Corte di Cassazione, sez. L., sentenza n. 11751 del 2004, dep. il 24.06.2004

[…]

Svolgimento del processo

Con atto del 3 maggio 1999 […] proponeva opposizione avverso l’ordinanza-ingiunzione con la quale il Direttore della […] le aveva intimato di pagare la somma di L. 2.677.200, a titolo di sanzione amministrativa in relazione alla omessa registrazione di lavoratori nei libri paga e matricola e alle conseguenti omissioni contributive poste in essere nel periodo dal 1991 al 1994 dalla s.p.a. […], del cui consiglio di amministrazione la stessa faceva parte, e conveniva […] davanti al giudice unico del lavoro del Tribunale di Potenza, chiedendo che l’ordinanza-ingiunzione, illegittima in fatto e in diritto, fosse annullata.
Costituitosi in giudizio, l’Istituto convenuto contestava la fondatezza dell’opposizione, chiedendone il rigetto. L’opposizione veniva rigettata con sentenza del 9 giugno 2000, confermata dalla Corte di appello di Potenza con sentenza dell’8 marzo 2001. Il giudice dell’appello in punto di fatto osservava che la qualità di componente del consiglio di amministrazione della […] era stata accertata dagli ispettori […] nel corso delle indagini svolte, con esplicazione dei “poteri di ispezione e visione dei libri sociali, esercitati alla presenza di un altro componente del consiglio di amministrazione”, e che, a fronte di un siffatto accertamento, l’appellante non aveva fornito la prova dell’assunto secondo cui ella aveva dato le dimissioni dal consiglio di amministrazione in epoca precedente ai fatti contestati. In linea di diritto, poi, la Corte di appello rilevava che la responsabilità solidale della […]i, per la violazione commessa, risultava, in base alla disposizione contenuta nell’art. 6 della legge n. 689 del 1981, dall’inosservanza del dovere di vigilanza di cui all’art. 2392 c.c., non avendo la stessa provato di non avere potuto impedire i fatti. Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la […], che ha dedotto due distinti motivi poi illustrati da memoria. Ha resistito con controricorso […].

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il secondo motivo dell’impugnazione, che in ordine logico va esaminato con priorità, la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 2392 c.c., 3 e 6 l. 24 novembre 1981 n. 689, in relazione all’art. 360, primo comma n. 3, c.p.c. e sostiene che il giudice dell’appello, nell’affermare l’esistenza della responsabilità solidale dei componenti del consiglio di amministrazione per le omissioni contributive poste in essere da coloro cui compete la gestione di una società di capitali, ha fatto errato riferimento agli articoli di legge sopra indicati, dato che l’art. 2392 c.c. concerne la responsabilità degli amministratori (illimitata) verso la società ma non verso i terzi, mentre nei confronti dei creditori sociali è prevista solamente una responsabilità limitata ai sensi del successivo art. 2394, e dato che la responsabilità solidale tra più soggetti, coautori della violazione di legge che da luogo a una sanzione amministrativa, è regolata dall’art. 5 e non dall’art. 6 della legge n. 689 del 1981. La […] aggiunge che i componenti del consiglio di amministrazione sono tenuti a un dovere di vigilanza sul generale andamento della gestione, ma tale dovere non comprende quello di controllare i singoli atti, mentre, essendo espressamente previsto dal terzo comma dell’art. 6 della medesima legge n. 681 del 1989 che, in caso di violazione commessa dal legale rappresentante di una società, quest’ultima risponde in solido con l’autore della violazione, nessun obbligo, a meno di ipotizzare una sorta di responsabilità oggettiva, può porsi a carico dei componenti del consiglio di amministrazione che non hanno dato luogo all’infrazione. Queste censure sono prive di fondamento. L’art. 2392, secondo comma, c.c., che pone a carico degli amministratori il dovere di vigilare “sul generale andamento