Corte di Cassazione, Sez. IV, Sentenza n. 18683 del 2004, dep. il 22/04/2004

[…]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 6.6.2003 la Corte di Appello di Catania ha confermato la sentenza dell’1.7.2002 del Tribunale di Siracusa, che aveva condannato […] alla pena ritenuta di giustizia in ordine al delitto di lesioni colpose in persona di […], fatto verificatosi in […] il 12.9.1996 (art. 590, 1^ e 2^ comma, c.p.).
L’imputato […] era stato ritenuto colpevole per avere, nella qualità di titolare di un’autorimessa-autolavaggio, incaricato il […] di lavare alcuni vetri posti a 5 metri di altezza, posto su una scala priva di dispositivi antisdrucciolevoli o di altri accorgimenti egualmente efficaci, e non incaricando alcun dipendente di trattenere la scala durante l’operazione, così come disposto dagli artt. 18 e 19 D.P.R. 547/55. La Corte di merito ha ritenuto che, pur essendo stato dato l’ordine di salire sulla scala al […] dal figlio dell’imputato, […], era risultato che […] era, all’epoca dei fatti, contitolare dell’impresa familiare con una quota del 51 %. L’imputato aveva il dovere, quindi, concorrente con quello del socio, di organizzare il lavoro e di predisporre le spese opportune per garantire l’esistenza in azienda di tutti gli strumenti conformi alla disciplina antinfortunistica, tali da garantire ai lavoratori le condizioni necessarie ad assicurare l’espletamento dei loro compiti in assoluta sicurezza.
Inoltre, la Corte ha ritenuto che […] gestiva l’azienda su delega del padre, che aveva poteri decisionali ed organizzativi, e che, quindi, era responsabile per non avere vigilato sulla sicurezza del lavoro, dotando l’impresa di apparecchi conformi alla legislazione antinfortunistica, così come la scala in questione. […] ha proposto ricorso per Cassazione, chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata per i seguenti motivi:
1) Motivazione illogica ed infondata. Il ricorrente ha assunto l’assenza di responsabilità, sia perché è pacifico che l’ordine di pulire i vetri era stato dato dal figlio […], e la responsabilità penale è personale, sia perché la scala non rientrava tra le attrezzature necessarie allo svolgimento delle mansioni del lavoratore, addetto al lavaggio di autovetture, e non di lavavetri.
2) Mancato raggiungimento della prova. Le prove raccolte avrebbero legittimato una assoluzione quanto meno ai sensi dell’art. 530, 2^ comma, c.p.p., ed eccessiva è stata in ogni caso la pena di 300,00 euro di multa.
3) Mancanza del nesso di causalità. Il ricorrente assume l’assenza di prova sul punto, trovandosi l’imputato in altra località il giorno del sinistro, e non essendo provati i danni, in quanto non è stata espletata perizia medico-legale.

