti le critiche mosse nel primo motivo, considerando che la sentenza ha valutato la modificazione dello stato dei luoghi come uno dei molti elementi integranti il grave inadempimento.
Quel che rileva infatti, ai fini della decisione della controversia, sono gli effetti delle opere compiute e dell’aratura, essendo l’azione del concedente diretta ad accertare la violazione degli obblighi di lui incombenti e le relative conseguenze. Una volta che le circostanze di fatto emerse sono state esaminate sotto tale aspetto, è ultroneo stabilire,se le stesse integrino l’eliminazione della servitù di passaggio o soltanto un
aggravamento del suo esercizio, non avendo l’una o l’altra ipotesi alcuna influenza sulla decisione.
Anche la seconda censura va quindi disattesa.
Il terzo motivo infine, assume che la Corte di merito ha violato l’art. 360 n. 3, 4 e 5 c.p.c., per aver respinto l’istanza di prova per testi, diretta a provare l’avvenuta
esecuzione di opere di miglioria. Il capitolo di prova dedotto, infatti, ben lungi dall’essere generico, come affermato in sentenza, indica singolarmente i lavori compiuti e non era certo la mancata specificazione del tempo e della spesa sostenuta
che poteva rendere inammissibile la prova, rilevando, ai fini della determinazione dell’indennità, soltanto l’entità dell’ultima derivante al proprietario e non la spesa sostenuta-valore questo che avrebbe dovuto essere accertato ricorrendo ad una consulenza tecnica, come richiesto. Al riguardo la Corte di merito ha correttamente rilevato che il capitolo di prova formulato era del tutto generico e la valutazione appare incensurabile, considerando che lo stesso enunciava soltanto genericamente
l’avvenuta esecuzione dei lavori nello spazio del decennio ricompreso tra il 1965 ed il 1975, mentre nessuna indicazione era stata fornita sulla loro specifica ed effettiva consistenza, sugli esecutori e sulle somme erogate, elementi tutti dell’evidenza indispensabili per precisare la portata ed i limiti della pretesa.
In conformità del costante indirizzo di questa Corte, va considerato che la deduzione della prova per testi non può avvenire in modo generico ed impreciso, ma deve essere dedotta mediante indicazione specifica dei fatti, al duplice scopo di consentire al Giudice di rendersi conto della concludenza delle prove e permettere alla parte avversaria di apprezzare la natura della pretesa ed apprestare idonea difesa.
Poiché nella specie, con valutazione di fatto che appare logica e correttamente motivata, il capitolo dedotto è stato ritenuto mancante di almeno tre elementi essenziali, al duplice fine sopra detto, il giudice di inammissibilità è da ritenere incensurabile.
Per le esposte considerazioni, il ricorso va rigettato […]