della gestione” della società per azioni (e della società a responsabilità limitata per il richiamo operato dall’art. 2487, secondo comma, c.c.) è stato da tempo interpretato da questa Corte nel senso che, come soprattutto deve desumersi dall’espressione “in ogni caso” in esso contenuta, ciascuno dei componenti del consiglio di amministrazione è tenuto ad attivarsi allo scopo di esercitare un concreto ed effettivo controllo sull’operato degli altri, sicché l’affidamento di singoli e specifici compiti di amministrazione diretta ad alcuni soltanto degli amministratori non vale ad escludere la responsabilità degli altri per l’inadempimento dell’obbligo di diligenza e di vigilanza (v. Cass. 23 giugno 1998 n. 6238 e Cass. 24 marzo 1998 n. 3110). D’altra parte, l’art. 6 l. 24 novembre 1981 n. 689, dal cui terzo comma si trae la regola della responsabilità diretta dell’autore della violazione di norme di legge che prevedono l’erogazione di sanzioni amministrative nonché della responsabilità solidale della persona giuridica qualora la violazione stessa sia ascrivibile a quest’ultima, allo scopo di rafforzare la portata precettiva delle singole disposizioni legislative che vietano o impongono determinati comportamenti, pena l’erogazione delle sanzioni, stabilisce che il soggetto sul quale incombe un dovere di vigilanza su un altro o su altri soggetti “è obbligato in solido con l’autore della violazione al pagamento della somma da questo dovuta, salvo che provi di non aver potuto impedire il fatto”.
Pertanto, l’obbligo solidale per il pagamento della sanzione amministrativa a carico del singolo componente del consiglio di amministrazione, che non ha adempiuto il dovere di vigilanza, deriva non tanto (rectius: non esclusivamente) dalla norma contenuta nel suddetto secondo comma dell’art. 2392 c.c., quanto dal combinato disposto di tale norma e dell’art. 6, secondo comma, della legge n. 689 del 1981. E a questa conclusione, del resto, è già pervenuta questa Corte, essendo stato affermato che, poiché l’obbligo previsto dall’art. 2392 c.c. non viene meno neppure nell’ipotesi di attribuzioni assegnate espressamente al comitato esecutivo o ad uno (o ad alcuni soltanto) dei componenti del consiglio di amministrazione e poiché l’art. 6, secondo comma, l. 24 novembre 1981 n. 689 prevede la responsabilità solidale di chi viola il dovere di vigilanza, salvo che non provi di non aver potuto impedire il fatto, il componente del consiglio di amministrazione di una società di capitali, chiamato a rispondere come coobbligato solidale per omissione di vigilanza, non può sottrarsi alla responsabilità adducendo che le operazioni integranti l’illecito sono state poste in essere, con ampia autonomia, da altro soggetto che aveva agito per conto della società medesima (Cass. 11 aprile 2001 n. 5443; cfr. pure in precedenza Cass. 25 gennaio 1999 n. 661, Cass. 24 marzo 1998 n. 3110, Cass. 29 novembre 1996 n. 10668). Questi rilievi dimostrano l’inconferenza delle censure formulate dalla ricorrente avverso l’interpretazione data dal giudice di appello alle disposizioni di legge di cui si discute. In relazione a tali censure, d’altra parte, va in particolare rilevato che, essendo stata la pronuncia della Corte di appello di Potenza basata proprio sul principio di diritto tratto da una delle sentenze da ultimo indicate (quella n. 3110 del 1998), a nulla vale osservare che l’art. 2392 c.c. concerne la responsabilità degli amministratori verso la società e non verso i terzi, dato che, come è stato sopra esposto, in tema di sanzioni amministrative la responsabilità solidale di ogni singolo componente del consiglio di amministrazione, per omissione del dovere di vigilanza, previsto, in generale, dal secondo comma del suddetto articolo, deriva piuttosto dalla disposizione di cui al secondo comma dell’art. 6 della legge del 1981; e a nulla, inoltre, vale menzionare, per argomentarne a contrario, la norma