MOTIVI DELLA DECISIONE

In ordine al primo motivo di ricorso il […] ha censurato la sentenza impugnata per avere ritenuto la sua responsabilità, malgrado sia stato accertato, nel corso del dibattimento, che la scala era stata data al […] da […], figlio dell’imputato e contitolare della società di fatto. Come è stato ben rilevato già nella sentenza di primo grado, nel contratto costitutivo di impresa familiare del 19.12.1995, si legge testualmente: “I sottoscritti dichiarano che le quote di partecipazione agli utili (50 % per l’imputato e 49 % per il figlio […]) come sopra determinate sono proporzionate alla quantità e qualità di lavoro effettivamente prestato in modo continuativo e prevalente dai partecipanti all’impresa”. La sentenza di appello ha poi ribadito (pag. 4) che la contitolarità dell’imputato, proprio in base al citato atto costitutivo, non è un atto meramente formale, ma è un fatto documentalmente accertato, per cui la dedotta mancanza di prova sul punto è infondata, stante la presenza di una prova di particolare efficacia, quale è quella documentale. La partecipazione attiva dell’imputato alla gestione dell’impresa è provata anche attraverso la comunicazione in data 1.6.2000, a firma di […], alla U.S.L. … di Siracusa dell’infortunio al […], verificatosi il 12.9.1996. Tale atto non solo non è irrilevante, come sostenuto dal ricorrente, ma è dimostrativo della continuità della partecipazione alla gestione e della effettiva titolarità dell’imputato altrimenti la comunicazione sarebbe tamquam non esset.
Così individuata la posizione del ricorrente nell’ambito dell’impresa familiare in questione, non è rilevante la circostanza che la disposizione di far uso della scala sia stata data dall’altro contitolare, […], in quanto ciò avrebbe al più legittimato l’estensione della corresponsabilità, ma non è certo causa di esclusione dell’attribuzione della colpa a […]. Come è stato condivisibilmente ritenuto, “l’obbligo di adottare le misure idonee e necessarie alla tutela dell’integrità fisica dei lavoratori, quando si tratti di società di persone e non risulti l’espressa delega a persona di particolare competenza nel settore della sicurezza, incombe su ciascun socio” (Cass. 5.9.1997 n. 8195; conforme Cass. 16.2.1989 n. 6300). Nella fattispecie, in cui peraltro è contestata la violazione degli artt. 18 e 19 D.P.R. 27.4.1955 n. 547, la tutela approntata dal legislatore, ex art. 43 c.p. (colpa per violazione di leggi), è a carico di tutte le persone che avevano l’obbligo di far rispettare la normativa antinfortunistica ed i relativi oneri di sicurezza. Di conseguenza nella società di fatto, qual è l’impresa familiare, i soci si trovano in una posizione paritaria, e la responsabilità dell’evento dannoso ricade su ciascuno di essi, e quindi anche sul ricorrente.
La sentenza impugnata ha ben motivato che, pur occupandosi […] in prima persona dei problemi gestionali, il ricorrente, fino a nove mesi prima dell’incidente titolare esclusivo dell’azienda, e successivamente cointeressato e titolare della quota maggioritaria, ed aveva il dovere di predisporre i mezzi opportuni e le spese necessarie per garantire l’incolumità dei lavoratori, circostanza non verificatasi con l’impiego di una scala non dotata di dispositivi antisdrucciolevoli, e di ganci di trattenuta (art. 18 D.P.R. 547/55), e neppure adeguatamente assicurata o trattenuta al piede da altra persona (art. 19 stesso decreto).
La motivazione della sentenza impugnata è, quindi, logica ed esauriente, e tiene conto dei principi legislativi e degli orientamenti giurisprudenziali in tema di infortuni di lavoratori dipendenti di società di fatto.
Per ragioni di ordine logico viene ora esaminato il terzo motivo di gravame, con il quale il ricorrente ha dedotto la mancanza del nesso di causalità, in quanto non si trovava in azienda nel momento in cui fu utilizzata la scala.
Come è stato chiarito, la colpa del […] – accertata la sua posizione di contitolare dell’impresa familiare – è stata individuata nel non avere ottemperato a precise norme antinfortunistiche, lasciando in uso una scala non dotata dei mezzi di sicurezza previsti dall’art. 18 D.P.R. 547/55, e non fornendo disposizioni sull’osservanza dell’obbligo, comunque, di fare in modo anche manualmente che la scala non sbandasse (art. 19). È evidente che tali omissioni – specificamente configuranti la colpa prevista dall’art. 43 c.p. – si pongono come antecedente causale dell’evento, in quanto la presenza di una scala dotata degli accorgimenti previsti dalla citata norma antinfortunistica ed assicurata al suolo avrebbe evitato la caduta del […], per cui è irrilevante la presenza o meno del ricorrente in sede al momento del sinistro, in quanto la sua responsabilità è stata individuata nel non avere provveduto a dotare la scala dei mezzi di sicurezza, e non nell’avere ordinato al […] di salire su di essa per effettuare la pulitura dei vetri ad un’altezza di metri 5 (cinque) dal suolo.
Trattasi, peraltro, di evento assolutamente prevedibile, secondo elementari canoni di sicurezza, con l’uso di una scala “comune” per effettuare operazioni a notevole distanza dal suolo. Il secondo motivo di ricorso – con cui si chiede un’assoluzione quanto meno ai sensi dell’art. 530, 2^ comma, c.p.p. – è assorbito dalle valutazioni che precedono.
Del tutto generico è il motivo attinente all’entità della pena, definita eccessiva, senza alcun argomento a sostegno (pag. 3 ricorso), e che comunque è stata limitata all’inflizione di una pena pecuniaria. […]