contenuta nell’art. 5 di quest’ultima legge, dal momento che tale norma contempla una fattispecie del tutto diversa da quella in esame. Con l’altro motivo del ricorso la […] deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2697, 2700 c.c., 115, 116 c.p.c. e il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360, primo comma n. 3 e 5, c.p.c.) ed asserisce che la Corte di appello di Potenza, nell’affermare che in base al verbale redatto dagli ispettori […] risultava provata la partecipazione di essa […] al consiglio di amministrazione della società […] all’epoca degli avvenimenti per cui è causa, non ha considerato che il suddetto verbale non poteva integrare un elemento di prova, non avendo gli ispettori indicato quale fosse il documento attestante il fatto da provare, sicché la dimostrazione di tale fatto è stata tratta, con applicazione del principio inverso a quello dell’onere della prova, senza tenere conto della circostanza inerente alle sue dimissioni dal consiglio di amministrazione in epoca precedente ai suddetti avvenimenti. Questo motivo – che è ammissibile in rito, giacché, al contrario di quanto eccepisce la difesa dell'[…], la questione che ne è oggetto è stata trattata nella sentenza impugnata previa la sua puntuale deduzione nell’atto di appello – è infondato nel merito. Come bene rileva in linea di stretto diritto la ricorrente, per costante giurisprudenza i verbali di accertamento posti in essere dai pubblici ufficiali fanno piena prova, fino a querela di falso, oltre che della provenienza dei medesimi da chi li ha redatti, anche dei fatti attestati come avvenuti in presenza dell’autore del verbale o conosciuti dal medesimo in base alle dichiarazioni raccolte o all’esame di determinati documenti, senza peraltro che tale efficacia probatoria possa estendersi alla veridicità delle suddette dichiarazioni o del contenuto dei documenti esaminati, i quali possono essere contestati con qualsiasi mezzo di prova e senza ricorrere alla querela di falso (cfr., fra le tante sentenze, da ultimo Cass. 2 agosto 2001 n. 10569 e, in tema di sanzioni amministrative, Cass. 3 dicembre 2002 n. 17106). Nel caso in esame, peraltro, il giudice dell’appello ha rettamente applicato, dopo averlo richiamato, il principio di diritto testè enunciato. Nel motivare la decisione resa su questo punto della controversia, infatti, la Corte territoriale ha affermato che gli ispettori […], avvalendosi dei poteri di indagine loro conferiti dalla legge, avevano tratto la prova della qualità di componente del consiglio di amministrazione della società […] della […] dalla “ispezione e visione” dei libri sociali obbligatori per legge. Spettava, per conseguenza, alla interessata, proprio in forza del principio di diritto sopra indicato, dimostrare il contrario mediante qualsiasi idoneo mezzo di prova (non mediante querela di falso), non essendo la circostanza risultante dai libri sociali dotata della necessaria veridicità. La ricorrente, peraltro, non solo non ha formulato alcuna richiesta istruttoria al riguardo, ma si è limitata ad asserire (sia nell’atto di appello, sia nel ricorso per Cassazione), senza peraltro nemmeno precisare l’epoca in cui l’evento sarebbe accaduto, che essa si era dimessa dal consiglio di amministrazione in epoca precedente ai fatti in contestazione; con la conseguenza che bene ha fatto il giudice dell’appello, a fronte di tale generica e non dimostrata deduzione e previa corretta applicazione delle regole dettate dall’art. 2697 c.c., ad affermare che l’appellante non aveva offerto la prova contraria alle risultanze dei libri sociali e a ritenere esistente la responsabilità solidale della medesima per il pagamento della sanzione amministrativa derivante dalle contestate violazioni delle norme dettate in tema di assicurazione obbligatoria dei lavoratori subordinati. Tenuto conto di tutti questi rilievi, il ricorso della[…] deve essere rigettato […]